Ci sono tanti tipi di stanchezza: molti sono benefici perché ci ricordano quali sono i nostri limiti. Alcuni richiedono riposo, altri, paradossalmente richiedono attività. Quando si è stanchi di testa, per esempio, fare un po’ di attività fisica è piacevole, oltre che salutare.
Poi c’è una stanchezza speciale: quella che proviamo dopo aver fatto qualcosa di eroico. La stanchezza dopo il parto, la stanchezza dopo un viaggio importante, la stanchezza dopo un lavoro particolarmente impegnativo, la stanchezza dopo un ritiro. È una stanchezza che ricorda che abbiamo consumato le nostre risorse, che ci siamo spinti al limite delle nostre possibilità. Io la chiamo “il riposo del guerriero”.
Però dobbiamo fare una distinzione perché ci sono persone che, per combattere la loro sensazione di inadeguatezza, devono sempre fare atti eroici. Devono sempre spingersi al limite duro delle loro possibilità. Rischiare di farsi male. Oppure farsi male e, nonostante tutto combattere fino alla fine. Sono persone per le quali non sono sufficienti gli atti eroici che la vita quotidiana richiede a tutti. Hanno bisogno di aggiungere altri eroismi, per combattere la più grande paura: quella di essere vulnerabili. Sono supereroi, super-umani. Poi, a volte, come per miracolo, conoscono la resa, Entrano in dialogo con la grande stanchezza che comporta essere super-eroi. Finalmente sentono il lamento del corpo, il lamento dell’anima e del cuore. Se ne spaventano e cercano subito qualcosa per correre ai ripari, per tornare supereroi: temono la kriptonite come la morte. Invece è proprio lì, nel momento in cui sono stanchi, nel momento in cui sono solo i nostri eroi quotidiani, che possiamo davvero amarli, raggiungerli. E sussurrare al loro cuore “va bene così, puoi aprirti anche con questa esperienza”.
Chi corre veloce, corre da solo. Proverbio africano
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