Siamo cresciuti con l’idea che le cose, per farle, bisogna sentirsele. E questo può essere un buon criterio che ci libera dallo sforzo, dalla pressione.
Come tutti i criteri ha delle condizioni, dei prerequisiti, perché abbia senso seguirlo. Ci sono, infatti, molte situazioni in cui sappiamo che dovremmo fare qualcosa – sappiamo che ci fa bene – ma non ne abbiamo voglia. Oppure situazioni in cui, all’opposto, sappiamo che quella cosa che desideriamo tanto, ci fa decisamente male. Quella sigaretta in più, quel dolce in più, quel bicchiere in più sappiamo che, dopo, sarà tutt’altro che un piacere.
Come muoversi quindi rispetto al sentirsi o non sentirsi e rispetto al lasciare che quello che facciamo nasca da quello che sentiamo?
Intanto partiamo dal basso: partiamo dall’umore. Se l’umore è basso non abbiamo voglia di fare quello che ci fa bene: abbiamo voglia di rimanere richiusi nelle abitudini che ci danno un conforto immediato, anche se dopo ci fanno male. In questi casi è meglio non fare quello che ci sentiamo di voler fare e fare, anzi l’opposto. Uscire se abbiamo voglia di stare in casa, non mangiare se abbiamo voglia di addentare un altro biscotto.
Se invece quello che desideriamo è un piacere, se è un atto di cura per noi, non facciamoci fermare dal senso di colpa, da quella vocina che è subito pronta a giudicarci egoisti: facciamo pure quello che ci sentiamo di fare. È il senso di colpa che va messo in un cassetto e non il nostro desiderio!
La paura del piacere è la paura del dolore, non solamente il dolore fisico che il piacere provoca nel corpo rigido e contratto ma anche il dolore psicologico della perdita, della frustrazione e dell’umiliazione. Durante la nostra crescita superiamo questi dolori reprimendo la tristezza, la paura, la collera. Agendo in questa maniera diminuiamo le nostre capacità di amare, di provare gioia e piacere. Alexander Lowen
Pratica del giorno: La classe del mattino
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