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ritiro

Sto male (o bene) e non so perché!

28/05/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Quante volte ahi avuto la sensazione di stare male o di stare bene senza sapere il motivo. Il che è molto piacevole quando si stratta di stare bene ma davvero difficile quando si tratta di stare male e non sai davvero da che parte girarti. Fino ad anni molto recenti l’attenzione prevalente è stata per i processi espliciti, mentali, di regolazione emotiva, malgrado sapessimo che la regolazione delle emozioni opera spesso più a livello implicito che esplicito.
Negli ultimi dieci anni la regolazione implicita delle emozioni ha ricevuto una attenzione prevalente.

Cos’è la regolazione implicita delle emozioni

La regolazione implicita delle emozioni può essere definita come quel processo che opera senza una consapevolezza intenzionale o esplicita e ha lo scopo di modificare la qualità, intensità e durata della risposta emotiva. Può essere esplorata anche quando le persone non realizzano che sono coinvolti in una regolazione delle emozioni o quando non hanno l’intenzione consapevole di regolarle.
Infatti, malgrado sia spesso non intenzionale, la regolazione implicita delle emozioni, è sempre attiva, con lo scopo di confortare, ammorbidire o ridurre l’impatto delle emozioni che sperimentiamo.
La non intenzionalità è spesso ciò che distingue la regolazione esplicita – che invece è intenzionale – da quella implicita.  Per fare un esempio una delle strategie implicite più utilizzata è la strategia di evitamento che mettiamo in essere in modo molto automatico.

Non ci rendiamo conto che stiamo evitando, eppure lo facciamo anche quando, invece, vorremmo essere presenti.

Perché è importante la regolazione implicita delle emozioni?

Noi siamo continuamente sottoposti a stimoli emotivamente significativi – in alcuni momenti siamo addirittura bombardati dalle emozioni – e le emozioni che proviamo entrano nel tessuto della nostra vita quotidiana facilitando o interrompendo attività e compiti a volte vitali. Questa è essenzialmente la ragione per cui abbiamo strutturato una modalità implicita di regolazione emotiva: possiamo in questo modo “abbassare” o “regolare” il volume delle nostre emozioni mentre continuiamo a fare ciò che stiamo facendo. Non solo, le emozioni che emergono, contribuiscono al processo di valutazione delle situazioni che viviamo, ci permettono “di interpretare” le cose, dal nostro punto di vista. Un compito che viene svolto lasciando le emozioni sullo sfondo.
Il deliberato tentativo di cambiare questa modalità di valutazione non è destinato ad avere molto successo: non sappiamo bene perchè ma rimaniamo fedeli alla sensazione (spesso poco percepita) e in questo modo condizioniamo anche la nostra valutazione esplicita delle cose. In senso evolutivo possiamo addirittura dire che è la regolazione implicita delle emozioni che ha strutturato la nostra personalità, orientando in un senso o nell’altro sulla base delle emozioni più frequenti nella nostra esperienza di base

Cambiare…

…qualcosa di cui non siamo chiaramente consapevoli è praticamente impossibile e quindi ci ritroviamo a ripetere le stesse risposte, magari con la convinzione che siano gli stimoli esterni ad essere sempre uguali. Il punto è che la regolazione implicita delle emozioni dipende da una efficiente interazione mente-corpo. Se la regolazione esplicita delle emozioni può essere considerata una strategia cognitiva, le forme implicite di regolazione sono esperienze corporee, embodied come dicono gli anglosassoni. Per questa ragione un cambiamento nelle strategie di regolazione implicita è facilitato da una buona qualità di interazione mente-corpo.

Confini tra implicito ed esplicito

I confini tra la regolazione esplicita ed implicita sono “porosi” e non netti, per cui una variazione nelle modalità implicite di regolazione delle emozioni può comportare un cambiamento anche in quelle esplicite e viceversa ma rimane il fatto che il miglioramento delle interazioni mente-corpo – alla base di una migliore regolazione implicita delle proprie emozioni – necessita di esperienze corporee, ossia esperienze che siano percepite:

(1), con consapevolezza

(2), capaci di modificare il passaggio dall’impulso all’azione

(3) almeno per qualche volta.

Quello che poi incide in maniera trasformativa è che queste esperienze abbiano un profilo di ripetizione e continuità di stile. Nulla quindi cambia con una sola volta! In questo senso unire il lavoro corporeo alla pratica di mindfulness e di self-compassion è lavorare pienamente sulla regolazione implicita. È un modo per essere felici senza sapere bene perché.

Se poi saltiamo direttamente ad uno stato mentale positivo, senza preoccuparci di sapere prima perchè eravamo infelici, abbiamo fatto davvero una rivoluzione. Una rivoluzione pacifica, silenziosa, gentile. Abbiamo disarmato gli ostacoli difensivi che ci impediscono di essere felici senza passare dalla strada del trauma. ti sembra poco? A me sembra la vera rivoluzione!

© Nicoletta Cinotti 2023

Mindful Self-Compassion: intensivo residenziale

 

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Un impegno serio con me stessa

10/05/2023 by nicoletta cinotti

Sono tornata dal ritiro monastico che ho fatto in queste settimane. I post che hai ricevuto erano stati scritti prima perché in un ritiro monastico non c’è nessun contatto con il mondo esterno ma solo con la piccola comunità di monaci in cui sei e con il mondo interno.

Guardare in modo così totale al proprio mondo interiore è un vero e proprio viaggio. Trovi luoghi inesplorati, cumuli di spazzatura, e luoghi di grande bellezza. Ma, soprattutto, ti perdi, quel senso di te che ti fa dire Io, me, mio svanisce gradualmente e ti lascia libera di essere davvero te stessa. Forse potresti pensare che è spaventoso o che assomiglia alla pazzia. Invece no: è uno stato mentale salutare che è la salute stessa.

È stato intenso fare un ritiro monastico. È un periodo in cui accetti di rinunciare a tutto (anche ai capelli) per dedicarti ad una pratica intensiva di meditazione. Rinunci a truccarti, ad abbellirti e ogni cosa comune viene fatta in fila, per ordine d’età. Ho scoperto così che ero al quarto posto e ogni giorno facevo i conti con un dato, quello dell’età. Un dato che tendo a dimenticarmi: mi sento dentro con un’età variabile che va dai 5 anni ai 40. Mai di più. Non è per vanità, infatti non mi sento mai giovane o adolescente. Mi manca il tratto dai 16 ai 30: anni che sono stati molto difficili per me. Proprio non riesco a pensare di avere 64 anni nemmeno quando mi guardo allo specchio. Rimane una constatazione razionale. In questo ritiro è stata una considerazione fattuale. Prima di me c’erano tre uomini che giudicavo “anziani” e che mi davano uno specchio di quello che potrebbe avvenire, anche a me.

Desideravo farlo da quando ero bambina. Forse ti sembrerà strano ma ricordo benissimo che, a quattro anni, con estrema serietà l’ho detto in risposta alla domanda, “Cosa vuoi fare da grande?”. Ho risposto, “non mi sposerò mai e diventerò suora”. Ecco, una monaca rinuncia, temporaneamente, anche al proprio matrimonio e anche alla sessualità fuori dal matrimonio. Rinuncia per non alimentare la macchina del desiderio, una macchina che ci dà velocità ma anche guai.

La domanda, “cosa farai da grande” implicava la condizione di “essere grande”. Una condizione che non ho raggiunto con l’età adulta. L’ho raggiunta adesso. Adesso ero abbastanza grande da poter rinunciare a tutto e ho trovato che in questo c’era una grande ricchezza. Forse adesso ero abbastanza grande per farlo e l’ho fatto. E credo che non sarà l’ultima volta che lo faccio, ma solo la prima.

Venerdì condurrò io un ritiro sulla crescita e sul cambiamento: mai preparazione è stata più appropriata.

Con Metta e Mudita

Nicoletta alias Sumanadevi

© Nicoletta Cinotti 2023

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La sfumatura del cambiamento emotivo

03/04/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Molti di noi possono credere che le emozioni siano collegate solo a ciò che sentiamo. Che nascano da una interazione con una situazione o con una persona e che la loro origine stia in qualcosa che succede o che è successo.

In realtà moltissime delle emozioni che proviamo in una giornata nascono da quello che pensiamo. A volte, volutamente, andiamo a ripescare un ricordo per poter provare di nuovo una certa emozione. E non sempre lo facciamo con le emozioni positive. Anzi, moltissime volte lo facciamo proprio con le emozioni spiacevoli. Possiamo dire che qualsiasi emozione può essere suscitata dai pensieri e l’effetto che ha sul corpo è proprio come quella prodotta dall’esperienza diretta di una situazione.

I nostri pensieri quindi ci espongono ad una realtà aumentata di trauma, dolore e sofferenza. Una realtà che va ben al di là di quello che abbiamo vissuto. Tendiamo a sottovalutare l’impatto che hanno su di noi ma per il nostro corpo l’emozioni prodotta dal pensiero o l’emozione prodotta dall’esperienza è diversa solo di una sfumatura leggera: la sfumatura del cambiamento

Possiamo pensare a quello che dovremmo fare per ore e giorni ma questo non cambierà quello che sentiamo. Potrà aiutarci momentaneamente a fare qualcosa di diverso ma se non continueremo ad esercitare uno sforzo quello che sentiamo riemergerà. Per cambiare quello che sentiamo abbiamo bisogno di passare dal corpo. Un corpo diverso percepisce in modo diverso e “pensa” in modo diverso.

C’è un processo di cambiamento che avviene dall’interno e non richiede sforzi coscienti. È chiamato crescita e migliora l’essere. Non è qualcosa che si può fare: quindi non è una funzione dell’Io ma del corpo. (…). Alexander Lowen

Pratica del giorno: La classe del mattino (Video di esercizi)

© Nicoletta Cinotti 2023 Be real not perfect: crescita e cambiamento

 

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Mindfulness e psicoterapia: il ruolo dell’accettazione

26/03/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

C’è una famosa leggenda Cherokee che ben si presta a descrivere l’approccio mindfulness alla psicodinamica tra stati mentali salutari e stati mentali non salutari

Leggenda Cherokee dei due lupi

Un anziano Cherokee stava raccontanto al nipote la propria vita.“C’è una guerra dentro di me:” E’ una lotta molto dura tra due lupi. Uno e cattivo… è invidioso, ingordo, ha molte colpe , prova risentimento verso il prossimo, è indulgente con se stesso, bugiardo e con un orgoglio finto. L’altro invece è buono.. è la gioia, la compassione, l’umiltà, la benevolenza e la verità…La stessa lotta che c’è dentro di me adesso c’è anche dentro di te, e c’è dentro a ogni persona….”Il nipote guarda in su verso il nonno e con gli occhi pieni di paura gli chiede:” Dimmi nonno, quale di questi due vince?” E il nonno in risposta “Quello che nutri…..”

Questa leggenda descrive bene l’esperienza che ognuno di noi può avere su di sé: spesso siamo attraversati dall’invidia di cui ci ha parlato riccamente Melanie Klein, oppure dai profondi conflitti interni che costituiscono la topica psicoanalitica o siamo pieni di risentimento rispetto alla nostra esperienza passata. Questa realtà non viene negata. Ma si sceglie di nutrire gli aspetti positivi della propria personalità: quelle emozioni di compassione, saggezza, umiltà e benevolenza che appartengono alle emozioni sociali positive e che sottolineano gli aspetti di interconnessione anziché gli aspetti personalistici.

L’accettazione

La storia permette subito, fin dall’incipit, di svelare la chiave di questo processo: è la consapevolezza non giudicante, della presenza di entrambi, la verità della loro coesistenza e una accettazione onnicomprensiva che permette di aprire la porta all’emergere dei sentimenti positivi, senza negare la presenza gli elementi negativi.

Si rinuncia quindi all’analisi degli aspetti conflittuali per indagarli, con interesse e curiosità, senza evitare di riconoscere la loro presenza e la loro natura che comprende eventuali associazioni con la nostra storia passata. Questo materiale entra nel campo della consapevolezza per essere trattato con accettazione, senza intraprendere azioni dirette volte al cambiamento e viene trattato come una contrazione della mente, un corrispettivo alle contrazioni muscolari che possiamo sperimentare nel corpo.

La storia afferma anche la presenza dei “se multipli”(Bromberg 1993) dove la coscienza ha la funzione di una coalizione di diversi stati del sé. Ciò che conscio è quindi ciò a cui prestiamo attenzione, più che una biforcazione del sistema psichico tra conscio e inconscio. L’attenzione ai diversi stati del Sé, in momenti differenti, è una funzione determinata da diversi stimoli, sia interni che esterni.

Considerarle come sub-identità offre parecchi vantaggi: patologizza meno i sintomi considerandoli aspetti parziali e non identitari; rende possibile conoscere e nominare parti di noi e consente di rispondere in maniera differenziata a bisogni che possono sembrare contraddittori; lascia sempre attiva una parte sana, capace di curarci. Genitori di sé stessi . Enrico Damiani Editore. 

Alcuni aspetti del Sé vengono tenuti fuori dalla coscienza, attraverso aspetti dissociativi. Non esiste un Io che reprime gli impulsi inaccettabili ma piuttosto una direzione sistemica dell’attenzione che distoglie da quegli aspetti dell’esperienza del Sé che riteniamo inaccettabili. Questi aspetti dissociati sono generalmente quelli connessi ad esperienze traumatiche.

La terapia consiste nell’integrare differenti parti del Sé e nel portarle ad un dialogo reciproco attraverso la consapevolezza.

 

La psicologia buddista

Nella psicologia buddista, a cui la tradizione mindfulness fa riferimento, l’esperienza di un Sé unitario e statico è considerata una illusione. In questa prospettiva il cambiamento avviene abbandonando la necessità difensiva di vedere se stessi come un insieme immutabile e statico. E la salute psicologica coincide con la capacità di abbandonarsi e di essere semplicemente vivi.

Questa visione granulare della nostra identità non è nuova, fa parte della psicologia buddista ma è, nello stesso tempo,all’avanguardia perché viene teorizzata nella psicologia contemporanea. Ne parla Richard Schwartz5 nella sua teoria IFS (Internal Family System), ne parla Daniel Siegel in Mindsight. Genitori di sé stessi . Enrico Damiani Editore. 

Accettazione e consapevolezza

La ragione dell’importanza particolare attribuita ai processi di accettazione è strettamente collegata al ruolo centrale della consapevolezza. Ogni processo di rifiuto, critica o giudizio, infatti, finisce per provocare una restrizione del campo di consapevolezza. Non riusciamo a rimanere a lungo consapevoli dei nostri aspetti negativi se non attraverso il filtro dell’accettazione incondizionata, del perdono e della compassione verso di sé. Il tema dell’accettazione è, quindi, inevitabilmente e strettamente connesso al sostegno agli aspetti positivi di compassione, benevolenza e perdono nei confronti di sé stessi e degli altri. Aspetti che sappiamo essere connessi con la pratica della meditazione. Questo comporta la rinuncia a qualsiasi elemento direttamente trasformativo degli aspetti negativi. Una rinuncia che comporta una piccola rivoluzione terapeutica: non è la manipolazione e l’attacco diretto al sintomo quello che guida il processo di cambiamento. E’ piuttosto il riconoscere l’esistenza di un tratto che necessita di quell’amoreprofondo che gli è stato originariamente negato e che ha prodotto una sorta di scissione interna alla nostra personalità.

Il paradosso centrale del processo di cambiamento è propri qui: abbandonando il desiderio di essere qualcosa di diverso da ciò che siamo, sperimentiamo il cambiamento. Un compito importante della terapia mindfulness based consiste nell’aiutare i pazienti ad abbandonare i loro tentativi di manipolazione di sé per muoversi verso l’accettazione.

 

Il ruolo della resistenza

Questo nuovo approccio alle difese ha origini lontane nella storia della clinica. Già nel 1941 Fenichel affermava.<<L’analisi deve sempre procedere secondo il livello che in quel momento è accessibile all’io. Quando una interpretazione non ha efficacia ci si chiede spesso:”Come avrei potuto dare un’interpretazione più profonda?” Spesso però il problema andrebbe posto in maniera più corretta:”Come avrei potuto interpretare in maniera più superficiale?”>>(Fenichel, 1941,41). Prima ancora Reich (1934), attraverso l’analisi del carattere, aveva avanzato l’ipotesi che le resistenze costituissero una protezione contro il pericolo psichico, fornendo al terapeuta informazioni essenziali rispetto al modo di funzionare nella realtà del paziente. Questo significa che la resistenza è una parte del Sé con la quale è essenziale imparare a collaborare e ad allearsi.

In questo senso il paziente va aiutato ad assumersi non la responsabilità del cambiamento ma la responsabilità delle proprie azioni, ossia sperimentare le azioni consuete come qualcosa di scelto e voluto. Perché questo sia possibile è necessario che il paziente possa essere in grado di accettarsi nel momento e nel contesto della relazione con il terapeuta. Una accettazione che deve essere bipersonale.

La contrazione del corpo e della mente:mindfulness e bioenergetica

Sotteso al tema dell’accettazione è quindi il ruolo chiave delle resistenze che costruiscono il nostro modo di funzionare nella realtà. In questo alveo si comprende l’attenzione centrale ai processi corporei che ci permettono di riconoscere le nostre contrazioni fisiche, che sono sia modi di ridurre la consapevolezza, che aspetti corrispondenti a contrazioni mentali da esplorare. In questo senso mindfulness e bioenergetica declinano insieme l’attenzione alla consapevolezza corporea e alla padronanza ma anche il senso del principio di identità funzionale mente-corpo. Questo principio, di origine reichiana, afferma che ad ogni stato corporeo corrisponde uno stato mentale e quindi ad una contrazione cronica nel corpo, corrisponde una contrazione cronica nella mente, uno schema maladattativo di risposta.

Il lavoro sull’accettazione quindi non può prescindere da un lavoro corporeo perché, altrimenti, il rischio è che l’accettazione sia una scelta “pensata” ma non “sentita”.

© Nicoletta Cinotti 2023

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Confidare nell’imprevisto

06/03/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

C’è un momento fondamentale nelle nostre giornate: il momento in cui accade qualcosa di imprevisto o di indesiderabile.

In quel momento abbiamo tre tendenze: rimaniamo bloccati, “scappiamo” più o meno metaforicamente, oppure attacchiamo l’indesiderabile cercando di trasformarlo in qualcosa di desiderabile.

Dietro a queste tre reazioni – che sono prima di tutto fisiche – e che possiamo riconoscere come senso di blocco, torpore o agitazione, sta molta della storia della nostra vita e delle nostre difese.

Dietro – di sottofondo – sta una profonda convinzione – solo io so cosa va bene per me e quindi meglio non fidarsi di ciò che emerge. Da qui partiamo per ridurre la nostra consapevolezza in modo da non accorgerci o combattere l’indesiderato che è entrato nella nostra vita. Questa convinzione è profonda e indimostrabile. E’ quello che si chiama assioma: siamo convinti che sia così e basta. Si nutre di una lunga lista di convinzioni accessorie:”solo una mamma sa cosa va bene per il suo bambino”, “Io che ti conosco so cosa va meglio per te” e così via. Una lista di affermazioni che prevengono la possibilità che anche quello che non avevamo programmato sia una grande opportunità.

Inizia così l’infinita correzione della nostra vita.

E se oggi, per un solo giorno, facessimo ciò che ci sembra impossibile fare per tutta la vita? Se oggi ci fidassimo di ciò che emerge e lo esplorassimo con interesse e curiosità, senza pregiudizio?

Fidarsi significa avere quella fiducia che ci permette di entrare nel mare del cambiamento. Ciò che  emerge si riferisce invece alla complessità di quei processi che emergono spontaneamente da fattori sottostanti. Gregory Kramer

Pratica di Mindfulness: Accettare ciò che non vogliamo

©Nicoletta Cinotti 2023 Be real not perfect: verso un’accettazione radicale

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La carica e la scarica in bioenergetica: il processo di cambiamento

05/03/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Il nostro organismo funziona attraverso un processo di carica e scarica e attraverso l’equilibrio tra i due momenti del processo. Questo equilibrio, mai statico, è importante perchè mantiene un livello di energia adeguato ai propri bisogni e alla propria fase della vita: un bambino impiega parte di questa energia per crescere e lo stesso vale per la crescita emotiva. Quando vogliamo “crescere emotivamente”, sciogliere difficoltà esistenziali,abbiamo bisogno di più energia: energia che raccogliamo “amplificando il nostro sistema”, ossia attraverso l’aiuto degli altri e attraverso maggiori stimoli che cerchiamo – direttamente attraverso le relazioni o indirettamente attraverso letture e approfondimenti.

Cambiare richiede maggiori energie

Questa maggiore richiesta di energia può trovare una risposta anche impiegando diversamente l’energia che teniamo impegnata per mantenere blocchi e contrazioni: ragione per cui il lavoro corporeo è così importante. I blocchi e le contrazioni muscolari richiedono infatti un impiego di energia per essere mantenuti; sciogliendo il blocco – che in bioenergetica è sempre corporeo ed emotivo – mobilizziamo nuove risorse. All’inizio passiamo un periodo di confusione o disorientamento fino a che non emergono “nuove risposte” e nuove modalità per affrontare le sfide che la vita ci propone. Questo passaggio richiede lo sviluppo di nuove modalità di autoregolazione e possiamo ottenerlo tramite lo stimolo offerto dalla regolazione interattiva, dalla relazione.

Parliamo di energia ma non in senso meccanico

Le attività fondamentali non vengono svolte in modo meccanico, nemmeno respirare, mangiare e muoversi, sono semplici atti meccanici. Una persona infatti si esprime attraverso le proprie azioni e i propri movimenti.
Quando l’espressione di sè è libera e adeguata alla realtà, il fatto di scaricare la propria energia procura un senso di soddisfazione e piacere. Questa soddisfazione e piacere stimola nell’organismo una maggiore attività metabolica, che si riflette in un respiro più pieno e profondo: quando c’è piacere le attività ritmiche e involontarie della vita funzionano a livello ottimale.

L’espressione di sè

Piacere e soddisfazione sono il risultato immediato dell’espressione di sè: una delle tre azioni fondamentali del Sé corporeo secondo Lowen (le altre due sono consapevolezza di sé e padronanza di sé). Limitando il diritto ad esprimersi si limitano le possibilità di provare piacere e di vivere in modo creativo. Se la nostra autoespressione viene ridotta per ragioni interne (inibizioni o tensioni muscolari croniche), la capacità di provare piacere è ridotta e quindi, a livello inconscio, viene ridotta la propria assunzione di energia per mantenere l’equilibrio energetico del corpo.

Aumentare il livello energetico

Non è possibile aumentare il livello energetico di una persona solo ampliando la respirazione – altrimenti gli sportivi sarebbero gli esseri più felici del mondo e sappiamo che non è così anche se lo sport fa bene alla salute – è necessario aprire anche le vie dell’autoespressione che sono il movimento, la voce e gli occhi. Processi che spesso avvengono spontaneamente attraverso i meccanismi di autoregolazione: può capitare infatti che un paziente durante il lavoro sul cavalletto, giusto per fare un esempio, inizi a piangere o a provare rabbia. Non sa perché in senso letterale, semplicemente l’apertura del respiro ha caricato il suo corpo e attivato emozioni lungamente represse che ormai non hanno più una storia precisa da raccontare. Potrà così rendersi conto che “trattiene” attraverso le contrazioni muscolari, l’espressione dei suoi sentimenti.

La carica e la scarica sono una unità

Poiché carica e scarica, come abbiamo spiegato, costituiscono una unità, la bioenergetica lavora contemporaneamente su entrambi gli aspetti, per elevare il livello energetico e aprire la strada al flusso delle sensazioni e all’autoespressione. Questo approccio combinato – cito le parole di Lowen – [box] “mette gradualmente a nudo le forze interiori (conflitti) che impediscono all’individuo di funzionare con il suo pieno potenziale energetico. Ogni volta che uno di questi conflitti interiori si risolve, il livello dell’energia aumenta. Questo significa che l’individuo assume più energia e ne scarica di più in attività creative, che sono fonte di piacere e soddisfazione (Lowen 1958, p.41)[/box] .

Questa è anche la ragione per cui accompagno gli articoli con immagini di pittori e poesie di artisti: per sostenere il nostro personale processo creativo!

Essere realisti

Benchè questa idea dell’usare i principi di carica e scarica nel processo terapeutico, sia geniale nella sua semplicità, Lowen era un uomo fortemente realista, un americano pragmatico e con i piedi per terra (d’altraparte l’idea del grounding è alla base del suo lavoro). E quindi prosegue così il suo discorso [box] “Non voglio che si creda che la bioenergetica possa risolvere tutti i conflitti sepolti, rimuovere tutte le tensioni croniche e reinstaurare nel corpo di un individuo il fluire libero e pieno delle sensazioni. Può accadere che questo obiettivo non venga raggiunto fino in fondo; comunque si instaura un processo di crescita che porta in questa direzione. (…) E’ inevitabile concludere che le forze che inibiscono l’autoespressione, riducendo così il nostro funzionamento energetico, derivano da questa cultura e ne sono parte”(Ibidem)[/box]

Il flusso espressivo

Il concetto di flusso, che oggi sta assumendo sempre maggiore popolarità, fa riferimento ad un movimento interno all’organismo che ha una direzione verso l’esterno. Chi non ha provato un’onda – di rabbia o di vergogna – salire alla parte superiore del corpo? O la sensazione di freddo che si diffonde con la paura?
Il flusso che scorre nella parte anteriore del corpo, dal cuore alla bocca, alle mani e agli occhi dà origine ad un sentimento di desiderio, che si esprime con l’apertura e l’aspirazione verso qualcosa. Il flusso della rabbia, invece, scorre prevalentemente nella parte posteriore del corpo.
Le sensazioni emotive si accompagnano a questa percezione di flusso, è questo che, a volte, le trasforma repentinamente in impulsi all’azione ma gli impulsi e i movimenti che le sottendono sono inerenti alla carica energetica del corpo. Nelle nostre emozioni si uniscono così componenti volontarie ed involontarie: ecco perché le emozioni sono importanti: sono messaggeri del nostro stato interno e reprimerle o negarle ci rende privi delle informazioni di base, come dice bene, il poeta sufi Rumi ne “La Locanda”.

La Locanda
L’essere umano è come una locanda.
Ogni mattina un nuovo arrivo.
Momenti di gioia, di depressione, di meschinità, a volte un lampo di consapevolezza giunge come un visitatore inatteso.
Dai loro il benvenuto e intrattienili tutti!
Anche se c’è una moltitudine di dolori,
che violentemente svuota la tua casa
portando via tutti i mobili,
tratta ugualmente ogni ospite con rispetto. Potrebbe aprirti a qualche nuova gioia.
I pensieri cupi, la vergogna, la malizia, Accoglili sulla porta con un sorriso,
ed invitali ad entrare.
Sii grato chiunque arrivi,
perché ognuno è stato mandato
dall’aldilà per farti da guida.

Gialal ad-Din Rumi

©Nicoletta Cinotti 2023

 

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