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Bioenergetica e Mindfulness

Senza ansia per l’imperfezione

27/05/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Molte persone mi hanno detto che quando realizzano quanto a lungo sono stati imprigionati in un sentimento di vergogna e odio nei confronti di sé stessi, provano non solo pena ma anche una specie di speranza che offre un nuovo senso alla loro vita. Un po’ come svegliarsi da un brutto sogno, come se, vedere la propria prigione, permetta anche di vedere le proprie potenzialità.

Il famoso maestro zen del settimo secolo, Seng-Tsan, insegnava che la vera libertà è essere “senza ansia dell’imperfezione”. Questo significa accettare la nostra esistenza umana e la vita stessa così com’è.

L’imperfezione non è un nostro problema personale: è una parte naturale dell’esistenza. Siamo tutti catturati dalla paura e dai desideri, tutti noi agiamo inconsapevolmente, tutti noi sperimenteremo la malattia e l’invecchiamento. Quando ci rilassiamo rispetto all’imperfezione, non perdiamo più la nostra vita nella ricerca di momenti in cui le cose siano diverse da come sono o nella paura di sbagliare.

Lawrence descriveva la cultura occidentale come un grande albero con le radici nell’aria. ” Periremo per la mancanza di soddisfazione dei nostri più grandi bisogni” scriveva “perchè siamo tagliati fuori dalla sorgente interna di rinnovamento e nutrimento”. Viviamo per riscoprire la verità della nostra bontà naturale e della connessione con tutte le cose. Il nostro “più grande bisogno” è entrare amorevolmente in relazione gli uni con gli altri, entrare in relazione con la bellezza e con il dolore che ci circonda e che è dentro di noi. Come diceva Lawrence “abbiamo bisogno di piantare di nuovo i nostri alberi, noi stessi, nella terra della vita”. Tara Brach

© www.nicolettacinotti.net Dalla Rubrica “Addomesticare pensieri selvatici”

Mindful Self-Compassion: intensivo residenziale

 

 

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Vorremmo sempre arrivare in tempo

22/05/2023 by nicoletta cinotti

Vorremmo arrivare in tempo agli appuntamenti importanti. E gli appuntamenti davvero importanti non sono quelli che possiamo programmare e mettere in calendario. Gli appuntamenti davvero importanti sono quelli che sfuggono al nostro controllo, quelli in cui desideriamo essere insieme a qualcuno perché sta succedendo qualcosa d’importante.

Sono gli appuntamenti in cui è più difficile essere davvero puntuali proprio perché non consentono controllo.Sono arrivata tardi molte volte nella mia vita. Mi ritengo una ritardataria che lotta quotidianamente per non esserlo ma che spesso non riesce ad essere presente nel fatidico “momento giusto”. Non c’ero nel momento in cui i miei genitori hanno fatto l’ultimo respiro. Come per una beffa, dopo averli curati per mesi, ho mancato l’appuntamento più importante. Non posso dire che questo sia un dispiacere consolabile. È un dato di realtà che condivido con molte altre persone.

Forse non sono stata tempestiva in molte altre situazioni ma in altrettante sono stata più che tempestiva. Questo “mancare gli appuntamenti importanti” mi ricorda che siamo umani, che sbagliamo da professionisti, come dice Paolo Conte e che, per qualche ragione, ci dimentichiamo che il controllo sugli eventi è una forma di delirio personale al quale dobbiamo sfuggire. Gli appuntamenti importanti mancati sono un modo per ricordarci la nostra umanità e non un segno della nostra inaffidabilità.

Ciononostante lottiamo: vorremmo essere umani ma con qualche caratteristica super-umana che ci sollevi dal quotidiano. Amiamo i personaggi famosi perché ci sembra che siano riusciti nella loro super-umanità. Oggi vorrei essere super-umana perchè riconosco di essere umana, di arrivare in ritardo e, molte volte, di essere puntuale. Puntualissima nel ricordarmi sempre di amare.

Consapevolezza il suo sguardo così costante, ogni singola nostra mossa osservata con grande affetto, perenne vigilanza incondizionata e spontanea, silenziosa, paziente, inarrestabile nel suo abbraccio. John Astin

Pratica di mindfulness: Il rischio squisito

© Nicoletta Cinotti 2023 Il programma di Mindful self-compassion: Ultimi giorni per iscriversi

Oggi il sito avrà una sospensione per manutenzione e rinnovamento dalle 8.30 alle 16.30 (orari soggetti a fluttuazioni). Troverai un sito nuovo, fresco e con tante risorse in più che ti aspetta!

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Gratitudine, gratefulness e cambiamento

21/05/2023 by nicoletta cinotti

Sono uscita di casa con animo allegro. Dopo pochi passi mi sono accorta che non avevo al polso l’orologio di mia madre. Un orologio che non si toglieva mai, nemmeno per dormire. Era l’orologio che io e i miei fratelli avevamo regalato a mio padre per il suo cinquantesimo compleanno. Lui non l’aveva amato perché apprezzava la tecnologia più avanzata e non aveva rinunciato al suo orologio digitale, mentre mia madre l’aveva indossato sempre.

Quando è morta ho chiesto ai miei fratelli di poterlo avere io e loro, generosamente, hanno capito le mie ragioni, assolutamente emotive, e me l’hanno lasciato.

Si diventa così animisti per affetto. Non è il valore economico che ci lega ad un oggetto ma il significato affettivo. Il lutto è fatto così, di oggetti che, improvvisamente, acquistano un grande valore. Succede per qualunque lutto. Ho visto partner distruggere reperti della relazione come se avessero trovato la soluzione al loro dolore. Un figlio distrutto perché aveva perso l’ultima lettera di sua madre. Potrei scrivere mille storie sul dolore degli oggetti perduti e sul senso degli oggetti dimenticati. Un paziente molto tempo prima di separarsi (e addirittura molto tempo prima di iniziare a parlare della sua crisi matrimoniale) dimenticò nel mio studio la vera nuziale. Perché nella vita incontriamo molte morti: separazioni, abbandoni e perdite ci allenano. Sono “piccole morti” da cui imparare. Imparare a continuare a vivere sapendo che il cambiamento non è qualcosa che possiamo controllare. C’è un dolore legato al cambiamento e un dolore legato all’invecchiamento, alla morte, alla malattia. Consideriamoli allenamenti per arrivare splendenti. Sembra che Michela Murgia lo stia facendo e ognuno di noi può farlo. Soprattutto se lasciamo andare la scaramanzia che abbiamo rispetto a questa parola e a tutte le parole collegate. Siamo animisti anche nella superstizione e le parole diventano oggetti concreti, tangibili e intoccabili.

La scelta di Michela

Sto leggendo il libro di Michela Murgia, Tre ciotole. L’ho preso perché sapevo che avrebbe parlato della sua malattia. È un libro in cui le parole sono come i sassi che trovi sulla spiaggia di Camogli, alcuni riescono a camminarci sopra con apparente anestesia. Io no, devo sempre mettermi delle ciabatte. Il libro di Michela Murgia declina, attraverso diverse storie, le nostre reazioni alle piccole e grandi morti della vita. È un libro discontinuo, scritto di getto (e si sente) ma ti lega alla lettura perché capisci che dentro c’è un pezzo del cuore della persona che l’ha scritto. Non scherzava con la penna quando scriveva. Ci metteva dentro quello che c’era. Non ha la raffinatezza di Matteo B. Bianchi nel raccontare il lutto e nemmeno la profondità di Joan Didion che estrae il suo lutto e lo trasforma in un succo prelibato e squisito ma ti incatena per la sua autenticità. Perché il punto, dovremmo avere il coraggio di riconoscerlo, è che le cose acquistano valore alla luce della perdita. Come dice Michela in un’intervista “Io sto vivendo il tempo della mia vita adesso. Dico tutto, faccio tutto, tanto che mi fanno? Mi licenziano? Ho chiesto a Vogue di poter fare un viaggio sull’Orient Express. Posso andare alle sfilate di moda, farò un sacco di cose. Ma voi non aspettate di avere un cancro per fare così”. Ecco molto spesso, troppo spesso, diamo valore a quello che “abbiamo” nel momento in cui lo stiamo perdendo. Eppure odiamo il lutto, lo scansiamo, a volte facciamo finta che non ci sia.

L’ Harvard Business Review ha dedicato più di un articolo al tema del lutto perché, se non accettiamo di riconoscere il lutto che viviamo di fronte ai cambiamenti, rimaniamo paralizzati nella nostra creatività ma, soprattutto, rimaniamo bloccati nella nostra vita. Durante e dopo la pandemia globale, è emerso un senso di lutto collettivo. Il lutto è un sentimento multiplo che non possiamo evitare ma è necessario imparare a gestire. Le cinque fasi del lutto (negazione, rabbia, contrattazione, tristezza, accettazione) ci aiutano a vivere e non sono – come molti temono – un preludio della fine ma un preludio per ogni nuovo inizio. L’alternativa al lutto è il ristagnare, aggrapparsi ad un passato che non c’è più e che non è in alcun modo ripetibile.

Passare dalla perdita per essere felici

Come forse saprai ho appena fatto un ritiro monastico. Un ritiro è, in qualche modo, un grande esercizio di perdita. Ci esercitiamo lasciando la solita vita, lasciando il cellulare, lasciando il modo consueto di comunicare, lasciando il contatto con la vita quotidiana. In un ritiro monastico lo facciamo in modo ancora più estremo ma in ogni caso, qualsiasi ritiro ha una quota di rinuncia dell’ordinario. Perché?

Proprio perché accettando di incontrare volutamente qualcosa che ci fa paura ci apriamo ad una nuova e diversa felicità: la felicità essenziale e non quella che proviamo nel momento in cui si realizza qualcosa di desiderato ma quella che è alla base ed è espressione della nostra mente originaria. Per conoscere quella felicità è necessario attraversare il vuoto, trovarsi, almeno per qualche attimo, nel mezzo del niente.

David Steind-Rast ne fa un sunto perfetto nella sua distinzione tra gratitude (gratitudine) e gratefulness (lascio le parole in inglese perché non c’è un corrispettivo in italiano). La gratitudine è un sentimento che sorge nel momento in cui riceviamo qualcosa che ci sorprende e che abbiamo desiderato. La gratefulness è uno stato di base che nasce dal sentirsi grati per qualsiasi cosa, incluso anche per quelle esperienze che potremmo definire di perdita. È una condizione mossa dal riconoscere la bellezza, la speranza, la qualità della nostra vita, la vulnerabilità, l’incertezza e l’impermanenza come condizioni e ragioni per essere grati.

La gratitudine è una cosa fantastica. Quando riceviamo qualcosa che desideriamo, quando le esperienze ci danno piacere o quando la vita va per il verso giusto, è naturale e significativo provare gratitudine (…) Immagina di poter avere una gratitudine incondizionata e duratura. Una gratitudine che non dipende da ciò che accade, ma che viene da dentro di noi. (…) Come tessuto connettivo tra i nostri momenti e le nostre esperienze, la gratitudine ci permette di trovare gratitudine nella “grande pienezza” della vita in tutti i suoi momenti reali di disordine e magnificenza. Kristi Nelson

Confondere l’ansia con il lutto anticipatorio

L’ansia è un’emozione che ci accompagna. Ne ho parlato molto in “Mindfulness ed emozioni”.

Il ruolo dell’ansia è principalmente quello di funzionare come attivatore di fronte alle situazioni nuove o come rilevatore di pericolosità. Per questa ragione può presentarsi in tutti i sistemi emotivi: possiamo provare ansia di fronte a un esame medico (emozione del sistema difensivo), ansia durante la partecipazione a un concorso (emozione del sistema di ricerca delle risorse), ansia prima di incontrare una persona che ci piace molto (ansia del sistema affiliativo). In qualche modo l’ansia è un interruttore dell’intensità emotiva. Quando una situazione è molto intensa diventiamo ansiosi. Se è un’ansia funzionale al compito attiva tutte le nostre risorse, ma può portarci alla paralisi quando è disfunzionale. E spesso confondiamo l’ansia con altre emozioni come la vergogna e il lutto anticipatorio. Il lutto anticipatorio è quello che proviamo quando sappiamo che, prima o poi, accadrà un cambiamento non desiderato. È il lutto anticipatorio quello che sta alla base di tutto l’enorme marketing dei cosmetici (tra parentesi la cosa che mi è mancata di più nel ritiro è stata la mia crema viso!) e molte persone provano, nei confronti dei segni dell’invecchiamento, un vero e proprio senso di vergogna. Insomma, per quanto tentiamo di far finta di nulla, sappiamo che la vita è impermanente e che ogni cosa che può accadere, potrebbe succedere anche a noi: “nulla di ciò che è umano mi è estraneo”. Non basta lo scudo della disapprovazione per i comportamenti sbagliati e l’arma della prevenzione per evitare che qualcosa accada. La protagonista del libro di Michela Murgia chiede, “cosa ho sbagliato?” nel momento in cui le viene comunicata la diagnosi di cancro come se sapere che è stato un errore rendesse l’evento più comprensibile.

Gli stati mentali

Adesso spero che non sarai arrivato o arrivata troppo depressa leggendo fino a qui perché non c’è una ragione per essere depressi ma, piuttosto, molti buoni motivi per essere consapevoli. Consapevoli di cosa? Forse penserai che ti stia rispondendo del “respiro” e invece ti sorprenderò dicendoti che l’invito, per stare nell’incertezza, nella vulnerabilità, nell’impermanenza è essere consapevoli del nostro stato mentale. Cercare di sperimentare gratefulness oltre che gratitudine, ricordarsi che la nostra tendenza a focalizzare l’attenzione sul pericolo ha bisogno di essere compensata da pari attenzione alla gioia (Trovi qui una pratica di meditazione su Mudita: la gioia). Non ci serve a nulla essere ansiosi su quello che potrebbe succedere. Ci serve, invece, tantissimo, essere aperti per poter contare sulle nostre risorse più che sulle nostre difese. Il lavoro è instabile, il clima è fuori controllo, non abbiamo molto potere sugli eventi importanti della nostra vita. Però possiamo scegliere di guardare con gratefulness al fatto che siamo vivi e gustarcela fino in fondo la nostra unica, preziosa e selvaggia vita.

Tornare indietro

Forse ti domanderai com’è andata a finire la storia dell’orologio. Ho fatto due passi avanti, senza orologio. Mi sono fermata. Mi sentivo nuda. Mi sono girata e ho fatto tre passi indietro, provavo desiderio. Sono rimasta un attimo lì, ferma tra l’andare avanti e tornare indietro. Poi ho deciso: sono tornata a prendere l’orologio. Mi sono concessa il lusso di riconoscere che avevo ancora bisogno di essere animista: non mi sono tolta quell’orologio nemmeno durante il ritiro anche se era stato consigliato di farlo. Non dobbiamo sforzarci di essere radicali ma di sapere dove siamo. Prima o poi lo lascerò.

So perché ci sforziamo di impedire ai morti di morire: ci sforziamo di impedirglielo per tenerli con noi.
So anche che, se dobbiamo continuare a vivere, viene il momento in cui dobbiamo abbandonarli, lasciarli andare, tenerceli così come sono, morti. Joan Didion

Perdere il lavoro

Ti rivelerò un segreto di Pulcinella: lavoro moltissimo con persone che perdono il lavoro e con persone che devono comunicare ad altre la perdita del lavoro. Il lavoro non è più una garanzia. In nessun settore, nemmeno per noi liberi professionisti. A volte fantastico di poter parlare direttamente alle persone che si devono confrontare con la minaccia della perdita del posto di lavoro e che, lottano, paradossalmente quanto inutilmente, per rimanere aggrappati. E più quel lavoro era ben remunerato – e meno indispensabile rimanere aggrappati – e più lottano. È la paura e la difficoltà a fare i conti con il lutto del cambiamento. Rimandare l’accettazione fa arrivare stanchi al cambiamento. Non farlo. Trasforma la memoria di tutto quello che hai ricevuto in gratitudine. Non lasciare che la memoria diventi una trappola che ti incatena al passato ma trasformala in una quantità di gratitudine che ti permetta di fare un passo avanti. Il passo che non volevi fare.

Inizia da molto vicino, non fare il secondo passo o il terzo, inizia dalla prima cosa, quella più facile, il passo che non vorresti fare. David Whyte

© Nicoletta Cinotti 2023

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Lasciar finire al momento giusto

19/05/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Ho sempre pensato che essere riflessivi fosse un merito, una qualità in parte naturale e in parte coltivabile. Ma, come spesso accade, ogni cosa ha il rovescio della medaglia. E così, pochi giorni fa, mi sono apparse, in una lunga lista, come vestali sul proscenio, tutte le cose che non ho lasciato finire al momento giusto. Tutte quelle esperienze che ho fatto durare un po’ di più di quello che sarebbe stato naturale. Apparentemente le ho tenute in vita per non agire impulsivamente. Ma in realtà le ho trattenute per la convinzione che una cosa che mi piaceva non poteva finire.

Ho visto la fatica, la sottile insistenza, la fermezza, la determinazione che sta dietro il mio far durare tutto un momento in più. E ho capito che alla fine questo è il prolungare, oltre la sua fine naturale, qualcosa, solo perché mi piace. O perché spero che accadrà qualcosa che desidero. Non è essere riflessivi: è trattenere. Come se il ritmo dovesse essere scandito dal piacere e dal dispiacere e non da un processo più ampio della nostra sola vita.

Questa pretesa infantile mi ha accompagnato finora. La pretesa che quando qualcosa non mi piace scompaia e che, se mi piace, duri più a lungo possibile.

Mi ha sorpreso quanto bene l’avevo nascosta nelle pieghe della mia riflessività. La verità della consapevolezza però agisce davvero con sottile eleganza e alla fine vince, rendendoci liberi: non mi illudo che non tratterrò più per la gonna mia mamma (metaforicamente) ma almeno mi sarà più semplice esserne consapevole.  E aprirmi come gli occhi al risveglio, occhi che ancora non sanno cosa vedranno nel giorno.

(La consapevolezza è) Una ladra che porterà via tutto ciò a cui abbiamo sempre tenuto, tutte le nostre credenze, tutte le nostre idee, tutte le nostre filosofie, finché non rimarrà altro che la sua brillante. John Astin

Pratica del giorno: La classe del mattino

© Nicoletta Cinotti  2023 Il programma di Mindful self-compassion online

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Tornare a casa

11/04/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

La sensazione di essere fuori casa è una sensazione ricorrente. A volte dà forma ai nostri sogni: sogni in cui rincorriamo, vanamente, il ritorno. Oppure l’arrivo ad un appuntamento che ci sfugge. Sogni in cui cerchiamo, tra prove ed errori, la stanza giusta, la porta giusta, il luogo giusto.

Altre volte attribuiamo questa sensazione di disorientamento, o di estraneità, al fatto che passiamo molte ore fuori casa, per lavoro. Come se, indipendentemente da dove lavoriamo, uscire di casa fosse iniziare una specie di trasferta. Che ci allontana dalla sicurezza della familiarità.

È una sensazione delicata e sottile eppure così profonda da lasciare un vago senso di inquietudine. È una sensazione preziosa: preziosa perché può far attivare i nostri sistemi difensivi. Preziosa perché ci rivolge un invito “torna a casa“. Non è l’invito a rinchiuderci, non è l’invito a tornare sui nostri passi: è l’invito a tornare in contatto con quella dimora natia che è il nostro sé più profondo, la nostra mente originaria. Il luogo in cui siamo noi stessi, indipendentemente da dove ci troviamo all’esterno.

Cerchiamo questa casa sempre, perché molto spesso perdiamo la direzione del ritorno. Nello stesso tempo ci torniamo infinite volte ed ogni volta, apre spazio ad un reale senso di pace e sicurezza. Una sicurezza che non nasce dalle nostre difese ma nasce dal nostro radicarci in noi per vivere l’incertezza – il groundlessness – della vita.

Quando torni a casa fanne memoria: basta dirti Benvenuto.

Se rappresentiamo la conoscenza come un albero, noi sappiamo che le cose che sono divise sono anche connesse. Noi sappiamo che osservare le divisioni e ignorare le connessioni significa distruggere l’albero. Wendell Berry

Pratica di mindfulness. La meditazione del lago (Vuoi praticare con i miei file audio senza pubblicità? Scarica https://brave.com/it/ e non ci sarà più pubblicità!)

© Nicoletta Cinotti 2023 Tornare a Casa. Giornata di pratica in presenza a Genova

 

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I graffi e la bellezza

07/04/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Siamo abituati ad associare la bellezza a ciò che è giovane, nuovo, intatto.
Forse è per questo che le ferite della vita ci spaventano tanto.
Temiamo che comportino un danno sostanziale.
I segni delle nostre difficoltà ci disturbano, ci spaventano, a volte ci imbarazzano.
Oltre a ciò che vediamo esiste una sostanziale integrità. Una bellezza che sta nella spaziosità delle nostre possibilità.

Oltre le nostre difese esiste una sostanziale apertura. Che è la vera natura dei nostri affetti.

Oggi possiamo scegliere di vedere il graffio o la bellezza che sta, oltre e al di là, di ogni graffio. 

La bellezza non ha causa: esiste.

Inseguila e sparisce.

Non inseguirla e rimane.

Sai afferrare le crespe

del prato, quando il vento

vi avvolge le sue dita?

 Iddio provvederà

perché non ti riesca.  Emily Dickinson

Pratica di mindfulness: La fame di essere visti, la fame di non essere visti

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBSR online   

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