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L’antidoto alla proliferazione mentale

10/08/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Se c’è una cosa davvero originale dell’analisi bioenergetica è che Lowen  – per primo – ha portato il movimento nella stanza della psicoterapia.

Noi viviamo in movimento eppure, fino ad allora, la psicoterapia si consumava nell’immobilità. Due persone sedute in poltrona oppure una sul lettino e l’altra dietro, nascosta alla visuale. Una situazione totalmente irreale rispetto a quello che accade ordinariamente.

Portare il movimento in psicoterapia ha significato non solo lasciare spazio al linguaggio del corpo ma rendere reale la psicoterapia in modi che sono autentici e spontanei. Perché il nostro movimento, per quanto consapevole, dice sempre qualcosa in più delle nostre parole. E nasce prima delle parole.

Così essere consapevoli dei nostri movimenti significa dare, alla consapevolezza, quella profondità che le è necessaria perché non sia un’idea. Rimanere consapevoli, momento per momento, man mano che ci muoviamo nel mondo è il miglior antidoto al proliferare dei pensieri che sia mai stato inventato.  Ed è sempre a nostra portata.

Il sé non può essere disgiunto dal corpo e la coscienza di sé non può essere separata dalla consapevolezza del corpo. Per me, almeno, la via della crescita è quella del contatto con il mio corpo e della comprensione del suo linguaggio. Alexander Lowen

Pratica del giorno: Bioenergetica (una parte del corso di Bioenergetica e yoga)

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBSR online

 

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Il piacere, l’ansia e le difese

14/07/2023 by nicoletta cinotti

Forse ti sarà capitato di avere molti impegni e responsabilità e, per portarli avanti, tagliare il tempo libero o tagliare le attività piacevoli con l’illusione di avere così più energia per quello che “devi” fare. Nella depressione da lieve a grave questa è una delle prime cose che accade. Pessima scelta perché abbiamo bisogno di avere un equilibrio tra lavoro e vita personale. per questo motivo aiuto le persone a mettere a fuoco delle attività nutrienti da portare avanti  per avere energia per i compiti quotidiani. Solo che succede una cosa strana: molte persone scoprono che hanno attività nutrienti che sono solo piacevoli (i procrastinatori) o attività nutrienti che sono solo di padronanza, organizzate in agenda come se fossero un impegno di lavoro. ( I controllanti). Entrambi cercano una cosa sola. Tenere a bada l’ansia.

L’ansia è una delle emozioni più pervasive e disturbanti. Anche se non sempre possiamo definirla patologia, è pur vero che il disagio che provoca è così forte che raramente passa inosservato.

La prima domanda però che dovremmo farci è perché proviamo ansia?

Perché sono ansioso?

Proviamo ansia perché desideriamo qualcosa ma sappiamo che questo può essere, anziché un piacere, una fonte di frustrazione. Sappiamo che quel meeting di lavoro può darci molto piacere e soddisfazione ma non siamo sicuri del risultato: proviamo ansia. Sappiamo che quell’incontro potrebbe andare bene ma non è certo: proviamo ansia. Sappiamo che stiamo per avere una crescita professionale: proviamo ansia perché non siamo sicuri di essere adeguati. E gli esempi potrebbero continuare all’infinito. Perché l’ansia non discrimina tra cose positive e negative: possiamo provare ansia nei momenti più belli della nostra vita che finiscono così per essere veramente difficili!

Come dice Alexander Lowen l’ansia nasce come reazione alla frustrazione provata in una condizione piacevole. Se, ripetutamente, quando siamo aperti, amorevoli e rilassati accade un fenomeno avverso – una frustrazione, una punizione o un rimprovero – è molto possibile che si strutturi una forma di ansia cronica che ci porta ad evitare la condizione piacevole che ha scatenato il rimprovero. In questo caso tenderemo a diventare super-preparati e a controllare gli imprevisti in due modi: con la preparazione e con la riduzione dell’improvvisazione e delle attività non preparate accuratamente. saremo precisi, ordinati e controllati e metteremo in agenda la palestra, il cinema, le cene, prenotando tutto con il dovuto anticipo. Un vantaggio ma anche uno svantaggio percé i “controllori” hanno meno gioia e minore propensione alla meraviglia.

Oppure, all’opposto, facciamo solo cose piacevoli, decise last minute e procrastiniamo tutto quello che ci mette in ansia c, finendo poi per avere un accumulo di arretrati che può travolgerci da un momento all’altro. Modi opposti di regolare la stessa emozione. l’ansia! Cerchiamo di ripetere quella situazione piacevole ma in modo da non provare ansia, per esempio attraverso l’uso di alcool.

Quindi l’ansia nasce in relazione al piacere. Ecco perché qualsiasi ansioso ha bisogno di sentirsi in un luogo sicuro. Il luogo, lo spazio fisico in cui si trova e il messaggio – positivo – lo confortano sul fatto che niente di male può accadergli. Nello stesso tempo, il comportamento di evitamento dell’ansia ha un effetto paradossale: la amplifica. Mentre incontrarla con gradualità offre sollievo. Una mente piena di ansia, infatti, crea proprio le paure che teme di più. Le crea ma non riesce a comprenderle ed esplorarle. Pensa continuamente a ciò che potrebbe succedere senza darsi strumenti per comprendere come e perché succede. L’ansia ci porta a velare le nostre risorse e le nostre qualità e rende più difficile lanciare uno sguardo verso la nostra mente originaria.

Ma come fare? E soprattutto, chi saremmo se non fossimo stati frenati dalla nostra ansia? Proviamo a vederlo in teoria e in pratica…

“Accetta il fatto che quando fai qualcosa di nuovo potrebbe andare male, e questo renderà tutto più facile”Alex Noriega

I segnali contraddittori

L’ansia nasce in risposta a segnali contraddittori e può venire evocata dal presentarsi anche di qualsiasi altro segnale ambivalente. Le situazioni originarie risalgono all’infanzia. I bambini sono tutto cuore, sono cioè molto aperti e, per questa ragione anche molto vulnerabili. Man mano che incontrano frustrazioni imparano a costruire dei confini di personalità e un senso di quello che può essere un luogo sicuro e un comportamento sicuro. Purtroppo anche i genitori stessi non sono sempre fonte di piacere e sicurezza e, nella mente del bambino, possono essere associati anche alla possibilità del dolore. È così che iniziamo ad imparare che anche le relazioni possono essere “pericolose”. Se le frustrazioni superano la finestra di tolleranza allora diventa inevitabile che l’ansia ci spinga a costruire delle difese e non solo dei confini. Possiamo addirittura affermare che le difese sono un uso eccessivo dei confini che diventano rigidi e poco adattabili al mutare delle circostanze.

La mente ansiosa non comprende che quando sogna ad occhi aperti cose avvenute nel passato, non è nel presente. E quando non siamo nel presente è difficile agire saggiamente. È più probabile che faremo quello che siamo preoccupati di fare: sbagliare. Jan Chozen Bays

L’ansia e le difese

Le difese diminuiscono l’ansia ma riducono anche la vitalità rendendo attivo l’imbuto dell’esaurimento di cui ti parlavo prima, una specie di gorgo in cui, ad un certo punto, ti trovi immerso, senza via d’uscita.. La difesa, ovviamente, non blocca tutte le iniziative di ricerca del piacere, ma ogni difesa, ponendo un limite alla vitalità è anche un piccola morte.

Dal crepacuore ci difendiamo rinunciando ad amare e dalla morte rinunciando a vivere. Alexander Lowen

Il piacere può essere definito in diversi modi: può essere piacevole un funzionamento regolare, o una variazione nella routine. Per alcune persone è piacevole il riposo, per altre l’attività: potremmo dire che il piacere nasce come senso di soddisfazione per quello che stiamo facendo ed è strettamente personale. In ogni caso si accompagna ad una sensazione fisica, radicata nel corpo, è un movimento espansivo e un flusso di sensazioni dal centro verso le estremità. Un aprirsi, entrare in contatto, protendersi. Non nel caso dell’ansia però: in quel caso l’idea del piacere si accompagna ad una proliferazione di pensiero ipotetico.

I movimenti opposti  di ritiro, chiusura e trattenimento, anche se mettono al sicuro, non vengono vissuti come piacevoli ma come una perdita emorragica di energia. È opportuno sottolineare che, molto spesso, il nostro corpo presenta una situazione mista: parti irrorate e confortevoli, alternate a zone di tensione e ritiro. Non sempre la linea di demarcazione è netta ma la differenza è percepibile a noi e visibile agli altri.

La risposta piacevole è anche una risposta calda e ricca d’amore perché il cuore è in comunicazione diretta con il mondo esterno. Alexander Lowen

L’ansia nel corpo

Così per comprendere l’ansia – e comprendere come reagiamo all’ansia – è necessario andare al di sotto delle difese per guardare fino a che punto una persona possa espandersi senza precipitare nella paura e senza perdere il contatto con la realtà.

Aumenta la tua disponibilità e la tua consapevolezza a guardare innanzitutto che cosa c’è. Virginia Satir

Per fare questo è necessario osservare le diverse modalità di contatto che abbiamo: le braccia e le mani, le gambe e i piedi, la testa e il volto e la sessualità. Queste parti ci permettono il contatto con il mondo e quindi le sensazioni di tensione legate ad ognuna di queste aree – o la loro limitazione – ci offre una prima importantissima informazione.

Ansia: che fare?

Anche se può sembrare paradossale, evitare le situazioni che scatenano l’ansia non è una buona idea. Alla fine ci porta a ridurre eccessivamente la nostra sfera vitale. Quello che è necessario è aumentare il senso di sicurezza personale e, forti di questa base, andare incontro con gradualità alla nostra ansia. Possiamo farlo incrociando due percorsi: aumentare il radicamento nella realtà attraverso il grounding e il lavoro corporeo e regolando le emozioni negative attraverso la pratica di mindfulness e self-compassion. Il protocollo MBCT e il Programma di Mindful self-compassion offrono un’ottima integrazione. Perché questa integrazione funziona?

Il respiro è l’unica funzione che è sia volontaria che involontaria ed è una attività mente – corpo. Il prestare attenzione intenzionale al respiro, inoltre, attiva il ramo parasimpatico del sistema nervoso autonomo, rallentando quel senso di urgenza e di fretta che accompagna l’ansia. L’attenzione al respiro però, nei casi di ansia, deve essere accompagnata dalla rassicurazione, dal calore del conforto perché, altrimenti non può funzionare. Inoltre per molte persone dietro all’ansia c’è una sensazione di inadeguatezza che si esprime attraverso l’autocritica. La self-compassion ci aiuta a confortare questa sensazione e a trovare modi gentili per aiutarci a superare le credenze negative su di noi

Se il respiro è molto accorciato – come accade quando soffriamo di ansia – è necessario aiutarne la libertà, andando a sciogliere le contrazioni circolari che ne limitano l’ampiezza, perché lo stesso accorciamento del respiro può indurre una sensazione di ansia. Possiamo farlo con il tocco e con dei movimenti compassionevoli

Qualche volta può andare bene anche se la sola cosa che puoi fare è respirare. Yumi Sagukawa

I farmaci per l’ansia vanno presi quando sono indispensabili. Molto spesso l’ansia viene trattata con benzodiazepine, vecchi farmaci che pososno essere sostituiti da nuove risposte farmacologiche visto che aumentano il senso di torpore, creano dipendenza e  perdita di padronanza che, peraltro, sono sintomi tipici dell’ansia e innescano così un circolo vizioso.

L’ansia e la mente

È molto frequente che l’ansia renda difficile la concentrazione. Ci fa credere che la fuga sia la migliore risposta mentre invece avremmo bisogno di fermarci. Oppure ci fa rimanere chiusi in casa mentre avremmo bisogno di uscire. Questo perché si invertono i normali flussi di apertura e chiusura. Può essere utile quindi fare pratiche brevi, come Addolcire, confortarsi, aprire oppure Lavorare con i pensieri difficili, precedute dal movimento corporeo,come la Classe del Mattino, o semplicemente, una meditazione camminata.

Al di là di tutto, quello di cui abbiamo bisogno è, progressivamente, avvicinarci proprio a quello che ci fa paura: unica strategia che davvero scioglierà la nostra ansia come neve al sole.

Last but not least

Inoltre l’ansia ha un effetto sulla creatività. A volte un effetto di diminuzione, a volte espressivo. Ci sono persone che creano come modo per calmare la loro ansia. Altre che sono ansiose rispetto alla sola idea di esprimersi creativamente. Sotto tutto questo però, ognuno di noi, ha una sorgente intatta di creatività. È la nostra mente originaria. Come siamo al di là e al di sotto delle nostre difese? Siamo piccoli e grandi artisti della vita!

© Nicoletta Cinotti 2023

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Bibliografia

N. Cinotti, Mindfulness ed emozioni

A. Lowen, Paura di vivere

J Chozen Bays, Come addomesticare un elefante selvatico

 

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Essere felici insieme

01/06/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Molte volte facciamo qualcosa per rendere felici gli altri. È un modo per manifestare il nostro affetto e la nostra gratitudine. A volte è un modo per essere importanti. Altre volte diventa una specie di sacrificio. Come se la nostra felicità non avesse diritto di esistere se non dopo la felicità altrui. Come se la condizione per essere felici fosse che tutte le persone che amiamo lo siano. Ovviamente è una condizione irrealizzabile e, soprattutto, è una condizione posta dalle nostre emozioni relazionali.

Ci sono emozioni che esprimono la nostra risposta al mondo che ci circonda in senso ampio. Risposte agli eventi della vita che non nascono all’interno di una specifica relazione. Altre emozioni, invece, sono espressione delle nostre modalità relazionali. Sono emozioni che tendono ad avere una presenza costante nel tempo e caratterizzano relazioni anche molto diverse tra loro. Spesso sono le nostre emozioni relazionali quelle che fanno sì che tutte le nostre relazioni si assomiglino.

Quando ci sacrifichiamo perché gli altri siano felici spesso lo facciamo per due emozioni relazionali: il senso di colpa e, un po’ paradossalmente, l’invidia. Ci sentiamo in colpa all’idea di avere qualcosa in più di quello che ha una persona che amiamo. Così strutturiamo un circolo vizioso di infelicità e frustrazione, in cui la nostra felicità dipende dalla felicità dell’altro. Piuttosto che prendere la responsabilità della propria vita e della propria felicità preferiamo subordinare quello che facciamo alla tranquillità dell’altro. L’altra emozione in gioco è l’invidia: in questo caso la paura di essere invidiati se abbiamo qualcosa in più dell’altro. Entrambe queste emozioni sono espressione di un blocco – non solo emotivo ma anche corporeo – tra noi e gli altri. Una sottile linea di ritiro che ci fa temere il contatto e, soprattutto la condivisione e l’intimità. Esperienze in cui essere diversi non è un minus ma una declinazione di ricchezza.

La felicità non è una torta con un numero limitato di fette. È un’esperienza accessibile e condivisibile. In cui la nostra felicità non toglie spazio alla felicità dell’altro e la nostra infelicità non garantirà la felicità dell’altro. Quando sentiamo che la nostra felicità è in contraddizione con la felicità dell’altro il vero tema è la verità. E quanto possiamo condividere la nostra verità.

Assegniamo a come ci vedono gli altri più realtà del modo in cui vediamo noi stessi. Ma ciò equivale a vederci come un oggetto, perdendo il cuore del nostro vero essere. Jean Paul Sartre

Pratica di mindfulness: Respirare per me, respirare per te

© Nicoletta Cinotti 2023 Il Programma di Mindful Self-compassion intensivo e residenziale

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La nostra mente è un poeta

12/01/2018 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Credo che tutti noi conosciamo il potere delle parole: non parlo solo del tono e del modo con cui le pronunciamo. Parlo proprio della parole in sé per sé. Siamo così sensibili alle parole perchè la nostra mente si forma attorno all’esperienze al linguaggio. Nei primi due anni di vita, fino a che non iniziamo a parlare, l’apprendimento è mediato dall’esperienza: impariamo sulla base di quello che facciamo. E delle emozioni che proviamo nel momento in cui facciamo esperienza. Impariamo dalla gioia – emozione sottovalutata eppure centrale per l’apprendimento – e impariamo anche dalla paura. Se abbiamo paura impariamo a chiudere la mente. Se proviamo gioia ad aprirla e ad esplorare. Più siamo gioiosi e più siamo curiosi, da bambini e non solo.

Quando iniziamo a parlare aggiungiamo un elemento in più attorno a cui strutturare la nostra mente in formazione: le parole. Non impariamo più solo dall’esperienza ma impariamo anche a raccontare l’esperienza. E, soprattutto impariamo un elemento essenziale: la distanza. Perchè la parola ha un grado di distanza dall’esperienza. Quel grado di distanza permette la formazione del processo simbolico (non so cosa mi è preso stamattina con questo spiegone: ho letto delle poesie per bambini appena sveglia e questo è l’effetto!)

La distanza delle parole dall’esperienza è libertà. È scelta, è potere ed energia. Quella distanza dall’esperienza permette anche che, in quello spazio virtuale che si crea tra noi e l’esperienza che stiamo facendo, inizi a comparire un processo consapevole di vergogna. E, purtroppo, di autocritica. Impariamo lì a parlarci: nel breve – o grande – spazio che c’è tra noi e l’esperienza. Se lo spazio è troppo grande è facile che si infili la vergogna che con fare stregonesco ci dice Non vai bene, eh no, così non vai proprio bene.

Se siamo molto perfezionisti quello spazio è grande: grande come il mare. Perché è accresciuto dalla misura della distanza tra dove siamo e dove vorremmo essere. E spesso iniziamo a spronarci come un comandante severo. È qui, proprio qui che è fondamentale ricordarsi che impariamo dalla gioia e che l’imperfezione è una grazia, un dono. Il dono dell’apprendimento.

La cosa davvero difficile e davvero straordinaria è abbandonare l’idea di essere perfetti e cominciare a diventare se stessi. Anna Quindlen

Pratica di mindfulness: Centering meditation

© Nicoletta Cinotti 2018 A scuola di grazia e non di perfezione 

Foto di © AnnaEmilia

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Zindel Segal e il protocollo MBCT

07/01/2017 by nicoletta cinotti

Zindel Segal è uno psichiatra canadese: uno dei tre ideatori del protocollo MBCT. Una delle persone più miti che io abbia conosciuto. Non è una persona che è diventata buona: sembra una persona che non ha mai provato sentimenti di rabbia o furia. Conduce la formazione con Susan Woods. Li ho conosciuti insieme a Omega Center, il campus vicino a New York che raccoglie il meglio della formazione americana nell’area della meditazione, pratiche corporee e psicologia umanistica. È nato nel 1977 sotto la spinta di Stephan Rechtschaffen e Elizabeth Lesser. Deve il nome agli insegnamenti di Pierre Teilhard de Chardin, un filosofo che usa il termine “Punto Omega” per descrivere il culmine di unità e integrazione verso il quale tutti noi evolviamo.

Vi riporto alcune idee espresse da Segal in una intervista dove gli era stato chiesto di descrivere alcuni degli elementi fondamentali del protocollo MBCT

Accettare le emozioni difficili?

ZS: Succede sempre qualcosa quando le persone incontrano il concetto di accettazione nel trattare con le emozioni difficili e con alcuni stati mentali. Nella mindfulness-based cognitive therapy (MBCT) questo avviene attorno alla quarta o quinta sessione. A quel punto le persone dicono “Come posso accettare questo dolore?” oppure “Io voglio sentire meno le emozioni difficili e non di più!”  Queste reazioni sottintendono una idea: che anche se lottare per scacciare o evitare le emozioni difficili può essere davvero sfinente è una strategia che in passato ha funzionato ed è difficile correre il rischio di percorrere un’altra strada usando una modalità sconosciuta ed estranea

Tre aspetti

In quei momenti – piuttosto che rispondere – trovo utile ricordarmi 3 aspetti

  1. Permettere alle emozioni difficili di essere presenti nella nostra vita non significa che abbiamo scelto di non fare niente. Il concetto di accettazione, così come è stato introdotto nell’ MBCT, intende esprimere la possibilità di una diversa relazione con l’esperienza caratterizzata dal permettere e dal lasciar andare. Permettere significa essere consapevoli della presenza delle emozioni difficili per poter scegliere come rispondere. Richiede un impegno reale e coinvolge attenzione intenzionale. Permettere non significa essere passivi, rassegnati o impotenti.
  2. Negare il proprio stato mentale è rischioso per la salute mentale.  Essere inconsapevoli del proprio stato mentale è piuttosto rischioso e, spesso, è il primo anello della catena che conduce a comportamenti automatici, abituali e a schemi mentali disfunzionali. Dirsi “Sono stupido a pensare/sentire così” oppure “Non sono abbastanza forte per affrontare questa situazione”  non è molto d’aiuto. Al contrario sentire di potersi aprire anche con questa esperienza permette di spezzare questa catena di reazioni ripetitive. Anziché dirsi “Sono stupido a pensare/sentire così” possiamo dire “Ah, ho paura, Mi sto giudicando”
  3. L’accettazione aiuta ad attraversare le esperienze spiacevoli. La pratica dell’MBCT offre modi concreti per essere più amorevoli, capaci di cura, nei confronti di se stessi. Modi per passare dalla teoria -“so che dovrei fare così”- alla pratica. Tutto questo non richiede solo una intenzione o uno sforzo di volontà. Richiede di lavorare con il corpo attraverso ripetute pratiche per imparare a riconoscere il sorgere delle emozioni e la loro risonanza nel corpo.

Portare consapevolezza e attenzione alle sensazioni che accompagnano le esperienze difficili offre la possibilità di imparare a relazionarsi in modo diverso alle proprie esperienze. Passare attraverso il corpo può aiutarci a realizzare che, attraverso la pratica, possiamo permettere alle esperienze difficili di essere presenti e, ciononostante, andare bene così.

© Nicoletta Cinotti 2017 Il protocollo MBCT online

Mindfulness e Self-compassion tra psico-educazione e clinica

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Il cuore spezzato

20/12/2016 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Quando proviamo un dolore in amore diciamo “mi ha spezzato il cuore” perché è un dolore così intimo e profondo che ci sembra davvero che il nostro cuore possa rompersi in pezzi. Frantumarsi come vetro. Forse solo la vergogna produce un dolore così profondo. E, forse, dietro ad ogni dolore d’amore c’è un senso di vergogna per il fallimento affettivo che comporta.

Eppure, come diceva Leonard Cohen, è dalle nostre fratture che entra la luce permettendoci di cogliere una nuova prospettiva.

Le nostre difese sono come cerchi di protezione che costruiamo attorno alle nostre emozioni. Quello che accade quando soffriamo per amore è che uno di questi cerchi protettivi si incrina. Non è il cuore a rompersi ma le difese che abbiamo messo attorno al cuore per proteggerlo dal dolore, dalla perdita, dalla sofferenza. È in quel momento che le nostre difese rivelano tutta la loro – paradossale – inutilità: quando soffriamo per amore di qualcuno  o di qualcosa.

Amare ci rende vivi e così permette che questi cerchi intimi di difesa vengano frantumati. Soffrire per amore è una buona occasione per rimanere aperti, per lasciar andare quella difesa che si è spezzata. Non mettere un altro cerchio difensivo attorno al tuo cuore. Sarebbe come dire che questa sofferenza è stata inutile. Offri un frammento di saggezza anziché un cerchio di difesa e chiusura. Quella saggezza renderà il tuo cuore più grande mentre la difesa lo renderà solo più soffocato.

Cuore spezzato: (n) grande dolore che soffriamo quando le nostre aspettative non si realizzano in qualche modo; un aspetto della realtà di ogni essere umano.. Dagli aspetti personali a quelli interpersonali e sociali ci sono molte forme di “cuore spezzato”. E tutte sembrano svilupparsi attorno ad aspettative irrealistiche o attorno all’aspettativa che “Lui” o “Lei” entreranno nella nostra vita e vivremo per sempre felici e contenti. E nessuno morirà mai. Lodro Rinzler

Pratica di mindfulness: Cullare il cuore

© Nicoletta Cinotti 2016 Il protocollo di mindfulness interpersonale Foto di ©FA.RO

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