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felicità

La reazione allergica nelle emozioni

02/06/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Ci sono emozioni difficili che non vorremmo provare e che possono comparire – quasi a nostro dispetto – anche se non le amiamo. Quando arrivano non sappiamo cosa farne. Non vogliamo dare loro ascolto eppure bussano forte tanto da essere difficilmente eliminabili. Allora cerchiamo forme di regolazione improprie. A volte diamo agli altri la responsabilità per il fatto di provarle, altre volte cerchiamo di reprimerle, altre ancora di negarle.

In questo modo però facciamo – a noi stessi – un doppio danno: riduciamo la nostra consapevolezza nel tentativo di scacciare qualcosa di indesiderabile e trasformiamo queste emozioni in un rumore indistinto di fondo che genera inquietudine e ansia.

Ogni emozione però ha un antidoto: un’emozione opposta che ci può aiutare a regolare l’intensità di quello che proviamo. Non dobbiamo fare molto per cercarla: è semplicemente l’altra faccia della stessa medaglia perchè le emozioni procedono in coppia. Quando amiamo l’altra faccia della medaglia è l’odio. Se amiamo diminuisce l’intensità dell’odio che possiamo provare. Se il nostro amore viene rifiutato però la medaglia può velocemente rovesciarsi e possiamo arrivare a odiare la persona che prima è stata tanto cara. L’altra faccia dell’invidia è la gratitudine. L’altra faccia della vergogna è il rispetto e l’accettazione. E così via. Non sempre queste coppie di opposti sono uguali per tutti. Dipendono dalla nostra storia e da come – queste emozioni – sono state accolte nella nostra famiglia, nella nostra educazione, nelle nostre esperienze di vita. Però ogni emozione ha il suo opposto. Il rovescio della medaglia che può aiutarci a mitigare l’intensità di quello che proviamo quando quell’emozione – spiacevole o piacevole che sia – è troppo intensa.

Il vantaggio dell’antidoto è che può essere usato sempre: anche quando meditiamo. Se sappiamo che c’è un’emozione difficile troppo presente possiamo richiamare il suo antidoto nel nostro cuore durante la pratica, per prevenire così la prossima reazione allergica: quella che si scatena quando ciò che sperimentiamo va al di là della nostra finestra di tolleranza.

La consapevolezza ha una sua logica e poesia interna e ci sono molte buone ragioni per portarla nella tua vita e coltivarla sistematicamente. Jon Kabat Zinn

Pratica di mindfulness: Addolcire, confortarsi, aprire

© Nicoletta Cinotti 2023 Il programma di Mindful self compassion intensivo e residenziale 44,6 crediti ecm

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Essere felici insieme

01/06/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Molte volte facciamo qualcosa per rendere felici gli altri. È un modo per manifestare il nostro affetto e la nostra gratitudine. A volte è un modo per essere importanti. Altre volte diventa una specie di sacrificio. Come se la nostra felicità non avesse diritto di esistere se non dopo la felicità altrui. Come se la condizione per essere felici fosse che tutte le persone che amiamo lo siano. Ovviamente è una condizione irrealizzabile e, soprattutto, è una condizione posta dalle nostre emozioni relazionali.

Ci sono emozioni che esprimono la nostra risposta al mondo che ci circonda in senso ampio. Risposte agli eventi della vita che non nascono all’interno di una specifica relazione. Altre emozioni, invece, sono espressione delle nostre modalità relazionali. Sono emozioni che tendono ad avere una presenza costante nel tempo e caratterizzano relazioni anche molto diverse tra loro. Spesso sono le nostre emozioni relazionali quelle che fanno sì che tutte le nostre relazioni si assomiglino.

Quando ci sacrifichiamo perché gli altri siano felici spesso lo facciamo per due emozioni relazionali: il senso di colpa e, un po’ paradossalmente, l’invidia. Ci sentiamo in colpa all’idea di avere qualcosa in più di quello che ha una persona che amiamo. Così strutturiamo un circolo vizioso di infelicità e frustrazione, in cui la nostra felicità dipende dalla felicità dell’altro. Piuttosto che prendere la responsabilità della propria vita e della propria felicità preferiamo subordinare quello che facciamo alla tranquillità dell’altro. L’altra emozione in gioco è l’invidia: in questo caso la paura di essere invidiati se abbiamo qualcosa in più dell’altro. Entrambe queste emozioni sono espressione di un blocco – non solo emotivo ma anche corporeo – tra noi e gli altri. Una sottile linea di ritiro che ci fa temere il contatto e, soprattutto la condivisione e l’intimità. Esperienze in cui essere diversi non è un minus ma una declinazione di ricchezza.

La felicità non è una torta con un numero limitato di fette. È un’esperienza accessibile e condivisibile. In cui la nostra felicità non toglie spazio alla felicità dell’altro e la nostra infelicità non garantirà la felicità dell’altro. Quando sentiamo che la nostra felicità è in contraddizione con la felicità dell’altro il vero tema è la verità. E quanto possiamo condividere la nostra verità.

Assegniamo a come ci vedono gli altri più realtà del modo in cui vediamo noi stessi. Ma ciò equivale a vederci come un oggetto, perdendo il cuore del nostro vero essere. Jean Paul Sartre

Pratica di mindfulness: Respirare per me, respirare per te

© Nicoletta Cinotti 2023 Il Programma di Mindful Self-compassion intensivo e residenziale

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Trattarsi come se fossimo un estraneo

24/05/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Siamo attrezzati per affrontare la difficoltà: la nostra flessibilità, la nostra attenzione, memoria e capacità di risolvere i problemi ci offrono modi e strategie per affrontarle. Ciò che produce un danno, nella nostra vita, non sono le difficoltà pratiche o emotive. È il nostro modo di rimanere connessi o di essere sconnessi dall’esperienza che ci mette in un circolo vizioso di stress e difesa.

Quando una esperienza – piacevole o spiacevole che sia – è vissuta in modo connesso tra sensazioni fisiche, sensazioni emotive e pensieri vuol dire che la sua intensità è all’interno della nostra finestra di tolleranza. Non importa quanto sia difficile, siamo in grado di affrontarla.

Quando invece ci ritroviamo a sentire qualcosa nel corpo e siamo altrove con i pensieri o con le emozioni – oppure proviamo un’emozione ma siamo sconnessi dal corpo – vuol dire che quell’esperienza è al di là della nostra finestra di tolleranza e alimenta quell’attenzione divisa che ci fa procedere con il pilota automatico o ci fa evitare l’esperienza del momento presente.

La disconnessione può prendere tante forme. La più sottile è quando proviamo qualcosa nel corpo o emotivamente e svalutiamo, con i pensieri, quello che stiamo provando. Questa disconnessione sottile è la più frequente. Ci diciamo che non  dovremmo sentir quello che sentiamo e così – quasi senza accorgercene – ci dividiamo in due: una persona che sente e un’altra che giudica ciò che sentiamo. È come se pretendessimo di correre su una gamba sola: tutto diventa faticoso e lo sforzo nasce dal fatto che rifiutiamo una parte di noi e non ne cogliamo, invece, la sua natura. Tagliamo una parte dell’intimità con noi stessi per giudicare un risultato finale che non può che essere parziale. Non perchè siamo inadeguati ma perchè abbiamo rifiutato di essere chi siamo. Ci trattiamo come se fossimo un’estraneo e, per di più, che non ci sta nemmeno tanto simpatico. Così disprezzo, senso di colpa, vergogna possono invadere il nostro panorama interiore. Ci può sembrare che siano una conseguenza di ciò che è avvenuto e, invece, sono una conseguenza del nostro giudizio su ciò che è avvenuto.

Questa disconnessione nasce dal reprimere le nostre emozioni sulla base del nostro desiderio di essere diversi da come siamo. La domanda è: ne vale davvero la pena? Vale la pena questa sottile tortura quotidiana per essere diversi da come siamo, diventando così estranei a chi siamo?

La repressione passa attraverso tre stadi: il primo, nel quale viene bloccata l’espressione emotiva; il secondo in cui si sviluppa un senso di colpa che ci fa sembrare l’emozione sbagliata e il terzo nel quale la si esclude dalla coscienza. Alexander Lowen

Pratica del giorno: Essere semplicemente con il respiro

© Nicoletta Cinotti 2023 Il programma di Mindful Self-compassion intensivo

 

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Gratitudine, gratefulness e cambiamento

21/05/2023 by nicoletta cinotti

Sono uscita di casa con animo allegro. Dopo pochi passi mi sono accorta che non avevo al polso l’orologio di mia madre. Un orologio che non si toglieva mai, nemmeno per dormire. Era l’orologio che io e i miei fratelli avevamo regalato a mio padre per il suo cinquantesimo compleanno. Lui non l’aveva amato perché apprezzava la tecnologia più avanzata e non aveva rinunciato al suo orologio digitale, mentre mia madre l’aveva indossato sempre.

Quando è morta ho chiesto ai miei fratelli di poterlo avere io e loro, generosamente, hanno capito le mie ragioni, assolutamente emotive, e me l’hanno lasciato.

Si diventa così animisti per affetto. Non è il valore economico che ci lega ad un oggetto ma il significato affettivo. Il lutto è fatto così, di oggetti che, improvvisamente, acquistano un grande valore. Succede per qualunque lutto. Ho visto partner distruggere reperti della relazione come se avessero trovato la soluzione al loro dolore. Un figlio distrutto perché aveva perso l’ultima lettera di sua madre. Potrei scrivere mille storie sul dolore degli oggetti perduti e sul senso degli oggetti dimenticati. Un paziente molto tempo prima di separarsi (e addirittura molto tempo prima di iniziare a parlare della sua crisi matrimoniale) dimenticò nel mio studio la vera nuziale. Perché nella vita incontriamo molte morti: separazioni, abbandoni e perdite ci allenano. Sono “piccole morti” da cui imparare. Imparare a continuare a vivere sapendo che il cambiamento non è qualcosa che possiamo controllare. C’è un dolore legato al cambiamento e un dolore legato all’invecchiamento, alla morte, alla malattia. Consideriamoli allenamenti per arrivare splendenti. Sembra che Michela Murgia lo stia facendo e ognuno di noi può farlo. Soprattutto se lasciamo andare la scaramanzia che abbiamo rispetto a questa parola e a tutte le parole collegate. Siamo animisti anche nella superstizione e le parole diventano oggetti concreti, tangibili e intoccabili.

La scelta di Michela

Sto leggendo il libro di Michela Murgia, Tre ciotole. L’ho preso perché sapevo che avrebbe parlato della sua malattia. È un libro in cui le parole sono come i sassi che trovi sulla spiaggia di Camogli, alcuni riescono a camminarci sopra con apparente anestesia. Io no, devo sempre mettermi delle ciabatte. Il libro di Michela Murgia declina, attraverso diverse storie, le nostre reazioni alle piccole e grandi morti della vita. È un libro discontinuo, scritto di getto (e si sente) ma ti lega alla lettura perché capisci che dentro c’è un pezzo del cuore della persona che l’ha scritto. Non scherzava con la penna quando scriveva. Ci metteva dentro quello che c’era. Non ha la raffinatezza di Matteo B. Bianchi nel raccontare il lutto e nemmeno la profondità di Joan Didion che estrae il suo lutto e lo trasforma in un succo prelibato e squisito ma ti incatena per la sua autenticità. Perché il punto, dovremmo avere il coraggio di riconoscerlo, è che le cose acquistano valore alla luce della perdita. Come dice Michela in un’intervista “Io sto vivendo il tempo della mia vita adesso. Dico tutto, faccio tutto, tanto che mi fanno? Mi licenziano? Ho chiesto a Vogue di poter fare un viaggio sull’Orient Express. Posso andare alle sfilate di moda, farò un sacco di cose. Ma voi non aspettate di avere un cancro per fare così”. Ecco molto spesso, troppo spesso, diamo valore a quello che “abbiamo” nel momento in cui lo stiamo perdendo. Eppure odiamo il lutto, lo scansiamo, a volte facciamo finta che non ci sia.

L’ Harvard Business Review ha dedicato più di un articolo al tema del lutto perché, se non accettiamo di riconoscere il lutto che viviamo di fronte ai cambiamenti, rimaniamo paralizzati nella nostra creatività ma, soprattutto, rimaniamo bloccati nella nostra vita. Durante e dopo la pandemia globale, è emerso un senso di lutto collettivo. Il lutto è un sentimento multiplo che non possiamo evitare ma è necessario imparare a gestire. Le cinque fasi del lutto (negazione, rabbia, contrattazione, tristezza, accettazione) ci aiutano a vivere e non sono – come molti temono – un preludio della fine ma un preludio per ogni nuovo inizio. L’alternativa al lutto è il ristagnare, aggrapparsi ad un passato che non c’è più e che non è in alcun modo ripetibile.

Passare dalla perdita per essere felici

Come forse saprai ho appena fatto un ritiro monastico. Un ritiro è, in qualche modo, un grande esercizio di perdita. Ci esercitiamo lasciando la solita vita, lasciando il cellulare, lasciando il modo consueto di comunicare, lasciando il contatto con la vita quotidiana. In un ritiro monastico lo facciamo in modo ancora più estremo ma in ogni caso, qualsiasi ritiro ha una quota di rinuncia dell’ordinario. Perché?

Proprio perché accettando di incontrare volutamente qualcosa che ci fa paura ci apriamo ad una nuova e diversa felicità: la felicità essenziale e non quella che proviamo nel momento in cui si realizza qualcosa di desiderato ma quella che è alla base ed è espressione della nostra mente originaria. Per conoscere quella felicità è necessario attraversare il vuoto, trovarsi, almeno per qualche attimo, nel mezzo del niente.

David Steind-Rast ne fa un sunto perfetto nella sua distinzione tra gratitude (gratitudine) e gratefulness (lascio le parole in inglese perché non c’è un corrispettivo in italiano). La gratitudine è un sentimento che sorge nel momento in cui riceviamo qualcosa che ci sorprende e che abbiamo desiderato. La gratefulness è uno stato di base che nasce dal sentirsi grati per qualsiasi cosa, incluso anche per quelle esperienze che potremmo definire di perdita. È una condizione mossa dal riconoscere la bellezza, la speranza, la qualità della nostra vita, la vulnerabilità, l’incertezza e l’impermanenza come condizioni e ragioni per essere grati.

La gratitudine è una cosa fantastica. Quando riceviamo qualcosa che desideriamo, quando le esperienze ci danno piacere o quando la vita va per il verso giusto, è naturale e significativo provare gratitudine (…) Immagina di poter avere una gratitudine incondizionata e duratura. Una gratitudine che non dipende da ciò che accade, ma che viene da dentro di noi. (…) Come tessuto connettivo tra i nostri momenti e le nostre esperienze, la gratitudine ci permette di trovare gratitudine nella “grande pienezza” della vita in tutti i suoi momenti reali di disordine e magnificenza. Kristi Nelson

Confondere l’ansia con il lutto anticipatorio

L’ansia è un’emozione che ci accompagna. Ne ho parlato molto in “Mindfulness ed emozioni”.

Il ruolo dell’ansia è principalmente quello di funzionare come attivatore di fronte alle situazioni nuove o come rilevatore di pericolosità. Per questa ragione può presentarsi in tutti i sistemi emotivi: possiamo provare ansia di fronte a un esame medico (emozione del sistema difensivo), ansia durante la partecipazione a un concorso (emozione del sistema di ricerca delle risorse), ansia prima di incontrare una persona che ci piace molto (ansia del sistema affiliativo). In qualche modo l’ansia è un interruttore dell’intensità emotiva. Quando una situazione è molto intensa diventiamo ansiosi. Se è un’ansia funzionale al compito attiva tutte le nostre risorse, ma può portarci alla paralisi quando è disfunzionale. E spesso confondiamo l’ansia con altre emozioni come la vergogna e il lutto anticipatorio. Il lutto anticipatorio è quello che proviamo quando sappiamo che, prima o poi, accadrà un cambiamento non desiderato. È il lutto anticipatorio quello che sta alla base di tutto l’enorme marketing dei cosmetici (tra parentesi la cosa che mi è mancata di più nel ritiro è stata la mia crema viso!) e molte persone provano, nei confronti dei segni dell’invecchiamento, un vero e proprio senso di vergogna. Insomma, per quanto tentiamo di far finta di nulla, sappiamo che la vita è impermanente e che ogni cosa che può accadere, potrebbe succedere anche a noi: “nulla di ciò che è umano mi è estraneo”. Non basta lo scudo della disapprovazione per i comportamenti sbagliati e l’arma della prevenzione per evitare che qualcosa accada. La protagonista del libro di Michela Murgia chiede, “cosa ho sbagliato?” nel momento in cui le viene comunicata la diagnosi di cancro come se sapere che è stato un errore rendesse l’evento più comprensibile.

Gli stati mentali

Adesso spero che non sarai arrivato o arrivata troppo depressa leggendo fino a qui perché non c’è una ragione per essere depressi ma, piuttosto, molti buoni motivi per essere consapevoli. Consapevoli di cosa? Forse penserai che ti stia rispondendo del “respiro” e invece ti sorprenderò dicendoti che l’invito, per stare nell’incertezza, nella vulnerabilità, nell’impermanenza è essere consapevoli del nostro stato mentale. Cercare di sperimentare gratefulness oltre che gratitudine, ricordarsi che la nostra tendenza a focalizzare l’attenzione sul pericolo ha bisogno di essere compensata da pari attenzione alla gioia (Trovi qui una pratica di meditazione su Mudita: la gioia). Non ci serve a nulla essere ansiosi su quello che potrebbe succedere. Ci serve, invece, tantissimo, essere aperti per poter contare sulle nostre risorse più che sulle nostre difese. Il lavoro è instabile, il clima è fuori controllo, non abbiamo molto potere sugli eventi importanti della nostra vita. Però possiamo scegliere di guardare con gratefulness al fatto che siamo vivi e gustarcela fino in fondo la nostra unica, preziosa e selvaggia vita.

Tornare indietro

Forse ti domanderai com’è andata a finire la storia dell’orologio. Ho fatto due passi avanti, senza orologio. Mi sono fermata. Mi sentivo nuda. Mi sono girata e ho fatto tre passi indietro, provavo desiderio. Sono rimasta un attimo lì, ferma tra l’andare avanti e tornare indietro. Poi ho deciso: sono tornata a prendere l’orologio. Mi sono concessa il lusso di riconoscere che avevo ancora bisogno di essere animista: non mi sono tolta quell’orologio nemmeno durante il ritiro anche se era stato consigliato di farlo. Non dobbiamo sforzarci di essere radicali ma di sapere dove siamo. Prima o poi lo lascerò.

So perché ci sforziamo di impedire ai morti di morire: ci sforziamo di impedirglielo per tenerli con noi.
So anche che, se dobbiamo continuare a vivere, viene il momento in cui dobbiamo abbandonarli, lasciarli andare, tenerceli così come sono, morti. Joan Didion

Perdere il lavoro

Ti rivelerò un segreto di Pulcinella: lavoro moltissimo con persone che perdono il lavoro e con persone che devono comunicare ad altre la perdita del lavoro. Il lavoro non è più una garanzia. In nessun settore, nemmeno per noi liberi professionisti. A volte fantastico di poter parlare direttamente alle persone che si devono confrontare con la minaccia della perdita del posto di lavoro e che, lottano, paradossalmente quanto inutilmente, per rimanere aggrappati. E più quel lavoro era ben remunerato – e meno indispensabile rimanere aggrappati – e più lottano. È la paura e la difficoltà a fare i conti con il lutto del cambiamento. Rimandare l’accettazione fa arrivare stanchi al cambiamento. Non farlo. Trasforma la memoria di tutto quello che hai ricevuto in gratitudine. Non lasciare che la memoria diventi una trappola che ti incatena al passato ma trasformala in una quantità di gratitudine che ti permetta di fare un passo avanti. Il passo che non volevi fare.

Inizia da molto vicino, non fare il secondo passo o il terzo, inizia dalla prima cosa, quella più facile, il passo che non vorresti fare. David Whyte

© Nicoletta Cinotti 2023

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Le bustine di semi e le piccole cose

17/05/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

In questo periodo dell’anno i miei vicini di casa incominciano a fare l’orto. Il mio vicino non  è giovanissimo ma lo cura con uno spirito da ragazzo. Orgogliosissimo di quello che vede spuntare. Ogni giorno è lì. Ha iniziato mesi prima a preparare il terreno. In alcuni casi mette i semi. In altri trapianta le piantine.

Così, ogni mattina, guardando dalla finestra del soggiorno, vedo i progressi del suo orto. Un orto che mi ricorda – e mi insegna – che le piccole cose contano. Che quei semi hanno un sacco di potenzialità. Lui si alza presto per innaffiare l’orto. Io mi alzo presto per praticare. Io, lui, la merla di cui ti parlavo ieri e anche tu che mi leggi curiamo le piccole cose quotidiane.  All’inizio non vediamo risultati. poi spuntano come per miracolo ma il vero miracolo è iniziato quando non si vedeva nulla. Il vero miracolo è iniziato nella cura e nella fiducia che avere cura serva a qualcosa. Se la gioia è il principio di crescita e trasformazione, la fiducia è il principio di guarigione.

Anch’io uso piccole cose. Piccole come la durata del respiro. E le seguo una per una. Con la stessa pazienza e con lo stesso orgoglio quando fiorisce una nuova intuizione di quando lui mi porta le fave appena raccolte. Entrambi dobbiamo avere pazienza. Entrambi temiamo gli eventi atmosferici avversi ma continuiamo a seminare e raccogliere frutti. Alla fine tutto questo non è ripetizione, come potrebbe sembrare. Piuttosto è seguire e riconoscere la continua natura del cambiamento e scoprirlo attraverso il riconoscere le piccole cose. Iniziamo dai semi – la consapevolezza del respiro – ma non ci fermiamo lì. Apriamo progressivamente la consapevolezza al corpo, ai pensieri, ai suoni alle emozioni perchè infine ci sia possibile accorgerci del sorgere e del finire di tutte le sensazioni e disegnare cosi il flusso del nostro cambiamento. Alcune persone sono più sensibili al sorgere. Altre al finire. Ma entrambe le consapevolezze – la consapevolezza di qualcosa di nuovo che nasce e la consapevolezza di qualcosa che finisce – ci insegnano, leggère come un respiro, che c’è già un cambiamento in corso e dentro di noi abbiamo un’infinità di bustine di semi da scegliere e aprire.

Ci immaginiamo che un paio di grandi cose abbiano un profondo effetto sulla nostra felicità. Ma sembra invece che la felicità sia la somma di centinaia di piccole cose…Le piccole cose contano. Non solo le piccole cose contano. Le piccole cose non sono tanto piccole. Risulta che sono immense. Minuscoli spostamenti nel tuo punto di vista, nel tuo atteggiamento e nei tuoi sforzi per essere presente possono avere effetti enormi sul tuo corpo, sulla tua mente, sul mondo. Anche la più minuscola manifestazione di consapevolezza in un momento qualsiasi può dare origine ad una intuizione enormemente trasformativa. Jon Kabat Zinn

Pratica di mindfulness: Un respiro affettuoso

© Nicoletta Cinotti 2023 Il programma di Mindful self-compassion. Piccole cose in azione!

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I cambiamenti dell’amore

15/05/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Nulla, più delle relazioni, è maestro dell’inevitabilità del cambiamento. Ci innamoriamo e ci troviamo improvvisamente con una vita completamente diversa, anche se è sempre la stessa. Nel tempo l’innamoramento cambia e diventa la solida profondità dell’amore. Nel frattempo il cielo sempre sereno dell’innamoramento è attraversato da temporali, più o meno sporadici. Ma anche la solidità dell’amore non è costante: può variare verso l’affetto fraterno, l’amicizia, la grigia monotonia. Può essere tenuto insieme da altri amori – i figli, le famiglie, gli amici – o disperso da altre attività. Un continuo mutare del panorama interno ed esterno. E questo amore – così perfetto – può mutare ancora fino alla fine. Perchè nulla – più delle relazioni – ci insegna che niente è per sempre. Malgrado i muri siano peni di scritte che ci invitano a crederlo.

Fin qui direi tutto bene: qualcuno vive insieme tutta la vita; qualcuno vive molte relazioni in una sola vita. La cosa incredibile è che, spesso, proprio il cambiamento che è interno alla relazione, viene trattato come un errore. Non l’inevitabile processo di trasformazione a cui tutto è soggetto. Ma uno sbaglio da ripristinare. Così vedi persone che inseguono una fase – l’innamoramento va per la maggiore – ma non vogliono assolutamente entrare in un’altra. Altre che di fronte alla maturità di una relazione entrano in stallo. Altre ancora che non si rassegnano al dolore della fine, prolungandolo così nel tempo, anche molto oltre il necessario. Perchè l’amore finisce ma se è stato amore la fine non è mai un fallimento.Il problema è quando va tutto bene e la paura disegna la catastrofe, costituita, sempre, da qualcosa che cambia e ci fa temere che sia il preludio della fine. E niente serve a convincere del contrario.

E se tutto questo fosse uno specchio della nostra paura del cambiamento? Un’estrema difesa della nostra necessità di tenere tutto fermo perchè solo quello che controlliamo ci sembra perfetto? E se, alla fine, la lezione che ci insegna l’amore fosse proprio l’imprevedibilità, il momento per momento, e la fioritura del presente?

Le paure sono solo manifestazioni delle cose familiari del passato. Virginia Satir

Pratica di mindfulness: Cullare il cuore

© Nicoletta Cinotti 2023 Il programma di Mindful Self-compassion. Presentazione gratuita stasera alle 21 su Zoom

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