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arrendersi al corpo

Il piacere, l’ansia e le difese

14/07/2023 by nicoletta cinotti

Forse ti sarà capitato di avere molti impegni e responsabilità e, per portarli avanti, tagliare il tempo libero o tagliare le attività piacevoli con l’illusione di avere così più energia per quello che “devi” fare. Nella depressione da lieve a grave questa è una delle prime cose che accade. Pessima scelta perché abbiamo bisogno di avere un equilibrio tra lavoro e vita personale. per questo motivo aiuto le persone a mettere a fuoco delle attività nutrienti da portare avanti  per avere energia per i compiti quotidiani. Solo che succede una cosa strana: molte persone scoprono che hanno attività nutrienti che sono solo piacevoli (i procrastinatori) o attività nutrienti che sono solo di padronanza, organizzate in agenda come se fossero un impegno di lavoro. ( I controllanti). Entrambi cercano una cosa sola. Tenere a bada l’ansia.

L’ansia è una delle emozioni più pervasive e disturbanti. Anche se non sempre possiamo definirla patologia, è pur vero che il disagio che provoca è così forte che raramente passa inosservato.

La prima domanda però che dovremmo farci è perché proviamo ansia?

Perché sono ansioso?

Proviamo ansia perché desideriamo qualcosa ma sappiamo che questo può essere, anziché un piacere, una fonte di frustrazione. Sappiamo che quel meeting di lavoro può darci molto piacere e soddisfazione ma non siamo sicuri del risultato: proviamo ansia. Sappiamo che quell’incontro potrebbe andare bene ma non è certo: proviamo ansia. Sappiamo che stiamo per avere una crescita professionale: proviamo ansia perché non siamo sicuri di essere adeguati. E gli esempi potrebbero continuare all’infinito. Perché l’ansia non discrimina tra cose positive e negative: possiamo provare ansia nei momenti più belli della nostra vita che finiscono così per essere veramente difficili!

Come dice Alexander Lowen l’ansia nasce come reazione alla frustrazione provata in una condizione piacevole. Se, ripetutamente, quando siamo aperti, amorevoli e rilassati accade un fenomeno avverso – una frustrazione, una punizione o un rimprovero – è molto possibile che si strutturi una forma di ansia cronica che ci porta ad evitare la condizione piacevole che ha scatenato il rimprovero. In questo caso tenderemo a diventare super-preparati e a controllare gli imprevisti in due modi: con la preparazione e con la riduzione dell’improvvisazione e delle attività non preparate accuratamente. saremo precisi, ordinati e controllati e metteremo in agenda la palestra, il cinema, le cene, prenotando tutto con il dovuto anticipo. Un vantaggio ma anche uno svantaggio percé i “controllori” hanno meno gioia e minore propensione alla meraviglia.

Oppure, all’opposto, facciamo solo cose piacevoli, decise last minute e procrastiniamo tutto quello che ci mette in ansia c, finendo poi per avere un accumulo di arretrati che può travolgerci da un momento all’altro. Modi opposti di regolare la stessa emozione. l’ansia! Cerchiamo di ripetere quella situazione piacevole ma in modo da non provare ansia, per esempio attraverso l’uso di alcool.

Quindi l’ansia nasce in relazione al piacere. Ecco perché qualsiasi ansioso ha bisogno di sentirsi in un luogo sicuro. Il luogo, lo spazio fisico in cui si trova e il messaggio – positivo – lo confortano sul fatto che niente di male può accadergli. Nello stesso tempo, il comportamento di evitamento dell’ansia ha un effetto paradossale: la amplifica. Mentre incontrarla con gradualità offre sollievo. Una mente piena di ansia, infatti, crea proprio le paure che teme di più. Le crea ma non riesce a comprenderle ed esplorarle. Pensa continuamente a ciò che potrebbe succedere senza darsi strumenti per comprendere come e perché succede. L’ansia ci porta a velare le nostre risorse e le nostre qualità e rende più difficile lanciare uno sguardo verso la nostra mente originaria.

Ma come fare? E soprattutto, chi saremmo se non fossimo stati frenati dalla nostra ansia? Proviamo a vederlo in teoria e in pratica…

“Accetta il fatto che quando fai qualcosa di nuovo potrebbe andare male, e questo renderà tutto più facile”Alex Noriega

I segnali contraddittori

L’ansia nasce in risposta a segnali contraddittori e può venire evocata dal presentarsi anche di qualsiasi altro segnale ambivalente. Le situazioni originarie risalgono all’infanzia. I bambini sono tutto cuore, sono cioè molto aperti e, per questa ragione anche molto vulnerabili. Man mano che incontrano frustrazioni imparano a costruire dei confini di personalità e un senso di quello che può essere un luogo sicuro e un comportamento sicuro. Purtroppo anche i genitori stessi non sono sempre fonte di piacere e sicurezza e, nella mente del bambino, possono essere associati anche alla possibilità del dolore. È così che iniziamo ad imparare che anche le relazioni possono essere “pericolose”. Se le frustrazioni superano la finestra di tolleranza allora diventa inevitabile che l’ansia ci spinga a costruire delle difese e non solo dei confini. Possiamo addirittura affermare che le difese sono un uso eccessivo dei confini che diventano rigidi e poco adattabili al mutare delle circostanze.

La mente ansiosa non comprende che quando sogna ad occhi aperti cose avvenute nel passato, non è nel presente. E quando non siamo nel presente è difficile agire saggiamente. È più probabile che faremo quello che siamo preoccupati di fare: sbagliare. Jan Chozen Bays

L’ansia e le difese

Le difese diminuiscono l’ansia ma riducono anche la vitalità rendendo attivo l’imbuto dell’esaurimento di cui ti parlavo prima, una specie di gorgo in cui, ad un certo punto, ti trovi immerso, senza via d’uscita.. La difesa, ovviamente, non blocca tutte le iniziative di ricerca del piacere, ma ogni difesa, ponendo un limite alla vitalità è anche un piccola morte.

Dal crepacuore ci difendiamo rinunciando ad amare e dalla morte rinunciando a vivere. Alexander Lowen

Il piacere può essere definito in diversi modi: può essere piacevole un funzionamento regolare, o una variazione nella routine. Per alcune persone è piacevole il riposo, per altre l’attività: potremmo dire che il piacere nasce come senso di soddisfazione per quello che stiamo facendo ed è strettamente personale. In ogni caso si accompagna ad una sensazione fisica, radicata nel corpo, è un movimento espansivo e un flusso di sensazioni dal centro verso le estremità. Un aprirsi, entrare in contatto, protendersi. Non nel caso dell’ansia però: in quel caso l’idea del piacere si accompagna ad una proliferazione di pensiero ipotetico.

I movimenti opposti  di ritiro, chiusura e trattenimento, anche se mettono al sicuro, non vengono vissuti come piacevoli ma come una perdita emorragica di energia. È opportuno sottolineare che, molto spesso, il nostro corpo presenta una situazione mista: parti irrorate e confortevoli, alternate a zone di tensione e ritiro. Non sempre la linea di demarcazione è netta ma la differenza è percepibile a noi e visibile agli altri.

La risposta piacevole è anche una risposta calda e ricca d’amore perché il cuore è in comunicazione diretta con il mondo esterno. Alexander Lowen

L’ansia nel corpo

Così per comprendere l’ansia – e comprendere come reagiamo all’ansia – è necessario andare al di sotto delle difese per guardare fino a che punto una persona possa espandersi senza precipitare nella paura e senza perdere il contatto con la realtà.

Aumenta la tua disponibilità e la tua consapevolezza a guardare innanzitutto che cosa c’è. Virginia Satir

Per fare questo è necessario osservare le diverse modalità di contatto che abbiamo: le braccia e le mani, le gambe e i piedi, la testa e il volto e la sessualità. Queste parti ci permettono il contatto con il mondo e quindi le sensazioni di tensione legate ad ognuna di queste aree – o la loro limitazione – ci offre una prima importantissima informazione.

Ansia: che fare?

Anche se può sembrare paradossale, evitare le situazioni che scatenano l’ansia non è una buona idea. Alla fine ci porta a ridurre eccessivamente la nostra sfera vitale. Quello che è necessario è aumentare il senso di sicurezza personale e, forti di questa base, andare incontro con gradualità alla nostra ansia. Possiamo farlo incrociando due percorsi: aumentare il radicamento nella realtà attraverso il grounding e il lavoro corporeo e regolando le emozioni negative attraverso la pratica di mindfulness e self-compassion. Il protocollo MBCT e il Programma di Mindful self-compassion offrono un’ottima integrazione. Perché questa integrazione funziona?

Il respiro è l’unica funzione che è sia volontaria che involontaria ed è una attività mente – corpo. Il prestare attenzione intenzionale al respiro, inoltre, attiva il ramo parasimpatico del sistema nervoso autonomo, rallentando quel senso di urgenza e di fretta che accompagna l’ansia. L’attenzione al respiro però, nei casi di ansia, deve essere accompagnata dalla rassicurazione, dal calore del conforto perché, altrimenti non può funzionare. Inoltre per molte persone dietro all’ansia c’è una sensazione di inadeguatezza che si esprime attraverso l’autocritica. La self-compassion ci aiuta a confortare questa sensazione e a trovare modi gentili per aiutarci a superare le credenze negative su di noi

Se il respiro è molto accorciato – come accade quando soffriamo di ansia – è necessario aiutarne la libertà, andando a sciogliere le contrazioni circolari che ne limitano l’ampiezza, perché lo stesso accorciamento del respiro può indurre una sensazione di ansia. Possiamo farlo con il tocco e con dei movimenti compassionevoli

Qualche volta può andare bene anche se la sola cosa che puoi fare è respirare. Yumi Sagukawa

I farmaci per l’ansia vanno presi quando sono indispensabili. Molto spesso l’ansia viene trattata con benzodiazepine, vecchi farmaci che pososno essere sostituiti da nuove risposte farmacologiche visto che aumentano il senso di torpore, creano dipendenza e  perdita di padronanza che, peraltro, sono sintomi tipici dell’ansia e innescano così un circolo vizioso.

L’ansia e la mente

È molto frequente che l’ansia renda difficile la concentrazione. Ci fa credere che la fuga sia la migliore risposta mentre invece avremmo bisogno di fermarci. Oppure ci fa rimanere chiusi in casa mentre avremmo bisogno di uscire. Questo perché si invertono i normali flussi di apertura e chiusura. Può essere utile quindi fare pratiche brevi, come Addolcire, confortarsi, aprire oppure Lavorare con i pensieri difficili, precedute dal movimento corporeo,come la Classe del Mattino, o semplicemente, una meditazione camminata.

Al di là di tutto, quello di cui abbiamo bisogno è, progressivamente, avvicinarci proprio a quello che ci fa paura: unica strategia che davvero scioglierà la nostra ansia come neve al sole.

Last but not least

Inoltre l’ansia ha un effetto sulla creatività. A volte un effetto di diminuzione, a volte espressivo. Ci sono persone che creano come modo per calmare la loro ansia. Altre che sono ansiose rispetto alla sola idea di esprimersi creativamente. Sotto tutto questo però, ognuno di noi, ha una sorgente intatta di creatività. È la nostra mente originaria. Come siamo al di là e al di sotto delle nostre difese? Siamo piccoli e grandi artisti della vita!

© Nicoletta Cinotti 2023

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Bibliografia

N. Cinotti, Mindfulness ed emozioni

A. Lowen, Paura di vivere

J Chozen Bays, Come addomesticare un elefante selvatico

 

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Storie sul bisogno

23/02/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Capita a tutti di arrivare alla sera spremuti dalla stanchezza. Di trovare la propria agenda troppo fitta o compressa. In parte è inevitabile perché viviamo in un mondo che ci chiede tanto, tantissimo.

In parte però è evitabile. Perché quella sicurezza che cerchiamo, lavorando intensamente, quella soddisfazione che cerchiamo, offrendoci molti stimoli diversi, ha una ragione segreta: non vogliamo più arrivare a sentire il nostro bisogno. Vogliamo prevenirlo, anticiparlo, anestetizzarlo, dominarlo. Come se allontanandoci dal nostro bisogno potessimo essere più felici e più perfetti. Perché il bisogno comunica, subito, un senso di vulnerabilità

Quel morso profondo che ci dice “Manca qualcosa” oppure “Ho bisogno di te”. In buona parte la pressione della nostra vita è per metterci in condizione di non sentire più l’acutezza del nostro bisogno e il morso della sua fame. Così ci spremiamo fino all’ultimo per evitare di sentire che abbiamo bisogno di qualcosa. Lo facciamo in modo preventivo, onnicomprensivo, esteso. Preferiamo essere spremuti dalla stanchezza che spinti dal bisogno.

Eppure c’è un piccolo ma non insignificante dettaglio: il bisogno disegna il nostro percorso naturale di crescita e cambiamento.

“Solo imparando ad abbracciare fino in fondo tutti gli aspetti di noi stessi –compresi gli elementi a prima vista più negativi della nostra mente e del nostro cuore –, impareremo ad abbracciare anche gli altri. Solo scoprendo la bontà fondamentale sia del nostro loto sia del nostro fango, impareremo a vedere quella di tutti gli esseri viventi.” Accogliere l’inaccettabile: Come vivere appieno un momento spezzato by Pema Chōdrōn

Pratica di mindfulness: Addolcire, confortarsi, aprire

© Nicoletta Cinotti 2023 Be real not perfect: verso un’accettazione radicale

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L’intreccio vitale tra gioia e dolore

01/02/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Se guardiamo alla nostra vita vediamo che la sofferenza e lo stress sono intrecciati con il piacere.
Spesso evitiamo di guardare il dolore nella convinzione che questo potrebbe farlo emergere troppo intensamente.

Questa paura è infondata: se limitiamo la nostra capacità di comprendere il dolore limitiamo anche la nostra capacità di sperimentare la gioia perché le emozioni non sono divise in compartimenti stagni.

Così, se davvero desideriamo essere felici dobbiamo volgere lo sguardo alla parte ferita di noi, come dice Rumi, perché è da lì che entra la luce.

Volgere lo sguardo non significa trovare mirabolanti soluzioni o fantastiche vie di fuga. Non è lo sguardo fugace che dedichiamo a quello che ci fa paura. È lo sguardo amorevole che diamo alle parti di noi che chiedono soccorso. Le guardiamo dritte in faccia e diciamo loro “Buongiorno, sono qui per ascoltare la tua voce, sentire il tuo odore e camminare accanto fino a che sarà necessario“. Potremo scoprire così che la nostra disponibilità rende più lieve e fugace anche il dolore più acuto. In fondo quello che desideriamo è essere ascoltati. Una volta che ci sentiamo accolti e sappiamo che questo è possibile, la strada è sgombra per la gioia alla quale aspiriamo.

Essere una persona non è qualcosa che si può fare; non è un atto definito: è un qualcosa che ci obbliga a interrompere il nostro lavoro frenetico, a prendere il tempo di respirare e sentire. Questo può farci sentire dolore, ma se abbiamo il coraggio di accettarlo, proveremo anche piacere. Se sappiamo far fronte al nostro vuoto interiore, riusciremo a realizzarci. Se siamo in grado di andare in fondo alla nostra disperazione, scopriremo la gioia. Alexander Lowen

Pratica del giorno: La classe del mattino

©  Nicoletta Cinotti 2023 Formazione in reparenting

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Reparenting: autenticità e spontaneità

28/01/2023 by nicoletta cinotti

Quando siamo liberi di esprimerci, qualsiasi sia la comunicazione che stiamo dando all’altro, ne ricaviamo una sensazione piacevole e fondamentale: la sensazione di essere sé stessi e di poter essere liberi in questa espressione personale. La piacevolezza di questa espressione nasce dalla possibilità di lasciar uscire, senza trattenere, quello che siamo e sentiamo, in un flusso espressivo che comunica un senso di libertà. Ma non sempre è così: a volte siamo ambivalenti; altre volte vogliamo che accada qualcosa ma anche l’opposto. Rimaniamo incerti sulla direzione da prendere, su cosa vogliamo davvero e su cosa desideriamo fare.

Abbiamo paura a mostrare i nostri veri sentimenti, paura della disapprovazione e paura delle conseguenze nel mostrarsi così come siamo. Cerchiamo l’approvazione come segnale dell’accettazione e, in fondo, anche come segnale di non pericolo.

Ma cosa significa essere autentici e spontanei e in che modo questo è legato al Reparenting?

L’autenticità come congruenza

La congruenza è la corrispondenza fra quello che si pensa e si sente ed il proprio comportamento; essere congruente vuol dire essere coerente con le proprie emozioni, con i propri valori ed essere in grado di affermarli in maniera adeguata.

La congruenza è essere disponibile ai propri sentimenti, essere perciò capace di viverli, di essere in rapporto con loro e di comunicarli, se è opportuno. Carl Rogers

Secondo Rogers, perché sia possibile esprimerli in maniera congruente, dobbiamo averne consapevolezza. il punto però è proprio qui: la consapevolezza.

[box] Le parti esiliate sono parti che hanno provato dolore, che sono state abusate in senso psicologico o fisico, che sono state fortemente disapprovate da qualcuno che amavamo. Ce ne vergogniamo anche se non hanno fatto alcun crimine I nostri protettori cercano di prevenire il ripetersi di quella situazione dolorosa. Si comportano come i manager di un’azienda: l’efficienza prima di tutto. A volte lo fanno con comportamenti costruttivi. A volte, pur di non far riemergere il dolore del passato, agiscono forme di anestesia, con comportamenti compulsivi, dipendenti o incongruenti. In questo caso i protettori, che altro non sono che le nostre difese, diventano reattivi e pericolosi per il nostro benessere [/box]

Siamo consapevoli di tutti i sentimenti?

Diciamo che, se siamo congruenti siamo consapevoli di tutti i sentimenti ma se temiamo di venir rifiutati, rifiutate è molto possibile che parti di noi scompaiano dalla nostra consapevolezza, diventando parti esiliate. Esiliate non vuol dire assente. Vuol dire che agiscono senza che ci sia possibile una piena padronanza e comprensione. A volte agiscono quasi a nostra insaputa. Sono molte le persone che mi raccontano situazioni in cui hanno avuto comportamenti percepiti come “altro da sé”. Questo esilio e questa  perdita di consapevolezza è una specie di sacrificio dedicato all’essere accettati dagli altri e da noi stessi. Una condizione che, in forma più o meno evidente, quasi tutti noi sperimentiamo. Tutti noi abbiamo amato qualche personaggio pubblico perché ci permetteva di vivere, in modo vicario, parti di noi che rimanevano nascoste e non espresse.

[box] Io, Raymond Carver e Charles Bukowsky. Chi mi conosce sa bene che sono una persona con pochi vizi, quasi noiosa nel mio salutismo. Eppure non posso pensare alla mia vita senza questi due scrittori, ubriaconi e autentici che, per me, sono stati una compagnia indispensabile, tra i miei migliori amici. Forse perché i miei genitori gestivano un bar ristorante nella campagna toscana, dove il vino scorre a fiumi, e così sono cresciuta tra ubriaconi, pazzi autentici, che mi incuriosivano e insegnavano cose che mai avrei creduto di conoscere.[/box]

Quello che proviamo davvero diventa però un segreto che suscita vergogna. Possiamo vergognarci del nostro orientamento e comportamento sessuale, dei nostro comportamento alimentare, della nostra casa o di aspetti del nostro stile di vita. La vergogna, come ogni potente inibitore, diventa un fattore di esclusione dalla consapevolezza di parti intere del nostro panorama psichico: sacrificate al desiderio di essere accettati. Escludiamo parti di noi, per la paura di essere esclusi dagli altri.

L’inibizione che nasce dalla contrazione e dal collasso

La vergogna è il sentimento che rivela la presenza di parti esiliate. Ha due origini cronologiche e due diversi effetti corporei. la vergogna più antica è quella collegata all’esperienza del rifiuto. Possiamo immaginarla con una scena ipotetica. Un bambino che corre incontro a qualcuno, aperto e vitale, e ciò che esprime viene rifiutato. La risposta corporea è una specie di collasso e la vergogna che prova è quella che io chiamo vergogna bianca. Si accompagna ad un ritiro del sangue dalla periferia al centro del corpo. E alla sensazione di voler scomparire, svanire, immergersi nel nulla. Il corpo collassa e perde letteralmente tono muscolare.

La seconda tipologia di vergogna è cronologicamente successiva e connessa già alla fantasia di sapere ciò che sta nella mente dell’altro. Emerge una sensazione – spesso piacevole o di attrazione – e la reprimiamo perché temiamo di venir rifiutati. In questo caso compare rossore, una aumentata percezione del corpo, che diventa impacciato e una risposta più muscolare e meno viscerale della precedente. È un tipo di vergogna che presuppone la capacità di immaginare ciò che sta nella mente dell’altro e quindi è cronologicamente successiva. Nel primo caso avviene un rifiuto reale, nel secondo caso è il timore del rifiuto, il timore che una parte di noi susciti disgusto, che ci blocca dall’espressione.

Che relazione c’è tra consapevolezza e auto-espressione?

Se siamo consapevoli di noi riusciamo sempre ad esprimerci? Intanto bisogna dire che l’auto-espressione non è sempre cosciente. Comunichiamo agli altri sempre qualcosa ma non sempre siamo consapevoli di quello che stiamo comunicando. Inoltre non sempre la consapevolezza aiuta l’espressione spontanea, proprio perché, spesso, viene frenata dalla nostra fantasia su come gli altri potrebbero accogliere quello che sentiamo. La consapevolezza è la radice ma è, per l’appunto, limitata dalle contrazioni corporee e dalle difese emotive. Quindi a volte esprimiamo cose di cui non siamo consapevoli e, a volte tratteniamo, consapevolmente o inconsapevolmente, parti di noi che temiamo di mostrare al mondo. Questo accade perché esistono due tipi di consapevolezza.

Due tipi di consapevolezza senza traduzione in italiano!

In inglese esistono due parole per definire la consapevolezza: self-awareness – che è la consapevolezza che nasce dalla percezione e dall’essere immerso nell’esperienza (la consapevolezza che coltiviamo nella mindfulness e nella bioenergetica) – e la self-consciousness – che è la consapevolezza di quello che sta nella mente dell’altro. Questa seconda consapevolezza, anche se differita, è importante perché è la base dell’empatia e della compassione nei confronti degli altri. Purtroppo a volte si nutre di fantasie persecutorie più che di intuizioni realistiche.

Questi due diversi tipi di consapevolezza sono il terreno anche di diverse emozioni: la self-awareness è il terreno su cui proviamo le emozioni di base (rabbia, paura, disgusto, amore/gioia, sorpresa, tristezza); la self-consciousness quella su cui proviamo le emozioni relazionali come vergogna, umiliazione, senso di colpa, orgoglio e così via. (Trovi un approfondimento sulle self-consciousness emotions nel libro, Mindfulness ed emozioni.)

Sono due tipi di consapevolezza spesso presenti contemporaneamente anche se tanto più è definita la presenza dell’una, tanto più l’altra diminuisce. Più siamo immersi nell’esperienza – self-awareness – meno siamo preoccupati di come ci vedono gli altri. E, viceversa, se siamo molto preoccupati di come ci vedono gli altri, possiamo sentire molto poco le nostre sensazioni primarie. E perdere così di spontaneità e autenticità. L’inibizione che queste emozioni comportano frena e limita la libertà dei nostri movimenti fisici e affettivi.

La piena spontaneità è una garanzia di espressione onesta della natura e dello stile dell’organismo che funziona liberamente e della sua unicità. Le due parole, spontaneità ed espressività, implicano onestà, naturalezza, sincerità, assenza di scaltrezza, di imitazione, perché implicano anche la non strumentalità del comportamento, l’assenza di tentativo volontario, di sforzo, di tensione forzata, di interferenza con il fluire degli impulsi e la libera espressione radioattiva del profondo della persona. Abraham Maslow, The creative attitude

La spontaneità: dimorare nell’esperienza in corso

Spesso la spontaneità – rappresentata dal dimorare nell’esperienza in corso e sentirsi liberi di esprimersi – è definita in termini negativi, come “mancanza di sforzo” oppure “mancanza di interferenza”. Il punto è che la spontaneità non può essere insegnata: possiamo solo aumentare la capacità di stare nell’esperienza e sostenere una espressione che abbia padronanza e non controllo.

Lo scopo di una terapia dovrebbe essere rimuovere barriere e blocchi che limitano l’espressione  attraverso l’esperienza corporea. Un’esperienza che integri i diversi aspetti della nostra personalità, senza graduatorie. Insomma nel nostro condominio emotivo dovrebbero trovare spazio anche gli inquilini che teniamo nascosti perché ci suscitano vergogna. Perché l’esclusione – interiore e sociale – è sempre foriera di patologia.

Escludere = alimentare la patologia

Ogni volta che escludiamo una parte di noi – e ogni volta che facciamo la stessa cosa a livello sociale – alimentiamo la patologia e la devianza. L’esclusione dal gruppo prevalente altera le risposte della persona, aumenta il conflitto interiore e il conflitto sociale e contribuisce al proliferare di comportamenti antisociali. Quindi quando pensiamo di “ricondurci all’ordine” negando parti di noi, è molto probabile che, per farlo, i nostri protettori reattivi, le nostre difese, usino mezzi impropri di regolazione emotiva, mezzi analgesici del dolore come alcool, droghe, o comportamenti compulsivi che ci anestetizzano. Siamo proprio sicuri di volere che l’ordine venga ripristinato in questo modo?

Cambiare diventando se stessi

Così il Reparenting non è altro che un processo per cambiare diventando  sè stessi. Un processo che ha due movimenti: da una parte quello di portare la consapevolezza in modo ampio, a tutte le parti di noi, riducendo il conflitto interiore per aspetti che riteniamo disfunzionali. Dall’altra – a partire da questa integrazione – coltivare e sostenere la crescita delle qualità di base della nostra mente originaria, andando davvero al di là di tutti i discorsi sull’argomento. Non una teoria quindi ma una pratica su chi siamo davvero e sulle nostre autentiche qualità.

Ti amo non per chi sei ma per chi sono io quando sono con te. Gabriel Garcia Marquez

© Nicoletta Cinotti 2023

https://www.nicolettacinotti.net/eventi/mindfulness-e-psicoterapia-formazione-in-reparenting/

 

 

 

 

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Accondiscendenza e ribellione

30/12/2022 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Quando non abbiamo sentito accolto il nostro bisogno d’amore possiamo trasformarlo in ambizione, come dicevo ieri, oppure diventare troppo accondiscendenti. Troppo disponibili, pur di essere amati, ad accogliere qualsiasi richiesta, necessità, esigenza del nostro interlocutore.

Entrambe queste posizioni – l’accondiscendenza e la ribellione – sono in una sorta di continuum. Spesso mischiate tra di loro: passiamo dalla ribellione all’essere mansueti. Nessuna delle due però, esprime davvero noi stessi. In un caso lasciamo che la consolazione avvenga solo da fatti e atti concreti, da successi materiali e tangibili, nell’altro che sia tutto legato all’approvazione dall’esterno.

Entrambe queste posizioni perdono l’esplorazione interiore e ci rendono dipendenti e ripetitivi.

Nel dare attenzione alle nostre modalità automatiche di risposta relazionale, attiviamo un processo di cambiamento. L’azione dell’esplorare nutre un processo di trasformazione senza che ci sia necessità di aggiungere nient’altro. Solo dicendo a noi stessi che siamo disponibili ad esplorare, riconosciamo che ciò che abbiamo di fronte è un fenomeno che merita attenzione, che non possiamo dare per scontato e aggiungiamo in più quell’energia che è necessaria al cambiamento: un’attenzione affettuosa.

Ci sono persone che lasciano andare troppo facilmente e non trovano quello che cercano perché, anziché lasciarsi andare al Sé, si lasciano andare ad un’altra persona. Come se diventassero bambini nelle braccia di un genitore che è l’unico che può provvedere al suo soddisfacimento. Questo non significa che non ci sia amore in quella relazione ma significa che questo amore ha una qualità infantile o bambinesca.

Alexander Lowen

Pratica del giorno: Grounding

© Nicoletta Cinotti 2022 Il Programma di Mindful Self-compassion. Iscrizioni con early bird fino al 31 Dicembre

 

 

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La frustrazione e il re bambino che vive dentro di noi

08/02/2017 by nicoletta cinotti 1 commento

Ci sono cose che ci fanno arrabbiare. Altre che ci fanno tristezza. Poniamo rimedio diversamente a queste cose. In alcuni casi esprimiamo la rabbia e la tristezza. In altri casi rimane dentro di noi.

Poi c’è una situazione strana che è un misto tra queste due emozioni. Nasce dalla sensazione che potremmo essere felici se solo il mondo fosse come lo vogliamo.

Se solo le cose andassero come pensiamo noi, tutto sarebbe perfetto. L’aria pulita, i fiumi limpidi, cesserebbero le guerre e ci sarebbe pace tra gli uomini. Invece qualcuno si diverte a fare di testa sua. A non seguire i nostri consigli. A non esaudire le nostre richieste. E scoppia in noi quel sentimento intenso e persistente della frustrazione. Ci rende ciechi della bellezza dei fiumi. Sordi della bellezza dei suoni. Tutto diventa oscuro perchè qualcosa o qualcuno si permette di frustrare i nostri desideri. È un dolore tanto atroce quanto impotente perchè nasce dal fatto che non possiamo controllare il mondo. Non possiamo controllare gli altri. Siamo convinti che la ragione della nostra infelicità (e felicità) sia totalmente fuori dal nostro controllo. Che non possa esistere – per noi – felicità fuori dal fatto che gli altri siano come vogliamo.

Uscire dalla logica della frustrazione è indispensabile. Provarla – qualche volta o spesso – è inevitabile. Nasce dal re bambino che siede dentro di noi. Quello convinto che il mondo sarebbe stato ai suoi piedi e non si rassegna alla constatazione che non è cosi. E protesta con quel misto di rabbia e tristezza che risuona di echi di disperazione. Il dolore che la frustrazione provoca è grande e profondo. Tanto quanto assurdo. Non permettiamo al nostro re bambino di diventare un tiranno. Non permettiamogli di cancellare quella dolcezza che nasce dalla comprensione  che anche gli altri hanno diritto a sbagliare, a non capire, a non potere o sapere fare diversamente. Restituiamo al nostre re bambino il piacere della relazione. Quella in cui siamo pari e ognuno responsabile della propria felicità.
La frustrazione produce una crisi: prendiamola come un’occasione per crescere.

Una crisi personale ha luogo solo quando un aspetto di rigidità della personalità è sottoposto ad una grossa tensione. È dunque un pericolo ma anche una occasione per eliminare la tensione e crescere. Alexander Lowen

Pratica di mindfulness: Meditazione su corpo, respiro, pensieri, suoni

© Nicoletta Cinotti 2017 Le relazioni e il corpo  Foto di ©sarmax

 

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