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ciclo di gruppi

La sicurezza e l’aggrapparsi

06/09/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Ci sono pochi movimenti più istintivi dell’aggrapparsi: un neonato sano si aggrappa quando si sente nel vuoto. È uno di quei gesti che ci assicurano sicurezza se perdiamo l’equilibrio: la ricerca istintiva di un sostegno.

Come tutto ciò che è innato si continua ad usarlo a proposito e a sproposito. Così, se qualcosa ci ha dato sicurezza una volta, è facile che rimaniamo aggrappati a quella situazione anche quando non ci offre più nessun beneficio. Questo succede tantissime volte nelle relazioni affettive.

Una relazione ci ha fatto stare bene e rimaniamo aggrappati a quella persona anche quando sarebbe meglio lasciarla andare. Ci sembra impossibile che la situazione sia cambiata e rimaniamo appesi al ricordo di un piacere passato senza accorgerci del dolore presente. Viviamo quel lasciar andare come se fosse un salto nel vuoto, anziché l’aprirsi a piaceri nuovi, a nuove possibilità. E così facendo diventiamo noi stessi i costruttori della nostra infelicità. Cerchiamo di ricostruire un passato e in questo modo perdiamo il futuro.

Lasciar andare richiede un piccolo cambiamento di prospettiva: la fiducia in noi stessi.

Le espressioni del lasciar andare altro non sono che una pratica di fiducia: fiducia che ciò che andava fatto è stato compiuto. Nicoletta Cinotti

Pratica di mindfulness: Meditazione sul lasciar andare

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBSR. Ultimi giorni in early bird

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Lo spazio dell’attesa

27/12/2022 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Quando guardiamo siamo attirati dagli oggetti, dalle forme e quindi lo spazio tra un oggetto e l’altro finisce solo per disegnare la distanza. Eppure quello è lo spazio nel quale ci muoviamo. Uno spazio senza il quale finiremmo soffocati.

Quello spazio – che noi chiamiamo vuoto – dà la forma e l’armonia agli oggetti e alle cose. Restituisce a loro la dimensione e a noi la possibilità di muoverci e apprezzare la forma.

Quel vuoto – così necessario – è quello che coltiviamo nella pratica. Nella pratica – che sia di bioenergetica o di mindfulness – noi coltiviamo lo spazio di vuoto per poter dare un senso al pieno delle nostre esperienze e al pieno della forma che le cose prendono. Senza quel vuoto le nostre esperienze, i nostri pensieri, le nostre sensazioni diventano affollate e diventa difficile attribuire loro un significato.

Possiamo incontrare quel vuoto anche nella vita quotidiana: si incontra nei tempi dell’attesa. Quando sappiamo che qualcosa verrà ma ancora non c’è. Non è solo i mesi dell’attesa che nasca un bambino. Molti momenti sono momenti di attesa. Tra quando nasce un’idea e quando prende forma. Tra un desiderio e la sua possibile realizzazione. Anche il silenzio è una forma di attesa. È un dare forma al vuoto perchè il vuoto possa definirci. Perchè – alla fine – quello di cui abbiamo bisogno è un senso di spaziosità. Quella spaziosità che è lo spazio dell’attesa, del silenzio, del vuoto.

Con un maggior senso di spaziosità riusciamo più facilmente a rimanere presenti rispetto a qualunque cosa venga in mente e a essere più indulgenti con noi stessi quando le migliori intenzioni vanno storte. Segal, Teasdale, Williams

Pratica di mindfulness: Il suono del silenzio

© Nicoletta Cinotti 2022 Il protocollo MBCT online: in early bird fino al 31 Dicembre

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Troviamo la nostra vera natura

17/12/2022 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Il desiderio di cambiare è essenzialmente una forma di aggressione verso se stessi. Un altro problema è che i nostri conflitti psicologici, purtroppo o per fortuna, contengono la nostra ricchezza. Le nostre nevrosi e la nostra saggezza sono costituite dallo stesso materiale. Se buttiamo via le nevrosi, buttiamo anche la saggezza.

Quando siamo molto arrabbiati, siamo anche pieni di energia: è questa energia che ci rende così vitali e che piace così tanto alla gente. Il punto, allora, non è liberarsi della rabbia ma farci amicizia, osservarla chiaramente con precisione, onestà e gentilezza. Ciò significa che non dovete né considerarvi una persona indegna, né cadere nell’autocompiacimento: “Faccio bene a comportarmi così, ho proprio ragione. Gli altri sono insopportabili, è giusto che io sia sempre arrabbiato con loro”.

Gentilezza vuol dire non reprimere la rabbia, ma anche non darle libero sfogo. È qualcosa di molto più raffinato e generoso. Presuppone che, una volta pienamente riconosciuta la sensazione della rabbia, una volta compreso chi siete e che cosa state facendo, impariate a lasciar andare. Potete lasciar andare la solita storiella meschina che fa da sfondo alla vostra rabbia e iniziare a vedere chiaramente come e quanto continuate a tenere in piedi tutta la faccenda.

Allora che si tratti di rabbia, attaccamento, gelosia, paura o depressione, qualunque cosa sia, l’importante è non cercare di reprimerla ma fare amicizia con essa. Ciò significa arrivare a conoscere l’emozione in profondità e con una certa delicatezza e, una volta che l’abbiamo pienamente sperimentata, imparare a lasciarla andare. Pema Chodron

© www.nicolettacinotti.net  Rubrica “Addomesticare pensieri selvatici”

https://www.nicolettacinotti.net/eventi/be-real-not-perfect-verso-unaccettazione-radicale/

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La riflessione: un modo per vedere i propri film

12/12/2022 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Parlo spesso dei pensieri: eventi mentali del momento presente che, a volte, ci trascinano in un altrove pieno di fantasmi e fantasie. Non dobbiamo certamente scacciare i pensieri né, tantomeno, diffidare dei nostri processi mentali. Abbiamo solo bisogno di riconoscere quelli che sono i nostri film e quella che è la realtà.

A volte questa distinzione non è facile perchè i nostri film hanno una grande forza di persuasione. Ci sembrano più veri della realtà. Ci sembrano la parte più intelligente e geniale di noi. Allora abbiamo bisogno di metterli alla luce della riflessione per vedere se sono davvero così reali.

Possiamo farlo immaginandoli proprio come un film. Noi al cinema, seduti in prima fila. Guardiamo il film che ci siamo fatti come spettatori seduti in prima fila. Guardiamo cosa succede a vederlo così da vicino. Poi spostiamoci a metà sala e guardiamo cosa succede vedendo lo stesso spettacolo con maggiore distanza. Forse potremmo cogliere elementi diversi che erano coperti dalla vicinanza.

E infine guardiamo lo stesso film da una posizione in fondo alla sala. Potremmo scoprire che cambia ancora la visione e la prospettiva con cui guardiamo allo stesso evento. Non è un processo di distanziamento. È l’apertura di uno spazio tra noi e i nostri pensieri. Uno spazio in cui possa avvenire la riflessione. Uno spazio in cui possiamo vedere prospettive diverse. Perchè la riflessione è l’apertura di uno spazio in cui essere liberi dalla reattività e dalla compulsione che i pensieri producono.

Così, se ci affidiamo alla riflessione, possiamo davvero sapere quanto è vero il nostro film e quanto la parte che attribuiamo agli altri sia proprio corretta. E faremo film da Oscar: quelli che nascono dalla riflessione lo sono sempre.

Qui sotto trovi una pratica guidata su questo tema: Il cinema

https://www.nicolettacinotti.net/wp-content/uploads/2016/12/Cinema.m4a

 

Il processo della riflessione ha tre fasi: il riconoscimento che significa penetrare nel proprio vissuto. L’ammissione dei propri film che significa riconoscere i propri meccanismi di difesa e la rivoluzione, quando riusciamo a cambiare il significato della nostra esperienza. Liberamente tratto da Brenè Brown

© Nicoletta Cinotti 2022 Il protocollo MBCT online. Early bird fino al 31 Dicembre

 

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La storia del palloncino

16/12/2016 by nicoletta cinotti Lascia un commento

È capitato a tutti di avere un palloncino tra le mani. Di quelli che si regalano ai bambini nelle sagre di paese. Se prendiamo un palloncino e lo stringiamo a metà succedono due cose: la pressione della parte alta aumenta fino a rischiare di far esplodere il palloncino e la parte basse rimane svuotata e stagnante.

Ecco spesso facciamo così con il nostro respiro: la tensione della zona del diaframma aumenta la pressione della parte alta del corpo e lo spostarsi di tutta l’energia in alto lascia la zona addominale stagnante come una palude. Ma non è una cosa che succede solo nel corpo.

Se aumentiamo troppo la pressione in un’area della nostra vita ce ne sarà un’altra che rimarrà stagnante e paludosa. Una rischierà di esplodere e l’altra rischierà la necrosi. Lasciamo che il nostro respiro riporti la circolazione, prima nel corpo e poi nella nostra vita. Aumentare la pressione forse ci permetterà di ottenere un risultato desiderato ma quell’ambizione realizzata avrà un costo e un rischio che rimane coperto dalla nostra propensione al risultato. Il rischio di soffocare o esplodere da un lato, di abbandonare qualcosa di importante dall’altro.

Vorrei vivere la mia vita come un fiume che scorre, sorpreso dal suo stesso percorso. J.O. Donohue

Pratica del giorno: La classe del mattino

© Nicoletta Cinotti 2016 Dimorare nel presente, dimorare nel corpo Foto di ©giopenta

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Quando le parti negate di noi vengono a trovarci

07/12/2016 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Affrontare se stessi è una questione di onestà e non di auto-condanna. Può darsi che non tutto quello che abbiamo fatto ci piaccia. O che non tutto quello che gli altri hanno fatto a noi sia di nostro gradimento. Ma, a prescindere dalle circostanze esterne, essere in dialogo con se stessi richiede la sospensione del giudizio. Altrimenti, come paguri, le parti nascoste di noi, quelle più bisognose della nostra cura e della nostra attenzione, si ritirano nel guscio.

Non possiamo pensare di conoscerci davvero se, come sergenti, urliamo a noi stessi “vieni fuori da lì, se hai il coraggio, fatti vedere”!. Non possiamo nemmeno pensare che qualche intuizione profonda venga fuori quando siamo nel bel mezzo di una corsa frenetica: la corsa frenetica delle nostre giornate. Perchè ci sia possibile conoscere il nostro panorama interno dobbiamo fare quello che faremmo se volessimo vedere un animale selvatico. Dovremmo metterci fermi e immobili e aspettare che venga fuori. E poi rimanere ancora fermi e immobili e aspettare che si avvicini. E poi, per toccarlo, muoversi gentilmente e con lentezza, perchè qualsiasi traccia di aggressività lo farebbe scappare di nuovo.

Noi procediamo così con la consapevolezza: rallentiamo per lasciar emergere. Rallentiamo perchè le azioni spesso coprono ciò che abbiamo bisogno di conoscere. Rallentiamo e lasciamo emergere la nostra gentilezza naturale. Quella che ci suscitano i cuccioli, i bambini, le persone indifese. E allora – a quel punto – anche le parti negate di noi vengono a trovarci. E ci portano messaggi interessanti, frammenti di luce, spiragli di storia, parti di dolore.

È per quello che a volte evitiamo di praticare: perchè sappiamo che verrebbe fuori proprio quella verità. E ci illudiamo che, non lasciandola emergere, soffriremo meno. E, invece, soffriremo lo stesso solo che ci priveremo del nostro conforto e della nostra attenzione. Di cui abbiamo, invece, tanto bisogno. Conforto e attenzione che si declinano con la gentilezza.

“L’antidoto all’esaurimento non è necessariamente il riposo”. Cos’è allora? “L’antidoto all’esaurimento è essere pienamente con tutto il cuore in ciò che sei e in ciò che fai”. “Sei così stanco perchè più e più volte fai le cose essendo presente a metà (…). Metà è d’accordo con te e l’altra metà ti critica. David Whyte

Pratica del giorno: Cullare il cuore

© Nicoletta Cinotti 2016 Dimorare nel presente, dimorare nel corpo Foto di ©Harfang.

 

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