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centro studi nicoletta cinotti

La mente è una nuvola

17/08/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Se potessimo guardare come funziona la nostra mente vedremmo punti luminosi che si accendono e spengono in tutto il corpo e nel cervello. Qualcosa di molto simile ad una nuvola di connessioni luminose che avvengono contemporaneamente in parti diverse del corpo e della testa. Quel cloud di parole che a volte vediamo scritte con parole a caratteri più grandi e altre più piccole a seconda della forza della connessione.

La nostra mente è associativa: un aspetto ne suscita un altro, che si ramifica in un altro ancora. È per questo che se soffriamo di attacchi di panico, o se abbiamo avuto un trauma, aspetti apparentemente banali possono scatenare una crisi. Diventano interruttori – punti trigger – che innescano una catena associativa (assolutamente non logica).

Così, improvvisamente, possiamo venir attraversati da stati d’animo molto intensi e siccome abbiamo bisogno – assoluto – di dare significato a quello che proviamo, finiamo per “dare la colpa” a qualcosa che è avvenuto precedentemente. Anche se non ha nulla a che vedere con quello che è successo. Proprio nulla. Ma noi abbiamo bisogno di capire, di dare un significato: l’assenza di significato è angosciosa. Così, molto spesso, attribuiamo significati a caso. Significati che ci lasciano inquieti e dubbiosi perché sappiamo che non sono autentici.

Questa è la brutta notizia. Poi c’è la buona notizia che è veramente buona.

La buona notizia è che se impariamo – e non è difficile farlo – a dare nome a quello che sentiamo (il nome giusto come nei cruciverba) disattiviamo, senza sforzo, questi interruttori. Dai alla mente qualcosa che la calma, che è la giusta descrizione. E ogni parola della giusta descrizione va a costruire un significato autentico. Non uno credibile ma sbagliato. Uno autentico e che ci calma. Ogni nome giusto è come la tessera di un puzzle. Tante tessere formano un’immagine e nessuna tessera è più importante di un’altra: tutte contribuiscono all’immagine, a renderla completa. Ecco perché il diario della pratica è utile. Non importa però se non riesci a scrivere: ogni volta che sei attraversato da una sensazione intensa dai nome alle sensazioni fisiche, alle sensazioni emotive e ai pensieri. Nomi semplici, come quelli di una cantilena da bambini. E vedrai, come per incanto, quanto quei nomi ti calmano e ti accompagnano.

Aaron Antonovsky, sociologo della medicina, ha cercato di chiarire quali fossero i tratti psicologici che permettono ad alcuni di resistere allo stress estremo, mentre altri non ci riescono. La sua ricerca lo ha portato ad evidenziare tre caratteristiche – coerenti tra di loro – la comprensibilità, la gestibilità e la significatività. Cioè chi è molto resiliente allo stress è convinto che la sua condizione abbia un significato al quale si possono dedicare; sono convinti di poter gestire la loro vita; e che la situazione sia comprensibile anche se appare caotica e fuori controllo. Williams, Penman

Pratica di mindfulness: Spazio di respiro di tre minuti

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBCT online

 

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Quattro declinazioni della mente

01/08/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Succede spesso che qualcosa mi venga alla mente: un ricordo, un’immagine, un pensiero apparentemente sconnesso da quello che sto facendo. Quando qualcosa emerge alla nostra consapevolezza – sì perchè la consapevolezza è anche un fenomeno spontaneo, che avviene, improvvisamente, nostro malgrado – abbiamo tre possibilità di scelta:

  1. Chiudere la mente: ignorare quello che è emerso e trattarlo come se non fosse mai esistito. Rimane un piccolo brusio che riaffiora in tutta la sua forza quando la previsione di quel momento si realizza; io lo chiamo effetto Cassandra
  2. perdersi nei pensieri: incominciare a vagare e immaginare scenari fantastici o terribili che, a partire da lì potrebbero realizzarsi. Alla fine non sappiamo più cos’era vero e cos’era falso e come dovremmo muoverci; io lo chiamo effetto Guerre stellari
  3. Aprire la mente: sperimentare i pensieri e le sensazioni che emergono senza giudicarle, con interesse e curiosità, sapendo che a volte sono storie che ci raccontiamo. Altre volte consapevolezze nascenti; io lo chiamo effetto mindfulness.
  4. A volte quello che emerge è la voce, ancora flebile perchè non ascoltata, di una parte di noi. Ci parla, approfittando dello spazio lasciato libero dalla nostra distrazione. Questo potrebbe diventare l’effetto Reparenting, se solo avessimo voglia di ascoltare e dare una forma a quello che è emerso. Dare una forma non significa mettergli noi un vestito. Significa, al contrario, chiedere che vestito ha, quanti anni ha, cosa vuole da noi. Come se fosse un incontro casuale fatto ad una festa che ha risvegliato la nostra curiosità. Che fortuna quando la curiosità si risveglia!

Alla fine che senso ha chiudere fuori dalla porta la propria vita, cercando di ignorarla? In fondo sia l’effetto Cassandra che l’effetto Guerre stellari sono tanto scenografici quanto illusori. Tanto vale aprire la mente a quello che c’è nel momento in cui c’è. Tanto vale ascoltare le nostre voci e domandarsi se ci stanno portando dei personaggi della nostra famiglia interiore. non andremo in pezzi se lo facciamo. Anzi, riporteremo ad unità quello che abbiamo inutilmente diviso e separato per amore di una monomente che esiste solo nei vecchi, vecchissimi libri di psicologia.

È nello stato naturale della mente avere delle parti – non sono il prodotto di un trauma o dell’interiorizzazione di voci o energie esterne. È semplicemente il modo in cui siamo fatti ed è un bene, perché tutte le nostre parti hanno qualità e risorse preziosi da donarci. Richard Schwartz

Pratica di mindfulness: Mindfulness ed emozioni: riconoscere, accogliere, nominare

© Nicoletta Cinotti 2023 Reparenting ourselves Diventare genitori di sé stessi

 

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Non fermare il fiume

24/06/2023 by nicoletta cinotti

Non fermare il fiume

Sono numerose le situazioni in cui da genitori si vorrebbe dire solo “stop” e l’atteggiamento che si ha è esattamente quello di bloccare la palla e di smettere di giocare. Senza voler sapere come sarebbe andata altrimenti.

Ora basta!

E’ come se a un certo punto si dicesse: “Basta, non andiamo oltre”. O meglio “non impariamo oltre”, perché la dinamica coinvolge i processi di apprendimento ed esplorazione, tanto del mondo interno quanto del mondo interno.

Uno dei modi di farlo è stoppare la curiosità, che è  la base del processo stesso dell’imparare. Un altro modo è il voler  fermare le emozioni dell’altro, nel momento in cui noi stessi non siamo in grado di sostenerle. Un altro modo ancora è smettere di chiedere qualcosa quando un figlio non ci ascolta.

Osservare queste dinamiche di chiusura, i modi in cui “sbattiamo la porta”, diventa il modo migliore per trovare un’alternativa di apertura e condivisione, per dare spazio alla relazione con i nostri figli.

Oltre la risposta giusta

Si pensa che ad ogni interrogativo debba esistere un’unica, giusta, risposta, dimenticando che ogni domanda è un processo vitale, vivo, che è meglio alimentare piuttosto che spegnere in fretta. Pensiamo alle domande dei bambini, nel momento degli estenuanti “perché”, ma anche a qualsiasi domanda un figlio possa fare a un padre e una madre, per saperne di più sul mondo di cui è parte.

Quando non si conosce la risposta, o quando non si sa cosa dire, spesso si preferisce estinguere l’argomento il prima possibile. Succede o perché si è distratti o semplicemente perché si è talmente focalizzati sul risultato da non apprezzare più il processo stesso dell’imparare -che nelle relazioni è un’azione che si può compiere in due.

Si dice che, per disegnare dal vero, è più utile concentrarsi sull’oggetto che si guarda che sul foglio su cui tracciamo le linee. Le domande sono ciò a cui guardare per imparare.

Per cui, se non sappiamo una risposta, potremmo invitare all’immaginazione, o dire qualcosa come “Scopriamolo insieme”: trovare quindi una risposta che apra orizzonti invece che chiuderli, ammettendo i propri limiti, ponendosi sullo stesso livello e condividendo la curiosità. Quando capita che, non certi del risultato, glissiamo e diamo risposte sterili o affrettate, non impara nessuno, perché si ferma il gioco.

Si impara in due nel momento in cui si sposta l’attenzione dal risultato al processo; allora si è in grado di notare, per esempio, la bellezza di una domanda che mai ci sarebbe venuta in mente, gli spunti che fa sorgere, il significato di esplorare insieme le risposte possibili. Si abitua il figlio a vivere in uno spirito di curiosità e apertura al mondo, che non è fatto di risposte univoche e unilaterali, ma è dialogo e anche mistero

Il diritto di sentirsi come ci si sente

Come si dice “stop” alla curiosità si può dire “stop” alle emozioni, rischio ancor più frequente e diffuso.

Quante volte sentiamo le frasi “Non essere triste”, “Non essere arrabbiato/a”, “Non devi avere paura”? Crediamo di voler essere di aiuto, ma lo diciamo quando non siamo a nostro agio con le emozioni degli altri. Non vorremmo che l’altro avesse paura, non vorremmo che fosse arrabbiato, non vorremmo che fosse triste, perché questo ci fa soffrire, perché vorremmo solo il suo bene.

Il problema è che le emozioni non si fermano a comando. Soprattutto, proprio come le domande, è meglio farle fluire piuttosto che fermarle o liquidarle. Quando diciamo a una persona “Non essere triste”, creiamo una disconnessione tra quella persona e il suo stato d’animo: non permettiamo che quella persona si senta come si sta sentendo, togliendole il diritto di provare un’emozione che è spiacevole anche per noi.

Lo mettiamo nero su bianco quando diciamo “non voglio vederti così”, “mi fa male vederti così”. Eppure quella persona, che vorremmo vedere diversa, in quel momento è proprio così. E non cambierà solo perché glielo si dice, piuttosto verrà indotta a credere che sentirsi come si sente sia un errore.

Ragioniamo a frasi fatte, chiuse, anche quando dichiariamo i motivi di un comportamento dell’altro che non ci piace. Per esempio, un figlio è irritabile e non ha voglia di studiare. Allora può capitare di dire “Non studi perché non ti importa niente di imparare”. E’ davvero quello il motivo? O potrebbe essere semplicemente stanco o  disturbato da pensieri che non conosciamo? Per stabilire una connessione, è importante andare oltre le nostre reazioni automatiche e chiedersi qual è il vero motivo. Che a volte possiamo indovinare, a volte no. L’importante è accettare che si senta in un determinato modo e aiutarlo ad esprimere quello che prova. Se mostra un malessere comportandosi “male”, invitiamolo ad esempio ad esprimere la stessa sensazione in un modo diverso, più diretto. Possiamo anche coinvolgerci personalmente, raccontando un momento in cui ci siamo trovati in una situazione simile.

Empatia significa avere e sentire il permesso di fare qualsiasi esperienza, di provare tutte le emozioni.

Detto questo, dietro ogni comportamento pericoloso c’è una persona che sta sperimentando delle emozioni difficili, che non ha mai imparato a gestire. Per questo dobbiamo avere fiducia nei figli, non identificarli nel loro comportamento. E aiutarli ad esprimere le emozioni in modo diretto, invece che indiretto. Tutti gli errori sono come le domande: degli spazi di apertura.

Dire “stop” a noi stessi

I figli non sono gli unici in cui dobbiamo riporre la nostra fiducia. Allo stesso modo è importante dare fiducia anche a noi stessi. E saper perseguire i nostri intenti fino in fondo, senza fermarci. Nel rapporto con i figli, capita di dover ripetere le cose più e più volte. In alcuni casi diventa una canzone ad libitum: la richiesta sfuma, diventando sempre più flebile fino a scomparire. Allora il figlio capisce che può fare a modo suo. E’ come se a un certo punto non credessimo più che lui possa davvero rispondere positivamente. Anche quando la richiesta va in crescendo, e si alza la voce, può essere ugualmente disperata.

Quando si è estenuati, è frequente usare il “per piacere”, anche per richieste importanti. In questo modo si lascia al figlio la scelta di farla o no, di farci o meno questo piacere. Con questa espressione a volte parliamo più del nostro sfinimento che della nostra gentilezza, e finisce che non siamo influenti. La fiducia in se stessi va mantenuta, dall’inizio fino alla fine. Come un fiume, dobbiamo in qualche modo arrivare al mare. Possiamo negoziare, invitare a soluzioni creative, ma sempre con costanza e determinazione.

Si riesce a insegnare qualcosa solo quando si sente profondamente il proprio diritto a insegnarlo e il proprio diritto ad essere rispettati.

Allora non fermare il fiume. Non dimenticare il tuo mare. Permetti alle emozioni, tutte, di fluire naturalmente, che sia dolcemente o a cascata. Permetti che le domande scorrano, trascinando anche le tue. Non fermare il fiume. Ne varrà la pena.

© Silvia Cappuccio  da Conscious parent

International Teacher Training di Mindful Parenting

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La differenza tra generosità e sacrificio

05/06/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

La generosità è una qualità fondamentale della crescita: ci porta ad aprirci e quindi ad ampliare i nostri orizzonti e le nostre prospettive. È anche qualcosa che garantisce abbondanza perchè, se si è generosi, in forme poco prevedibili ma arrivano, in cambio, tante cose. Magari da persone insospettabili.

Così essere generosi è attivare uno scambio e una circolazione che nutre prima di tutto chi agisce con generosità. Anche la generosità però ha i suoi limiti. Limiti che è importante rispettare. Non deve trasformarsi in un peso. Quando la generosità che abbiamo verso qualcosa o qualcuno, diventa pesante, dobbiamo fermarci, prendere dello spazio e lasciar andare la nostra spinta a dare. Perchè se è diventata un peso vuol dire che porta, nella nostra vita e in quella di chi riceve la nostra generosità, un bagaglio di tensione non necessaria. Una tensione che, prima o poi si trasformerà in tempesta.

La generosità, perchè faccia bene, ci deve far sentire più ricchi e non più poveri. Più motivati e non più stanchi. Più felici e non sfruttati. Altrimenti è meglio tenere per se stessi quel nutrimento che stavamo per offrire. Vuol dire che ne abbiamo ancora bisogno. E allora dobbiamo fare un atto di generosità verso noi stessi. Interrompere la nostra compulsione a dare agli altri e rivolgere verso noi stessi la nostra generosità.

Nella meditazione sulla amorevole gentilezza diamo ai partecipanti un assaggio della potenza di sentimenti di bontà, generosità, amore e perdono diretti in primo luogo verso di noi. Evochiamo coscientemente sentimenti di amore e gentilezza verso noi stessi, magari ricordando un momento in cui ci siamo sentiti completamente visti e accettati da un altro essere umano e invitando quei sentimenti di gentilezza e amore a riemergere, a essere abbracciati dalla consapevolezza e sentiti nel corpo. Jon Kabat Zinn

Pratica di mindfulness: La pratica della gentilezza (meditazione live)

© Nicoletta Cinotti 2023

Mindful Self-Compassion: intensivo residenziale

 

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Le buone azioni di poco conto

03/03/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

[box] Non prendete alla leggera le buone azioni di poco conto, Credendo che siano di scarso aiuto. Le gocce d’acqua, una dopo l’altra, Nel tempo riempiono un enorme vaso. Patrul Rinpoche[/box]

Probabilmente ognuno di noi ha un animo grandioso e così immagina che il cambiamento, la pratica, l’impegno debbano essere azioni rivoluzionarie e grandiose. Qualcosa come un anno sabbatico, un’illuminazione totale, un rivolgimento radicale. Tutto questo è possibile e non va certo sottovalutato ma, a volte, il fatto che non possiamo fare un’azione grandiosa diventa una scusa per non fare nemmeno un’azione minima.

Così, visto che non possiamo meditare per un’ora, non lo facciamo nemmeno per mezz’ora e visto che non possiamo farlo per mezz’ora non lo facciamo nemmeno per 15 minuti o per 5 minuti.

Forse è il nostro animo romantico che ci fa desiderare lo Sturm und drang – l’impeto e l’assalto – che ci rende eroici e ci fa dimenticare l’eroismo delle piccole cose, delle azioni minime, per noi stessi e per gli altri. Eppure in quel minimo sta la saggezza della vitalità, che ogni giorno si conferma, senza clamore, ai nostri occhi. Il quieto ripresentarsi delle stelle, il minimo scorrere delle cose e quei movimenti minimi del cuore e dei polmoni che ci tengono in vita.

Così meglio non sottovalutare la rivoluzione silenziosa delle minime cose: può cambiare il mondo, la nostra vita, noi stessi.

Poesia del giorno: La pazienza delle cose comuni

Pratica del giorno: Addolcire, confortarsi, aprire (Pratica di 5 minuti)

© Nicoletta Cinotti 2023 Reparenting. Corso registrato

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Un sacrificio insospettabile

17/02/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Spesso dichiariamo di non essere disposti al sacrificio. Lo dichiariamo come atto di principio e come segno di discontinuità con una tradizione passata che ha fatto – del sacrificio – il mezzo principe dell’educazione. C’è un sacrificio però che facciamo, silenziosamente, tanto silenziosamente che nemmeno noi ne siamo pienamente consapevoli: è il sacrifico di una parte di noi.

Quella che ci appare inadeguata, non funzionale, non funzionante rispetto all’ottenere quello che desideriamo. Quella nei confronti della quale proveremmo vergogna: non perché fa atti di cui dobbiamo vergognarci. Ma perché ci farebbe perdere tempo, ci porterebbe in una direzione troppo libera o ci farebbe fare brutta figura . Ci distoglierebbe dagli obiettivi che perseguiamo con tanta, tantissima determinazione. Non è detto che siano obiettivi professionali. A volte questo sacrificio lo facciamo, in realtà, per ragioni relazionali. Per ottenere qualcosa che desideriamo ci sembra che – mettere da parte chi siamo nella nostra interezza – sia il primo passo.

È difficile distogliersi da questo sacrifico che, quasi come un atto magico, pensiamo che ci assicurerà il risultato. Dietro a tutto questo sta un’idea, sottile quanto profonda, di non accettazione e dietro la non accettazione ne vive un’altra – altrettanto profonda – non possiamo lasciare che la nostra vita si realizzi per come siamo. Dobbiamo mettere argini e confini perché altrimenti andremmo alla deriva. Ma, soprattutto, dobbiamo renderci perfetti per poter ottenere quell’amore e quel risultato che tanto desideriamo.

Alla fine però i programmi che si realizzano non sono solo nostri ma nascono dal nostro dialogo con la vita. Tanto vale allora coltivare il seme della fiducia e quello dell’interezza: farci a pezzi non ci farà arrivare prima né ci farà arrivare meglio. Ma lascerà solo un fondo di inquietudine e amarezza dietro anche i migliori successi: l’illusione che se saremo perfetti saremo amati fa più danni dello scoprire quanto, in realtà, amati lo siamo già. Non è un bilancio che deve spaventarci: è il rendimento reale della nostra vita.

La mindfulness è il metodo, la compassione è l’espressione e la saggezza è l’essenza per riparare le ferite del passato. da Genitori di sè stessi

Pratica di mindfulness: Self compassion breathing

© Nicoletta Cinotti 2023 Formazione in Reparenting

 

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