Molto spesso mi viene chiesto perché la pratica insieme agli altri è diversa da quella a casa, benché siano esperienze che vengono condotte entrambe ad occhi chiusi.
Le risposte sono tante. La presenza degli altri ci fa sentire protetti, come antica reminiscenza del nostro essere stati tribù. Per non parlare poi della nostra nascita che è in una matrice relazionale
Il fatto che altre persone scelgano di fare esattamente quello che abbiamo scelto noi conferma la bontà della nostra decisione e ammorbidisce il senso di solitudine – o isolamento – che sperimentiamo spesso nella nostra vita.
L’inevitabile apertura mentale che la condivisione – anche silenziosa – porta con sé è un altro elemento che io chiamo gioia silenziosa. Perché fare silenzio insieme fa nascere qualcosa. Qualcosa che resta.
E poi, last but not least, noi impariamo dagli altri, in modi imperscrutabili e impliciti. Impariamo dalle loro sfumature, dalla loro diversità e impariamo dalle nostre reazioni alla presenza degli altri. Dalla diversa natura delle emozioni sociali e delle emozioni primarie. Così nella pratica condivisa possiamo esercitarci nella nostra autoregolazione e nella regolazione interattiva, in un contesto protetto, fiducioso.
Nel ritiro percorriamo questa strada con piena consapevolezza: così i momenti di lavoro corporeo fanno da fondamento alla pratica individuale e la pratica individuale fa da radice alla meditazione in diadi. I momenti di condivisione si alternano a quelli di solitudine. Il lavoro collettivo è accompagnato dal colloquio individuale. Per sperimentare il ritmo che ha dato forma al nostro cuore. E che continua a farlo crescere.
La felicità è reale solo quando condivisa. Tratto dal film Into the Wild
Giaiette 1 – 4 Settembre 2016 Le radici della felicità
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© Nicoletta Cinotti 2016
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