Se guardiamo alla nostra vita vediamo che la sofferenza e lo stress sono intrecciati con il piacere.
Spesso evitiamo di guardare il dolore nella convinzione che questo potrebbe farlo emergere troppo intensamente.
Questa paura è infondata: se limitiamo la nostra capacità di comprendere il dolore limitiamo anche la nostra capacità di sperimentare la gioia perché le emozioni non sono divise in compartimenti stagni.
Così, se davvero desideriamo essere felici dobbiamo volgere lo sguardo alla parte ferita di noi, come dice Rumi, perché è da lì che entra la luce.
Volgere lo sguardo non significa trovare mirabolanti soluzioni o fantastiche vie di fuga. Non è lo sguardo fugace che dedichiamo a quello che ci fa paura. È lo sguardo amorevole che diamo alle parti di noi che chiedono soccorso. Le guardiamo dritte in faccia e diciamo loro “Buongiorno, sono qui per ascoltare la tua voce, sentire il tuo odore e camminare accanto fino a che sarà necessario“. Potremo scoprire così che la nostra disponibilità rende più lieve e fugace anche il dolore più acuto. In fondo quello che desideriamo è essere ascoltati. Una volta che ci sentiamo accolti e sappiamo che questo è possibile, la strada è sgombra per la gioia alla quale aspiriamo.
Essere una persona non è qualcosa che si può fare; non è un atto definito: è un qualcosa che ci obbliga a interrompere il nostro lavoro frenetico, a prendere il tempo di respirare e sentire. Questo può farci sentire dolore, ma se abbiamo il coraggio di accettarlo, proveremo anche piacere. Se sappiamo far fronte al nostro vuoto interiore, riusciremo a realizzarci. Se siamo in grado di andare in fondo alla nostra disperazione, scopriremo la gioia. Alexander Lowen
Pratica del giorno: La classe del mattino
© Nicoletta Cinotti 2023 Formazione in reparenting