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blog nicoletta cinotti

Il body scan e la lettura del corpo

20/09/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Quando portiamo attenzione e consapevolezza al corpo e alla percezione che ne abbiamo possiamo trovarci pieni di domande. Come mai mi sta succedendo questo? Cosa vuol dire? Cosa devo fare perché non succeda più o, se è stato piacevole, ri-succeda ancora?

Domande che nascono in parte dallo stupore e in parte dalla curiosità che la percezione che abbiamo di noi ha suscitato.

Per vecchia abitudine però le domande le poniamo all’esterno. O poniamo all’esterno la ricerca della risposta a queste domande. Chiediamo che sia un altro, chiediamo che sia un esperto, a leggere il nostro corpo. Forse perché pensiamo che dall’esterno le cose si vedano meglio.

Eppure con il corpo non è proprio così. La lettura del corpo fatta dall’esterno, fatta dall’esperto, ci toglie informazioni invece che offrircene, rende la nostra esperienza una esperienza di categoria generale, privata delle sfumature che, invece, sono presenti nell’esperienza personale. La lettura del corpo quindi deve essere un dialogo tra chi cura e chi è curato. Un dialogo che consenta una esplorazione e un approfondimento. Un dialogo in cui possa tornare l’intimità con la nostra esperienza e la capacità di radicare, nell’esperienza, l’apprendimento.

La lettura del corpo è leggere noi stessi: è leggerci con amore, affetto e rispetto. Leggerci dimenticando la parola sintomi e dichiarando la parola segni: segni di amoroso dialogo con noi stessi. Questa è la lettura del corpo. Il resto è l’elenco – necessario – dei capitoli di un libro.

Amare qualcuno significa leggerlo. Significa saper leggere tutte le frasi che ci sono nel cuore dell’altro, e leggendolo liberarlo. . Cristian Bobin

Pratica del giorno: La consapevolezza del corpo

© Nicoletta Cinotti 2023  Il protocollo MBCT online

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L’amore esagerato

18/08/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

C’è una poesia di Naomi Long Madgett che ogni tanto rileggo. perché pone una domanda fondamentale: di quanta cura abbiamo bisogno?

La risposta a questa domanda nel tempo è cambiata perché è cambiato il nostro modo di prenderci cura. Quando ho iniziato a lavorare le persone che arrivavano nel mio studio, per il 90%, avevano traumi e problemi legati alla deprivazione o alla cattiva cura. Adesso le persone che seguo hanno – al 70-80% – problemi legati ad una cura eccessiva. Sono persone che hanno ricevuto troppo: troppe cure, troppo amore, troppe attenzioni. E troppe aspettative. E continuano a pretendere che il troppo sia il minimo sindacale che devono ricevere costruendo così una infelicità senza speranza. L’infelicità che nasce dal chiedere l’impossibile.

Magari sono figli unici di due genitori figli unici con tutta la famiglia che guarda a loro per il proprio riscatto futuro. E, anche se può sembrare paradossale che la troppa cura faccia male, questo, alla fine, le ha soffocate. Magari sono stati figli di genitori ansiosi che, temendo di fare troppo poco hanno fatto troppo. O di genitori che si sono talmente innamorati che non hanno potuto fare altro che soffocarli d’amore. Questo non è amore incondizionato: questo è amore esagerato. È come la storia del contadino che, credendo che lo sciroppo antibiotico l’avrebbe fatto guarire, decise di berlo tutto insieme.

Perché qualsiasi cosa, anche la più buona, ha bisogno di misura. E quel trovare la misura del nostro bisogno costruisce, giorno dopo giorno, la nostra salute emotiva e fisica.

Se fossi in te, non curerei troppo la pianta. Quelle attenzioni premurose potrebbero danneggiarla. Smetti di zappare e lascia riposare il terreno e aspetta che sia secco prima di bagnarlo. La foglia trova da sola la propria direzione; …dalle la possibilità di cercare il sole per conto suo. Troppi stimoli e una tenerezza troppo assillante arrestano la crescita. Dobbiamo imparare a lasciare in pace le cose che amiamo. Naomi Long Magdett

Pratica di mindfulness: Assaporare: saper dire basta

© Nicoletta Cinotti  2023 Il programma di Mindful self-compassion online

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La mente è una nuvola

17/08/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Se potessimo guardare come funziona la nostra mente vedremmo punti luminosi che si accendono e spengono in tutto il corpo e nel cervello. Qualcosa di molto simile ad una nuvola di connessioni luminose che avvengono contemporaneamente in parti diverse del corpo e della testa. Quel cloud di parole che a volte vediamo scritte con parole a caratteri più grandi e altre più piccole a seconda della forza della connessione.

La nostra mente è associativa: un aspetto ne suscita un altro, che si ramifica in un altro ancora. È per questo che se soffriamo di attacchi di panico, o se abbiamo avuto un trauma, aspetti apparentemente banali possono scatenare una crisi. Diventano interruttori – punti trigger – che innescano una catena associativa (assolutamente non logica).

Così, improvvisamente, possiamo venir attraversati da stati d’animo molto intensi e siccome abbiamo bisogno – assoluto – di dare significato a quello che proviamo, finiamo per “dare la colpa” a qualcosa che è avvenuto precedentemente. Anche se non ha nulla a che vedere con quello che è successo. Proprio nulla. Ma noi abbiamo bisogno di capire, di dare un significato: l’assenza di significato è angosciosa. Così, molto spesso, attribuiamo significati a caso. Significati che ci lasciano inquieti e dubbiosi perché sappiamo che non sono autentici.

Questa è la brutta notizia. Poi c’è la buona notizia che è veramente buona.

La buona notizia è che se impariamo – e non è difficile farlo – a dare nome a quello che sentiamo (il nome giusto come nei cruciverba) disattiviamo, senza sforzo, questi interruttori. Dai alla mente qualcosa che la calma, che è la giusta descrizione. E ogni parola della giusta descrizione va a costruire un significato autentico. Non uno credibile ma sbagliato. Uno autentico e che ci calma. Ogni nome giusto è come la tessera di un puzzle. Tante tessere formano un’immagine e nessuna tessera è più importante di un’altra: tutte contribuiscono all’immagine, a renderla completa. Ecco perché il diario della pratica è utile. Non importa però se non riesci a scrivere: ogni volta che sei attraversato da una sensazione intensa dai nome alle sensazioni fisiche, alle sensazioni emotive e ai pensieri. Nomi semplici, come quelli di una cantilena da bambini. E vedrai, come per incanto, quanto quei nomi ti calmano e ti accompagnano.

Aaron Antonovsky, sociologo della medicina, ha cercato di chiarire quali fossero i tratti psicologici che permettono ad alcuni di resistere allo stress estremo, mentre altri non ci riescono. La sua ricerca lo ha portato ad evidenziare tre caratteristiche – coerenti tra di loro – la comprensibilità, la gestibilità e la significatività. Cioè chi è molto resiliente allo stress è convinto che la sua condizione abbia un significato al quale si possono dedicare; sono convinti di poter gestire la loro vita; e che la situazione sia comprensibile anche se appare caotica e fuori controllo. Williams, Penman

Pratica di mindfulness: Spazio di respiro di tre minuti

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBCT online

 

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Quattro declinazioni della mente

01/08/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Succede spesso che qualcosa mi venga alla mente: un ricordo, un’immagine, un pensiero apparentemente sconnesso da quello che sto facendo. Quando qualcosa emerge alla nostra consapevolezza – sì perchè la consapevolezza è anche un fenomeno spontaneo, che avviene, improvvisamente, nostro malgrado – abbiamo tre possibilità di scelta:

  1. Chiudere la mente: ignorare quello che è emerso e trattarlo come se non fosse mai esistito. Rimane un piccolo brusio che riaffiora in tutta la sua forza quando la previsione di quel momento si realizza; io lo chiamo effetto Cassandra
  2. perdersi nei pensieri: incominciare a vagare e immaginare scenari fantastici o terribili che, a partire da lì potrebbero realizzarsi. Alla fine non sappiamo più cos’era vero e cos’era falso e come dovremmo muoverci; io lo chiamo effetto Guerre stellari
  3. Aprire la mente: sperimentare i pensieri e le sensazioni che emergono senza giudicarle, con interesse e curiosità, sapendo che a volte sono storie che ci raccontiamo. Altre volte consapevolezze nascenti; io lo chiamo effetto mindfulness.
  4. A volte quello che emerge è la voce, ancora flebile perchè non ascoltata, di una parte di noi. Ci parla, approfittando dello spazio lasciato libero dalla nostra distrazione. Questo potrebbe diventare l’effetto Reparenting, se solo avessimo voglia di ascoltare e dare una forma a quello che è emerso. Dare una forma non significa mettergli noi un vestito. Significa, al contrario, chiedere che vestito ha, quanti anni ha, cosa vuole da noi. Come se fosse un incontro casuale fatto ad una festa che ha risvegliato la nostra curiosità. Che fortuna quando la curiosità si risveglia!

Alla fine che senso ha chiudere fuori dalla porta la propria vita, cercando di ignorarla? In fondo sia l’effetto Cassandra che l’effetto Guerre stellari sono tanto scenografici quanto illusori. Tanto vale aprire la mente a quello che c’è nel momento in cui c’è. Tanto vale ascoltare le nostre voci e domandarsi se ci stanno portando dei personaggi della nostra famiglia interiore. non andremo in pezzi se lo facciamo. Anzi, riporteremo ad unità quello che abbiamo inutilmente diviso e separato per amore di una monomente che esiste solo nei vecchi, vecchissimi libri di psicologia.

È nello stato naturale della mente avere delle parti – non sono il prodotto di un trauma o dell’interiorizzazione di voci o energie esterne. È semplicemente il modo in cui siamo fatti ed è un bene, perché tutte le nostre parti hanno qualità e risorse preziosi da donarci. Richard Schwartz

Pratica di mindfulness: Mindfulness ed emozioni: riconoscere, accogliere, nominare

© Nicoletta Cinotti 2023 Reparenting ourselves Diventare genitori di sé stessi

 

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Il piacere, l’ansia e le difese

14/07/2023 by nicoletta cinotti

Forse ti sarà capitato di avere molti impegni e responsabilità e, per portarli avanti, tagliare il tempo libero o tagliare le attività piacevoli con l’illusione di avere così più energia per quello che “devi” fare. Nella depressione da lieve a grave questa è una delle prime cose che accade. Pessima scelta perché abbiamo bisogno di avere un equilibrio tra lavoro e vita personale. per questo motivo aiuto le persone a mettere a fuoco delle attività nutrienti da portare avanti  per avere energia per i compiti quotidiani. Solo che succede una cosa strana: molte persone scoprono che hanno attività nutrienti che sono solo piacevoli (i procrastinatori) o attività nutrienti che sono solo di padronanza, organizzate in agenda come se fossero un impegno di lavoro. ( I controllanti). Entrambi cercano una cosa sola. Tenere a bada l’ansia.

L’ansia è una delle emozioni più pervasive e disturbanti. Anche se non sempre possiamo definirla patologia, è pur vero che il disagio che provoca è così forte che raramente passa inosservato.

La prima domanda però che dovremmo farci è perché proviamo ansia?

Perché sono ansioso?

Proviamo ansia perché desideriamo qualcosa ma sappiamo che questo può essere, anziché un piacere, una fonte di frustrazione. Sappiamo che quel meeting di lavoro può darci molto piacere e soddisfazione ma non siamo sicuri del risultato: proviamo ansia. Sappiamo che quell’incontro potrebbe andare bene ma non è certo: proviamo ansia. Sappiamo che stiamo per avere una crescita professionale: proviamo ansia perché non siamo sicuri di essere adeguati. E gli esempi potrebbero continuare all’infinito. Perché l’ansia non discrimina tra cose positive e negative: possiamo provare ansia nei momenti più belli della nostra vita che finiscono così per essere veramente difficili!

Come dice Alexander Lowen l’ansia nasce come reazione alla frustrazione provata in una condizione piacevole. Se, ripetutamente, quando siamo aperti, amorevoli e rilassati accade un fenomeno avverso – una frustrazione, una punizione o un rimprovero – è molto possibile che si strutturi una forma di ansia cronica che ci porta ad evitare la condizione piacevole che ha scatenato il rimprovero. In questo caso tenderemo a diventare super-preparati e a controllare gli imprevisti in due modi: con la preparazione e con la riduzione dell’improvvisazione e delle attività non preparate accuratamente. saremo precisi, ordinati e controllati e metteremo in agenda la palestra, il cinema, le cene, prenotando tutto con il dovuto anticipo. Un vantaggio ma anche uno svantaggio percé i “controllori” hanno meno gioia e minore propensione alla meraviglia.

Oppure, all’opposto, facciamo solo cose piacevoli, decise last minute e procrastiniamo tutto quello che ci mette in ansia c, finendo poi per avere un accumulo di arretrati che può travolgerci da un momento all’altro. Modi opposti di regolare la stessa emozione. l’ansia! Cerchiamo di ripetere quella situazione piacevole ma in modo da non provare ansia, per esempio attraverso l’uso di alcool.

Quindi l’ansia nasce in relazione al piacere. Ecco perché qualsiasi ansioso ha bisogno di sentirsi in un luogo sicuro. Il luogo, lo spazio fisico in cui si trova e il messaggio – positivo – lo confortano sul fatto che niente di male può accadergli. Nello stesso tempo, il comportamento di evitamento dell’ansia ha un effetto paradossale: la amplifica. Mentre incontrarla con gradualità offre sollievo. Una mente piena di ansia, infatti, crea proprio le paure che teme di più. Le crea ma non riesce a comprenderle ed esplorarle. Pensa continuamente a ciò che potrebbe succedere senza darsi strumenti per comprendere come e perché succede. L’ansia ci porta a velare le nostre risorse e le nostre qualità e rende più difficile lanciare uno sguardo verso la nostra mente originaria.

Ma come fare? E soprattutto, chi saremmo se non fossimo stati frenati dalla nostra ansia? Proviamo a vederlo in teoria e in pratica…

“Accetta il fatto che quando fai qualcosa di nuovo potrebbe andare male, e questo renderà tutto più facile”Alex Noriega

I segnali contraddittori

L’ansia nasce in risposta a segnali contraddittori e può venire evocata dal presentarsi anche di qualsiasi altro segnale ambivalente. Le situazioni originarie risalgono all’infanzia. I bambini sono tutto cuore, sono cioè molto aperti e, per questa ragione anche molto vulnerabili. Man mano che incontrano frustrazioni imparano a costruire dei confini di personalità e un senso di quello che può essere un luogo sicuro e un comportamento sicuro. Purtroppo anche i genitori stessi non sono sempre fonte di piacere e sicurezza e, nella mente del bambino, possono essere associati anche alla possibilità del dolore. È così che iniziamo ad imparare che anche le relazioni possono essere “pericolose”. Se le frustrazioni superano la finestra di tolleranza allora diventa inevitabile che l’ansia ci spinga a costruire delle difese e non solo dei confini. Possiamo addirittura affermare che le difese sono un uso eccessivo dei confini che diventano rigidi e poco adattabili al mutare delle circostanze.

La mente ansiosa non comprende che quando sogna ad occhi aperti cose avvenute nel passato, non è nel presente. E quando non siamo nel presente è difficile agire saggiamente. È più probabile che faremo quello che siamo preoccupati di fare: sbagliare. Jan Chozen Bays

L’ansia e le difese

Le difese diminuiscono l’ansia ma riducono anche la vitalità rendendo attivo l’imbuto dell’esaurimento di cui ti parlavo prima, una specie di gorgo in cui, ad un certo punto, ti trovi immerso, senza via d’uscita.. La difesa, ovviamente, non blocca tutte le iniziative di ricerca del piacere, ma ogni difesa, ponendo un limite alla vitalità è anche un piccola morte.

Dal crepacuore ci difendiamo rinunciando ad amare e dalla morte rinunciando a vivere. Alexander Lowen

Il piacere può essere definito in diversi modi: può essere piacevole un funzionamento regolare, o una variazione nella routine. Per alcune persone è piacevole il riposo, per altre l’attività: potremmo dire che il piacere nasce come senso di soddisfazione per quello che stiamo facendo ed è strettamente personale. In ogni caso si accompagna ad una sensazione fisica, radicata nel corpo, è un movimento espansivo e un flusso di sensazioni dal centro verso le estremità. Un aprirsi, entrare in contatto, protendersi. Non nel caso dell’ansia però: in quel caso l’idea del piacere si accompagna ad una proliferazione di pensiero ipotetico.

I movimenti opposti  di ritiro, chiusura e trattenimento, anche se mettono al sicuro, non vengono vissuti come piacevoli ma come una perdita emorragica di energia. È opportuno sottolineare che, molto spesso, il nostro corpo presenta una situazione mista: parti irrorate e confortevoli, alternate a zone di tensione e ritiro. Non sempre la linea di demarcazione è netta ma la differenza è percepibile a noi e visibile agli altri.

La risposta piacevole è anche una risposta calda e ricca d’amore perché il cuore è in comunicazione diretta con il mondo esterno. Alexander Lowen

L’ansia nel corpo

Così per comprendere l’ansia – e comprendere come reagiamo all’ansia – è necessario andare al di sotto delle difese per guardare fino a che punto una persona possa espandersi senza precipitare nella paura e senza perdere il contatto con la realtà.

Aumenta la tua disponibilità e la tua consapevolezza a guardare innanzitutto che cosa c’è. Virginia Satir

Per fare questo è necessario osservare le diverse modalità di contatto che abbiamo: le braccia e le mani, le gambe e i piedi, la testa e il volto e la sessualità. Queste parti ci permettono il contatto con il mondo e quindi le sensazioni di tensione legate ad ognuna di queste aree – o la loro limitazione – ci offre una prima importantissima informazione.

Ansia: che fare?

Anche se può sembrare paradossale, evitare le situazioni che scatenano l’ansia non è una buona idea. Alla fine ci porta a ridurre eccessivamente la nostra sfera vitale. Quello che è necessario è aumentare il senso di sicurezza personale e, forti di questa base, andare incontro con gradualità alla nostra ansia. Possiamo farlo incrociando due percorsi: aumentare il radicamento nella realtà attraverso il grounding e il lavoro corporeo e regolando le emozioni negative attraverso la pratica di mindfulness e self-compassion. Il protocollo MBCT e il Programma di Mindful self-compassion offrono un’ottima integrazione. Perché questa integrazione funziona?

Il respiro è l’unica funzione che è sia volontaria che involontaria ed è una attività mente – corpo. Il prestare attenzione intenzionale al respiro, inoltre, attiva il ramo parasimpatico del sistema nervoso autonomo, rallentando quel senso di urgenza e di fretta che accompagna l’ansia. L’attenzione al respiro però, nei casi di ansia, deve essere accompagnata dalla rassicurazione, dal calore del conforto perché, altrimenti non può funzionare. Inoltre per molte persone dietro all’ansia c’è una sensazione di inadeguatezza che si esprime attraverso l’autocritica. La self-compassion ci aiuta a confortare questa sensazione e a trovare modi gentili per aiutarci a superare le credenze negative su di noi

Se il respiro è molto accorciato – come accade quando soffriamo di ansia – è necessario aiutarne la libertà, andando a sciogliere le contrazioni circolari che ne limitano l’ampiezza, perché lo stesso accorciamento del respiro può indurre una sensazione di ansia. Possiamo farlo con il tocco e con dei movimenti compassionevoli

Qualche volta può andare bene anche se la sola cosa che puoi fare è respirare. Yumi Sagukawa

I farmaci per l’ansia vanno presi quando sono indispensabili. Molto spesso l’ansia viene trattata con benzodiazepine, vecchi farmaci che pososno essere sostituiti da nuove risposte farmacologiche visto che aumentano il senso di torpore, creano dipendenza e  perdita di padronanza che, peraltro, sono sintomi tipici dell’ansia e innescano così un circolo vizioso.

L’ansia e la mente

È molto frequente che l’ansia renda difficile la concentrazione. Ci fa credere che la fuga sia la migliore risposta mentre invece avremmo bisogno di fermarci. Oppure ci fa rimanere chiusi in casa mentre avremmo bisogno di uscire. Questo perché si invertono i normali flussi di apertura e chiusura. Può essere utile quindi fare pratiche brevi, come Addolcire, confortarsi, aprire oppure Lavorare con i pensieri difficili, precedute dal movimento corporeo,come la Classe del Mattino, o semplicemente, una meditazione camminata.

Al di là di tutto, quello di cui abbiamo bisogno è, progressivamente, avvicinarci proprio a quello che ci fa paura: unica strategia che davvero scioglierà la nostra ansia come neve al sole.

Last but not least

Inoltre l’ansia ha un effetto sulla creatività. A volte un effetto di diminuzione, a volte espressivo. Ci sono persone che creano come modo per calmare la loro ansia. Altre che sono ansiose rispetto alla sola idea di esprimersi creativamente. Sotto tutto questo però, ognuno di noi, ha una sorgente intatta di creatività. È la nostra mente originaria. Come siamo al di là e al di sotto delle nostre difese? Siamo piccoli e grandi artisti della vita!

© Nicoletta Cinotti 2023

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Bibliografia

N. Cinotti, Mindfulness ed emozioni

A. Lowen, Paura di vivere

J Chozen Bays, Come addomesticare un elefante selvatico

 

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Pensieri nella sala d’attesa del cuore

30/05/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Capita spesso di sentire, dentro di noi, un proliferare di pensieri: la mente divisa tra mille attività da programmare, le preoccupazioni per il futuro, le rimuginazioni sul passato. Attraversano la nostra mente e ci assorbono, ritirando il nostro contatto con la realtà e con il presente. Possiamo credere che siano pensieri ma in realtà sono emozioni che non riescono ad entrare nel cuore.

Bussano alla porta ma, siccome temiamo di sentirle, salgono veloci alla mente e si trasformano in pensieri. Ogni tanto provano a scendere di nuovo nel cuore ma vengono respinte dalla nostra decisione di essere razionali. Di tenere sotto controllo la vita. Poi, man mano che corrono nella nostra mente, questi pensieri, suscitano anche delle emozioni, un po’ generiche: ansia, preoccupazione, inquietudine. Ma siamo tanto presi dal correre dei pensieri che nemmeno in questo caso ci fermiamo per aprire la porta del cuore.

Avere la testa invasa dai pensieri non è pensare. È avere una emozione che non riusciamo a sentire e che dà il via alla proliferazione mentale. I pensieri senza emozioni nascoste si riconoscono subito: arrivano, sono aderenti alla situazione specifica e se ne vanno. Leggeri come nuvole bianche in un cielo d’estate. Quando le nuvole diventano pesanti, oscure, indugiano a lungo non sono pensieri: sono emozioni travestite da pensieri che aspettano nella sala d’attesa del cuore: la mente.

Allora, alla fine – come medici indaffarati – dobbiamo decidere di fermarci e farli entrare. Visitarli non è difficile. Richiedono di essere riconosciuti. Prima di riconoscere la famiglia a cui appartengono – pensieri sul passato, sul futuro, dialoghi, pensieri sul corpo o pensieri di fuga – poi di riconoscere l’emozione che contengono e li produce. Poi di fermarsi ad osservare la situazione alla quale sono collegati, rimanendo ancorati al corpo e al respiro. E infine, salutarli e ringraziarci perchè ci siamo permessi di ascoltare, con pazienza, anziché essere assorbiti. Non c’è nulla da fare con i pensieri: solo dipanarli per non farsi assorbire, con gentilezza e precisione. La precisione dell’amore.

Quando il respiro è affannoso, il pensiero è guidato dalla paura e dall’ansia. I tuoi stati mentali affondano le loro radici nel passato o nel futuro. Sei concentrato su ciò che fanno altre persone, su come puoi compiacerle o su come proteggerti dalle loro azioni. Praticamente stai innalzando una fortezza di pensieri attorno al tuo cuore. Respira profondamente e riportati nel tuo cuore. Paul Ferrini

Pratica di mindfulness: Inclinare la mente al cuore

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBCT

 

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