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speranza

Sognare qualcosa che ancora non c’è

22/09/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Siamo mossi dal desiderio; quando non riusciamo a desiderare ci sentiamo malati. Come se l’anima avesse abbandonato il corpo. Non tutti i desideri però sono uguali. Ci sono desideri che alimentano la nostra motivazione. Ci danno forza e speranza. Ci aiutano a costruire e ad andare al di là del consueto, anche dei nostri limiti consueti.

Ci sono desideri che, invece, ci offuscano e indeboliscono, ci confondono e ci rendono dipendenti. Sono desideri collegati al realizzarsi di condizioni esterne che non possiamo controllare; alla volontà di altri e non solo alla nostra spinta. Quando questi desideri compaiono è come se tutta la nostra attenzione venisse risucchiata e attirata verso un unico punto: quel desiderio che vorremmo realizzare. A volte questo diventa fonte di così tanta sofferenza che incominciamo a provare diffidenza per tutti i desideri. Finiamo per temerli come se fossero sempre pericolosi e così togliamo alla nostra vita un’energia importante: quella che nasce dalla capacità di sognare qualcosa che ancora non c’è.

Non possiamo separarci da questa capacità di sognare: sarebbe come tagliarci le ali. E, in effetti, quando cerchiamo di togliere la nostra capacità di sognare è come se le nostre braccia giacessero esangui ai lati del corpo. Abbiamo solo bisogno di distinguere i desideri che ci offuscano da quelli che, invece, ci fanno crescere.

Avere un desiderio nella vita significa semplicemente tenere d’occhio la stella polare, seguire un lampo, una traccia, qualcosa che appare e scompare all’orizzonte, qualcosa che non possiamo ancora vedere ma solo intra-vedere. Può scomparire alla vista per un po’ ma quando il cielo è chiaro possiamo vederlo di nuovo e riconoscerne ancora una volta lo splendore. David Whyte

Pratica di Mindfulness: Centering meditation

© Nicoletta Cinotti 2023 Scrivere storie di guarigione

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A tutti piace il raccolto

19/09/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Seminare è qualcosa di entusiasmante: mette elementi di novità, attiva la speranza, fa crescere nuove opportunità. Possiamo sperimentarlo molte volte nelle nostre giornate: ogni volta che attiviamo un contatto nuovo; ogni volta che facciamo spazio ad una nuova idea, non facciamo nient’altro che seminare.

Poi viene il momento in cui dobbiamo coltivare: è fatto di piccoli gesti quotidiani, spesso ripetuti. Dobbiamo dare acqua, nutrimento, attenzione, giorno dopo giorno. Aspettare che spunti qualcosa. Vederlo esposto ai rischi della gramigna e alle stagioni avverse. Solo alla fine arriva il raccolto ma, dalla semina al raccolto, a volte, può passare moltissimo tempo.

In questo tempo possiamo provare sentimenti di noia, sfiducia. Temere che le nostre speranze siano mal riposte. Possiamo renderci conto che i semi che abbiamo gettato sono troppi o troppo pochi. Che non possiamo crescere in questo modo, con questo terreno. Oppure diventare consapevoli di aspetti che ci erano rimasti oscuri.

Queste tre fasi avvengono sempre nella nostra vita: semina, coltivazione e raccolto. I terreni sono, in genere, le nostre relazioni. È lì che mettiamo i semi anche nelle attività più individuali. Senza un terreno di relazioni non potrebbero crescere e prosperare.

Ci sono persone appassionate di semina, altre di coltivazione. A tutti piace il raccolto, quando va bene. Nessuno di questi tre momenti può essere disgiunto dall’altro. Tutti questi momenti richiedono movimenti del corpo e dell’anima. Abbiamo bisogno della generosità delle braccia e dell’ampiezza del cuore per la semina. Della dignità ed elevazione della schiena per la coltivazione. Della forza di tutto il corpo per il raccolto. Nessuna di queste fasi avrebbe bisogno del nostro ego.

Scegliendo di praticare, abbiamo dichiarato la nostra disponibilità a lasciar andare le nostre pretese. E le pretese sono i mattoni più solidi della nostra infelicità, soprattutto nelle relazioni sentimentali. — Amore, mindfulness e relazioni: Qualità mindful per amare senza equivoci by Nicoletta Cinotti

Pratica del giorno: Il filo del respiro

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBCT online

 

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Le difese

30/08/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Le nostre bene amate difese non offrono solo dei vantaggi. Per usare una analogia, cosa penseremmo di un governo che continua ad investire in armamenti nei periodi di pace trascurando le spese sociali e sanitarie? Molto probabilmente la riterremmo una follia. Se poi quel paese rispondesse con il fuoco ad ogni minima minaccia non so se saremmo tanto soddisfatti. Però con noi stessi funzioniamo abbastanza così. Attiviamo velocemente le difese (gli armamenti), ci occupiamo poco del conforto (spese sociali e sanitarie) e, per far prima, utilizziamo schemi ripetitivi di risposta, le nostre altrettanto amate strategie con utilizzo di significati già pronti: sono più rapidi, seguono binari conosciuti, nascono dalla nostra esperienza e tendiamo a credergli fino in fondo.

Così quando vogliamo essere consapevoli è importante riconoscere i segnali di attivazione delle difese. È importante e semplice, più semplice di quello che crediamo. Perché, in fondo, gli schemi sono sempre semplificazioni della realtà e quindi abbiamo solo bisogno di trovare gli interruttori, e la polvere da sparo ha un odore inconfondibile!

Riconoscere che c’è uno schema difensivo attivo ci permette di sciogliere la riduzione di consapevolezza che produce. Non abbiamo bisogno di risolvere ma solo di riconoscere. Le difese vengono attivate da tre aree: la sicurezza/insicurezza; la soddisfazione/insoddisfazione; essere in relazione/sentirsi isolati. Abbiamo bisogno di sentirci al sicuro, soddisfatti e in relazione. Bel tris direte voi! Si, bel tris che, quando si realizza – e non siamo esigenti nella realizzazione (molto spesso ci bastano condizioni basilari) – siamo una situazione in cui essere consapevoli è facile.

Così, viceversa, quando ci sentiamo inquieti possiamo chiederci in quale di queste tre aree si colloca la nostra inquietudine. Ci sentiamo in pericolo? Siamo insoddisfatti per qualcosa? C’è una tensione relazionale?

Basta esplorare la risposta a queste domande e il gioco è fatto. Nel momento in cui esploriamo disattiviamo il segnale di pericolo che si era acceso, riduciamo lo stress e apriamo la possibilità di prestare soccorso alla nostra paura. L’importante è che l’esplorazione non passi dalla teoria – dai pensieri – ma dalla pratica. Ossia da come percepiamo le sensazioni fisiche ed emotive rispetto a questi tre temi. In questo modo ogni momento è un’occasione di pratica. Perché ogni momento è una occasione di esplorazione.

Qualsiasi cosa sorga, non importa quanto negativa sembri, può essere usata per sentire la comunanza con gli altri che soffrono dello stesso genere di aggressività o di brama e che, proprio come noi, restano agganciati da speranza e paura. Così arriviamo ad apprezzare il fatto che siamo tutti sulla stessa barca. Abbiamo tutti un disperato bisogno di maggior comprensione profonda di ciò che porta felicità e di ciò che porta sofferenza. Pema Chodron

Pratica di mindfulness: La classe del mattino

© Nicoletta Cinotti 2023

Ti ricordo che ogni lunedì mattina, a partire dal 4 settembre, faccio una pratica live su Zoom alle 8. Ti aspetto! Qui il link per partecipare. Dopo la trovi registrata sul Canale Youtube o Vimeo

 

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Uscire dall’imbuto

27/08/2023 by nicoletta cinotti

La nostra mente di povertà funziona come un imbuto. Ci fa andare avanti in una direzione via via sempre più stretta. Siamo convinti che la direzione, la via d’uscita, sia davanti a noi. Man mano che procediamo tutto diventa più oppressivo ma noi andiamo avanti fino alla fine. A quel punto rimaniamo incastrati perché l’uscita è troppo piccola. Questa descrizione ti ricorda qualcosa? A me sì, ricorda la sensazione di oppressione che a volte provo nell’andare avanti a testa bassa. Allora qual è la via d’uscita? Finire tutto il lavoro che ho in programma di fare? Vedere il risultato di qualche nuovo progetto? No, in realtà questo non fa che aggiungere stress allo stress. La via d’uscita è girarsi indietro, fare retromarcia, uscire dalla mente di povertà per entrare, finalmente, nella mente di abbondanza.

La mente di povertà e la mente di abbondanza

La nostra mente di povertà ha tre braccia: la wanting mind, la wandering mind e la comparing mind che hanno un unico grande effetto: ci sintonizzazno su quello che manca e sul desiderio di ottenerlo ma funzionano come la carota messa davanti all’asino per farlo camminare. La carota penzola di fronte a lui ma è legata ad un bastone e, per quanto cammini, rimane sempre alla stessa distanza. E così funziona la nostra mente di povertà. Ci fa credere che se andiamo avanti a testa bassa – e soprattutto con determinazione – raggiungeremo quello che ci manca. Ma non arriviamo mai e rimaniamo incastrati in questo disegno ostile che ci fa vedere solo la mancanza.

Se ci giriamo indietro possiamo iniziare a fare esattamente l’opposto: possiamo incominciare a mettere a fuoco tutto quello che abbiamo. È come se volessiomo cucinare un piatto con gli ingredienti che non abbiamo comprato, avendo la dispensa piena di ingredienti che già abbiamo. È un cambiamento di prospettiva piccolo ma significativo: incominciare a ragionare in base alle risorse che possidiamo, come recita la poesia di oggi, la famosa, Poesia dei doni di Jorge Luis Borges.

Non dare nulla per scontato

La nostra mente di povertà dà per scontato tutto quello che abbiamo che acquista valore solo quando abbiamo paura di perderlo. Ci rendiamo conto di quanto amiamo qualcuno quando temiamo che la relazione finisca. Oppure ci accorgiamo di quanto è preziosa la salute ogni volta che ci ammaliamo. Questo succede perché perdita e mancanza non sono la stessa cosa. La mancanza la avvertiamo sulla base della nostra wanting mind, la mente che desidera e che ci rende ostaggi di quello che non abbiamo realizzato. È una sofferenza che raramente percepiamo con chiarezza, quella che viene dalla sensazione di non essere interi, dalla sensazione, spesso sottile e sconosciuta, che qualcosa manchi. A noi o alla nostra vita.Non la sentiamo perché viene coperta subito da qualcosa. Un acquisto, una sigaretta, un boccone di cibo. Qualsiasi cosa che, in quel momento, ci da l’idea che sarà in grado di farci sentire più felici.Quando affidiamo la nostra felicità e il nostro senso di interezza a qualcosa di esterno iniziamo a percorrere una strada che ci condurrà presto alla delusione. Non c’è nulla che il mondo possa darci per questa sottile sensazione di mancanza o di perdita.

Tradiamo noi stessi se pensiamo che avere quel pezzetto in più ci renderà felici. Vogliamo quello che non abbiamo, spinti dalla nostra wanting mind a cercare all’esterno anziché dentro. E quindi paragoniamo la nostra vita a quella altrui, la nostra storia a quella altrui, confondendo la felicità che vediamo negli altri con il possesso e rendendoci così ostaggio di quello che non abbiamo ancora realizzato.

Perché non rendere onore invece a quello che abbiamo già realizzato? Quando lo facciamo pratichiamo una goccia di gratitudine che distende il cuore e la mente.

 

Prova a riflettere su questi tre aspetti:

  • ho bisogno di qualcosa in più per essere grato o felice, un’atteggiamento che alimenta il senso di scarsità
  • non devo niente a nessuno, un atteggiamento che alimenta un fallace senso di invulnerabilità
  • mi merito di più (o non mi meritavo questo) come se per qualche misterioso fattore ci meritassimo solo cose belle e invece i guai fossero riservati solo agli altri

Adesso prova a fare il movimento opposto, a voltarti indietro, a camminare verso l’imboccatura larga dell’imbuto invece che dalla chiusura stretta:

  • di cosa potresti essere grato o grata adesso?
  • chi ti ha aiutato nei momenti difficili? Quali sono stati gli incontri, diretti o indiretti, che ti hanno aiutato ad essere come sei adesso? Includi i libri, i viaggi, le persone incontrate per caso e le amicizie durevoli
  • guarda quali sono stati i regali inaspettati i che la vita ti ha fatto. Quello che hai ricevuto senza aver fatto qualcosa di specifico per meritarlo. Se sposti lo sguardo a ciò che già hai puoi dire, onestamente, che nulla è stato un regalo e che tutto è stato meritato?

Coltivare la mente di abbondanza

Come mai la mente di abbondanza va coltivata e la mente di povertà sembra, invece, spontanea o naturale? La ragione è che la sopravvivenza è il nostro primo istinto, la gratitudine, la  sensazione di abbondanza invece richiedono un’attenzione intenzionale perchè siano percepite. Ecco perché la pratica di mindfulness è importante: perché ci aiuta a coltivare l’intenzionalità che non è la volontà di raggiungere quello che ci manca: è l’intenzionalità di coltivare stati mentali salutari perchè il vero danno della mente di povertà è che porta emozioni afflittive.

Cos’è che guida la nostra generosità, un’emozione tipica della nostra mente di abbondanza? Cos’è che ci permette di condividere con gli altri ciò che abbiamo?

Spesso mi faccio questa domanda e cerco di mettere in relazione i miei bisogni e il desiderio di condividere quello che posso condividere.

La chiave mi sembra che stia proprio nella percezione del bisogno. Nell’attimo in cui condividiamo con un’altra persona qualcosa che ci appartiene, in senso materiale o immateriale, in quel preciso momento il rumore del nostro bisogno è attenuato mentre è aumentato il volume della fiducia e del senso di comune umanità condivisa. Essere generosi è l’espressione della nostra mente dell’abbondanza, la percezione che possiamo dare perché ci sentiamo in una situazione di prosperità: è questo che ci rende generosi. Se, invece, la nostra mente di povertà è attiva – la mente che ci fa vedere solo quello che manca – il nostro bisogno, vero o presunto che sia, ci sembrerà sempre più grande del piacere di condividere.

La cosa interessante è che la generosità ha un doppio ritorno: condividendo nutriamo la percezione di abbondanza e abbassiamo la paura di perdere, di non avere, di non  essere abbastanza. Sembra una magia ma non è così: finiamo per assomigliare a quello che facciamo.

Il vero trucco, se di trucco possiamo parlare, è non scambiare la generosità per lusinga: non possiamo comprare nessuno con la nostra generosità. Né usare la generosità per lustrare la nostra immagine. Sarebbe una visione condizionata e condizionante di noi stessi che ci renderebbe ancora più vittime della mente di povertà. Essere generosi è il movimento che guida la nostra vita e la porta fuori dalla stagnazione. Ci sono infiniti atti di generosità nel nostro corpo: la generosità dell’incessante lavoro del cuore, dei polmoni, della pelle. Basta seguire il loro esempio per restituire alla nostra vita quel fluire di cui abbiamo bisogno per crescere. In fondo cos’è più generoso di una finestra?

© Nicoletta Cinotti 2023

 

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La differenza tra distacco e distanza

25/08/2023 by nicoletta cinotti

Nell’intimità delle nostre relazioni sperimentiamo molte forme di distanza. A volte si tratta di una distanza fisica – siamo lontani – a volte si tratta di una distanza emotiva – abbiamo prospettive diverse – ma la distanza non è pericolosa fino a che non diventa distacco.

Quando la distanza diventa distacco vuol dire che quel misterioso filo che ci unisce – e che io immagino proprio come il filo di un gomitolo – si è rotto o è diventato troppo sottile. In quello spazio creato dal distacco possono entrare molte persone, possono entrare diverse emozioni. Emozioni che per una relazione affettiva sono difficili da tollerare. In quel distacco le caratteristiche dell’altro diventano difetti. Quello che prima accoglievamo, diventa irritante e così tutto è più freddo e anaffettivo. Le relazioni possono sostenere la distanza ma non il distacco. E, con il tempo, anche una distanza prolungata può diventare un distacco.

Poi ci sono quelle relazioni in cui, malgrado i giorni, gli anni che ci separano, ritrovarsi insieme è sempre facile. Quegli amici che, anche a distanza di anni, è come se li avessi appena salutati. Perché niente ha reso sottile il filo che ci univa.

Anche con noi stessi possiamo coltivare distanza o distacco. A volte abbiamo bisogno di prendere distanza da certe emozioni per non farci trascinare ma non possiamo davvero pensare di diventare distaccati da noi stessi senza che questo abbia conseguenze. Quando siamo distaccati da quello che ci accade perdiamo la capacità di provare compassione per noi. Perdiamo la capacità di sentire e di sentirci. Entriamo in quella famigerata modalità da pilota automatico innescato che ci permette – forse – grandi performance e offre bassa soddisfazione. Il distacco si riconosce facilmente perché tutto perde sapore e anche le esperienze più belle sembrano un po’ sintetiche e innaturali. Siamo efficienti e, nello stesso tempo, incapaci di gustare il piacere della vita

“Coltivare la flessibilità tra vicinanza e distanza è un’ottima garanzia di salute per una relazione e il momento migliore per iniziare a farlo è proprio quando siamo innamorati.”— Amore, mindfulness e relazioni: Qualità mindful per amare senza equivoci by Nicoletta Cinotti

Pratica di mindfulness: Comprendere le notizie del cuore

© Nicoletta Cinotti 2023 Il Programma di Mindful Self-compassion online

 

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L’amore esagerato

18/08/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

C’è una poesia di Naomi Long Madgett che ogni tanto rileggo. perché pone una domanda fondamentale: di quanta cura abbiamo bisogno?

La risposta a questa domanda nel tempo è cambiata perché è cambiato il nostro modo di prenderci cura. Quando ho iniziato a lavorare le persone che arrivavano nel mio studio, per il 90%, avevano traumi e problemi legati alla deprivazione o alla cattiva cura. Adesso le persone che seguo hanno – al 70-80% – problemi legati ad una cura eccessiva. Sono persone che hanno ricevuto troppo: troppe cure, troppo amore, troppe attenzioni. E troppe aspettative. E continuano a pretendere che il troppo sia il minimo sindacale che devono ricevere costruendo così una infelicità senza speranza. L’infelicità che nasce dal chiedere l’impossibile.

Magari sono figli unici di due genitori figli unici con tutta la famiglia che guarda a loro per il proprio riscatto futuro. E, anche se può sembrare paradossale che la troppa cura faccia male, questo, alla fine, le ha soffocate. Magari sono stati figli di genitori ansiosi che, temendo di fare troppo poco hanno fatto troppo. O di genitori che si sono talmente innamorati che non hanno potuto fare altro che soffocarli d’amore. Questo non è amore incondizionato: questo è amore esagerato. È come la storia del contadino che, credendo che lo sciroppo antibiotico l’avrebbe fatto guarire, decise di berlo tutto insieme.

Perché qualsiasi cosa, anche la più buona, ha bisogno di misura. E quel trovare la misura del nostro bisogno costruisce, giorno dopo giorno, la nostra salute emotiva e fisica.

Se fossi in te, non curerei troppo la pianta. Quelle attenzioni premurose potrebbero danneggiarla. Smetti di zappare e lascia riposare il terreno e aspetta che sia secco prima di bagnarlo. La foglia trova da sola la propria direzione; …dalle la possibilità di cercare il sole per conto suo. Troppi stimoli e una tenerezza troppo assillante arrestano la crescita. Dobbiamo imparare a lasciare in pace le cose che amiamo. Naomi Long Magdett

Pratica di mindfulness: Assaporare: saper dire basta

© Nicoletta Cinotti  2023 Il programma di Mindful self-compassion online

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