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pratica di meditazione

L’attesa

11/02/2018 by nicoletta cinotti 2 commenti

C’è una casa di tronchi
con il tetto di tavole, a sinistra.
Non è quella che cerchi. E’ quella
appresso, subito dopo
una salita. La casa
dove gli alberi sono carichi
di frutta. Dove flox, forsizia e calendula
crescono rigogliose. E’ quella
la casa dove, in piedi sulla soglia,
c’è una donna
con il sole nei capelli. Quella
che è rimasta in attesa
fino ad ora.
La donna che ti ama.
L’unica che può dirti:
“Come mai ci hai messo tanto?

Raymond Carver

Foto di © davidemauro

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La storia del crepaccio è la storia della vulnerabilità

05/01/2018 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Per Natale mi hanno regalato un CD di Leonard Cohen. Così tutti i giorni lo ascolto e lo sento ripetere quella frase ormai famosa: C’è un crepa in ogni cosa è da lì che entra la luce. C’è anche un poema di Rumi che recita esattamente la stessa strofa: chissà se la frase arriva proprio da lì! Certo mi colpisce questa frase che ripete – con dolcezza – quello che tutti i giorni ognuno di noi sperimenta: la nostra vulnerabilità.

Facciamo molto per curarla e, a volte per evitarla. Eppure è da lì che parte ogni spinta verso il cambiamento. Non è lo scorrere placido delle acque del fiume che ci fa cambiare direzione. Sono gli ostacoli. Il torrente canta quando incontra gli ostacoli e anche noi, in qualche modo, cantiamo proprio quando siamo di fronte alla nostra vulnerabilità. Senza queste piccole e grandi fratture la nostra vita avrebbe preso un altro corso.

Così onorare la nostra vulnerabilità è il primo passo. Il secondo può essere esplorare con consapevolezza cosa facciamo quando ci sentiamo vulnerabili. Andiamo verso il rimprovero o verso la compassione? Cerchiamo di correre prima possibile ai ripari, spinti dal nostro perfezionismo, o cerchiamo aiuto? Tendiamo a isolarci o a cercare contatto? E come rispondiamo alla vulnerabilità delle persone che amiamo? Per strano che possa sembrare spesso, la prima reazione alla vulnerabilità è la rabbia. Soprattutto se riguarda una persona che amiamo. Ci arrabbiamo perchè è in pericolo, ci arrabbiamo perchè siamo spaventati.

Così, ad essere onesti, guardare il crepaccio che sta nella vita, guardare la crepa che c’è in ogni cosa, non è affar semplice. Abbiamo proprio bisogno della dolce voce di Cohen per farlo. Oppure della luce della nostra self compassion.

Perchè le persone più difficili da perdonare non sono gli altri: siamo noi.

Viviamo in un mondo vulnerabile. E uno dei modi che abbiamo per relazionarci con la vulnerabilità è cercare di offuscarla…La ricerca scientifica ci insegna però che non possiamo offuscare selettivamente una emozione. Non possiamo dire non voglio il dolore, non voglio la vergogna o la delusione. Non possiamo offuscare solo i sentimenti difficili senza offuscare tutte le nostre emozioni. Non possiamo offuscare selettivamente ciò che non ci piace. Se offuschiamo queste emozioni offuschiamo anche la gioia, la gratitudine, la felicità. Brenè Brown

Pratica di mindfulness: Self compassion breathing

© Nicoletta Cinotti 2018 A scuola di grazia e non di perfezione

Foto di © morillo

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Disporsi all’espressione

25/11/2017 by nicoletta cinotti

Ci sono delle cose che, una volta comprese, non le abbandoni più. Perché illuminano il percorso e anche perché, la loro semplicità le rende straordinarie.

Nella formazione per diventare psicoterapeuti siamo abituati all’astrazione e, dico tra me scherzando, alla complicazione. La vita reale poi è molto più semplice e diretta: essenziale. Per questa ragione molte persone trovano estraneo il linguaggio della psicologia. Troppo teorico o troppo astratto.

È stato per questo che quando ho letto Lowen l’ho trovato straordinario: non era teorico. Era reale, immediato, diretto. E la sua idea – quella che tuttora continua ad illuminare il mio lavoro – è la base del Sé corporeo. Cosa siamo, alla fine, noi uomini? Siamo persone che cercano di essere consapevoli, di esprimersi e di avere padronanza su quello che accade.

Se guardiamo a questi tre aspetti – self awareness, self expression e self-possession (consapevolezza corporea, capacità espressiva e padronanza di se) comprendiamo cosa funziona e cosa non funziona nella nostra vita (e nel nostro lavoro)

A volte siamo molto consapevoli ma incapaci di dare espressione a noi stessi. Altre volte abbiamo molta padronanza ma non sufficiente consapevolezza o libertà espressiva. Alla fine, la nostra salute emotiva e il nostro senso della felicità si basano sull’equilibrio tra questi tre aspetti. E quello che è più fragile e delicato è proprio quello espressivo. Possiamo avere anche molto successo – o una relaziona molto stabile – ma se non sentiamo la possibilità di esprimere chi siamo davvero, non siamo soddisfatti né tantomeno felici.

[box] L’inibizione dell’espressione emotiva porta ad una perdita di sensibilità e di vitalità e quindi comporta anche una successiva perdita di consapevolezza. Alexander Lowen[/box]

L’inibizione dell’espressione emotiva

Esprimersi emotivamente non è facile: possiamo essere dei gran parlatori eppure evitare accuratamente di esprimere intimamente quello che sentiamo. Le ragioni possono essere molte. La più frequente è la paura di venir giudicati per la nostra interiorità. Giudicati dagli altri e da noi stessi, come se svelare quello che sentiamo ci rendesse esageratamente vulnerabili. Non pensiamo mai a quanto perdiamo non esprimendo le nostre emozioni, sia in termini di consapevolezza che in termini relazionali. Sottraendo la nostra comunicatività lasciamo gli altri incapaci di comprendere dove siamo davvero e quali sono i confini reali della nostra relazione.

Per questa ragione in bioenergetica l’aspetto espressivo non è mai sottovalutato. Quando parliamo di espressività non facciamo però riferimento solo alla comunicazione verbale ma, in senso più ampio, alla capacità di comunicare sulla base di ciò che sentiamo emotivamente. In questo senso le parole necessarie sono davvero poche, a volte pochissime. Iniziamo spesso dal ristabilire il ritmo del No e del Si per riportare sensibilità nel corpo. È una espressività che viene accompagnata dalla consapevolezza e padronanza. Come dice Lowen:

Se da una parte la persona è incoraggiata a esprimere ciò che sente, dall’altra viene aiutata ad esercitare un controllo consapevole di tale espressione. La finalità non è quella di inibire o limitare il sentire ma di renderne efficace, economica e appropriata l’espressione.

All’equilibrio espressivo, per Lowen, si arriva proprio attraverso la coordinazione, attraverso l’integrazione di tutte le parti di noi

Dal gesto alla parola

Dal gesto alla parola è stato il titolo della mia tesi di laurea in psicologia. È stata una gioia quando ho scoperto che due eminenti linguisti come Werner e Kaplan, autori di due volumi che sono stati una pietra miliare “La formazione del simbolo” affermavano che le parole nascono come gesti e, solo successivamente diventano linguaggio. La radice della nostra comunicazione perciò è corporea. Il bambino somatizza le parole in una sorta di appropriazione fisica delle loro caratteristiche sensoriali e solo quando è in grado di avere un pensiero simbolico permette che diventino espressione verbale convenzionale.

La comunicazione gestuale ha la stessa struttura della comunicazione linguistica e rimarrà come mezzo comunicativo di sfondo anche una volta che il bambino avrà iniziato a parlare.Nel corpo qiundi nascono le nostre parole. Parole essenziali.

[box] “Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere.” Emily Dickinson[/box]

Disporsi all’espressione

Man mano che il pensiero simbolico si sviluppa iniziamo ad avere un linguaggio anche molto lontano dal corpo e dalle sensazioni ma questa porta d’accesso non rimane mai serrata. È sempre una strada percorribile a ritroso, per ritrovare le parole che parlino davvero al nostro cuore, dobbiamo percorrerla più e più volte.

Tanto più le parole che diciamo sono teoriche e astratte, tanto meno suscitano una risonanza emotiva. Tanto più sono corporee e concrete tanto più aprono spazi e territori della consapevolezza.

Così arriviamo alla pratica di meditazione e scrittura: per riportare alla luce le parole del corpo. La pratica di Mindfulness è una pratica di intuizione profonda che apre la porta all’intimità con noi. E quell’intimità ha bisogno di essere coltivata con parole semplici ed essenziali. Parole che ci ricordino la nostra vera natura e, forse, i nostri veri bisogni.

È per questo che, insieme a Valeria Maggiali, la nostra Yoga Teacher, abbiamo pensato di creare una sequenza che aiuti a disporsi alla meditazione e alla scrittura. È stato un gioco divertente che abbiamo fatto insieme, pensando a te!

Dandasana: la sequenza di Asana di Valeria Maggiali

La scrittura a mano mette in moto movimenti e muscoli completamente diversi rispetto alla scrittura digitale, fatta battendo su una superficie piana. Così Valeria Maggiali ha ideato una sequenza di asana di preparazione alla scrittura, in cui sentire il corpo, per fare spazio al silenzio, dove abitano le parole, per dare vita ai gesti che si trasformano le parole.

Dandasana: Seduti con la schiena dritta e le gambe distese in avanti alla distanza dei fianchi, le braccia lungo il corpo e le mani con i polpastrelli delle dita puntati. Ad ogni inspirazione premere i polpastrelli e gli ischi a terra mentre si allunga la colonna verso l’alto. Ad ogni espirazione sgonfiare il petto e premere l’ombelico verso la colonna e verso l’alto. Le gambe attive, premute verso terra, compresi il cavo dietro il ginocchio e i talloni.

In Dandasana eseguire la sequenza: inspiro e unisco gli avambracci fino a far combaciare i mignoli, mi preparo all’ascolto. Espiro, allontano le braccia e ricevo. Inspiro, piego le braccia verso l’alto fino ad avere i gomiti all’altezza delle spalle, guardando le mani contemplo ciò che ho ricevuto. Espiro, porto le braccia dietro la testa, tenendo gli avambracci premuti e trasformo in riflessione ciò che ho ascoltato. Ripeto per 5 volte.

In Sukasana metto le mani dietro la schiena con le dita rivolte verso i glutei, premendo sui polpastrelli apro il petto verso l’alto, a ciò che verrà. Torno in Sukasana e mi ringrazio per questi minuti di pratica e passo le mani unite in anjali mudra sulla fronte ripetendo mentalmente “benevolenza nei pensieri”, sulla bocca “ benevolenza nelle parole” sul cuore, “benevolenza nel sentire”. Termino con un respiro.

Ripeto la sequenza fino al momento in cui mi sento pronto a scrivere. Scrivere anche solo una parola, un elenco di parole, una breve lettera. Senza paura della sintassi, senza paura della grammatica.

Senza paura della sintassi, senza paura della grammatica.

Qualche anno fa Luisa Carrada, che molti di voi conoscono, scrisse un quaderno scaricabile dal suo blog: sulla relazione e aiuto reciproco tra yoga e scrittura. Se volete approfondire questo tema è una lettura fondamentale. Luisa permette di chiarire, con la sua consueta limpidezza, i vari passaggi della scrittura di un testo e di come questi sono omologhi alla pratica dello yoga che lei conosce molto – forse altrettanto – bene che quella della scrittura.

Un’altra grande maestra di meditazione e scrittura – ma non so se lei sarebbe d’accordo con questa definizione – è Chandra Livia Candiani Le sue raccolte poetiche, in particolare La Bambina pugile ovvero la precisione dell’amore, sono piene di riferimenti alla pratica di meditazione e a quello che lei chiama “l’insegnamento del soffio”

Cerco riparo

nella voce nuda,

nell’insegnamento del soffio,

chiedo rifugio

nel legame delle foglie,

la conta dei sassi,

il silenzio

che brucia nella corsa.

Faccio monastero

nel petto acceso di respiro,

nell’origine e nella fine

di una sillaba…Chandra Livia Candiani

Solo grazia e non perfezione

Non vorrei però dare un’immagine aulica di quello che significa disporsi all’espressione, né della pratica di meditazione e scrittura. Il nostro desiderio di perfezione ci allontana dall’autenticità, come racconto nell’articolo pubblicato su Yoga Journal di Novembre (non l’hai comprato? Niente paura lo trovi online qui)

In realtà le parole fioriscono nella realtà della nostra vita, come gemme o come pugnali. Anche la pratica è in mezzo al quotidiano, per cui, in accordo con Valeria, vorrei mostrarvi anche le foto del backstage: tanto reali quanto piene di grazia

 

 

 

[box] Sono come un cristallo le parole. Alcune un pugnale, un incendio. Altre rugiada appena. Eugenio de Andrade[/box]

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La fine di un giorno

20/08/2017 by nicoletta cinotti Lascia un commento

“…Che la fine di un giorno
é l’unica possibilità di vita
dell’altro,
Che il buio e la luce non sono che
due diverse condizioni
del sole
…che la notte conserva
sotto la coltre tutto
lo splendore
dei bianchi e dei gialli
e…che la luce copre la notte,
senza dimenticarla:
come una bestia,
la sua preda
e solo…
se la magia del giorno
é un breve furto di tempo
perpetrato mille volte mille
al traguardo finale,
credo che tutto ciò che di
assoluto, e di sovrumano
ha la vita,
é una breve concessione della Morte”

Anna Marchesini

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Quanto gioca il fattore tempo?

19/08/2017 by nicoletta cinotti Lascia un commento

In uno studio classico condotto anni fa al Princeton Theological Seminary fu detto ad alcuni studenti di teologia che avrebbero dovuto tenere un sermone di prova, sul quale sarebbero stati valutati. A ciascuno studente fu assegnato un argomento dalla Bibbia. Metà ricevette come argomento il Buon Samaritano, l’uomo che si fermò per aiutare uno straniero bisognoso ai margini della strada. All’altra metà vennero affidati altri argomenti scelti a caso.

Trascorso un certo lasso di tempo destinato alla preparazione del discorso, uno a uno uscirono dall’istituto per andare a tenere il loro sermone. Mentre andavano da un edificio all’altro, passarono davanti a un uomo piegato su se stesso e che si lamentava, in evidente stato di bisogno e di dolore. I ricercatori volevano sapere se gli studenti si sarebbero fermati ad aiutarlo. E, ancora più interessante, il fatto che stessero riflettendo sulla parabola del Buon Samaritano aveva influenza oppure no?

Si scoprì che la cosa più importante era a quale pressione credevano di essere sottoposti in termini di tempo, e in un certo modo la cosa è vera anche per molti di noi. Abbiamo le nostre liste di cose da fare, abbiamo più email e altri messaggi elettronici di quanto sia mai accaduto nella storia dell’uomo. Il problema è: quanto siamo lontani dal notare gli altri, dal sintonizzarci su di loro, dall’entrare in empatia, dall’essere preoccupati dei loro problemi? Credo che il fattore chiave per provare compassione –per essere un bambino, un adulto o persino un collega o un cittadino che si prende cura degli altri –sia sintonizzarsi sui problemi della gente ed essere disponibili a fare qualcosa al riguardo.

Daniel Goleman

© www.nicolettacinotti.net  Addomesticare pensieri selvatici 2017 Foto di © Zaporogo

 

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La forza dello sguardo

18/08/2017 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Vicino a casa mia è difficile parcheggiare. Soprattutto d’estate. Soprattutto perché molte strade sono a vicolo chiuso. Devi essere abituato alla Liguria per parcheggiare e mettere insieme un po’ di creatività, un rispetto delle regole non troppo rigoroso ma nemmeno troppo azzardato e velocità, per non lasciarti scappare il posto.

Scendendo verso il mare faccio una strada a vicolo cieco che si trasforma in una scalinata. È una discesa ripida. Da un lato le case, dall’altro macchine parcheggiate a pettine. C’èra una macchina che stava tentando una difficile retromarcia in salita. Dentro una donna e nel sedile posteriore due bambini piuttosto piccoli. Davanti, in lontananza, un signore a braccia conserte che guardava la scena. C’èra qualcosa nell’insieme che non mi piaceva anche se non capivo cosa fosse. Continuo a scendere, supero la macchina, mi avvicino all’uomo “Lo sa che non fa piacere essere guardati mentre si fa una manovra difficile?” – uscire da quella strada in retromarcia è una manovra molto difficile – “Lo so – mi risponde – ma ho la macchina parcheggiata là e voglio essere sicuro che la signora non mi faccia danni”. Metto a fuoco cosa c’era in quella situazione che mi dava fastidio. Torno indietro, dalla donna, le chiedo di aprire il finestrino. Mi accorgo che è nel panico e i due bambini dietro piangono. Era paralizzata dalla paura di sbagliare: paralizzata da quello sguardo. La invito a scendere giù per fare inversione di marcia in un piccolo spazio. Mi risponde che non è possibile. La rassicuro, le dico che le faccio da assistente. Scende, gira la macchina con poche manovre e riparte veloce salutandomi con la mano. Perché gli occhi possono fare tantissimo. Aiutare o paralizzare. Mostrare una via d’uscita o essere annoiati. Oppure scivolare indifferenti. Possono preoccuparsi di sorvegliare la propria proprietà o considerare le persone un bene proprio, che vale la pena aiutare. Più importanti delle cose.

Stamattina, appena sveglia, ho cercato notizie di Barcellona, come molti di noi e ho provato ad aprire tre video su Twitter, fatti durante l’attentato. Il contenuto è stato bloccato. Altrove ho letto l’invito a non far diventare virali le foto dell’attentato. L’invito è a non diffondere l’orrore. È un invito però che può essere letto in tanti modi: lasciate che siano le forze antiterrorismo che guardano. Lasciate che se ne occupi l’autorità. Io spero che quell’autorità non assomigli al signore che osservava a braccia conserte la difficoltà ad uscire da quella situazione, con lo scopo di preservare la sua macchina. Con lo scopo di intervenire se avveniva un danno – prendere, giustamente, il numero dell’assicurazione – e andarsene. Quel signore aveva ragione: faceva solo quello che stava nel suo interesse ma non vedeva la situazione nel suo complesso. Non considerava l’impatto che il suo sguardo poteva avere. Un impatto che molto spesso tendiamo a dimenticare. Perché, oltre che guardare, bisogna anche vedere. E vedere ha la misura del cuore non dello sguardo.

Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande “I CARE”. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori: “me ne importa, mi sta a cuore”. Don Lorenzo Milani

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© Nicoletta Cinotti 2017 La retta comprensione “Verso un’accettazione radicale”

Foto di © Gianni Golia (giannigol)

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