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Addomesticare pensieri selvatici

Tornare adolescenti

30/09/2023 by nicoletta cinotti

Da innamorati torniamo adolescenti, con le stesse incertezze e le stesse eroiche grandiosità. Possiamo viaggiare tutta la notte per fare una sorpresa e, nello stesso tempo, sentirci imbarazzati perché abbiamo un po’ troppa pancia. Proprio come adolescenti possiamo fare di tutto per attirare l’attenzione e poi nasconderci aspettando che ci vengano a cercare. Visto che l’innamoramento è uno stato nascente, è pieno di promesse: alcune si realizzeranno, altre no. È importante riprendere il senso della possibilità, uscire dall’impressione che la nostra vita scorra su binari troppo conosciuti. È questo quello che rende l’innamoramento così simile alla mindfulness. Anche le cose che normalmente ci disturbano diventano di secondaria importanza, almeno per il momento perché poi, quando l’innamoramento diventa una relazione stabile e duratura, tutto può cambiare. Nel passaggio dall’innamoramento all’amore facciamo, molto spesso, il percorso inverso. Iniziamo a pensare che, se l’altro ci ama, non dovrebbe mai fare qualcosa che ci disturbi. Ovviamente non è vero e, soprattutto, questo genera un rapporto basato sull’accondiscendenza più che sulla sincerità. La diversità è una risorsa e il modo migliore per accoglierla è proprio lo stesso che abbiamo quando siamo innamorati: interesse, curiosità e non giudizio. Non è detto che ignoriamo la diversità dell’altro ma, nella fase dell’innamoramento, ci appare, giustamente, come una possibilità in più e non come una minaccia–cosa che spesso accade quando la relazione diventa più stabile. In fondo, innamorarsi è arrendersi, ma la capacità di arrendersi all’amore è molto condizionata dal nostro carattere: se abbiamo bisogno di dominare, sarà per noi molto difficile farlo. Arrendersi non vuol dire diventare accondiscendenti, anzi è proprio l’opposto: significa permettere che l’altro sia così com’è e consentire a noi di essere proprio come siamo; significa accogliere la possibilità di diventare diversi senza sforzarsi nella direzione di un cambiamento voluto. Accettare di essere differenti non è un obbligo, altrimenti diventa uno stress inutile e intenso. In qualche modo, impariamo ad amare nello spazio che le nostre difese lasciano libero alla possibilità di aprirsi.”

— Amore, mindfulness e relazioni: Qualità mindful per amare senza equivoci by Nicoletta Cinotti. Gratis su Kindle Unlimited

Per la Rubrica di recensioni e citazioni “Addomesticare pensieri selvatici”

© Nicoletta Cinotti 2023

Archiviato in:Addomesticare pensieri selvatici, mindfulness Contrassegnato con: amore, mindfulness relazionale, relazioni, stress relazionale

Prendersi il tempo per essere felici

23/09/2023 by nicoletta cinotti

C’è un piccolo libro, uscito nel 2020, quasi per gioco. L’ho consegnato all’editore con un mese di anticipo tanto scriverlo era stato leggero e divertente. I libri in genere hanno vita breve ma questo piccolino, che ormai ha tre anni, è ancora pieno di vitalità. Si tratta di “Mindfulness in cinque minuti. Pratiche informali di ordinaria felicità“. Insieme al suo fratello maggiore, “Mindfulness ed emozioni”, uscito due anni dopo, saranno in promo al 20% di sconto in tutte le librerie e store online dal 26 Settembre al 26 Ottobre. Un’offerta valida su tutti i libri dell’editore Gribaudo.

Non capita mai che i libri abbiano così tanto sconto, perché, per legge, non si possono vendere con sconto superiore al 5%. Così è, in qualche modo, un’occasione unica per avere due libri che non invecchiano ma che, con il tempo, rivelano la stoffa di cui sono fatti.

Nicoletta Cinotti, Mindfulness in cinque minuti. Pratiche informali di ordinaria felicità”, Gribaudo editore Cartaceo e ebook

Nicoletta Cinotti, Mindfulness ed emozioni, Gribaudo editore Cartaceo

 

Archiviato in:Addomesticare pensieri selvatici, mindfulness Contrassegnato con: mindfulness ed emozioni, esercizi di mindfulness, felicità, mbct, protocolli mindfulness, protocollo MBCT, protocollo mbsr

(Non) lo rifarei

16/09/2023 by nicoletta cinotti

Questa è una recensione articolata: un libro, due diversi podcast e un po’ di storia personale. Le persone della mia generazione non faranno fatica a ricordare chi era Osho o Bhagwan Shree Rajneesh. Ha avuto un impatto sulla cultura giovanile negli anni ’70 davvero imponente. I giornali gli dedicavano copertine, e molti, prima o poi finivano a Pune, nel suo ashram o a Miasto, la comunità italiana nata sotto la spinta di Ma Prem Pratiti, milanese di buona famiglia che dedicò una parte del suo ingente patrimonio alla comunità sannyasin. Molti dei miei amici diventarono sannyasin, scelta che voleva dire vendere tutto e donare tutto alla comunità sannyasin che da lì in poi avrebbe offerto in cambio vitto e alloggio per il resto della vita. Io non sono mai diventata sannyasin anche se ho frequentato Miasto per anni, ho fatto la meditazione Dinamica e la Kundalini ripetutamente. Ma non si sono mai fidata o forse dovrei dire affidata. C’era qualcosa che mi attirava e molte delle rivoluzioni cliniche nel campo della psicoterapia hanno avuto come incubatori proprio le comunità sannyasin. Nello stesso tempo la mia indipendenza non accettava questo surrender di cui tanto si parlava. Ho amato la mindfulness e la vipassana proprio per questa ragione: nessun Guru e nessuno che dichiara di essere illuminato. Se lo sei lo tieni per te: affermarlo è considerato un aspetto di Mana, l’orgoglio, e ti rende immediatamente non illuminato!.

Negli anni ho avuto ragione. Quando la comunità si spostò in Oregon fu chiaro che c’erano aspetti oscuri che diventarono poi le ragioni della chiusura dell’ashram e l’inizio di vicende giudiziarie che portarono sia Osho che Sheela, la sua segretaria, in prigione.

Questa è la storia superficiale ma la storia vissuta da dentro la puoi trovare in due podcast e un libro. Parlo dei podcast della giornalista Roberta Lippi, Dragon Lady, il lungo racconto di Deeksa, una discepola di origini italiane che fu una delle figure preminenti a Pune e che rimase con Osho fino all’inizio dell’avventura in Oregon, un’avventura da cui si distaccò con ottime ragioni. Questo podcast viene in successione con l’altra serie “Soli” che racconta l’avventura dei bambini dei sannyasin che hanno vissuto l’esperienza di “essere figli della comune” invece che della propria famiglia. Un’esperienza che per la maggioranza fu piena di aspetti negativi ma che, per alcuni, fu anche una grande opportunità di crescita. Tra queste c’è Camila Raznovich, l’autrice di “Lo rifarei” (cartaceo, ebook o audiobook), un libro uscito nel 2006, prima della nascita delle sue due figlie. Roberta Lippi intervista anche lei che, adesso, a distanza di 18 anni, una psicoterapia e due gravidanze dopo mette tra parentesi quell’esperienza che l’ha resa molto intraprendente, coraggiosa e all’avanguardia ma le ha fatto sperimentare tutta la fatica di separazioni precoci, vita in ambienti senza una persona di riferimento e cambiamenti su cui non aveva davvero la possibilità di scegliere.

C’è un punto su cui vorrei soffermarmi in questa lunga recensione: la famiglia è un buon luogo in cui crescere? Per Osho la famiglia era la causa di tutta la patologia e chiunque faccia la psicoterapeuta sa, per esperienza diretta, che la famiglia può essere un luogo difficile. Ma non per questo una comunità allargata di vita è uno spazio senza pericoli. Molti bambini della comunità riportano di aver avuto esperienza di molestie o abusi sessuali, altri esperienze di solitudine molto intensa. Altri ancora sono morti per giochi troppo pericolosi fatti senza la supervisione di un adulto. Cos’è allora il segreto della resilienza di Camila e di suo fratello? Cosa ha fatto sì che per loro, pur con tutte le difficoltà, sia stata un’occasione di crescita e per altri, come Siddharta, il golden boy di Osho, un incubo difficile da superare? Se sapessimo rispondere con certezza a queste domande avremmo davvero in mano la chiave della felicità. Non quella che possiamo coltivare da adulti ma quella che ci può permettere di far crescere bambini sani per non dover poi riparare uomini e donne rotti dalle esperienze familiari (o di comunità)

Libro e podcast da leggere per farsi la propria idea: a distanza di anni continuo a credere che la cosa più importante sia avere una propria idea non manipolabile. Infine, molta stima per Camila, per come ha raccontato la sua esperienza del 2006 e per come l’ha rivisitata oggi. Moltissima stima per Roberta Lippi che ha lasciato spazio accurato e gentile, senza invadere con il suo punto di vista. Forse, alla fine, vorrei un podcast solo del suo punto di vista!

© Nicoletta Cinotti 2023 Addomesticare pensieri selvatici

Camila Raznovich, Lo rifarei” (cartaceo, ebook o audiobook), Dalai Editore

Storie libere fm, Dragon Lady e Soli, a cura di Roberta Lippi

Archiviato in:Addomesticare pensieri selvatici, mindfulness Contrassegnato con: osho, guru, meditazione dinamica, meditazione kundalini, mindfulness, vipassana

Un medico poeta: William Carlos Williams

09/09/2023 by nicoletta cinotti

C’è un legame di fatto tra medicina e poesia. Molti medici sono stati anche poeti. Forse perchè non si può curare senza che sorga un senso poetico della vita che va ben al di là del meccanico utilizzo di una scienza.

William Carlos Williams è uno di loro. Faceva nascere bambini di giorno e scriveva poesie di notte. Faceva anche nascere poeti perchè è stato mentore di Gary Snyder, poeta zen da me molto amato, Allen Ginsberg, Denise Levertov, Theodore Roethke – sono stati sostenuti da questo poeta modernista che faceva foto poetiche smarginate del quotidiano.

In questo libro, A un discepolo solitario, (in cartaceo o ebook) trovi una raccolta completa della sua opera che vale la pena comprare, sia per il testo inglese a fronte che per la bella introduzione di Luigi Sampietro che definisce la poesia “l’improntitudine dell’istinto selvaggio della mente” che bisogna seguire per travolgere le forme che incontra. Travolgerle e smarginarle per diminuire la tendenza a considerare impermanente tutto ciò che è, invece, soggetto a continuo cambiamento. Per torcere il collo alla retorica abbiamo bisogno della poesia, così come, per coltivare fiducia nella guarigione, abbiamo bisogno della convinzione che la poesia esprime.

Che il serpente attenda sotto la malerba
e la scrittura
sia di parole, lente, svelte, acuminate nello sferrarsi, mute nell’attesa, insonni.
– a riconciliare grazie alla metafora
persone e pietre.
Componete. (Niente idee se non nelle cose). Inventate!
La sassifraga è il mio fiore, spacca le rocce. William Carlos Williams

William Carlos Williams A un discepolo solitario, Bompiani editore

© Nicoletta Cinotti 2023 Addomesticare pensieri selvatici

Archiviato in:Addomesticare pensieri selvatici Contrassegnato con: curarsi con la poesia, curarsi con la mindfulness, gratitudine e scrittura, meditazione e scrittura, poesia, poesia e scrittura

Meraviglia quotidiana

29/08/2023 by nicoletta cinotti

“Meraviglia quotidiana” è l’ultimo libro di quella grande insegnante zen che è stata Charlotte Joko Beck. In Italia sono stati pubblicati i suoi due libri precedenti, Niente di speciale e Zen quotidiano. Amore e lavoro. In questo caso però si tratta di un libro postumo, pubblicato grazie all’intuizione della figlia che ha ereditato una grande quantità di materiale non ancora editato. Questo è il primo, e per ora l’unico, dei libri pubblicati postumi. Se dovessi riassumerlo in una parole direi, “gradevolissimo”, anche più degli altri due dove forse si avvertiva l’impegno di “scrivere un libro”. Qui l’autrice parla, con grande coerenza, ma con la leggerezza che avrebbe in una interessante conversazione.

Il cuore del libro è un tema centrale dello zen: le nostre convinzioni di base. Convinzioni che nascono per dare un significato all’imperfezione del mondo. Il mondo, dice Charlotte, dovrebbe essere perfetto, quindi da bambini crediamo che se qualcosa non funziona dev’essere perchè noi abbiamo qualcosa di sbagliato. Questa idea si calcifica e diventa la nostra convinzione di base che, a seconda delle circostanze in cui si è formata, avrà caratteristiche diverse. Non è qualcosa di vero ma è un prodotto dell’esperienza di essersi sentiti minacciati e personifica il senso di separazione tra noi e gli altri. Si concretizza nel nostro vivere la vita in modo ansioso.

Questa convinzione è come il mozzo della ruota da cui si dipartono le strategie per non sentire la sofferenza da cui è scaturita questa idea. Le nostre strategie sono i metodi che impieghiamo, soprattutto quando ci troviamo nei guai, per non dover sentire la sofferenza della convinzione di base. Molto spesso lo sforzo di non sentire occupa tutta la vita. Quando ci sediamo a meditare questa sofferenza di base riemerge e la pratica, aiutandoci a stare in questa sofferenza, ci libera.

Quando incontra la realtà, che è l’esperienza, dice Charlotte, l’irrealtà (la base) pian piano svanisce. E possiamo tornare alla nostra natura di Buddha: a quell’io aperto, compassionevole, pieno d’amore che ci appartiene. Cominciate a capire che cosa c’è sotto la superficie, addirittura che cosa c’è sotto la convinzione di base: ci siete voi.(…) Un modo per diventare consapevoli della nostra strategia fondamentale è osservare quello che facciamo abitualmente (…) e questo, gradualmente la indebolisce. Non perché la giudichiamo, non perché l’analizziamo ma perchè la “sentiamo”.

Vi lascio con una citazione che rivela l’intelligenza e anche l’umorismo di questa donna che oggi avrebbe 107 anni.

Alcune persone rimangono sposate per cinquant’anni solo a colpi di civiltà.Sotto la superficie c’è un cimitero con un sacco di ossa che scricchiolano. Spesso non guardiamo nei posti dolorosi perché abbiamo paura di smuovere le acque. Non vogliamo che le cose cambino o finiscano, anche se non funzionano. Charlotte Joko Beck, Meraviglia quotidiana

@ Nicoletta Cinotti 2023 Per la Rubrica Addomesticare pensieri selvatici

Charlotte Joko Beck, Meraviglia quotidiana. Vita e pratica zen. Traduzione di Teresa Albanese, Ubiliber editore

Archiviato in:Addomesticare pensieri selvatici

V13: una storia dentro una cronaca giudiziaria

26/08/2023 by nicoletta cinotti

Vorrei iniziare dal dichiarare perché, un libro come V13 di Emmanuel Carrère, che è una cronaca giudiziaria, entra a pieno titolo dentro le recensioni del sabato.

Perchè, raccontando la cronaca giudiziaria di uno degli atti di terrorismo più sanguinosi degli ultimi anni, e uno di quelli più coinvolgenti, Emmanuel Carrère è riuscito a descrivere anche, tra le righe, una possibilità  se non di perdono, di comprensione. Lo fa attraverso i genitori di due vittime Lamia e Lola, la prima morta al cafè Belle Equipe, l’altra al Bataclan.

Ricordo molto bene quell’attentato anche per una coincidenza. Era il 13 Novembre, giornata internazionale della gentilezza e avevo organizzato una pratica gratuita di Metta nella sala Frate Sole. La serata era stata introdotta da Fra Luca Pozzi con una lettura dell’incontro tra San Francesco e il lupo mentre le sessioni di meditazioni erano state accompagnate dalle poesie lette da Fiammetta Bellone e dal violino di Carlotta Ottonello. Avevano partecipato quasi un centinaio di persone. All’uscita ero andata a mangiare sushi e nel televisore della sala erano arrivate le prime immagini dell’attentato. Il Bataclan era ancora occupato dai terroristi e tutto sembrava ancora più, assurdamente, surreale. Da allora, per me, il 13 Novembre coincide con quell’attentato, non solo con la giornata internazionale della gentilezza.

Ma veniamo a Nadia, la madre di Lamia. Carrère divide il libro in tre sezioni: Le Vittime, Gli imputati e La Corte. una cronaca difficilissima da tenere a mente perché si è prolungata per 9 mesi e le parti in causa erano moltissime. Sono stati ascoltati tutti i rappresentanti delle parti civili ma Nadia merita un capitolo a sé, perché la sua testimonianza sarà così toccante da essere l’unica che verrà citata da uno degli imputati, che dice, “potrebbe essere mia madre”.

Nadia

Racconta la sua testimonianza a partire dal pranzo di quel venerdì fatto tutti assieme e dall’appuntamento galante che aspetta Lamia con il suo ragazzo Romain. Moriranno entrambi. Quella sera Nadia, di origine egiziana, stava ascoltando nel salotto di casa degli anashid, canti di guerra della cultura jihadista, che in origine erano canti sufi, la spiritualità più elevata dei musulmani. Suo marito è bretone e lavora con gli immigrati. Si sono conosciuti al Cairo e una volta sposati sono rientrati a Parigi. Insegna arabo e si è laureata con una tesi su Rashid Rida, uno dei padri dell’islamismo che propone la sharia, la rigida legge coranica, come soluzione dei problemi politici e sociali. Nadia abita molto vicino alla zona degli attentati, sentì gli spari, le camionette della polizia ma rimase tranquilla anche quando sua nipote, che abitava al Cairo, la cercò allarmata. Inizia a chiamare la figlia che non risponde, come non risponde il suo ragazzo. Continua a sperare che tutto sia normale fino al pranzo del giorno dopo quando apprende dalla madre del ragazzo che lui è morto. Sarà sempre dalla famiglia di lui che apprenderà anche della morte di Lamia. Alla morgue lei e il marito sbagliano a riconoscere la figlia. Sarà un’amica che riconoscerà un tatuaggio e permetterà l’identificazione. Abbastanza per morire di dolore, di rabbia e di vendetta. Non succede a Nadia. In. Nadia avviene una dissociazione tra lei e il resto del mondo. Lo stesso giorno apre la sua casa agli amici della figlia. Trenta persone che, per due mesi, quasi ogni giorno sono tornati a trovarla, malgrado fossero sconosciuti prima della morte della figlia. Il primo giorno rimangono insieme in silenzio. Poi, tornando, parlano, raccontano, si fanno compagnia.

Fino a che il caffè dove è morta Lamia è stato chiuso lei e Francois, il papà di Lamia, ci sono andati ogni giorno: distava 150 metri da casa loro. Nei quattro anni successivi il padre di Lamia, che ha fondato l’associazione, 13onze 15, è andato a parlare nei licei di terrorismo e radicalizzazione. L’ha fatto fino alla sua morte nel 2020, Lui non è arrivato al processo. Nadia l’ha seguito fino in fondo, fino alla sentenza.

È talmente incomprensibile, dice Nadia. Pensare che quelli che l’hanno uccisa avevano la sua età. L’età di tutti loro, fra i venticinque e i trent’anni. Che sono stati accompagnati a scuola tenendoli per mano, come lei accompagnava Lamia, tenendola per mano. Erano dei bambini che venivano tenuti per mano. Così li pensa Nadia nella sua deposizione al processo e conclude chiedendo agli avvocati della difesa di fare bene il loro lavoro.

Georges

Nadia ed Emmanuel Carrére diventano amici, perchè lui si identifica con quei genitori che, giorno dopo giorno, assistono al processo. Non ci sarà solo Nadia. Ci sarà anche Georges Salines, favorevole alla giustizia riparativa, anche lui co-fondatore dell’associazione 13onze 15, insieme al padre di Lamia,  Carrère prende volentieri il caffè con Georges e spesso si siedono vicini per commentare le fasi del processo e le deposizioni. Georges conclude la sua deposizione con questa citazione, di Jankélévitch “L’amore per il malvagio non è amore per la sua malvagità; sarebbe una perversione diabolica. È soltanto amore per l’uomo stesso, per l’uomo più difficile da amare”.

Non tutti i genitori sono così aperti al dialogo. Ci sono genitori pieni di odio e rabbia, comprensibilissime. Ma, come dice Carrère, a chi vorremmo assomigliare ? “Imparare a sostituire la legge del taglione con il diritto, la vendetta con la giustizia: questo è ciò che chiamiamo «civiltà», e Georges Salines è un uomo assolutamente civile, cui mi piacerebbe somigliare se mi capitasse una disgrazia simile. Eppure, quell’arcaico furore che dobbiamo imparare a superare, prima di superarlo dobbiamo riconoscere che esiste–perché esiste per forza, altrimenti non saremmo umani.” afferma Carrère che non sorvola sulle responsabilità morali della Francia rispetto alla guerra in Siria e ai bombardamenti che avevano fatto centinaia di morti fra i civili. Eventi che gli attentatori avanzano come causa della scelta sanguinosa del 13 Novembre.

La ragione per cui tutti dovremmo leggere questo libro è per poterci porre due domande, La prima è la domanda sulle conseguenze della violenza, che non si fermano ma diventano un ciclo di altre violenze. Vogliamo continuare a credere che la guerra sia una soluzione? A questa prima domanda ne segue, inevitabile, un’altra, “a chi voglio assomigliare? A chi sceglie la strada della vendetta o a chi sceglie la strada della giustizia riparativa?” Qualunque sia la risposta  auguriamoci di non doverci mai trovare nella condizione di scegliere a chi assomigliare. Forse basterebbe questo per provare gratitudine per la fortuna della normalità della nostra vita.

Emmanuel Carrère, V13: Cronaca Giudiziaria, Adelphi editore

© Nicoletta Cinotti 2023 Addomesticare pensieri selvatici

Archiviato in:Addomesticare pensieri selvatici Contrassegnato con: giustizia riparativa, carrere, V13, adelphi

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