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corpo mente

La pratica Yoga in questo tempo sospeso

11/03/2020 by Valeria Maggiali

Lokah Samastah Sukhino Bhavantu

‘May all beings be happy and free, and may the thoughts, words and actions of my own life contribute in some way to that happiness and freedom for all.’

“Che tutti gli esseri viventi possano essere felici e liberi, e possano i pensieri, le parole e le azioni della mia vita contribuire in qualche modo a questa felicità e libertà per ciascuno”

 

Yoga è Unione

le classi sono sospese, la stessa parola Yoga, nella sua traduzione principale “unione”, ce lo chiede. Nonostante il gruppo che conduco sia piccolo e la distanza di un metro fosse possibile, c’era uno stridore nel tenere aperta la porta dello studio. A stridere non è il sentirsi clandestini, ma una mancanza di rispetto verso coloro che in questo momento sono più coinvolti di noi o, adesso direi, solo più vicini di noi – perché coinvolti lo siamo tutti- nella lotta a questo virus.

Impariamo da ciò che c’è

La pratica che ci propone la vita in questi giorni è provare a stare in questo momento, con cuore e mente aperti, sospendendo il giudizio, sospendendo il cercare risposte, conferme sulla veridicità o meno di ciò che ci sta accadendo, e ascoltare quello che muove il nostro cuore.  Mi piacerebbe preparare una pratica online, sarà una sfida dei prossimi giorni, ma per il momento mi trovo a riconoscere di essere paralizzata anche io dalla paura.

La storia della mia paura

Nella mia vita la paura “non è esistita” fino all’Agosto 2008, quando al termine della mia prima sessione di psicodramma da protagonista, il mio alter ego, Peter un viennese di cui ricordo la dolcezza e il trasporto con cui mi ha fatto danzare, mi ha detto “Non avere paura di avere paura”. Quelle parole venivano dal mio cuore, l’alter ego ripete ciò che tu dici in quel momento, e quelle parole sono state l’inizio di un viaggio alla scoperta di me. Ho aperto con quelle parole un varco nel mio Se’ indistruttibile, in cui solo forza, coraggio, sacrificio, dovere, capacità, perfezione, erano lecite, tutto il resto ben stipato nel famoso vaso di Pandora.

Il riconoscimento della paura nel mio cuore, che fino a quel giorno e ancora per molto tempo dopo, non aveva alfabeto per esprimersi ed essere riconosciuta, mi ha portato alla pratica, Yoga prima e meditazione poi. Oggi le sono grata, ma non è stato facile arrivare a sentirla davvero, l’avevo nascosta molto bene e solo l’aprirsi del corpo mi ha permesso di accedervi. La paura aveva ed ha ancora un luogo nel mio corpo, ieri l’ho sentita nuovamente arrivare, era lì nella parte alta del petto e nella testa e per la prima volta ho sentito l’intensità: la sua qualità di paralisi. Il pensiero di dovermi muovere l’indomani per andare al lavoro mi terrorizzava.

Rimanere connessi

Il mio tentativo di stare all’appuntamento che ci siamo dati con voi, alla stessa ora in cui di solito iniziamo la nostra pratica, è stato difficile, sentire la paura e dargli questo nome esatto, senza sconti, non è stato semplice. Sono contenta di averlo fatto, e assurdo o no, sono grata di sentirla, riconoscerla, chiamarla per nome. Così stamattina si è sciolta un po’ la paralisi e le cose di ogni giorno sembrano avere una nuova preziosità. Ho scelto di seguire ciò che sento e non andare al lavoro.

Ieri ho passato la giornata a farmi trasportare dalle notizie ogni volta in uno spazio di terrore, oggi, come suggerisce Nicoletta Cinotti nel suo bellissimo articolo https://www.nicolettacinotti.net/venire-fuori-andare-fuori-stare-dentro-andare-dentro/ scelgo quando e come dedicarmi all’informazione. Non è un invito a negare, anzi, è un invito a sentire e sentirsi, ad agire anzichè reagire.

Oggi scelgo di usare le parole con consapevolezza, le parole costruiscono la nostra realtà e perciò scelgo di dedicare lo stesso spazio e peso alle parole che dicono la bellezza, la semplicità di ciò che vivo nel mio quotidiano e alle parole che dicono la paura, la morte, la fatica di questi giorni.

Namastè

Pensando ad un mantra da ripetere per tenere la mente chiara, mi è venuto in mente in realtà un saluto “Namastè”. Lo sto masticando da giorni, quasi sperando in un illuminazione

“la luce divina che è in me onora la luce divina che è in te”

Ma non sarà l’illuminazione a salvarci, bensì la compassione, il sentire profondamente nel cuore e nel corpo questa verità, al di là di ogni religione e credo.

Suggerimenti per una piccola pratica

La pratica Yoga di questi giorni sospesi è la pratica dell’aprire il cuore, del rimanere con la mente cuore connessa ai suoni del mondo, del sentirsi. E’ più difficile praticare, non perché manchi il tempo, ma perché irrequieti o al contrario più pigri del solito.

Proviamo a srotolare il tappetino, a sentire aria di casa e muoviamo il nostro corpo nelle direzioni in cui sentiamo ha più necessità di portare flessibilità dove c’è rigidità e forza dove c’è morbidezza.

Possiamo partire dal movimento del gatto

e poi cane a faccia in giù   

Sentiamo le gambe e iniziamo una serie di saluti al sole, senza preoccuparci troppo della sequenza, seguiamo con fiducia la memoria del corpo.

Possiamo terminare con una posizione Yin, utilizzando un mattoncino, un cuscino o un vocabolario tra le scapole, le ginocchia aperte e le piante dei piedi uniti, lasciando la testa reclinata all’indietro o appoggiata su un cuscino.

Se abbiamo bisogno di raccoglimento possiamo passare dalla posizione del bambino prima di praticare Savasana o farlo a pancia in giù, in modo da sentire il contatto con tra terra e cuore.

Dedichiamo poi qualche momento per respirare gratitudine per esserci dedicati questo piccolo tempo di pratica e inchinando la testa verso le mani in preghiera al centro del petto, ripetiamo Namastè, una o più volte, finché non sentiamo che è ben radicato nel corpo e il suo significato è profondo.

Equilibrare il corpo ci aiuterà ad equilibrare la nostra mente.

Vi abbraccio da lontano e ringrazio per avermi letto, scrivere mi ha fatto ancora una volta, fare pace con la mia paura e permesso di darle il suo spazio, non tutto lo spazio.

A presto!

 

 

 

 

 

 

Archiviato in:Valeria Maggiali, Vinyasa Yoga, Yoga Contrassegnato con: coronavirus, corpo mente, pratica di yoga, Vinyasa Yoga, Yoga

Di che cosa ci parla l’inquietudine?

30/05/2017 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Nel linguaggio del corpo ci sono molte risorse e molti vantaggi. Il primo fa tutti è la semplicità. Possiamo complicare molto le cose con le parole della mente ma se ascoltiamo il linguaggio del corpo, i segnali che ci manda tutto diventa molto più semplice e l’apparente incomprensibilità deriva solo dal fatto che è un linguaggio che pratichiamo poco e al quale, solitamente, diamo valore solo se ci spaventa.

Per muoversi in questo linguaggio Lowen ha dato pochi elementi fermi. La base è l’integrazione tra le tre colonne del Sé corporeo: consapevolezza di sé, espressione di sé e padronanza. È la relazione tra questi tre aspetti che determina il senso di benessere, vitalità e soddisfazione. Così, se avvertiamo un disagio misterioso, anziché iniziare a fer ipotesi fantasiose e altrettanto fantasiose relazioni causa – effetto, spesso il punto è guardare se tra questi tre aspetti esiste uno squilibrio.

Se sperimentiamo squilibrio o mancanza di spazio espressivo i sintomi sono pochi e chiari: inquietudine. Siamo inquieti come un animale che cerca una nuova tana. Inquieti come chi ha perso la strada di casa. È per questo che l’inquietudine è la vera malattia dei nostri giorni. Perché sacrifichiamo la nostra libertà espressiva al raggiungimento dei nostri obiettivi. Mettiamo a tacere il corpo promettendogli di ascoltarlo quando avremo finito. Un po’ come una mamma fa con il bambino “aspetta, finisco questo e poi giochiamo”. Non è così.

Se prendiamo la strada del sacrificare l’ascolto e l’espressione di noi non c’è mai il punto in cui smettere di farlo. Avremo sempre nuovi obiettivi, nuove ragioni per non sentire, per rimandare lo spazio che diamo a noi stessi. Perché se ascoltiamo i nostri veri bisogni poi è difficile continuare a rimandare.

Questo vale anche se diamo uno spazio ridondante all’espressione di noi. Se lo facciamo senza padronanza. Perché, in quel modo, diventiamo una voce sola, senza dialogo. Invece esprimersi è dialogo. Con noi stessi e con il mondo.

Una persona si esprime nelle azioni e nei movimenti; quando l’espressione di sé è libera e adeguata alla realtà della situazione, il fatto di scaricare la propria energia produca un senso di soddisfazione e piacere. Questa soddisfazione e questo piacere stimolano nell’organismo una maggiore attività metabolica che si riflette immediatamente in una respirazione più profonda e piena. Alexander Lowen

Pratica del giorno: La classe del mattino

© Nicoletta Cinotti 2017 Verso un’accettazione radicale Foto di © seiji2012 Fiori all’inizio dell’estate

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Il limite morbido e il limite duro

31/10/2016 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Quando facciamo attenzione al nostro corpo possiamo accorgerci di come il movimento sia essenziale per percepirlo. Se stiamo fermi la percezione si riduce e, in alcuni casi, tende addirittura a scomparire, come se parti intere del corpo non esistessero.

Riprendere la consapevolezza corporea significa però entrare in contatto anche con i nostri limiti fisici e soprattutto scoprire la differenza tra il limite morbido e quello duro.

Il limite morbido è quello in cui il corpo inizia a percepire una certa intensità – che può anche essere piacevole – che amplia la qualità della percezione. sappiamo che potremmo andare oltre – correre più veloci, allungarsi di più – ma quel limite morbido ci permette una maggiore connessione con il piacere del movimento.

Il limite duro è quello in cui il corpo ha raggiunto il massimo di quello che è possibile in quel momento. È possibile che varcarlo significhi farsi male. Perchè arrivare sempre e comunque al limite duro spesso vuol dire volersi punire anziché voler sentire. Inoltre sappiamo che il limite duro fa sentire lo sforzo come esterno mentre il limite morbido come interno e intimo.

La nostra consapevolezza sta tra il limite morbido e il limite duro. Perchè queso spazio ci chiede – come in molti altri momenti della vita – di sentire senza lottare. Riesci a sentire senza lottare?

La percezione di sé o la coscienza di sé sono la consapevolezza del corpo nella sua risposta viva e spontanea. Il sé è il corpo che comprende la mente; è il corpo che reagisce indipendentemente dall’Io. Quindi io sono più cosciente di me stesso quando sono affamato, stanco, assonnato, eccitato o quando sento dolore o piacere. Sono meno cosciente di me quando il mio corpo è insensibile e senza risposte. Alexander Lowen

Pratica del giorno: La classe del mattino

© Nicoletta Cinotti 2016 Il mese della gentilezza Foto di ©JavierAndrés

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L’identità mente – corpo

24/08/2016 by nicoletta cinotti Lascia un commento

In bioenergetica, quando parliamo di blocchi, non parliamo solo di un aspetto fisico o emotivo. I blocchi e le tensioni hanno una risonanza che arriva alla mente. Condiziona il nostro modo di pensare e si manifesta attraverso la qualità – non il contenuto – dei nostri pensieri.

Questo accade perché corpo e mente condividono una identità funzionale. Ciò che accade nel corpo produce un corrispettivo nella mente ed è per questo che i traumi e le malattie modificano non solo il nostro stato emotivo ma anche quello mentale. È per questa ragione, inoltre, che cambiare la mente senza passare dal corpo è quasi impossibile.

In che modo i blocchi fisici si manifestano mentalmente? Il primo elemento è la chiusura o il ritiro. Non dobbiamo dimenticare infatti che, come primo effetto, realizziamo una difesa e un allontanamento da qualcosa che ci spaventa o verso cui proviamo avversione e quindi non solo allontaniamo il corpo ma cerchiamo di evitarlo anche mentalmente. Questo significa che, la nostra mente, inizia a funzionare come se dovesse evitare degli ostacoli.

Il secondo elemento è la sensazione di non farcela. A volte è una sensazione fisica ma ha anche un corrispettivo mentale. Iniziamo a temere di non essere all’altezza di qualche compito che abbiamo davanti o nella nostra agenda.

Infine diminuisce il calore affettivo dei nostri pensieri: il cinismo, il distacco l’iper-razionalità spesso hanno questa radice: una difesa e un blocco fisico.

Così possiamo iniziare a portare la consapevolezza non solo sulle tensioni corporee ma anche sulle limitazioni mentali che a queste si accompagnano per fare ciò che è necessario. Due azioni piccole e simmetriche nel corpo mente: Sciogliere e lasciar andare. Vibrare (nel corpo), commuoversi (nell’anima).

Il cambiamento avviene quando la persona è pronta, disponibile, capace di cambiare. Non può essere forzato. Comincia con l’accettazione di se stessi e con la consapevolezza di sè e, naturalmente, con il desiderio di cambiare. Ma la paura del cambiamento è grande (…) Bisogna imparare la pazienza e la tolleranza che sono un fenomeno corporeo. Gradualmente il corpo sviluppa la capacità di tollerare una vita più ricca di energia, un sentire più intenso e un’espressione di sé più libera e piena. Alexander Lowen

Pratica del giorno: La classe del mattino

© Nicoletta Cinotti 2016 Le radici della felicità Foto di ©Carmelo61 PhotoPassion Thanks

Prossimi protocolli Mindfulness

In arrivo una nuova edizione del protocollo MBSR e del protocollo MBCT

Serata di presentazione a Genova: 5 Ottobre alle 20 Clicca qui per partecipare

Serata di presentazione a Chiavari 4 Ottobre alle 20 Clicca qui per partecipare

Classi d’esercizi bioenergetici Chiavari 4 Ottobre alle 18 Per partecipare manda una mail a nicoletta.cinotti@gmail.com

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L’emozione e la forma: una recensione affettuosa

18/08/2016 by nicoletta cinotti

Quando si scrive una recensione si dovrebbe essere, in qualche modo, lettori imparziali. Così dichiaro – fin dall’inizio – che non lo sarò. Faccio ammenda dei tanti motivi per cui non riuscirò ad essere imparziale, così potrete decidere da subito se continuare la lettura.

Non sarò imparziale perché amo l’anatomia. Nella mia formazione come analista bioenergetica – si parla di molti anni fa – parlare di anatomia sembrava incorrere in una sorta di blasfemia. La bioenergetica non si occupa degli aspetti funzionali ma degli aspetti emotivi – tuonavano i miei insegnanti. Sì, però almeno sapere cos’è il pavimento pelvico e come influenza la posizione del bacino. Oppure dove si trova l’ileopsoas sarebbe utile, pensavo dentro di me. Un’idea che non era solitaria tanto che, in anni più recenti, le lezioni di Anatomia esperenziale hanno dato la possibilità di approfondire non solo l’esperienza ma anche la teoria. Questo libro colma definitivamente – spero – un vuoto che andava colmato. Spero che il passaggio successivo sarà sdoganare le neuroscienze. Sì, perché noi bioenergetici che – da veri antesignani – le abbiamo praticate ante litteram, ne parliamo con circospezione come se togliessero poesia alla clinica.

Perché la bioenergetica classica non si è occupata dell’anatomia?

In realtà non bisogna dimenticare due elementi della formazione di Lowen per comprendere che questa affermazione è in parte vera e in parte sbagliata. Lowen, prima ancora che essere laureato in medicina era laureato in Educazione fisica. Era un vero sportivo praticante, appassionato del movimento connesso all’anatomia e al benessere. Questo spiega il ruolo centrale che hanno avuto le classi d’esercizi bioenergetici nella sua storia professionale. Non contento di questa preparazione di base – che comunque non era sufficiente per esercitare la psicoterapia – ha sentito la necessità di laurearsi anche in medicina. Cosa che ha fatto attorno ai 40 anni. Una scelta matura quindi. Lowen perciò conosceva bene anatomia e fisiologia del corpo umano.

Ciononostante nei suoi libri non dedica un rilievo particolare agli aspetto anatomo -fisiologici. Perché? Per una ragione semplice: i blocchi muscolari non seguono la struttura longitudinale del muscolo ma latitudinale. Questo ha due motivazioni principali: la prima è che il blocco muscolare ha lo scopo di fermare, reprimere, contenere l’aspetto espressivo ma di lasciare intatto l’aspetto funzionale. Nessun blocco del cingolo scapolare – giusto per fare un esempio – blocca il movimento delle braccia (tranne forse nelle patologie isteriche che sono, però, scomparse). Nessun blocco del diaframma ferma il respiro. Il secondo è che il linguaggio del corpo è il linguaggio delle emozioni: quello che cerchiamo, nella lettura del corpo, è l’emozione che viene tagliata fuori dalla coscienza. Che sia attraverso la tensione o che sia attraverso il collasso – cosa che comporta diverse cariche energetiche e diverse qualità di risposta corporee – per curare abbiamo bisogno di sviluppare sensibilità nei confronti dell’emozione tagliata fuori dalla coscienza.

Ecco perché ci siamo occupati poco d’anatomia…

Ecco perché ci siamo occupati poco d’anatomia…non volevamo che gli aspetti strutturali coprissero l’oggetto primario – emotivo – di indagine. Oggi siamo sufficientemente maturi per correre questo rischio e, perché no, dialogare con chi si occupa del corpo e curandolo scopre miniere emotive come gli osteopati, i chinesiologi, i posturologi, i fisiatri (e se mi sono dimenticata qualcuno mi scuso!).

Riprendiamo con le ragioni dell’affetto

Detto questo non sarò imparziale perché l’autrice – Elizabeth Michel – fa due affermazioni personali che mi sono molto care. Ve le riporto con qualche commento.

[box] Se quando iniziate il training di bioenergetica avete una conoscenza minima di anatomia e allineamento, prendete in considerazione la possibilità di includere per un po’ delle lezioni di Yoga Iyengar nei vostri esercizi di routine[/box]

Così Elizabeth introduce, con leggerezza, il tema della relazione tra yoga e bioenergetica. Non sono la stessa cosa anche se molti esercizi di bioenergetica sono simili allo yoga e seguono l’idea che l’aspetto fondamentale sia l’allungamento del respiro. Ciononostante è importante conoscere l’uno per comprendere l’altro: anche se il lavoro corporeo è diverso, il modo di vedere il corpo è unitario. (Se hai voglia di scoprire qualcosa in più su questo argomento ti consiglio di partecipare alla conferenza Open “Che differenza c’è tra lo yoga e la bioenergetica” Clicca sul titolo per iscriverti!)

La seconda affermazione amabile per me è la seguente:

[box] Scrivere questo manuale è una cosa; viverla così profondamente da poter guarire dalla depressione è completamente un’altra.[/box]

Anche qui Elizabeth affronta con leggerezza un tema: studiare è possibile se sei un po’ depresso. Ma se sei un po’ depresso lo studio rischia di diventare qualcosa dentro cui rimani imprigionato. Coniugare passione, studio e non depressione è una bella sfida. Molto bioenergetica visto che uno dei libri fondamentali di Lowen si intitola “La depressione e il corpo”.

Detto questo, se te la senti di entrare in una recensione così personale e affettuosa, sei il benvenuto!

L’allineamento

Il criterio anatomico che segue la Michel è quello dell’allineamento. Riprende la posizione di Ida Rolf – di cui riporta anche delle immagini classiche – e si domanda che cosa ci fa perdere l’allineamento, come possiamo lavorare per ritrovarlo e, in che modo, nelle diverse strutture caratteriali, questo allineamento è perduto. È un criterio che rispetta i presupposti del Rolfing, pur mantenendo una prospettiva psicoterapica e non fisiatrica. L’allineamento è visto come realizzazione della fluidità del corpo e l’effetto dello scioglimento dei blocchi e delle tensioni.

[box] In bioenergetica, preferiamo parlare di allineamento naturale, piuttosto che ideale. Dal momento che ogni persona nasce con un corpo unico e matura in un ambiente unico, per ogni individuo ci sarà una disposizione unica ideale delle ossa con cui il corpo può operare. Elizabeth Mitchell[/box]

I blocchi sono le contrazioni croniche dei muscoli, ostacoli ad un movimento naturale eretti a protezione del sentire. Trattengono un movimento che sarebbe espressivo dell’emozione repressa. Modif

icano il nostro allineamento, sia perché tendono il corpo che perché lo collassano ma, in ogni caso, nel trattamento non ricerchiamo un allineamento ideale ma quello reale, possibile per quella specifica persona.

La scelta dell’allineamento e la struttura fasciale

Ci sono due tipi di tessuto nei muscoli: il sistema fasciale e la componente contrattile (Si dice che Bolt – l’olimpionico che ci ha fatto sognare – abbia una componente contrattile superiore all’80% mentre comunemente la componente contrattile è del 50%). Il sistema fasciale è il materiale che circonda ogni fascio di fibre muscolati e va a costituire i tendini che collegano il muscolo all’osso. La componente contrattile è formata da fibre lunghe e strette e innervata da cellule nervose che ricevono l’impulso e lo fanno passare – attraverso la pompa sodio potassio e attraverso due catene proteiche delle fibre – lungo ogni cellula e da una cellula all’altra.

L’anatomia bioenergetica si occupa prevalentemente del sistema fasciale perché il blocco muscolare riduce la capacità delle fasce di scorrere e di dare un movimento fluido. Inoltre, poiché nessun muscolo è un’isola (citazione dal testo) il funzionamento di una parte si riverbera su tutto il corpo per cui, per esempio, se un muscolo è contratto, questo vorrà dire che il suo antagonista muscolare è debole e l’allineamento porterà i segni di questo squilibrio.

La questione energetica

Ovviamente se si è estranei all’area bioenergetica l’argomento dell’energia del corpo, dei caratteri a bassa e ad alta carica può sembrare teorico e lontano. Non è però un argomento superficiale perché riguarda gli aspetti diagnostici e di trattamento. Elizabeth Michel esce dalla questione in due modi: da una parte riprende la divisione in caratteri ad alta carica (masochista, psicopatico, narcisista, rigido) e a bassa carica (schizoide e orale) che è quella della bioenergetica più tradizionale. Dall’altra ammette che ci sono categorie diagnostiche – come il carattere borderline – che sono fuori dai nostri criteri tradizionali. Per questa ragione propone che – ogni carattere – possa essere in un continuum che va dalla nevrosi alla psicosi, attraversando il carattere borderline, inteso come territorio di confine tra nevrosi e psicosi. Io sarei dell’avviso di fare la stessa cosa anche per la carica energetica dei caratteri. Ho conosciuto caratteri orali e schizoidi attivi e pieni di energia (e non solo iperattivi per non sentire). Masochisti pigri e refrattari al movimento. Psicopatici poco in grado di concretizzare le loro azioni. Mi sembra che il concetto di energia sia molto influenzato da fattori fisici, mentali, costituzionali e familiari, che formano un mix troppo complesso perché sia possibile identificare il carattere orale e schizoide come un carattere a bassa carica. Possiamo dire che ogni carattere può avere manifestazioni che vanno da un aspetto nevrotico, fino ad uno psicotico e che, ogni carattere, può avere una carica energetica determinata da diverse componenti. La rigidità – quando è estrema – diventa un tratto ossessivo compulsivo che blocca la maturazione personale limitandola al controllo dei sintomi e rendendo quindi il carattere rigido (che dovrebbe essere ad alta carica) poco produttivo e molto autolimitante.

L’anatomia dei caratteri

Il libro prosegue dando prima attenzione alle singole strutture del corpo e poi a come i blocchi si organizzano nelle diverse strutture caratteriali.

È preciso, puntuale nella sua visione anatomica. Utile non solo per i bioenergetici ma per tutti coloro che lavorano, in maniera integrata, sul corpo. Forse sentivamo tutti la mancanza di un lavoro così ben organizzato di anatomia emotiva. Nello stesso tempo è un lavoro classico: la Mitchell segue la diagnostica caratteriale loweniana, con tutte le avvertenze del caso: nessuno è un carattere puro. Non aggiunge né toglie nulla al pensiero bioenergetico classico. E questo, credo, sarà la fortuna di questo volume! E, forse anche il suo limite.

Un limite che riguarda la crescita di un approccio clinico (e non solo della bioenergetica). Un approccio clinico cresce se cambia. La bioenergetica è nata alla fine degli anni ’50. Ha quindi una sessantina d’anni. In campo clinico sessant’anni sono tanti. E, soprattutto, questo mezzo secolo ha disegnato un tale avanzamento nelle scienze della mente e nelle neuroscienze da essere davvero definibile come un’era molto feconda.

Solo chi riesce a stare nel flusso del cambiamento può dirsi vivo e vitale. Chi continua a reclamare solo la fedeltà alle origini come tratto salvifico della propria storia rischia di finire come i dinosauri. Un meraviglioso insieme di animali – scomparso!

Detto questo è davvero d’uopo un ringraziamento a Elizabeth Mitchell e a Maria Rosaria Filoni che ne ha curato la traduzione italiana, sotto l’egida della Società Italiana di Analisi Bioenergetica. È sicuramente un tentativo di crescita quello che ci troviamo davanti con questo libro.

L'emozione e la formaElizabeth Michel, L’emozione e la forma, Franco Angeli Ed.(Su Amazon è disponibile, come al solito, anche un estratto del libro)

Se il tema dell’anatomia emozionale ti interessa la prossima settimana recensirò

David Coulter,Anatomy of Hatha Yoga. A manual for student, teachers and practitioners. Un vero gioiello!

(Su Amazon è disponibile, come al solito, anche un estratto del libro)

© Nicoletta Cinotti 2016

Eventi interessanti

Classi d’esercizi bioenergetici a Chiavari con Nicoletta Bafico. per partecipare manda una mail a nicobaf61@gmail.com

Yoga e bioenergetica insieme con Valeria Maggiali e Maurizio Tuccio (Clicca per andare alla scheda evento)

 

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L’eccessivo aumento delle prestazioni porta all’infarto dell’anima

25/06/2016 by nicoletta cinotti Lascia un commento

La società dell’azione e della prestazione genera stanchezza eccessiva ed esaurimento(…) L’eccessivo aumento delle prestazioni porta all’infarto dell’anima. La stanchezza della società della prestazione è una stanchezza solitaria, che agisce separando e isolando. È quella che Handke nel suo saggio “Saggio sulla stanchezza” chiama stanchezza che divide.

[box] I due precipitavano, inarrestabilmente, da parti opposte, ciascuno nella sua personale stanchezza, non la nostra, ma la mia qui e la tua là. Handke[/box]

Questa stanchezza che separa colpisce per incapacità di guardare e mutismo. A occupare interamente il campo visivo è il solo io:

[box] Mai e poi mai sarei stato in grado di dirle “sono stanco di te!”, nemmeno un semplice ‘stanco!’ cosa che, come grido comune, forse ci avrebbe liberato dagli inferni individuali) queste stanchezze ci bruciavano la possibilità di parlare, l’anima[/box]

Queste stanchezze sono una violenza perchè distruggono ogni unione, ogni comunanza, ogni prossimità, persino ogni linguaggio.

Byung – Chul Han

Foto di ©Santarelli Luca | lulcera

www.nicolettacinotti.net Addomesticare pensieri selvatici

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