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bambini e mindfulness

Dare attenzione e ricevere attenzione

20/05/2017 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Dare attenzione è, per la maggior parte del tempo, una affermazione della vita. La salute interiore migliora quando onoriamo il bisogno di riconoscere e verificare ciò che è presente. In qualche modo questo convalida la nostra esperienza e ci connette al mondo. Avere attenzione è anche espressione di come ci curiamo. Il nostro desiderio di approvazione ci spinge a cercare un riconoscimento e una verifica. Essere visti dà sollievo alla nostra angoscia, alla nostra paura di essere insignificanti, almeno temporaneamente.

Questi aspetti – ricevere attenzione e dare attenzione – sono inclinazioni abrasivamente opposte. Per molti di noi andare avanti significa trovare modi per ricevere attenzione. Ma troppo spesso, una volta che siamo andati avanti, siamo ancora coinvolti nel processo di ricevere attenzione anziché in quello di dare attenzione in un modo che diventa controproducente,

Possiamo facilmente vedere questi aspetti in ogni professione. Prendiamo ad esempio un medico, un artista, un politico. Alcuni di loro si sentono spinti a nascondere chi sono per raggiungere una posizione di visibilità. Ma facendo così un artista può perdere proprio quell’intuizione che ha realizzato dando attenzione alla propria ispirazione; un politico può perdere la propria spinta idealistica e un medico può indurire il proprio atteggiamento di cura.

(…)Troppo spesso, una volta che abbiamo trovato la nostra strada, lo slancio di ottenere ci impedisce di dare e portiamo a gallo un tipo sbagliato di potere. Può succedere a tutti. Questa è, temo la vera ragione per cui, molti di noi, cercano l’amore. Siamo così ossessionati dal ricevere attenzione che, a un certo punto sviluppiamo una capacità manipolativa e non una vera e profonda capacità di connessione. E una volta raggiunta la posizione in cui ci sentiamo amati, continueremo a prendere abusando e indebolendo chi ci ama. Ancora una volta dovremo prendere atto che dare attenzione e ricevere attenzione non sono la stessa cosa e che ricevere può trasformarsi in una aberrazione squilibrata e autocentrata.

Questa confusione tra dare e ricevere attenzione può essere così grande che spesso preferiamo essere molto conosciuti piuttosto che conoscere bene. Essere “grandi” piuttosto che essere autentici. E desideriamo avere celebrità piuttosto che qualcosa da celebrare. Mark Nepo “The exquisite Risk”

© www.nicolettacinotti.net Rubrica Addomesticare pensieri selvatici Foto di ◕‿◕colpo d’occhio◕‿◕

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La meditazione ci cambia: non sappiamo dove

13/05/2017 by nicoletta cinotti Lascia un commento

La meditazione ci cambia – mostra quello che serve – non necessariamente quello che vogliamo.

Le motivazioni per iniziare un protocollo di riduzione dello stress, per avvicinarsi alla mindfulness o alla meditazione in senso più allargato, possono essere svariate. Possono esserci motivazioni molto specifiche, come far fronte ad una malattia dolorosa o ad una situazione lavorativa estremamente difficile da gestire. Si percepisce un senso di sofferenza e ansia soffuso e permeante, ma difficile da attribuire a qualcosa nello specifico. Si prova l’esigenza di cambiare, di approcciarsi a qualcosa di nuovo. Si è semplicemente curiosi e con una sana dose di scetticismo si decide di intraprendere tale percorso.

Prendere familiarità

C’è una parola tibetana che mi ha colpito molto durante le mie letture. Gom, uno dei modi per dire meditazione. Questa parola è traducibile anche con “familiarità”, “prendere familiarità con”. Non importa che sia una parola tibetana, importa che sia una parola legata alla pratica. La Mindfulness si fonda sulla pratica Buddhista, come versione “clinica” e concisa della vipassana (una sorta di punta dell’iceberg), e su di essa si basano anche altre pratiche. Questa parola, Gom/familiarità, fornisce un’immagine preziosa. Praticare è prendere familiarità con. Prendere familiarità con il nostro modo di essere, con la nostra sofferenza, con quello che accade nel nostro corpo e nella nostra mente. Dalla semplice attenzione al respiro ci apriamo a un mondo estremamente vicino, ma a cui sovente dedichiamo poca, se non alcuna attenzione.

Un quadro della realtà

Questo prendere familiarità è un modo sincero di guardare le cose così come sono. Più autori hanno spiegato come la pratica sia un andare contro corrente. Quello che fa il nostro sé nella vita di tutti i giorni è semplice, avvicinarsi alle cose belle e piacevoli e fare il possibile, con tutti gli strumenti a tiro, per mantenerle. Quando arrivano quelle spiacevoli o quando quelle piacevoli cessano di essere, il sé si rimette in moto. Se gli strumenti a disposizione sono molti, la soluzione per allontanarsi dalla sofferenza può esser più raffinata, ma alla fine, per quanto possiamo esser bravi pittori, ci ritroviamo a dipingere un quadro – magari bellissimo – della realtà, non a notare la realtà stessa nella sua pienezza.

Un diverso cambiamento

Questo è un circolo vizioso che si auto-alimenta, e quando iniziamo a praticare le cose cambiano. Cambiano in maniera diversa, con tempi diversi, ma cambiano. Piano piano la nostra consapevolezza ci permette di notare uno spiraglio di realtà “pulita” alla volta. Pulita nel senso di scevra da aggiunte, o anche nel senso di consapevoli di tali aggiunte.

Nel momento in cui la consapevolezza ci porta ad esser più familiari, sinceramente, con il nostro panorama interno ed esterno, potrebbe anche darsi che ci metta di fronte a qualcosa di spiacevole. Qualcosa che non vorremmo vedere, con cui non vorremmo avere niente a che fare. La pratica non aggiunge nulla, pulisce piano piano le lenti dei nostri occhiali.

Qualcosa che non vorremmo vedere

Arriva il momento in cui si pensa di voler chiudere, volersi fermare. Ci sono cambiamenti ma non quelli che volevamo. Non ci sono cambiamenti alla velocità in cui li volevamo. Ci sembra di esser punto e a capo. In questi casi si riaffaccia il sé con i suoi basilari desideri.

La pratica però agisce – basti considerare anche il nome “pratica” – grazie alla continuità. Se per una vita abbiamo lasciato ogni genere di erbaccia e creatura nel nostro giardino incustodito, ci vorrà una gentile e disciplinata pazienza perché questi possa tornare a mostrare il suo innato splendore. Certe erbacce sembreranno irremovibili, ma con costanza avremo modo di scovarne le radici e, per quanto profonde, una volta trovate e sradicate sarà più semplice.

L’energia per praticare

Costa energia praticare, ma possiamo anche formulare la frase in modo diverso. Richiede energia. Suona già diversa dentro la mia testa. Per esperienza personale, quando ho iniziato a notare i cambiamenti portati dalla pratica nella mia vita, ho capito che mi tornava energia indietro, ho capito quanto fosse più che altro un investimento. Esser più presenti alle proprie reazioni e non far scoppiare un litigio, esser compassionevoli in un momento di difficoltà e ascoltare genuinamente l’altro. Piccole cose, una dopo l’altra, mi hanno ridato l’energia che avevo speso e hanno contribuito a darmi anche la volontà di investire ancora. E la pratica non è di beneficio esclusivo e personale. Se cambia il modo di stare in relazione con sé stessi e cambia la capacità di ascolto, questa cambia anche nei confronti degli altri.

©Niccolò Gorgoni  2017 Foto di ©V. Noc69

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Affetti da un esagerato realismo

08/11/2016 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Se dovessi dire cos’è che rende attive nel presente le difese del passato direi che è una forma – esagerata – di realismo. Molte delle nostre precauzioni, preoccupazioni, cautele, disagi, sono ragionevoli. Si basano su esperienze realmente vissute nel passato. Su fatti che abbiamo imparato sulla nostra pelle. E sofferto, sempre sulla nostra pelle. Per questa ragione siamo poco disponibili a cambiare idea e a ridurre le nostre cautele: gli altri non possono capire che cosa abbiamo sofferto. A volte, addirittura, pensiamo di aver sofferto solo noi (anche se non è così!)

Detto questo ampliamo la nostra esperienza – in un eccesso di cautela e generalizzazione – come se mettessimo in pratica il proverbio toscano che dice “Meglio aver paura che buscarne”. E quindi, per non correre altri rischi, cadiamo in un eccesso di realismo – che a volte è anche un eccesso di cinismo – e non ci aspettiamo altro se non la ripetizione della sfortuna che abbiamo già vissuto.

Costruiamo e manteniamo così i nostri schemi di risposta automatici, come se le cose fossero sempre destinate a ripetersi. Non è così: le cose sono sempre nuove. Abbiamo solo bisogno di vederla questa novità e per farlo dobbiamo essere radicati nella realtà e non “realisti”. Dobbiamo stare nel vero e non nel “verosimile”. Dobbiamo correre il rischio di dimenticare il passato, per stare nel presente.

Uno schema automatico di risposta si costruisce sulla base di una esperienza nel passato – infanzia o adolescenza – e porta con se un esagerato realismo, che a volte può essere molto intenso, anche se viene attivato solo se ci sono certe condizioni ed è dormiente per la maggior parte del tempo. Wendy Behary

Pratica di mindfulness: Il panorama della mente

© Nicoletta Cinotti 2016 Il mese della gentilezza Foto di ©Burdizo

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Essere destinati ad amare un altro essere umano

24/09/2016 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Essere destinati ad amare un altro essere umano. Forse questo è il più difficile di tutti i nostri i nostri compiti, il più importante, l’ultimo esame, l’ultima prova da superare, il lavoro che rende ogni altro un mero esercizio preparatorio.

Proteggersi reciprocamente dalla propria solitudine: ritengo che sia questa la più elevata missione di un legame tra due persone.

Rainer Maria Rilke

Addomesticare pensieri selvatici @www.nicolettacinotti.net  Foto di ©SalvatoreSecondo

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