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psicologi

L’inversione del desiderio

08/09/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Siamo cresciuti con l’idea che le cose, per farle, bisogna sentirsele. E questo può essere un buon criterio che ci libera dallo sforzo, dalla pressione.

Come tutti i criteri ha delle condizioni, dei prerequisiti, perché abbia senso seguirlo. Ci sono, infatti, molte situazioni in cui sappiamo che dovremmo fare qualcosa – sappiamo che ci fa bene – ma non ne abbiamo voglia. Oppure situazioni in cui, all’opposto, sappiamo che quella cosa che desideriamo tanto, ci fa decisamente male. Quella sigaretta in più, quel dolce in più, quel bicchiere in più sappiamo che, dopo, sarà tutt’altro che un piacere.

Come muoversi quindi rispetto al sentirsi o non sentirsi e rispetto al lasciare che  quello che facciamo  nasca da quello che sentiamo?

Intanto partiamo dal basso: partiamo dall’umore. Se l’umore è basso non abbiamo voglia di fare quello che ci fa bene: abbiamo voglia di rimanere richiusi nelle abitudini che ci danno un conforto immediato, anche se dopo ci fanno male. In questi casi è meglio non fare quello che ci sentiamo di voler fare e fare, anzi l’opposto. Uscire se abbiamo voglia di stare in casa, non mangiare se abbiamo voglia di addentare un altro biscotto.

Se invece quello che desideriamo è un piacere, se è un atto di cura per noi, non facciamoci fermare dal senso di colpa, da quella vocina che è subito pronta a giudicarci egoisti: facciamo pure quello che ci sentiamo di fare. È il senso di colpa che va messo in un cassetto e non il nostro desiderio!

La paura del piacere è la paura del dolore, non solamente il dolore fisico che il piacere provoca nel corpo rigido e contratto ma anche il dolore psicologico della perdita, della frustrazione e dell’umiliazione. Durante la nostra crescita superiamo questi dolori reprimendo la tristezza, la paura, la collera. Agendo in questa maniera diminuiamo le nostre capacità di amare, di provare gioia e piacere. Alexander Lowen

Pratica del giorno: La classe del mattino

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBCT online. Ultimi giorni in early bird

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La mente è una nuvola

17/08/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Se potessimo guardare come funziona la nostra mente vedremmo punti luminosi che si accendono e spengono in tutto il corpo e nel cervello. Qualcosa di molto simile ad una nuvola di connessioni luminose che avvengono contemporaneamente in parti diverse del corpo e della testa. Quel cloud di parole che a volte vediamo scritte con parole a caratteri più grandi e altre più piccole a seconda della forza della connessione.

La nostra mente è associativa: un aspetto ne suscita un altro, che si ramifica in un altro ancora. È per questo che se soffriamo di attacchi di panico, o se abbiamo avuto un trauma, aspetti apparentemente banali possono scatenare una crisi. Diventano interruttori – punti trigger – che innescano una catena associativa (assolutamente non logica).

Così, improvvisamente, possiamo venir attraversati da stati d’animo molto intensi e siccome abbiamo bisogno – assoluto – di dare significato a quello che proviamo, finiamo per “dare la colpa” a qualcosa che è avvenuto precedentemente. Anche se non ha nulla a che vedere con quello che è successo. Proprio nulla. Ma noi abbiamo bisogno di capire, di dare un significato: l’assenza di significato è angosciosa. Così, molto spesso, attribuiamo significati a caso. Significati che ci lasciano inquieti e dubbiosi perché sappiamo che non sono autentici.

Questa è la brutta notizia. Poi c’è la buona notizia che è veramente buona.

La buona notizia è che se impariamo – e non è difficile farlo – a dare nome a quello che sentiamo (il nome giusto come nei cruciverba) disattiviamo, senza sforzo, questi interruttori. Dai alla mente qualcosa che la calma, che è la giusta descrizione. E ogni parola della giusta descrizione va a costruire un significato autentico. Non uno credibile ma sbagliato. Uno autentico e che ci calma. Ogni nome giusto è come la tessera di un puzzle. Tante tessere formano un’immagine e nessuna tessera è più importante di un’altra: tutte contribuiscono all’immagine, a renderla completa. Ecco perché il diario della pratica è utile. Non importa però se non riesci a scrivere: ogni volta che sei attraversato da una sensazione intensa dai nome alle sensazioni fisiche, alle sensazioni emotive e ai pensieri. Nomi semplici, come quelli di una cantilena da bambini. E vedrai, come per incanto, quanto quei nomi ti calmano e ti accompagnano.

Aaron Antonovsky, sociologo della medicina, ha cercato di chiarire quali fossero i tratti psicologici che permettono ad alcuni di resistere allo stress estremo, mentre altri non ci riescono. La sua ricerca lo ha portato ad evidenziare tre caratteristiche – coerenti tra di loro – la comprensibilità, la gestibilità e la significatività. Cioè chi è molto resiliente allo stress è convinto che la sua condizione abbia un significato al quale si possono dedicare; sono convinti di poter gestire la loro vita; e che la situazione sia comprensibile anche se appare caotica e fuori controllo. Williams, Penman

Pratica di mindfulness: Spazio di respiro di tre minuti

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBCT online

 

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Insonnia

16/04/2023 by nicoletta cinotti

Il sonno è indispensabile alla vita: è una fisiologica, ritmica e spontanea interruzione delle attività tipiche della veglia, cioè della vita cosciente e di relazione e si accompagna a variazioni fisiologiche soprattutto metaboliche con bradicardia, bradipnea e ipotermia.

All’EEG  si compone di (1)-sonno lento e ortodosso o sincronizzato o non REM; (2)-sonno rapido o paradosso o desincronizzato o REM (Rapid Eyes Mouvement) caratterizzato da ritmi rapidi EEG, accompagnato da movimenti rapidi oculari, tipico della fase dei sogni e accompagnato – a differenza del sonno lento – da perdita del tono posturale, innalzamento dei metabolismi con ipertermia relativa, tachicardia e tachipinea relativa, ipertensione, aumento del tono simpatico e della secrezione corticosurrenalica, aumento del flusso ematico cerebrale

Il sonno rapido rimane costante e rappresenta un quinto del sonno totale, fase REM e non REM si susseguono 4/6 volte per notte ogni 1-2 ore.

Cos’è il sonno

Il sonno è la risultante (Mancia 1980) della interazione di un sistema risvegliante desincronizzante e di un sistema ipnogeno sincronizzante, circuiti specializzati a livello del tronco, ipotalamo e talamo .

La alterazione di questa interazione determina una turba del sonno.

In termini neurofisiologici si assiste ad una riduzione delle fasi di sonno lento con relativa maggior rapidità per arrivare al sonno paradosso; per quanto riguarda la fase REM i “buoni” dormitori si distinguono dai “cattivi”dormitori per una maggior quantità di sonno REM.

Tra gli ormoni che intervengono nell’induzione del sonno svolge un ruolo primario la serotonina mentre la noradrenalina svolgerebbe un ruolo nel sogno. Da un altro punto di vista possiamo considerare la fase non REM come preparatoria ad una fase esecutoria REM di soddisfazione dell’istinto(sogni).

Le turbe del sonno

Le turbe del sonno si possono considerare come disturbi di questo ritmico alternarsi di fasi preparatorie e consumatorie.

Da un punto di vista psicoanalitico possiamo riferirci al senso che assume il sonno per l’individuo: predominano due elementi, il primo legato all’angoscia di morte connessa al dormire (il sonno è stato paragonato ad una “piccola morte”); il secondo al desiderio di ritorno alla fusione con la madre, desiderio ambivalente di fusione con il seno materno

A questa stregua ci si potrebbe chiedere se il bicchiere di latte che favorisce il sonno è utile perchè simbolizza il seno materno o perchè contiene un alto contenuto di triptofano precursore della serotonina.La definizione di insonnia è legata molto a valutazioni soggettive:il vero punto è quanto il soggetto si sente stanco il giorno dopo. L’insonnia, infatti, non è un problema esclusivamente notturno

La maggior parte delle classificazioni distinguono – accanto ad una insonnia occasionale – le insonnie vere distinte in primitive e secondarie a disturbi fisici o psichici.

E’ un disturbo del riposo notturno che può riguardare sia la qualità che la quantità di sonno – le ore di sonno necessarie sono 6/8.

I principali tipi di insonnia

I principali tipi di insonnia sono

1-difficoltà di addormentamento

2-risvegli notturni frequenti e brevi

3-uno o più risvegli prolungati

4-risveglio mattutino precoce

Le cause sono soprattutto psicologiche ma vi sono cause organiche come l’ipertiroidismo ,i disturbi del respiro ,le cardiopatie,l’insufficienza renale.

L’insonnia iniziale sarebbe tipica delle sindromi ansiose, quella terminale della depressione, quella intermedia di entrambe. L’ansia è infatti una forma di ipervigilanza e pertanto una esasperazione dell’attenzione. Nel caso della depressione se si considera il sonno come un istinto, l’insonnia potrebbe rientrare in quel quadro di globale perdita degli istinti caratteristica del depresso; se consideriamo il sonno come una funzione di recupero potremmo vedere nell’insonnia la prima e più importante delle somatizzazioni depressive (espressione a livello somatico del conflitto psichico)

Chi soffre d’insonnia?

In generale chi soffre di insonnia

  • è dominato da un desiderio di iperattività, è insoddisfatto della propria vita e vorrebbe prolungarla anche nelle ore di sonno;
  • teme gli eventi improvvisi,non si lascia andare alle emozioni;
  • è ipercontrollato,timoroso dei momenti di abbandono,deve stare sveglio per controllare la situazione;
  • teme l’istintualità,spesso allontana da sé la sessualità come momento in cui ci si lascia andare;
  • teme la passività;
  • teme la notte che popola di fantasmi negativi e/o aggressivi;
  • teme la propria aggressività rimossa ed espressa a volte nei sogni e negli incubi;
  • attribuisce un potere superiore alla mente rispetto al corpo.

Ogni tipo di insonnia quindi si presta ad una lettura più specifica

  • difficoltà nell’addormentamento:la persona non vuole o non riesce a fermare l’attività mentale e mettere da parte gli eventi appena trascorsi e non vuole affidarsi alle capacità rigeneranti e ricostitutive della notte;
  • risvegli notturni: i contenuti profondi emergono alla coscienza; ansie rispetto a decisioni da prendere, conflitti da risolvere, bisogni di cambiamento, fantasie rimosse di tipo sessuale ma anche aggressivo;
  • risveglio mattutino precoce: ansia di affrontare una nuova giornata, la mente è più che mai attiva, focalizzata soprattutto sugli impegni della giornata.

In questo caso non si tratta dell’irrompere dell’inconscio nella coscienza come nei casi precedenti ma è la coscienza che interrompe il sonno, nel tentativo di riprendere a controllare interamente la realtà e le situazioni.

Terapia?

Per valutare se è opportuno fare una specifica terapia è bene rispondere alle seguenti domande:

  • Ci sono cause cause organiche?
  • Ricontattare il corpo e allentare il controllo razionale mediante tecniche di rilassamento corporeo piacevoli  (autoipnosi, mindfulness, training autogeno)
  • chi si sveglia nel corso della notte è utile che si renda consapevole di tematiche irrisolte che possono riguardare eventi quotidiani o conflitti profondi (analisi dei sogni)
  • chi si sveglia troppo presto è bene che si tolga da uno schema di vita in cui è meccanicamente calato da tempo, riorganizzando il proprio tempo in modo meno stressante (pratiche di mindfulness)
  • l’uso di ipnoinducenti è consigliabile solo sotto stretto controllo medico e per periodi limitati di tempo.

© Luisa Merati 2016

 

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Troviamo la nostra vera natura

17/12/2022 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Il desiderio di cambiare è essenzialmente una forma di aggressione verso se stessi. Un altro problema è che i nostri conflitti psicologici, purtroppo o per fortuna, contengono la nostra ricchezza. Le nostre nevrosi e la nostra saggezza sono costituite dallo stesso materiale. Se buttiamo via le nevrosi, buttiamo anche la saggezza.

Quando siamo molto arrabbiati, siamo anche pieni di energia: è questa energia che ci rende così vitali e che piace così tanto alla gente. Il punto, allora, non è liberarsi della rabbia ma farci amicizia, osservarla chiaramente con precisione, onestà e gentilezza. Ciò significa che non dovete né considerarvi una persona indegna, né cadere nell’autocompiacimento: “Faccio bene a comportarmi così, ho proprio ragione. Gli altri sono insopportabili, è giusto che io sia sempre arrabbiato con loro”.

Gentilezza vuol dire non reprimere la rabbia, ma anche non darle libero sfogo. È qualcosa di molto più raffinato e generoso. Presuppone che, una volta pienamente riconosciuta la sensazione della rabbia, una volta compreso chi siete e che cosa state facendo, impariate a lasciar andare. Potete lasciar andare la solita storiella meschina che fa da sfondo alla vostra rabbia e iniziare a vedere chiaramente come e quanto continuate a tenere in piedi tutta la faccenda.

Allora che si tratti di rabbia, attaccamento, gelosia, paura o depressione, qualunque cosa sia, l’importante è non cercare di reprimerla ma fare amicizia con essa. Ciò significa arrivare a conoscere l’emozione in profondità e con una certa delicatezza e, una volta che l’abbiamo pienamente sperimentata, imparare a lasciarla andare. Pema Chodron

© www.nicolettacinotti.net  Rubrica “Addomesticare pensieri selvatici”

https://www.nicolettacinotti.net/eventi/be-real-not-perfect-verso-unaccettazione-radicale/

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Mindful Eating

19/11/2022 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Ti sei mai chiesto/a quanti tipi di fame abbiamo?

Ti capita mai di mangiare per soddisfare un senso di vuoto, per consolarti dopo una giornata faticosa, per farti una coccola in un momento di bisogno, o per sfogare lo stress?

O anche perché pensi che non ci sarà cibo disponibile per molte ore, o perché hai sentito un odore irresistibile, o perché hai visto un dolce bellissimo in una vetrina di una pasticceria? O perché hai sentito il rumore di una patatina che scrocchiava tra i denti di qualcuno che sta vicino a te? Riconoscere i diversi tipi di fame è il primo passo per essere consapevoli quando mangiamo e la consapevolezza è il primo passo per la libertà, la libertà di scegliere quanto, quando, cosa e come mangiare, liberandoci da sensi di colpa, giudizi verso noi stessi e comportamenti automatici.

Mindful eating (alimentazione consapevole) è un approccio che aiuta a portare la piena attenzione all’atto del mangiare – a tutti i sapori, odori, pensieri ed emozioni che affiorano quando mangiamo. Insegna a

–          Sintonizzarti con la saggezza del tuo corpo riguardo cosa, quando, e quanto mangiare

–          Mangiare di meno quando ti senti pienamente soddisfatto/a

–          Riconoscere le tue abitudini e comportamenti alimentari

–          Sviluppare un’attitudine più compassionevole verso le tue difficoltà con il cibo

–          Scoprire di cosa sei veramente affamato/a.
Ne parlo in questo video con Paola Iaccarino Idelson
https://www.bookcitymilano.it/eventi/2022/esercizi-di-mindful-eating-per-tutti

Paola Iaccarino Idelson biologa nutrizionista, si specializza in scienza dell’alimentazione alla facoltà di Medicina dell’Università di Napoli Federico II, dopo aver conseguito un master a Londra in Antropologia culturale. Il Dottorato in Scienza dell’alimentazione e della nutrizione le permette di fondere la sua passione per la sana alimentazione e della salute pubblica. coniuga la sua passione professionale per la nutrizione con quella più personale della meditazione, attraverso la formazione in Mindful Eating and Conscious Living Level 1 di Jan Chozen Bays and Char Wilkins. Questa formazione le permette di aiutare meglio tutte e persone che sono sempre a dieta con scarsi risultati, che hanno problemi con la fame incontrollata, che soffrono per il loro comportamento alimentare e tutte le persone che vogliono vivere la loro vita in maniera più presente.

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Cosa c’è di nuovo nella cura con la Mindfulness?

16/04/2022 by nicoletta cinotti

Gli ultimi vent’anni sono stati attraversati dal vento della mindfulness, nelle diverse aree di cura. Un vento che ha portato semi nuovi e diffuso un approccio diverso alla cura di disturbi sia fisici che emotivi. Troviamo così la mindfulness come medicina complementare nella patologie fisiche e nel trattamento della depressione o dei disturbi emotivi. Cosa la rende così versatile? Quali sono i suoi principi di base? Cos’è che rende diverso l’approccio mindfulness alla cura?

L’approccio difensivo alla cura

 

Sia in psicologia che in medicina la cura – nell’ultimo secolo – è passata attraverso la logica delle difese. Il sistema immunitario ci protegge dall’attacco di agenti patogeni; le difese psicologiche ci proteggono da attacchi di tipo emotivo. La salute è stata associata all’avere un sistema immunitario in regola e un sistema difensivo efficace. E la cura è stata vista come un modo per rafforzare l’efficacia difensiva.

Questo approccio difensivo alla cura – ha sottovalutato il costo del tenere attiva una difesa. E ha anche sottovalutato il costo – in termini energetici – di mantenere attivo preventivamente un sistema difensivo. Le difese dovrebbero funzionare nel momento in cui c’è un attacco e disattivarsi una volta che l’attacco si è concluso. In realtà, almeno psicologicamente, i sistemi difensivi rimangono attivati più del necessario e finiscono così per costruire sintomi che non sono legati al disturbo ma proprio all’attivazione difensiva.

Un esempio? I sintomi paranoidi spesso sono un effetto delle difese non della patologia che ha un carattere depressivo. Oppure, nel caso delle patologie cardiovascolari, sappiamo che il rischio di infarto miocardico è aumentato in persone che nutrono affetti negativi. Affetti negativi che sono il risultato di conflitti irrisolti e mantenuti attivi dalle difese stesse.

Abbiamo costruito una cultura della guerra e ne stiamo vedendo le conseguenze proprio in questo momento.

 

Passare alla logica delle risorse

 

Spostare l’attenzione sulle risorse personali – che è uno dei primi passi dell’approccio basato sulla mindfulness – diminuisce il senso di pericolo e sottolinea l’aspetto delle capacità mettendo – psicologicamente – in un clima positivo. Inoltre attiva le risposte del sistema connesso alla calma e alle relazioni sociali, integrando gli aspetti cognitivi e quelli emotivi. 

 

L’uso sproporzionato della logica delle difese potrebbe essere responsabile della discrepanza che a volte viviamo tra pensiero ed emozioni

La nostra struttura di pensiero difensiva ci fa andare in una direzione che non è congruente con l’aspetto emotivo – so questa cosa ma non la sento è la frase che esprime questo conflitto – e dipende dal fatto che affidiamo in maniera eccessiva il processamento delle informazioni ai canali razionali e difensivi. Emotivamente avremmo bisogno di essere consolati ma, di fatto, – avendo attivato le nostre difese – abbiamo accesso ad una possibilità razionale di consolazione ma non affettiva.

Quali emozioni attivano le difese

 

Ci sono emozioni  attivate dai nostri sistemi difensivi. Sono emozioni come la vergogna, l’umiliazione, l’autocritica.

Queste emozioni disinnescano le risposte legate al conforto sociale, alla calma e alla relazione tra esseri umani e spingono ad un comportamento di ritiro.

Sono emozioni presenti in una varietà di disturbi emotivi perché, come dicevo prima, sono connesse alla difesa e non al disturbo emotivo.

Sono emozioni trans-diagnostiche: ossia le provi sia se hai un disturbo ossessivo-compulsivo, che un disturbo dell’alimentazione, una depressione maggiore o semplicemente una condizione cronica di stress.Spostare l’attenzione sugli aspetti legati alle regolazione attraverso emozioni positive, delle emozioni relazionali, ha un duplice effetto: riduce la sensazione di pericolo e porta in contatto con gli altri proprio nel momento in cui abbiamo bisogno di uscire dal ritiro prodotto dalla paura connessa alla minaccia.Facciamo un piccolo excursus e vediamo che cosa comporta avere attivo un sistema di autocritica

Il sistema di autocritica

Una delle ipotesi più accreditate sul nostro funzionamento ipotizza che esistano tre diversi schemi di risposta neuro-psico-fisiologica: 1) un sistema difensivo (attacco, fuga, freezing o accondiscendenza); 2) un sistema di ricerca delle risorse connesso all’eccitazione e alla ricerca di risposte connesse ai  nostri desideri e un 3) sistema affiliativo connesso alle emozioni di calma, relazione e connessione. L’autocritica si attiva in collegamento con quello difensivo e comporta una disattivazione del sistema di calma e connessione sociale. Quando è attiva l’autocritica – o la critica – sembra che le nostre capacità di connessione sociale siano spente. Il pensiero diventa competitiva e le modalità cooperative passano in secondo piano. Diminuiscono gli scopi condivisi e aumentano gli scopi personali; se la cooperazione aumenta le risposte relazionali, la competitività sviluppa una sorta di contro – empatia che rende più difficile – se non impossibile – l’accesso alle modalità di calma e connessione relazionale.

La percezione della minaccia disattiva la riflessione

 

Di questo quadro fa parte anche il fatto che quando ci sentiamo minacciati da una minaccia interna – autocritica – o esterna – critica o attacco – la nostra capacità riflessiva decresce in maniera estremamente rilevante.

Essere riflessivi, quando si è in pericolo, non è detto che sia una buona qualità e quindi diamo la precedenza alle risposte impulsive e rapide.

Se questa condizione è transitoria non ci sono particolari problemi: al ripristinarsi della situazione di sicurezza, torna attiva anche la capacità riflessiva.

Se, invece, le nostre difese rimangono attive anche dopo che il pericolo è passato, è molto probabile che, con il tempo, si sviluppi un atteggiamento non riflessivo e non affettivo rispetto alle difficoltà che incontriamo.

Minaccia e depressione

La serotonina – neuromediatore connesso alle patologie depressive – svolge un ruolo nel sistema difensivo. Sappiamo che la depressione si accompagna ad una ridotta captazione della serotonina presente o ad una riduzione nella produzione di serotonina. La captazione della serotonina influenza lo stato di attivazione, la sua durata e le risposte usate per calmare la sensazione di pericolo. Meno serotonina abbiamo in circolazione, più prolungata sarà la sensazione di minaccia relativa ad uno stimolo percepito come pericoloso. La risposta depressiva però non è mediata solo dalla serotina. Anche la dopamina partecipa alle complesse modalità reattive che possono essere presenti in una situazione di depressione. Una aumentata produzione di dopamina attiva il sistema motivazionale legato al desiderio, all’eccitazione e alla realizzazione dei propri bisogni. In questo modo però abbiamo ben due sistemi che si attivano e che escludono la possibilità di modulazione legata al sistema della calma e della connessione sociale: il sistema difensivo e il sistema di ricerca delle risorse. Paradossalmente, più ci sentiamo infelici più possiamo tentare di spostare la soluzione sul piano motivazionale, aumentando il numero di azioni che possono comportare soddisfazione.

Le relazioni sociali e l’appagamento

Quello che accade con la mindfulness è che l’attenzione si sposta decisamente sul sistema connesso alla calma, alla connessione relazionale e alle sensazioni di appagamento. Passiamo quindi dalla ricerca di sicurezza (safety seeking) alla sensazione di sicurezza (safeness). Questo sistema genera uno stato di sollievo, offrendo una sensazione di quiete e serenità che aiuta a recuperare il nostro equilibrio. La felicità non è data da modalità competitive ma dalla sensazione di appagamento per ciò che è presente.

Questo sistema è connesso all’affetto e alla gentilezza ed è mediato dalle endorfine e dall’ossitocina e ha una funzione modulatrice sulle emozioni attivate dagli altri due sistemi. Se cerchiamo di lavorare solo sul sistema difensivo possiamo sottovalutare il fatto che, prima di tutto, abbiamo bisogno di calmarci.

[box] Potete non avere colpa per com’è la vostra mente, per le passioni, le paura e gli accessi d’ira che si agitano in essa, ma solo voi potete assumervi la responsabilità di addestrarla nella direzione della vostra felicità e quella degli altri. È come un giardino. Potete lasciare che il vostro giardino cresca e crescerà: vi germoglieranno erbacce e fiori ma potrebbe non piacervi il groviglio che si crea se lo abbandonate a se stesso. La stessa cosa accade con la mente. Quindi coltivare, praticare, focalizzarsi sugli aspetti della nostra mente che vogliamo incrementare è la strategia chiave se scegliamo di assumerci il controllo di essa. Paul Gilbert[/box]

 Il cambiamento come cura e coltivazione

In questa prospettiva il cambiamento non è orientato dal sistema difensivo; è piuttosto una azione di coltivazione, di cura, in cui ognuno è responsabile del nutrimento che offre alla propria mente e del tipo di emozioni che coltiva nella propria vita quotidiana. Le strategie di autoregolazione emotiva funzionano quando sono connesse al sistema di regolazione appropriato. Quindi non sono i pensieri ad essere pericolosi ma la loro ripetizione. In questo senso l’azione di coltivazione è semplice e duplice: 1) spostare l’attenzione dai processi di pensiero a quelli sensoriali. 2) Focalizzare l’attenzione sul presente.

La rifocalizzazione dell’attenzione diventa un elemento basilare: permettere all’attenzione di vagare è come lasciare che le erbacce invadano il proprio giardino. 

La retroazione

Le emozioni problematiche si mantengono attraverso un meccanismo di retroazione che coinvolge il corpo – con le tensioni fisiche – e i pensieri, con l’attivazione delle strategie difensive. Qui si inserisce il diverso approccio della mindfulness: l’autocritica, la ruminazione che caratterizzano la nostra attività mentale sono responsabili del prolungarsi del sistema difensivo. La ripetizione rafforza queste connessioni. La mindfulness le indebolisce rafforzando il sistema affiliativo basato sulla calma, sulla consolazione e sulle connessioni sociali.

Lo fa attraverso la capacità di distanziarsi, in modo compassionevole, dalle proprie tempeste emotive; disattivando la ripetizione degli stessi schemi di pensiero, sviluppando una base interiore di compassione e accettazione.

Imparare a consolarsi

Inutile dire che parte del nostro apprendimento alla consolazione deriva dalla nostra infanzia; dai nostri genitori. Così domande come “Come ti dimostravano affetto i tuoi genitori?“; “Come ti consolavano?“; “Come ti parlavano delle emozioni ?”, “Quando soffrivi come ti aiutavano?” sono domande che possono offrire molte informazioni sulle nostre capacità di auto-consolazione e reparenting. Se desideriamo spostare l’attenzione dal sistema difensivo alle abilità di consolazione è necessario esplorare come queste abilità funzionano e si realizzano. Potremmo scoprire così che una parte della cura mindfulness consiste in una progressiva esposizione verso ciò che temiamo. Perché questo sia possibile è necessario avere fiducia nelle nostre capacità di consolarci: altrimenti non ci esporremo mai alla ripetizione di vecchi traumi o alla realizzazione di nuove paure.

Alla fine di tutte queste domande – una resta suprema: Cosa potrebbe succedere se abbandonassimo l’autocritica come sistema di protezione? Chi diventeremmo se non usassimo più il bastone della vergogna e dell’umiliazione nei confronti di noi stessi?

Rispondere a queste domande ci permetterà di spostare la prevalenza dal sistema difensivo al sistema affiliativo di consolazione. Dal binomio passato/futuro, al presente. Dalla critica alla comprensione. Dalla severità alla compassione.

© Nicoletta Cinotti 2022

Questo articolo è tratto da Mindfulness ed emozioni, il mio ultimo libro. Se desideri approfondire lo trovi qui (Clicca sulle parole in grassetto)

Bibliografia

Nicoletta Cinotti, Mindfulness ed emozioni, Gribaudo editore

Rebecca Crane, La terapia cognitiva basata sulla mindfulness

Christina Feldman, Compassion

Paul Gilbert, La terapia focalizzata sulla compassione

Paul Gilbert, The compassionate mind

Shambhala Publications, Radical Compassion (Scaricabile gratuitamente in formato kindle)

https://www.nicolettacinotti.net/eventi/mindfulness-e-psicoterapia-formazione-in-reparenting/

 

 

 

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