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Il piacere, l’ansia e le difese

14/07/2023 by nicoletta cinotti

Forse ti sarà capitato di avere molti impegni e responsabilità e, per portarli avanti, tagliare il tempo libero o tagliare le attività piacevoli con l’illusione di avere così più energia per quello che “devi” fare. Nella depressione da lieve a grave questa è una delle prime cose che accade. Pessima scelta perché abbiamo bisogno di avere un equilibrio tra lavoro e vita personale. per questo motivo aiuto le persone a mettere a fuoco delle attività nutrienti da portare avanti  per avere energia per i compiti quotidiani. Solo che succede una cosa strana: molte persone scoprono che hanno attività nutrienti che sono solo piacevoli (i procrastinatori) o attività nutrienti che sono solo di padronanza, organizzate in agenda come se fossero un impegno di lavoro. ( I controllanti). Entrambi cercano una cosa sola. Tenere a bada l’ansia.

L’ansia è una delle emozioni più pervasive e disturbanti. Anche se non sempre possiamo definirla patologia, è pur vero che il disagio che provoca è così forte che raramente passa inosservato.

La prima domanda però che dovremmo farci è perché proviamo ansia?

Perché sono ansioso?

Proviamo ansia perché desideriamo qualcosa ma sappiamo che questo può essere, anziché un piacere, una fonte di frustrazione. Sappiamo che quel meeting di lavoro può darci molto piacere e soddisfazione ma non siamo sicuri del risultato: proviamo ansia. Sappiamo che quell’incontro potrebbe andare bene ma non è certo: proviamo ansia. Sappiamo che stiamo per avere una crescita professionale: proviamo ansia perché non siamo sicuri di essere adeguati. E gli esempi potrebbero continuare all’infinito. Perché l’ansia non discrimina tra cose positive e negative: possiamo provare ansia nei momenti più belli della nostra vita che finiscono così per essere veramente difficili!

Come dice Alexander Lowen l’ansia nasce come reazione alla frustrazione provata in una condizione piacevole. Se, ripetutamente, quando siamo aperti, amorevoli e rilassati accade un fenomeno avverso – una frustrazione, una punizione o un rimprovero – è molto possibile che si strutturi una forma di ansia cronica che ci porta ad evitare la condizione piacevole che ha scatenato il rimprovero. In questo caso tenderemo a diventare super-preparati e a controllare gli imprevisti in due modi: con la preparazione e con la riduzione dell’improvvisazione e delle attività non preparate accuratamente. saremo precisi, ordinati e controllati e metteremo in agenda la palestra, il cinema, le cene, prenotando tutto con il dovuto anticipo. Un vantaggio ma anche uno svantaggio percé i “controllori” hanno meno gioia e minore propensione alla meraviglia.

Oppure, all’opposto, facciamo solo cose piacevoli, decise last minute e procrastiniamo tutto quello che ci mette in ansia c, finendo poi per avere un accumulo di arretrati che può travolgerci da un momento all’altro. Modi opposti di regolare la stessa emozione. l’ansia! Cerchiamo di ripetere quella situazione piacevole ma in modo da non provare ansia, per esempio attraverso l’uso di alcool.

Quindi l’ansia nasce in relazione al piacere. Ecco perché qualsiasi ansioso ha bisogno di sentirsi in un luogo sicuro. Il luogo, lo spazio fisico in cui si trova e il messaggio – positivo – lo confortano sul fatto che niente di male può accadergli. Nello stesso tempo, il comportamento di evitamento dell’ansia ha un effetto paradossale: la amplifica. Mentre incontrarla con gradualità offre sollievo. Una mente piena di ansia, infatti, crea proprio le paure che teme di più. Le crea ma non riesce a comprenderle ed esplorarle. Pensa continuamente a ciò che potrebbe succedere senza darsi strumenti per comprendere come e perché succede. L’ansia ci porta a velare le nostre risorse e le nostre qualità e rende più difficile lanciare uno sguardo verso la nostra mente originaria.

Ma come fare? E soprattutto, chi saremmo se non fossimo stati frenati dalla nostra ansia? Proviamo a vederlo in teoria e in pratica…

“Accetta il fatto che quando fai qualcosa di nuovo potrebbe andare male, e questo renderà tutto più facile”Alex Noriega

I segnali contraddittori

L’ansia nasce in risposta a segnali contraddittori e può venire evocata dal presentarsi anche di qualsiasi altro segnale ambivalente. Le situazioni originarie risalgono all’infanzia. I bambini sono tutto cuore, sono cioè molto aperti e, per questa ragione anche molto vulnerabili. Man mano che incontrano frustrazioni imparano a costruire dei confini di personalità e un senso di quello che può essere un luogo sicuro e un comportamento sicuro. Purtroppo anche i genitori stessi non sono sempre fonte di piacere e sicurezza e, nella mente del bambino, possono essere associati anche alla possibilità del dolore. È così che iniziamo ad imparare che anche le relazioni possono essere “pericolose”. Se le frustrazioni superano la finestra di tolleranza allora diventa inevitabile che l’ansia ci spinga a costruire delle difese e non solo dei confini. Possiamo addirittura affermare che le difese sono un uso eccessivo dei confini che diventano rigidi e poco adattabili al mutare delle circostanze.

La mente ansiosa non comprende che quando sogna ad occhi aperti cose avvenute nel passato, non è nel presente. E quando non siamo nel presente è difficile agire saggiamente. È più probabile che faremo quello che siamo preoccupati di fare: sbagliare. Jan Chozen Bays

L’ansia e le difese

Le difese diminuiscono l’ansia ma riducono anche la vitalità rendendo attivo l’imbuto dell’esaurimento di cui ti parlavo prima, una specie di gorgo in cui, ad un certo punto, ti trovi immerso, senza via d’uscita.. La difesa, ovviamente, non blocca tutte le iniziative di ricerca del piacere, ma ogni difesa, ponendo un limite alla vitalità è anche un piccola morte.

Dal crepacuore ci difendiamo rinunciando ad amare e dalla morte rinunciando a vivere. Alexander Lowen

Il piacere può essere definito in diversi modi: può essere piacevole un funzionamento regolare, o una variazione nella routine. Per alcune persone è piacevole il riposo, per altre l’attività: potremmo dire che il piacere nasce come senso di soddisfazione per quello che stiamo facendo ed è strettamente personale. In ogni caso si accompagna ad una sensazione fisica, radicata nel corpo, è un movimento espansivo e un flusso di sensazioni dal centro verso le estremità. Un aprirsi, entrare in contatto, protendersi. Non nel caso dell’ansia però: in quel caso l’idea del piacere si accompagna ad una proliferazione di pensiero ipotetico.

I movimenti opposti  di ritiro, chiusura e trattenimento, anche se mettono al sicuro, non vengono vissuti come piacevoli ma come una perdita emorragica di energia. È opportuno sottolineare che, molto spesso, il nostro corpo presenta una situazione mista: parti irrorate e confortevoli, alternate a zone di tensione e ritiro. Non sempre la linea di demarcazione è netta ma la differenza è percepibile a noi e visibile agli altri.

La risposta piacevole è anche una risposta calda e ricca d’amore perché il cuore è in comunicazione diretta con il mondo esterno. Alexander Lowen

L’ansia nel corpo

Così per comprendere l’ansia – e comprendere come reagiamo all’ansia – è necessario andare al di sotto delle difese per guardare fino a che punto una persona possa espandersi senza precipitare nella paura e senza perdere il contatto con la realtà.

Aumenta la tua disponibilità e la tua consapevolezza a guardare innanzitutto che cosa c’è. Virginia Satir

Per fare questo è necessario osservare le diverse modalità di contatto che abbiamo: le braccia e le mani, le gambe e i piedi, la testa e il volto e la sessualità. Queste parti ci permettono il contatto con il mondo e quindi le sensazioni di tensione legate ad ognuna di queste aree – o la loro limitazione – ci offre una prima importantissima informazione.

Ansia: che fare?

Anche se può sembrare paradossale, evitare le situazioni che scatenano l’ansia non è una buona idea. Alla fine ci porta a ridurre eccessivamente la nostra sfera vitale. Quello che è necessario è aumentare il senso di sicurezza personale e, forti di questa base, andare incontro con gradualità alla nostra ansia. Possiamo farlo incrociando due percorsi: aumentare il radicamento nella realtà attraverso il grounding e il lavoro corporeo e regolando le emozioni negative attraverso la pratica di mindfulness e self-compassion. Il protocollo MBCT e il Programma di Mindful self-compassion offrono un’ottima integrazione. Perché questa integrazione funziona?

Il respiro è l’unica funzione che è sia volontaria che involontaria ed è una attività mente – corpo. Il prestare attenzione intenzionale al respiro, inoltre, attiva il ramo parasimpatico del sistema nervoso autonomo, rallentando quel senso di urgenza e di fretta che accompagna l’ansia. L’attenzione al respiro però, nei casi di ansia, deve essere accompagnata dalla rassicurazione, dal calore del conforto perché, altrimenti non può funzionare. Inoltre per molte persone dietro all’ansia c’è una sensazione di inadeguatezza che si esprime attraverso l’autocritica. La self-compassion ci aiuta a confortare questa sensazione e a trovare modi gentili per aiutarci a superare le credenze negative su di noi

Se il respiro è molto accorciato – come accade quando soffriamo di ansia – è necessario aiutarne la libertà, andando a sciogliere le contrazioni circolari che ne limitano l’ampiezza, perché lo stesso accorciamento del respiro può indurre una sensazione di ansia. Possiamo farlo con il tocco e con dei movimenti compassionevoli

Qualche volta può andare bene anche se la sola cosa che puoi fare è respirare. Yumi Sagukawa

I farmaci per l’ansia vanno presi quando sono indispensabili. Molto spesso l’ansia viene trattata con benzodiazepine, vecchi farmaci che pososno essere sostituiti da nuove risposte farmacologiche visto che aumentano il senso di torpore, creano dipendenza e  perdita di padronanza che, peraltro, sono sintomi tipici dell’ansia e innescano così un circolo vizioso.

L’ansia e la mente

È molto frequente che l’ansia renda difficile la concentrazione. Ci fa credere che la fuga sia la migliore risposta mentre invece avremmo bisogno di fermarci. Oppure ci fa rimanere chiusi in casa mentre avremmo bisogno di uscire. Questo perché si invertono i normali flussi di apertura e chiusura. Può essere utile quindi fare pratiche brevi, come Addolcire, confortarsi, aprire oppure Lavorare con i pensieri difficili, precedute dal movimento corporeo,come la Classe del Mattino, o semplicemente, una meditazione camminata.

Al di là di tutto, quello di cui abbiamo bisogno è, progressivamente, avvicinarci proprio a quello che ci fa paura: unica strategia che davvero scioglierà la nostra ansia come neve al sole.

Last but not least

Inoltre l’ansia ha un effetto sulla creatività. A volte un effetto di diminuzione, a volte espressivo. Ci sono persone che creano come modo per calmare la loro ansia. Altre che sono ansiose rispetto alla sola idea di esprimersi creativamente. Sotto tutto questo però, ognuno di noi, ha una sorgente intatta di creatività. È la nostra mente originaria. Come siamo al di là e al di sotto delle nostre difese? Siamo piccoli e grandi artisti della vita!

© Nicoletta Cinotti 2023

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Bibliografia

N. Cinotti, Mindfulness ed emozioni

A. Lowen, Paura di vivere

J Chozen Bays, Come addomesticare un elefante selvatico

 

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Tutto ciò a cui resisti, persiste

26/01/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

C’è un proverbio che ci ricorda che tutto ciò a cui resistiamo rimane più a lungo. “Tutto ciò a cui resisti, persiste”. Eppure la nostra resistenza, la nostra ostinazione possono spesso avere un ruolo importante nelle nostre scelte.

A volte insistiamo perché è troppo difficile lasciar andare. Altre perché è troppo difficile perdonare.Così finiamo per credere che prima o poi, se insistiamo, avremo la meglio. Vinceremo.

Questo è possibile. È possibile che la nostra determinazione ci faccia vincere. Ma non sempre la vittoria equivale alla soluzione. E a volte i danni di una vittoria sono più grandi delle conseguenze di una sconfitta. In realtà molto spesso resistiamo perchè non sappiamo accedere al lato yang della compassione: alla protezione, al darci il sostegno necessario all’essere radicati nella nostra personale motivazione. Allora sostituiamo queste tre caratteristiche della compassione yang – protezione, risorse, motivazione – con la resistenza ma non è la stessa cosa. La resistenza si basa sullo sforzo, l’aspetto yang della compassione fa crescere. La resistenza immobilizza, la compassione yang trasforma e realizza

Quindi se vogliamo mantenere la nostra resistenza, andare avanti dritti per la nostra strada, proviamo a chiederci se la vittoria per la quale stiamo lottando sarà davvero una soluzione. E soprattutto proviamo a chiederci se ci vogliamo bene. Se insistendo stiamo davvero lottando per il nostro bene. E aspettiamo la risposta: potremmo avere delle sorprese!

Non c’è bisogno di aggrapparsi a qualcosa o di mandare via qualcos’altro; sotto la nostra reattività personale, sotto le nostre illusioni c’è la consapevolezza profonda, aperta, amorevole di tutto quello che è la nostra vita. Quando smettiamo di resistere alla vita, possiamo ascoltare ciò che sussurra sotto il rumore e i doni che già ci sono iniziano a rivelarsi. Elisha Goldstein, Bob Stahl

Pratica di mindfulness: La consapevolezza del respiro

© Nicoletta Cinotti 2023 Formazione in reparenting

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La passione e la volontà

25/01/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Quando ci appassioniamo a qualcosa la spinta della passione ci fa sentire leggero ogni peso e possibile ogni sacrificio. La passione solleva ondate di entusiasmo e, soprattutto, profonde radici di ispirazione.

È un ingrediente così lieto delle nostre giornate che consideriamo la sua assenza una sorta di malattia. Proprio per questa spinta all’azione a volte può farci vedere le cose più facili di quello che sono ma, alla fine, se è vera passione, non ci pentiamo mai di quello che abbiamo fatto e della direzione che ha preso l’esperienza.

Il punto è riconoscerla la passione. Perché, a volte, si nasconde profondamente, non sicura di avere uno spazio nella realtà. E altre volte la confondiamo con la nostra volontà. Spesso la volontà è retta da altre emozioni: dall’ambizione e dal desiderio che sono emozioni che hanno poco a che vedere con la passione e l’ispirazione e molto a che vedere con il nostro aggrapparci al piacere. Lottiamo strenuamente con la volontà per ottenere quello che desideriamo e questo ci può far pensare che stiamo lottando per realizzare le nostre passioni. Ma la nostra soddisfazione rimane tutta dentro l’ottenere risultati ed è un piacere che consumiamo velocemente. Dura il tempo di un fiammifero.

La passione non ha bisogno di cercare il piacere fuori: lo possiede già in se stessa e viene declinato dall’espressione e dalla padronanza con cui riusciamo ad affermarci, un piacere nutrito dai risultati ma che non dipende dal risultato. Dipende proprio dall’averla espressa, dall’aver amato, dall’aver sentito. E ha tutta la luce del giorno.

I tibetani dicono che le nostre qualità non devono metterci l’anello al naso, perché, quando mettono l’anello al naso dello yak, questo lo costringe ad andare dove viene tirato. Dobbiamo comprendere e fidarci che le nostre qualità non hanno potere su di noi.Siamo noi ad averlo su di loro, se ci permettiamo di fidarci della nostra bontà di base e di sentire. Pema Chodron

Pratica di mindfulness: Lavorare con i pensieri difficili

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBCT online

 

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Molto prima di imparare a parlare

24/01/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Ascoltare è la prima cosa che impariamo a fare: molto prima di imparare a parlare viviamo in un mondo dove l’ascolto – con gli occhi, con le orecchie e con il cuore – domina le nostre giornate.

Eppure ascoltare è qualcosa che facilmente dimentichiamo. Dimentichiamo com’è ascoltare noi stessi ma dimentichiamo anche com’è ascoltare gli altri. In parte perché pensiamo che ascoltare sia solo qualcosa che avviene con le orecchie.

Non è così. Se chiudiamo il cuore perdiamo tanto della nostra capacità di ascolto. Se chiudiamo lo sguardo ne perdiamo altrettanto. Se chiudiamo la mente l’ascolto diventa solo un insieme di informazioni dal significato povero e scarno.

Abbiamo bisogno – per ascoltare – di due ingredienti: la generosità della pazienza e il silenzio dal chiacchiericcio interiore. Perché questi due ingredienti possano entrare nel nostro ascolto coltiviamo la serenità e la stabilità della pratica formale. Infatti la concentrazione che permette l’ascolto non è costrittiva ma è piuttosto la libertà di una mente senza la tirannia del passato, o l’anticipazione del futuro. Per affacciarsi alla ricchezza di quello che succede proprio adesso. E ascoltarlo.

Il più grande complimento che abbia mai ricevuto è stato quando qualcuno mi ha chiesto cosa pensavo e ha aspettato la mia risposta. W. Thoreau

Pratica di mindfulness: La meditazione della montagna

© Nicoletta Cinotti 2023

 

 

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Lo spazio dell’attesa

27/12/2022 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Quando guardiamo siamo attirati dagli oggetti, dalle forme e quindi lo spazio tra un oggetto e l’altro finisce solo per disegnare la distanza. Eppure quello è lo spazio nel quale ci muoviamo. Uno spazio senza il quale finiremmo soffocati.

Quello spazio – che noi chiamiamo vuoto – dà la forma e l’armonia agli oggetti e alle cose. Restituisce a loro la dimensione e a noi la possibilità di muoverci e apprezzare la forma.

Quel vuoto – così necessario – è quello che coltiviamo nella pratica. Nella pratica – che sia di bioenergetica o di mindfulness – noi coltiviamo lo spazio di vuoto per poter dare un senso al pieno delle nostre esperienze e al pieno della forma che le cose prendono. Senza quel vuoto le nostre esperienze, i nostri pensieri, le nostre sensazioni diventano affollate e diventa difficile attribuire loro un significato.

Possiamo incontrare quel vuoto anche nella vita quotidiana: si incontra nei tempi dell’attesa. Quando sappiamo che qualcosa verrà ma ancora non c’è. Non è solo i mesi dell’attesa che nasca un bambino. Molti momenti sono momenti di attesa. Tra quando nasce un’idea e quando prende forma. Tra un desiderio e la sua possibile realizzazione. Anche il silenzio è una forma di attesa. È un dare forma al vuoto perchè il vuoto possa definirci. Perchè – alla fine – quello di cui abbiamo bisogno è un senso di spaziosità. Quella spaziosità che è lo spazio dell’attesa, del silenzio, del vuoto.

Con un maggior senso di spaziosità riusciamo più facilmente a rimanere presenti rispetto a qualunque cosa venga in mente e a essere più indulgenti con noi stessi quando le migliori intenzioni vanno storte. Segal, Teasdale, Williams

Pratica di mindfulness: Il suono del silenzio

© Nicoletta Cinotti 2022 Il protocollo MBCT online: in early bird fino al 31 Dicembre

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La nostra mente è un poeta

12/01/2018 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Credo che tutti noi conosciamo il potere delle parole: non parlo solo del tono e del modo con cui le pronunciamo. Parlo proprio della parole in sé per sé. Siamo così sensibili alle parole perchè la nostra mente si forma attorno all’esperienze al linguaggio. Nei primi due anni di vita, fino a che non iniziamo a parlare, l’apprendimento è mediato dall’esperienza: impariamo sulla base di quello che facciamo. E delle emozioni che proviamo nel momento in cui facciamo esperienza. Impariamo dalla gioia – emozione sottovalutata eppure centrale per l’apprendimento – e impariamo anche dalla paura. Se abbiamo paura impariamo a chiudere la mente. Se proviamo gioia ad aprirla e ad esplorare. Più siamo gioiosi e più siamo curiosi, da bambini e non solo.

Quando iniziamo a parlare aggiungiamo un elemento in più attorno a cui strutturare la nostra mente in formazione: le parole. Non impariamo più solo dall’esperienza ma impariamo anche a raccontare l’esperienza. E, soprattutto impariamo un elemento essenziale: la distanza. Perchè la parola ha un grado di distanza dall’esperienza. Quel grado di distanza permette la formazione del processo simbolico (non so cosa mi è preso stamattina con questo spiegone: ho letto delle poesie per bambini appena sveglia e questo è l’effetto!)

La distanza delle parole dall’esperienza è libertà. È scelta, è potere ed energia. Quella distanza dall’esperienza permette anche che, in quello spazio virtuale che si crea tra noi e l’esperienza che stiamo facendo, inizi a comparire un processo consapevole di vergogna. E, purtroppo, di autocritica. Impariamo lì a parlarci: nel breve – o grande – spazio che c’è tra noi e l’esperienza. Se lo spazio è troppo grande è facile che si infili la vergogna che con fare stregonesco ci dice Non vai bene, eh no, così non vai proprio bene.

Se siamo molto perfezionisti quello spazio è grande: grande come il mare. Perché è accresciuto dalla misura della distanza tra dove siamo e dove vorremmo essere. E spesso iniziamo a spronarci come un comandante severo. È qui, proprio qui che è fondamentale ricordarsi che impariamo dalla gioia e che l’imperfezione è una grazia, un dono. Il dono dell’apprendimento.

La cosa davvero difficile e davvero straordinaria è abbandonare l’idea di essere perfetti e cominciare a diventare se stessi. Anna Quindlen

Pratica di mindfulness: Centering meditation

© Nicoletta Cinotti 2018 A scuola di grazia e non di perfezione 

Foto di © AnnaEmilia

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