• Passa al contenuto principale
  • Passa al piè di pagina
Nicoletta Cinotti
  • Nicoletta
  • I miei libri
  • Blog
  • Contatti
  • Iscriviti al blog
  • Mindfulness
    • Cos’è la Mindfulness
    • Protocollo MBSR
    • Protocollo MBCT
    • Il Protocollo di Mindfulness Interpersonale
    • Il Protocollo di Mindful Self-Compassion
    • Mindful Parenting
    • Mindfulness in azienda
  • Bioenergetica
    • Cos’è la Bioenergetica
    • L’importanza del gruppo
  • Corsi
  • Percorsi suggeriti
  • Centro Studi
  • Nicoletta
  • I miei libri
  • Blog
  • Contatti
  • Iscriviti al blog
AccediCarrello

self compassion

Uscire dall’imbuto

27/08/2023 by nicoletta cinotti

La nostra mente di povertà funziona come un imbuto. Ci fa andare avanti in una direzione via via sempre più stretta. Siamo convinti che la direzione, la via d’uscita, sia davanti a noi. Man mano che procediamo tutto diventa più oppressivo ma noi andiamo avanti fino alla fine. A quel punto rimaniamo incastrati perché l’uscita è troppo piccola. Questa descrizione ti ricorda qualcosa? A me sì, ricorda la sensazione di oppressione che a volte provo nell’andare avanti a testa bassa. Allora qual è la via d’uscita? Finire tutto il lavoro che ho in programma di fare? Vedere il risultato di qualche nuovo progetto? No, in realtà questo non fa che aggiungere stress allo stress. La via d’uscita è girarsi indietro, fare retromarcia, uscire dalla mente di povertà per entrare, finalmente, nella mente di abbondanza.

La mente di povertà e la mente di abbondanza

La nostra mente di povertà ha tre braccia: la wanting mind, la wandering mind e la comparing mind che hanno un unico grande effetto: ci sintonizzazno su quello che manca e sul desiderio di ottenerlo ma funzionano come la carota messa davanti all’asino per farlo camminare. La carota penzola di fronte a lui ma è legata ad un bastone e, per quanto cammini, rimane sempre alla stessa distanza. E così funziona la nostra mente di povertà. Ci fa credere che se andiamo avanti a testa bassa – e soprattutto con determinazione – raggiungeremo quello che ci manca. Ma non arriviamo mai e rimaniamo incastrati in questo disegno ostile che ci fa vedere solo la mancanza.

Se ci giriamo indietro possiamo iniziare a fare esattamente l’opposto: possiamo incominciare a mettere a fuoco tutto quello che abbiamo. È come se volessiomo cucinare un piatto con gli ingredienti che non abbiamo comprato, avendo la dispensa piena di ingredienti che già abbiamo. È un cambiamento di prospettiva piccolo ma significativo: incominciare a ragionare in base alle risorse che possidiamo, come recita la poesia di oggi, la famosa, Poesia dei doni di Jorge Luis Borges.

Non dare nulla per scontato

La nostra mente di povertà dà per scontato tutto quello che abbiamo che acquista valore solo quando abbiamo paura di perderlo. Ci rendiamo conto di quanto amiamo qualcuno quando temiamo che la relazione finisca. Oppure ci accorgiamo di quanto è preziosa la salute ogni volta che ci ammaliamo. Questo succede perché perdita e mancanza non sono la stessa cosa. La mancanza la avvertiamo sulla base della nostra wanting mind, la mente che desidera e che ci rende ostaggi di quello che non abbiamo realizzato. È una sofferenza che raramente percepiamo con chiarezza, quella che viene dalla sensazione di non essere interi, dalla sensazione, spesso sottile e sconosciuta, che qualcosa manchi. A noi o alla nostra vita.Non la sentiamo perché viene coperta subito da qualcosa. Un acquisto, una sigaretta, un boccone di cibo. Qualsiasi cosa che, in quel momento, ci da l’idea che sarà in grado di farci sentire più felici.Quando affidiamo la nostra felicità e il nostro senso di interezza a qualcosa di esterno iniziamo a percorrere una strada che ci condurrà presto alla delusione. Non c’è nulla che il mondo possa darci per questa sottile sensazione di mancanza o di perdita.

Tradiamo noi stessi se pensiamo che avere quel pezzetto in più ci renderà felici. Vogliamo quello che non abbiamo, spinti dalla nostra wanting mind a cercare all’esterno anziché dentro. E quindi paragoniamo la nostra vita a quella altrui, la nostra storia a quella altrui, confondendo la felicità che vediamo negli altri con il possesso e rendendoci così ostaggio di quello che non abbiamo ancora realizzato.

Perché non rendere onore invece a quello che abbiamo già realizzato? Quando lo facciamo pratichiamo una goccia di gratitudine che distende il cuore e la mente.

 

Prova a riflettere su questi tre aspetti:

  • ho bisogno di qualcosa in più per essere grato o felice, un’atteggiamento che alimenta il senso di scarsità
  • non devo niente a nessuno, un atteggiamento che alimenta un fallace senso di invulnerabilità
  • mi merito di più (o non mi meritavo questo) come se per qualche misterioso fattore ci meritassimo solo cose belle e invece i guai fossero riservati solo agli altri

Adesso prova a fare il movimento opposto, a voltarti indietro, a camminare verso l’imboccatura larga dell’imbuto invece che dalla chiusura stretta:

  • di cosa potresti essere grato o grata adesso?
  • chi ti ha aiutato nei momenti difficili? Quali sono stati gli incontri, diretti o indiretti, che ti hanno aiutato ad essere come sei adesso? Includi i libri, i viaggi, le persone incontrate per caso e le amicizie durevoli
  • guarda quali sono stati i regali inaspettati i che la vita ti ha fatto. Quello che hai ricevuto senza aver fatto qualcosa di specifico per meritarlo. Se sposti lo sguardo a ciò che già hai puoi dire, onestamente, che nulla è stato un regalo e che tutto è stato meritato?

Coltivare la mente di abbondanza

Come mai la mente di abbondanza va coltivata e la mente di povertà sembra, invece, spontanea o naturale? La ragione è che la sopravvivenza è il nostro primo istinto, la gratitudine, la  sensazione di abbondanza invece richiedono un’attenzione intenzionale perchè siano percepite. Ecco perché la pratica di mindfulness è importante: perché ci aiuta a coltivare l’intenzionalità che non è la volontà di raggiungere quello che ci manca: è l’intenzionalità di coltivare stati mentali salutari perchè il vero danno della mente di povertà è che porta emozioni afflittive.

Cos’è che guida la nostra generosità, un’emozione tipica della nostra mente di abbondanza? Cos’è che ci permette di condividere con gli altri ciò che abbiamo?

Spesso mi faccio questa domanda e cerco di mettere in relazione i miei bisogni e il desiderio di condividere quello che posso condividere.

La chiave mi sembra che stia proprio nella percezione del bisogno. Nell’attimo in cui condividiamo con un’altra persona qualcosa che ci appartiene, in senso materiale o immateriale, in quel preciso momento il rumore del nostro bisogno è attenuato mentre è aumentato il volume della fiducia e del senso di comune umanità condivisa. Essere generosi è l’espressione della nostra mente dell’abbondanza, la percezione che possiamo dare perché ci sentiamo in una situazione di prosperità: è questo che ci rende generosi. Se, invece, la nostra mente di povertà è attiva – la mente che ci fa vedere solo quello che manca – il nostro bisogno, vero o presunto che sia, ci sembrerà sempre più grande del piacere di condividere.

La cosa interessante è che la generosità ha un doppio ritorno: condividendo nutriamo la percezione di abbondanza e abbassiamo la paura di perdere, di non avere, di non  essere abbastanza. Sembra una magia ma non è così: finiamo per assomigliare a quello che facciamo.

Il vero trucco, se di trucco possiamo parlare, è non scambiare la generosità per lusinga: non possiamo comprare nessuno con la nostra generosità. Né usare la generosità per lustrare la nostra immagine. Sarebbe una visione condizionata e condizionante di noi stessi che ci renderebbe ancora più vittime della mente di povertà. Essere generosi è il movimento che guida la nostra vita e la porta fuori dalla stagnazione. Ci sono infiniti atti di generosità nel nostro corpo: la generosità dell’incessante lavoro del cuore, dei polmoni, della pelle. Basta seguire il loro esempio per restituire alla nostra vita quel fluire di cui abbiamo bisogno per crescere. In fondo cos’è più generoso di una finestra?

© Nicoletta Cinotti 2023

 

Archiviato in:approfondimenti, corsi online, esplora, Mindful Self Compassion, mindfulness Contrassegnato con: assaporare la vita, mindful reparenting, mindful bioenergetics, curarsi con la mindfulness, gratitudine, mindfulness, self compassion, speranza, stereotipi, stress, stress relazionale, tenerezza, terapia cognitiva basata sulla mindfulness, tornare a casa, WeneBioenergetica e Mindfulness Centro Studi

No bad parts: nessun cattivo dentro di noi

05/08/2023 by nicoletta cinotti

A soli due anni dall’uscita in lingua originale, “No bad parts” e dopo pochi mesi dall’uscita di “Terapia dei sistemi familiari interni”, sempre di Richard Schwatrz, l’editore Cortina pubblica, “Come allearsi con le parti “cattive” di sé”. Guarire il trauma con il modello dei sistemi familiari interni”. Segno che questo modello di trattamento, originale e innovativo, ha davvero suscitato molta attenzione, non solo negli Stati Uniti, dove nasce, ma anche da noi.

Consiglio questo libro per tante ragioni. La prima è che, insieme al precedente, è un testo fondativo del mio “Genitori di sé stessi”. Ormai l’amore tra i teorici della self-compassion e Richard Schwartz è esplicito. Poche settimane fa presentavo l’endorsment di Kristin Neff, in questo libro c’è l’endorsment di Richard Schwatz. Io posso solo essere felice di aver coniugato, forse tra le prime in Italia, questi due approcci. La mia vanità finisce qui

C’è un assunto che Richard Schwartz condivide con tutta la psicologia umanistica: la nostra radice è buona. Sempre.  La polarizzazione di parti di noi può spingerci a comportamenti sbagliati ma è sempre possibile – almeno in via teorica – il recupero della bontà originaria. Su questo Schwartz dà molti esempi che vanno dalla clinica alla spiritualità (in effetti in qualche momento il libro ha toni spiritualistici).

L’altro assunto di base è che il modo con cui pensiamo alle nostre parti e ci relazioniamo a loro corrisponde al modo con cui entriamo in relazione con le persone del mondo esterno. Se viviamo nel timore delle nostre parti e ci sforziamo di controllarle, faremo lo stesso con le persone che ce le ricordano. Come dire che è necessario portare pace dentro di noi per trovarla fuori di noi.

Non solo: è nello stato naturale della mente avere delle parti: è il modo in cui siamo fatti e non solo un effetto dei traumi. Il trauma agisce sui fardelli che ogni parte porta con sé e che può spingerla ad agire comportamenti estremi. Lo scopo della terapia è liberare le parti dai loro fardelli, non di eliminare le parti che, invece, sono importanti risorse di vitalità e energia, una volta che sono state rese libere dai loro “impegni” di protezione nei nostri confronti.

I quattro obiettivi dell’IFS

Questo approccio ha 4 obiettivi, che condivido assolutamente

  • Liberare le parti dai ruoli che si sono assunte
  • Ripristinare la fiducia nel Sé
  • Riarmonizzare il sistema interno
  • Lasciarsi condurre dal Sé nelle interazioni con il mondo

Appare chiaro come la nostra tendenza al controllo e al contenimento, (…) non funzioni. Non esistono parti cattive, bensì solo parti gravate da fardelli e congelate nel passato, che hanno bisogno di essere sollevate da quei fardelli, anziché punite. E se scoprissimo che, fondamentalmente, ognuno possiede un Sé a cui è possibile accedere facilmente? Come cambierebbe il mondo? Richard Schwartz

Una storia vera

Vorrei aggiungere una storia vera, come risposta a questa domanda di Schwartz. La storia vera è quella di Nadia Mondeguer, madre di Lamia, una delle vittime degli attentati del 13 Novembre 2015 a Parigi. Nadia è di origine egiziana e residente a Parigi. Sono arabe, la madre e la figlia. Suo marito, cooperante, si è occupato della formazione dei lavoratori immigrati. Lamia è morta a pochi passi dalla loro casa, in uno degli attentati condotti nei café all’aperto. La sua storia, e la storia di questo mega processo durato 9 mesi è raccontata da Emmanuele Carrere, in V13. Alla fine della sua deposizione Nadia invita gli avvocati della difesa a fare bene il loro lavoro. Non gli avvocati delle parti civili ma quelli della difesa. La sua testimonianza al processo è una di quelle che lascia senza parole per qualche minuto, tanto è intensa. Uno degli imputati, facendo riferimento a lei, dice, “Potrebbe essere mia madre” .Dopo la sua testimonianza uno degli avvocati di Bakkali, imputato, le aveva detto: “non soltanto hanno ascoltato, ma riflettono. E quando Abrini ha detto: non siamo usciti dalla pancia delle nostre madri con i kalashnikov in mano, ho pensato: tu mi stai rispondendo”.

Tornando alla psicologia: istruzioni per l’uso

Torniamo alla psicologia: questo libro offre una panoramica di facile accesso che lo rende molto più leggibile ai non addetti ai lavori del precedente. Offre anche una serie di esercizi e la trascrizione di molte pratiche e un’avvertenza importante, che mi sento di condividere. Lavorate sui protettori quanto volete. Avvicinatevi alle parti esiliate in un setting clinico perché possono essere difficili da trattare. L’esilio è come il carcere: spesso rende più violenti.

Al di là di tutto il libro offre una sincera speranza. La speranza di un cura più rapida, efficace e naturale della nostra storia, per quanto difficile possa essere stata. C’è poi una piccola perla: la prefazione di Alanis Morisette che racconta delle sue depressioni con quel linguaggio semplice e diretto che rivela quanto ha capito e quanto ha guarito.

Richard Schwartz, Come allearsi con le parti cattive di sé. Guarire il trauma con il modello dei sistemi familiari interni. Raffaello Cortina editore

© Nicoletta Cinotti 2023 Addomesticare pensieri selvatici

 

Archiviato in:Addomesticare pensieri selvatici, Mindful Self Compassion, reparenting Contrassegnato con: mindful reparenting, lavoro sulle parti, mindfulness, programma di mindful self-compassion, protocollo MBCT, protocollo mbsr, reparenting, self compassion

Fattori di guarigione: le abitudini

31/07/2023 by nicoletta cinotti

Le abitudini non sempre godono di buona fama e, soprattutto in vacanza, quello che facciamo è cercare proprio di “rompere le abitudini” per gustarsi di più la vita.

Perché è vero: le abitudini possono comportare noia.

Ma perché te ne parlo nella serie “fattori di guarigione?” Perchè la nostra mente è molto sensibile alle abitudini, in bene e in male!

Di solito il problema che ci poniamo rispetto alle abitudini è come fare a prendere buone abitudini e lasciare vecchi e cattive abitudini. Sembra facile a dirsi ma a farsi è tutt’altro che facile. Tanto che ci sono molte ricerche che si occupano proprio del tempo necessario per prendere delle buone abitudini e di quello che dobbiamo fare per lasciar andare le cattive abitudini. Un’infinità di ricerche che testimonia che nessuna di queste ha detto la parola definitiva e che molte hanno messo in luce aspetti comuni.

Io partirò a raccontarti cosa è stato importante per me, nel cambiare alcune abitudini e poi, solo alla fine, farò un breve riassunto di quello che già sappiamo dalle ricerche su questo argomento. Così, se già lo conosci, potrai saltarlo.

Saper dire di NO

Sembra abbastanza scontato che saper dire di no è fondamentale per cambiare abitudine. Ogni abitudine infatti ci dà un rassicurante senso di dipendenza che spesso supera la nostra capacità di dire di no e di cambiarla. Dietro a questa difficoltà sta la paura di rimanere esclusi, tagliati fuori, la paura – vecchia compagna – di perdere qualcosa o qualcuno. Così diciamo sì, senza discriminazione a cose che ci toglieranno energia per noi. Diciamo sì alla ripetizione di vecchi schemi. Diciamo si per principio e un po’ automaticamente, salvo poi pentircene amaramente alla fine della giornata. Insomma l’equilibrio tra il sì e il no è difficile da raggiungere e ha bisogno di qualche piccola regola. Proviamo ad elencarle:

  1. Dire no come atto di self compassion. Prendersi cura di noi e dei nostri bisogni non è un atto egoistico: è un atto di cura e di compassione. Quando entriamo a piè pari nelle nostre vecchie abitudini, ci stiamo rispettando? Oppure stiamo ripetendo qualcosa che serve più all’altro che a noi, nella speranza di guadagnare così un po’ d’amore? Se è così facciamo prima a darci direttamente amore, rispettando i nostri bisogni.
  2. Diamoci un permesso preventivo. Decidiamo prima a cosa diremo di no. Ecco un breve elenco di situazioni in cui dire di no è obbligatorio: favori irrazionali, lavori gratuiti, attività che non vuoi fare, persone che ti risucchiano, situazioni in cui sei scomodo e che ti condizionano negativamente.
  3. Metti un filtro. Dire No comunque non è facile. Così possiamo mettere un filtro SI: dire di sì solo alle cose che ci ispirano, alle persone che ci nutrono, ai piani che sostengono e realizzano i nostri sogni e il nostro benessere. Fai una lista personale di queste cose perché non c’è nulla di “giusto” in assoluto. Chiama questa lista “le cose che mi nutrono” e sceglile con priorità.
  4. Una volta fatta la lista delle priorità? Una volta che abbiamo ben chiaro la nostra lista di priorità ci sarà più facile dire di no. Potremo dire “Ho già un altro programma”, “Vorrei ma sono già impegnato” oppure, semplicemente “no, grazie”
  5. Immagina il futuro. Se proprio sei in difficoltà prova ad immaginare come ti sentirai dopo aver detto di NO e come ti sentirai dopo aver detto di SI e scegli la situazione in cui ti senti meglio. Puoi anche offrire un compromesso tra la richiesta dell’altro e la tua esigenza: non siamo sempre obbligati!

Il tempo è un patrimonio limitato

Il nostro tempo è un patrimonio limitato. Ce ne dimentichiamo e ci comportiamo come se potessimo sprecarlo senza conseguenze. È come l’acqua: una risorsa vitale, non infinita. È così che vuoi spendere il tuo tempo? Questa domanda per me è stata fondamentale rispetto alla capacità di dire Si o No. A volte penso al tempo in termini di 24 ore. Molto spesso penso in termini di arco della vita. Ho già vissuto molti anni e questo rende il tempo che ho molto prezioso. Non posso davvero sprecarlo! E nemmeno posso conservarlo senza fare nulla di quello che mi piace perché lo rimando ad un secondo momento. il momento è adesso!

La fatica della decisione

Decidere è faticoso e, come tutte le fatiche, richiede energia. Inoltre più decisioni dobbiamo prendere più si abbassa la qualità delle decisioni che prendiamo. Questo è il motivo per cui a fine giornata siamo poco propensi a prendere decisioni: abbiamo esaurito la nostra energia decisionale. Se rendiamo tutte le cose questione di vita o di morte, scelte imprescindibili, alla fine non sappiamo più cosa è importante davvero. Non sprecare la tua energia decidendo tutto: impiega la forza di volontà su poche cose: quelle che valgono davvero. Perché, alla fine aver controllato tutto ti darà una lista di cose mediocri che ti hanno tolto l’energia per le cose importanti.

Insomma riserva la tua energia alle decisioni importanti e prendile quando il tuo livello energetico è alto: non si cambia nessuna abitudine quando si è stanchi!

Metti a fuoco i successi

Siamo programmati per difenderci. Per questa ragione è più facile vedere quello che non funziona che quello che va bene: è un modo per metterci al sicuro. Se però in ballo c’è un cambiamento mettere a fuoco solo dove abbiamo fallito è decisamente scoraggiante. E impossibile: c’è sempre qualcosa – magari di piccolo – che è andato bene. Notalo e riconosci a te stesso che lì è andata proprio bene! Avere una fila di piccolissimi successi è meglio che avere un solo grande insuccesso. Ricordati che la goccia d’acqua – così fluida e dolce – scava la roccia!

Cosa dicono le ricerche sul cambiamento delle abitudini?

Nella mindfulness il tema delle abitudini è centrale per due motivi: il primo è che cerchiamo di inserire nuove abitudini che siano…non avere abitudini! in realtà il problema delle abitudini è che ci portano a muoverci con una specie di pilota automatico inserito che fa perdere il contatto percettivo e alimenta il proliferare dei pensieri. Quindi cerchiamo sistemi per dis-attivare il pilota automatico e attivare l’abitudine alle pratiche di consapevolezza.

Quanto tempo per prendere una nuova abitudine? In media 66 giorni ma è una media. Per alcuni possono bastare 21 giorni per altri 9 mesi ma questo non significa che siamo difettosi se non rientriamo nel gruppo dei veloci: significa che dobbiamo darci tempo e che ne vale la pena. la buona notizia è che saltare un giorno non è un problema.

Cambiare abitudine non è un evento ma un processo

Ci piacerebbe pensare che le cose cambino nello stesso modo in cui “voltiamo pagina”. In realtà le cose cambiano sempre, che lo vogliamo o no, ma cambiano come un processo. Un giorno in cui torniamo al punto di partenza è normale e non sarà mai un totale tornare indietro. Quando andiamo da qualche parte sappiamo che c’è una strada da percorrere. ogni passo di quella strada ha valore, non ha valore solo arrivare. E se, a metà strada facciamo un passo falso non è un problema: basta riprendere a camminare. Prima o poi arriveremo basta aver tenuto saldo il timone!

Prevedi le ricadute

Per qualche ragione – sbagliata – immaginiamo il cambiamento come un retta che procede lineare. In realtà il cambiamento ha una struttura circolare che prevede, proprio nel suo processo, delle ricadute.

Qualsiasi abitudine tu stia cercando di cambiare non scoraggiarti per le ricadute, che sono inevitabili, e riparti. Riparti una, dieci, cento volte. Non ha importanza quante volte è necessario ripartire. Altrimenti, se ogni ricaduta ti fa demoralizzare, sarà davvero difficile cambiare!

Ogni ricadute in vecchie abitudini o nella vecchia pigrizia, può insegnare qualcosa.

Avere chiara l’intenzione

Per questo motivo è importante avere chiara l’intenzione e tornare alla nostra intenzione ogni volta che abbiamo una ricaduta o un fallimento. Se la nostra intenzione è salda e ben definita, ci sarà più facile mantenere la rotta. Se, invece, abbiamo scelto di cambiare perchè altri lo fanno o perché per altri è andata bene, ricordiamoci che la motivazione, che sostiene qualsiasi cambiamento, deve essere personale.

Fai attenzione al critico interiore

Molte persone rinunciano perché hanno una voce scoraggiante che interviene alle prime difficoltà. Tratta la come se fosse una parte di te ma solo una delle parti in gioco. Puoi darle un nome, disegnarla come se fosse un personaggio, avere con questa parte un dialogo quotidiano fatto di curiosità e pieno di domande. Questo atteggiamento di dialogo spiazzerà il tuo critico interiore che, in genere, ha degli slogan ma poca capacità di argomentare. Rassicuralo sulle tue buone intenzioni. Chiedigli qualse sono le sue buone intenzioni e poi scegli cosa fare; val sempre la pena di correre il rischio del cambiamento!

© Nicoletta Cinotti 2023

 

Archiviato in:approfondimenti, esplora, mindfulness Contrassegnato con: amore, benessere, cambiamento, chiavari, compassione, genova, lasciar andare, mindfulness, Nicoletta Cinotti, protocollo MBCT, protocollo mbsr, self compassion

I micro momenti di amore e le persone normali

28/06/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Sto guardando su RaiPlay “Normal people – Persone Normali” giusto per farmi un ripasso sull’amore. A parte che il libro è bellissimo (grazie Filippo che me lo hai regalato) la serie è avvincente e mi lascia sveglia fino a tardi, non solo perchè guardo gli episodi, ma perché poi ci ragiono su per un sacco di tempo.

È un super romanzo psicologico su come si può essere addestrati ad accettare l’umiliazione in amore. Ovviamente cerco di parlare a Marianne per salvarla (mentre su Connell la mia simpatia è ambivalente!) Se pensiamo all’amore come sentimento che attraversa costantemente la nostra vita possiamo incontrare momenti difficili e sentirci senza speranza. A volte anche le persone più care ci sembrano estranee. In altri momenti abbiamo dubbi sulla nostra capacità di amare, troppo presi da qualche preoccupazione o pensiero che ci assorbe. Io preferisco i micro-momenti e lo dico a Marianne che ha tanti micro momenti d’amore!

La logica dei micro momenti è come la logica della consapevolezza del respiro o della meditazione camminata. Se pensiamo al respiro in senso globale ne abbiamo una percezione complessiva che perde in sfumatura e accuratezza. Se invece percepiamo il respiro momento per momento ne sentiamo in pieno tutte le sfumature. Come avviene nelle note che compongono una melodia: senza quelle singole note che la compongono non avremmo la stessa musica. Sentiamo l’insieme ma riconosciamo anche i singoli passaggi. E più li riconosciamo più apprezziamo la sua modulazione.

Lo stesso vale per qualsiasi emozione. Le emozioni possono diventare una specie di “oggetto solido” che permane nel tempo, al di là della loro durata effettiva. Se invece le percepiamo momento per momento possiamo scoprire che sono diverse da come crediamo, che hanno una loro fluidità, che sono impermanenti e che vengono sostituite da altre emozioni, magari di segno diverso.

Passare quindi dall’emozione generale ai micro momenti percepiti risulta essere una piccola ma grande rivoluzione. Perché sposta il focus dell’attenzione dal pensiero all’esperienza e la radica nel momento presente.

La capacità di sentire ciò che sta accadendo ad un’altra persona (…)si fonda sul fatto che il nostro corpo entra in risonanza con altri corpi viventi. Se questa risonanza manca ciò vuol dire che non siamo in risonanza con noi stessi. Chi dice “non sento niente” ha spento non solo il senso della propria vitalità, ma anche qualsiasi sentimento possa nutrire per gli altri, uomini o animali che siano. Alexander Lowen

Pratica di mindfulness: Mindfulness ed emozioni

© Nicoletta Cinotti 2023. Il programma di mindful self-compassion

 

Archiviato in:mindfulness continuum, mindfulness interpersonale Contrassegnato con: alexander lowen, analisi bioenergetica, Bioenergetica e Mindfulness, Centro Studi, classi d'esercizi, classi d'esercizi. nicoletta cinotti, Kabat Zinn, lavorare con le emozioni, mindfulness, nicoletta cinotti blog, pratica formale, pratica informale, protocollo MBCT, protocollo mbsr, regolazione degli affetti, respiro, self compassion

La bolla della narrazione

21/06/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Il nostro bisogno di darci delle spiegazioni, di stabilire una relazione causa-effetto, di comprendere perché quello che desideravamo non si è avverato o perché è accaduto qualcosa di imprevedibile, ci spinge a costruire delle storie. Sono narrazioni che nascono con una buonissima intenzione: trovare il senso e dare un significato, dentro la nostra vita, agli eventi che accadono. A noi o agli altri.

Quello che poi ci tradisce è il nostro bisogno di coerenza, per cui, a partire da una narrazione, tutta una serie di eventi devono avere la stessa trama, lo stesso senso. Cambiare narrazione, dare un significato di natura diversa, diventa sempre più difficile e, alla fine, rischiamo di raccontare tutta la nostra vita con un’unica grande storia.

A quel punto siamo nella bolla della narrazione: una bolla che distorce affinché tutto rientri in una trama coerente.

Cambiare storia ci sembra impossibile ma non lo è: è la nostra mente che si è affezionata a quella lettura delle cose. La vita non sta dentro un bolla. Lasciamo che la realtà infranga la bolla delle nostre narrazioni: la successione temporale di due eventi non è una prova della relazione causa – effetto, la generalizzazione non è la verifica del fatto che abbiamo ragione. Gli stereotipi non hanno mai favorito le scoperte.

Usciamo dalla zona di comfort: abbandoniamo la coerenza delle nostre narrazioni su di noi, per scrivere, ogni momento, una storia vera.

Troppo spesso la storia della nostra vita, non compresa e illusoria, diventa una profezia auto-realizzante. Possiamo, sempre, mettere in campo ogni tipo di prova a dimostrazione del nostro punto di vista e poi crederci, anche se non corrisponde affatto alla realtà. Jon Kabat Zinn

Pratica di mindfulness: Le parole che guariscono

© Nicoletta Cinotti 2023 Scrivere storie di guarigione

 

Archiviato in:mindfulness continuum Contrassegnato con: Bioenergetica e Mindfulness, Centro Studi, classi d'esercizi. nicoletta cinotti, Kabat Zinn, lavorare con le emozioni, meditazione di consapevolezza, mindfulness, pratica formale, pratica informale, protocollo MBCT, protocollo mbsr, regolazione degli affetti, respiro, self compassion

Il senso d’esclusione e i cerchi del cuore

14/06/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Ci sono poche cose davvero pericolose nel mondo degli affetti: una di queste è il senso di esclusione.

Quando veniamo esclusi si riattiva l’ancestrale sistema d’allarme che faceva temere l’esclusione dalla tribù perché significava la morte. Essere esclusi è una specie di morte sociale. Una morte vissuta essendo vivi.

Questo dolore si nutre sia attraverso l’essere esclusi che l’escludere: ogni volta che escludiamo qualcuno dalla nostra vita nutriamo quella riserva ancestrale di dolore e pericolo.

Ecco perché nella pratica di Metta o gentilezza amorevole – una delle pratiche della tradizione vipassana – le benedizioni vengono rivolte progressivamente a tutti. Si attraversano tutti i cerchi dell’intimità: noi stessi, le persone che amiamo, le persone con cui abbiamo una conoscenza superficiale, le persone con le quali abbiamo una relazione difficile e, infine, tutti gli esseri. Per essere sicuri che nessuno venga escluso, a partire da noi stessi.

Molto spesso, il modo più profondo e nascosto che abbiamo per nutrire l’esclusione è proprio quello che proviamo quando consideriamo parti di noi non accettabili. È il primo cerchio – quello più intimo – che nutre il dolore più profondo e le bugie che raccontiamo agli altri nascono da questa, nascosta, separazione da sé.

Grazie alla nostra saggezza, smettiamo gradualmente di rinforzare le nostre abitudini, che non fanno che aggiungere dolore al mondo. Pema Chodron

Pratica di mindfulness: Respirare per me, respirare per te

© Nicoletta Cinotti 2023 Il Programma di Mindful Self-compassion intensivo residenziale

Orientamento al Programma di Mindful Self-compassion

Archiviato in:mindfulness continuum Contrassegnato con: Bioenergetica e Mindfulness, Centro Studi, classi d'esercizi, classi d'esercizi. nicoletta cinotti, Kabat Zinn, lavorare con le emozioni, mindfulness, nicoletta cinotti blog, pratica formale, pratica informale, protocollo MBCT, protocollo mbsr, regolazione degli affetti, self compassion

  • Vai alla pagina 1
  • Vai alla pagina 2
  • Vai alla pagina 3
  • Pagine interim omesse …
  • Vai alla pagina 18
  • Vai alla pagina successiva »

Footer

Sede di Genova
Via XX Settembre 37/9A
Sede di Chiavari
Via Martiri della Liberazione 67/1
Mobile 3482294869
nicoletta.cinotti@gmail.com

Iscrizione Ordine Psicologi
della Liguria n°1003
Polizza N. 500216747, Allianz Spa
P.IVA 03227410101
C.F. CNTNLT59A71H980F

  • Condizioni di vendita
  • Privacy e Cookie Policy
  • FAQ
  • Iscriviti alla Newsletter

Le fotografie di questo sito sono state realizzate da Rossella De Berti e Silvia Gottardi
Concept e design Marzia Bianchi

Impostazioni Cookie

WebSite by Black Studio