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reparenting

No bad parts: nessun cattivo dentro di noi

05/08/2023 by nicoletta cinotti

A soli due anni dall’uscita in lingua originale, “No bad parts” e dopo pochi mesi dall’uscita di “Terapia dei sistemi familiari interni”, sempre di Richard Schwatrz, l’editore Cortina pubblica, “Come allearsi con le parti “cattive” di sé”. Guarire il trauma con il modello dei sistemi familiari interni”. Segno che questo modello di trattamento, originale e innovativo, ha davvero suscitato molta attenzione, non solo negli Stati Uniti, dove nasce, ma anche da noi.

Consiglio questo libro per tante ragioni. La prima è che, insieme al precedente, è un testo fondativo del mio “Genitori di sé stessi”. Ormai l’amore tra i teorici della self-compassion e Richard Schwartz è esplicito. Poche settimane fa presentavo l’endorsment di Kristin Neff, in questo libro c’è l’endorsment di Richard Schwatz. Io posso solo essere felice di aver coniugato, forse tra le prime in Italia, questi due approcci. La mia vanità finisce qui

C’è un assunto che Richard Schwartz condivide con tutta la psicologia umanistica: la nostra radice è buona. Sempre.  La polarizzazione di parti di noi può spingerci a comportamenti sbagliati ma è sempre possibile – almeno in via teorica – il recupero della bontà originaria. Su questo Schwartz dà molti esempi che vanno dalla clinica alla spiritualità (in effetti in qualche momento il libro ha toni spiritualistici).

L’altro assunto di base è che il modo con cui pensiamo alle nostre parti e ci relazioniamo a loro corrisponde al modo con cui entriamo in relazione con le persone del mondo esterno. Se viviamo nel timore delle nostre parti e ci sforziamo di controllarle, faremo lo stesso con le persone che ce le ricordano. Come dire che è necessario portare pace dentro di noi per trovarla fuori di noi.

Non solo: è nello stato naturale della mente avere delle parti: è il modo in cui siamo fatti e non solo un effetto dei traumi. Il trauma agisce sui fardelli che ogni parte porta con sé e che può spingerla ad agire comportamenti estremi. Lo scopo della terapia è liberare le parti dai loro fardelli, non di eliminare le parti che, invece, sono importanti risorse di vitalità e energia, una volta che sono state rese libere dai loro “impegni” di protezione nei nostri confronti.

I quattro obiettivi dell’IFS

Questo approccio ha 4 obiettivi, che condivido assolutamente

  • Liberare le parti dai ruoli che si sono assunte
  • Ripristinare la fiducia nel Sé
  • Riarmonizzare il sistema interno
  • Lasciarsi condurre dal Sé nelle interazioni con il mondo

Appare chiaro come la nostra tendenza al controllo e al contenimento, (…) non funzioni. Non esistono parti cattive, bensì solo parti gravate da fardelli e congelate nel passato, che hanno bisogno di essere sollevate da quei fardelli, anziché punite. E se scoprissimo che, fondamentalmente, ognuno possiede un Sé a cui è possibile accedere facilmente? Come cambierebbe il mondo? Richard Schwartz

Una storia vera

Vorrei aggiungere una storia vera, come risposta a questa domanda di Schwartz. La storia vera è quella di Nadia Mondeguer, madre di Lamia, una delle vittime degli attentati del 13 Novembre 2015 a Parigi. Nadia è di origine egiziana e residente a Parigi. Sono arabe, la madre e la figlia. Suo marito, cooperante, si è occupato della formazione dei lavoratori immigrati. Lamia è morta a pochi passi dalla loro casa, in uno degli attentati condotti nei café all’aperto. La sua storia, e la storia di questo mega processo durato 9 mesi è raccontata da Emmanuele Carrere, in V13. Alla fine della sua deposizione Nadia invita gli avvocati della difesa a fare bene il loro lavoro. Non gli avvocati delle parti civili ma quelli della difesa. La sua testimonianza al processo è una di quelle che lascia senza parole per qualche minuto, tanto è intensa. Uno degli imputati, facendo riferimento a lei, dice, “Potrebbe essere mia madre” .Dopo la sua testimonianza uno degli avvocati di Bakkali, imputato, le aveva detto: “non soltanto hanno ascoltato, ma riflettono. E quando Abrini ha detto: non siamo usciti dalla pancia delle nostre madri con i kalashnikov in mano, ho pensato: tu mi stai rispondendo”.

Tornando alla psicologia: istruzioni per l’uso

Torniamo alla psicologia: questo libro offre una panoramica di facile accesso che lo rende molto più leggibile ai non addetti ai lavori del precedente. Offre anche una serie di esercizi e la trascrizione di molte pratiche e un’avvertenza importante, che mi sento di condividere. Lavorate sui protettori quanto volete. Avvicinatevi alle parti esiliate in un setting clinico perché possono essere difficili da trattare. L’esilio è come il carcere: spesso rende più violenti.

Al di là di tutto il libro offre una sincera speranza. La speranza di un cura più rapida, efficace e naturale della nostra storia, per quanto difficile possa essere stata. C’è poi una piccola perla: la prefazione di Alanis Morisette che racconta delle sue depressioni con quel linguaggio semplice e diretto che rivela quanto ha capito e quanto ha guarito.

Richard Schwartz, Come allearsi con le parti cattive di sé. Guarire il trauma con il modello dei sistemi familiari interni. Raffaello Cortina editore

© Nicoletta Cinotti 2023 Addomesticare pensieri selvatici

 

Archiviato in:Addomesticare pensieri selvatici, Mindful Self Compassion, reparenting Contrassegnato con: mindful reparenting, lavoro sulle parti, mindfulness, programma di mindful self-compassion, protocollo MBCT, protocollo mbsr, reparenting, self compassion

Kristin Neff e il lavoro sulle parti

25/07/2023 by nicoletta cinotti

Oggi è un post speciale perché Kristin Neff, la ricercatrice americana, docente universitaria, che ha dato vita alla self-compassion, insieme a Christopher Germer, ha scritto un post dedicato alla relazione tra le parti del Sé e la self-compassion. Per me è un giorno felice in cui si incontrano due aspetti del mio lavoro.

Ecco cosa dice Kristin Neff, ”

L’espressione “self-compassion” suggerisce che noi diamo compassione a un “sé” come entità unica. In realtà, il termine dovrebbe essere “compassione per le parti del Sé” (se il dizionario lo permettesse), perché abbiamo diverse parti di noi che soffrono in modi unici.

Le “parti” sono gruppi di pensieri/emozioni/comportamenti che spesso si formano nell’infanzia. Abbiamo parti nascoste che portano il peso di emozioni spaventose e difficili come la vergogna, la paura, il dolore e il lutto. Abbiamo parti protettrici che hanno il compito di tenerci al sicuro, in parte impedendoci di provare queste emozioni spaventose. I protettori possono essere critici interiori che ci tengono in riga, guerrieri che si arrabbiano con gli altri, oppure manager che usano il pensiero ossessivo e la risoluzione dei problemi per cercare di controllare le situazioni.
Quando una parte viene attivata, tende a prendere il sopravvento, in modo da non riuscire a vedere al di fuori della sua visione del mondo. Per esempio, quando si attiva la mia parte di vergogna, mi sento indegna. Quando si attiva la mia parte guerriera, mi convinco che gli altri sono cattivi o sbagliati. Quando si attiva il mio critico interiore, sento di non poter fare nulla di buono. Quando si attiva il mio pensiero ossessivo, rimango intrappolato in storie create da me.

Albert Einstein ha detto: “Non si può risolvere un problema con la stessa mente che lo ha creato”. Dobbiamo uscire dalle nostre parti per non essere limitati dalle loro prospettive immature.

Fortunatamente, possiamo usare la compassione per relazionarci con le nostre parti in modo amorevole e accettante. La compassione non proviene da una parte, ma dal nostro nucleo – conosciuto in varie tradizioni come il nostro Sé, la nostra natura di Buddha, il Sé superiore o la vera natura.

Quando ci relazioniamo con una parte innescata da un luogo di compassione, ci dis-identifichiamo con la parte. Se provo compassione verso la parte di me che si sente ferita, per esempio, divento più grande di questa parte giovane. Non solo sono ferito, ma sono anche la compassione che si sente commossa dal mio dolore e vuole aiutarmi. Posso staccarmi dalla mia parte ferita e vedere il quadro più ampio di ciò che sta accadendo con maggiore complessità.

Per lavorare con le nostre parti, dobbiamo innanzitutto usare la consapevolezza per accorgerci di essere coinvolti e attivati da una parte della nostra famiglia interiore. Spesso ci sono indizi fisiologici come mani tremanti, battito cardiaco elevato o costrizione nel corpo. Possiamo uscire dalla parte dicendo qualcosa come: “Sono consapevole che una parte di me si è attivata”.

Possiamo rivolgere alla parte parole di gentilezza e compassione come: “Mi dispiace che tu stia soffrendo, ma apprezzo i tuoi sforzi per aiutarmi. Di cosa hai bisogno?”. Spesso le nostre parti hanno bisogno di un senso di amore, di appartenenza e di sicurezza. Possiamo offrirlo con rassicurazioni come “Sono qui per te, non ti abbandonerò”.

Quando siamo compassionevoli con le nostre parti, perdono la loro presa su di noi. Otteniamo una maggiore chiarezza e possiamo fare scelte più sagge.

Per coloro che sono interessati a saperne di più sulle parti e sul loro funzionamento, due libri

“Genitori di Sé stessi” e il libro recentemente tradotto in italiano di Richard Schwartz , Come allearsi con le parti “cattive” di sé, Cortina Editore

© Nicoletta Cinotti 2023 Addomesticare pensieri selvatici

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Equanimità e inclusione

24/07/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Ragioniamo spesso per contrapposizioni. O bianco o nero. Andiamo al mare o in montagna. Facciamo questo o facciamo quello. E così via in una lista che potrebbe essere molto lunga.

Adottiamo questo criterio anche con noi stessi. Ci viene facile perché spesso abitano in noi aspetti contrapposti: vorremmo essere perfetti e vorremmo ascoltare i nostri bisogni. Vorremmo cambiare ma vorremmo anche rimanere uguali. Invochiamo la legge dell’esclusione, vogliamo far fuori la parte che ci disturba, perché ci sembra l’unica che dia coerenza, dirittura morale e valore.

Così passiamo il tempo in una sorta di altalena tra le parti contrapposte di noi. Tra il nostro Sé ideale e il nostro sé reale. Tra la nostra immagine e la sostanza. Tra quello che siamo e quello che vorremmo essere. In un conflitto che sembra non avere soluzione perché la scelta di andare in una direzione che escluda il suo opposto dura poco. E poi arriva un’altra oscillazione. Perché la legge dell’esclusione non può funzionare con noi stessi. Entrambe quelle istanze sono parti di noi. Parlano dei nostri valori, delle nostre scelte e della nostra vita. Togliere uno di questi aspetti sarebbe come tagliare via una parte del corpo e ritrovarci poi con l’arto fantasma.

Con noi stessi possiamo solo usare la legge dell’inclusione: quella che prende in considerazione entrambe le posizioni. Quella che ci fa mettere in una terza posizione che non nasce dallo schierarsi con l’una o l’latra parte ma le prende in considerazione entrambe e prova a metterle in dialogo.

Questa terza posizione non richiede un grande sforzo: richiede la pratica dell’accoglienza di ogni aspetto di noi. Richiede ascolto. Richiede equanimità, quell’accettazione senza preferenze di ciò che è presente. Quel fare spazio alla nostra vita così com’è, per il semplice fatto che è la nostra vita. E non ci costa nientemeno che tutto.

Ci si può accostare all’equanimità attraverso tre stadi, ma ogni stadio può anche essere praticato separatamente.
Il primo stadio riguarda la fiducia e la sfiducia. Il secondo stadio consiste nel portare la nostra capacità di un’osservazione sempre più salda, sempre più gentile, su qualsiasi reattività, su qualsiasi atteggiamento opposto all’equanimità, su qualsiasi momento di avversione o di attaccamento.Quello che chiamo il terzo stadio è la pratica specifica del brahmavihara, basata sul pronunciare alcune frasi, come negli altri brahmavihara. Secondo la tradizione buddhista, quando si pratica upekkha, l’equanimità, si porta alla mente qualcuno o se stessi e si pronuncia la frase: “La tua felicità o infelicità non dipendono dai miei auspici, ma dalle tue intenzioni e dalle tue azioni”. Corrado Pensa

Pratica di mindfulness: La meditazione della montagna. Una pratica di equanimità

© Nicoletta Cinotti 2023 Scrivere storie di guarigione

 

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Peter pan e la crescita a tappe

21/07/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Sappiamo che la crescita è graduale. Dimentichiamo, a volte, che la crescita non è unitaria. Almeno non lo è nelle psiche e nella mente.

Ci sono aspetti di noi che possono essere molto adulti, maturi. Dimensioni nelle quali manifestiamo la nostra sicurezza ed esperienza. E poi, in altre aree ci trasformiamo in adolescenti confusi, in Peter Pan irrisolti. Sono le aree in cui continuiamo ad essere figli dei nostri genitori e come bambini continuiamo a perdere tempo della nostra vita in inutili polemiche e sterili ribellioni

Questa coabitazione interiore tra grande e piccolo, maturo e acerbo può lasciarci disorientati e confusi. È, invece, una straordinaria opportunità per nutrire quello che vorremmo far crescere, senza lasciarci mettere limiti dalle credenze negative su di noi

Non è una patologia non essere grandi nello stesso modo in tutte le parti della nostra vita: è parte della nostra natura. È una patologia smettere di crescere come persone, considerare di aver già fatto, già dato, già vissuto. Avere uno sguardo da pensionati verso la nostra stessa vita come se fosse un vantaggio e non una giustificazione per non essere presenti.

Ogni albero, ogni pianta ha rami grandi e nodosi e gemme tenere appena spuntate. Lo guardiamo con meraviglia e piacere. Perché non fare lo stesso con noi? È l’occasione per vedere le cose da una prospettiva diversa. È un modo per essere vivi e aperti.

Non significa che dobbiamo comportarci come se avessimo 15 anni. Significa che possiamo crescere come se avessimo 15 anni. Significa che, stavolta, la sfida di farci da genitore è nostra. E che la colpa per gli errori educativi non possiamo più darla ad altri. Crescere è possibile a qualsiasi età. Non c’è niente di più triste di chi si considera saggio o immaturo solo per motivi cronologici. Ho incontrato vecchi infantili e bambini centenari e spesso coabitavano nella stessa persona.

C’è un’Isola che non c’è per ogni bambino, e sono tutte differenti. James Mattew Barrie

Pratica di mindfulness: Il nostro bambino geniale

© Nicoletta Cinotti 2023 Scrivere storie di guarigione

 

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Un’estate con gli occhi verdi

24/06/2023 by nicoletta cinotti

Non voglio spoilerare il contenuto di questo breve romanzo di Tatiana Tîbuleac ma devo dirti almeno chi sono i protagonisti: una madre divorziata, un figlio adolescente e borderline nel senso letterale del termine, un’estate, un piccolo paese del nord della Francia con pittoreschi abitanti e un’ospite che fa un miracolo: il cancro.

Il miracolo del cancro non è la guarigione dalla malattia ma, grazie alla sua presenza, è una potente formula di guarigione del rapporto tra una madre e un figlio. Guarisce come guariscono tutte le cose che diventano improvvisamente preziose perché brevi. La storia inizia proprio in questo periodo dell’anno e va oltre la fine dell’estate anche se, in quella breve stagione, due vite vengono trasformate insieme. Diventano due vite diverse che non dimenticheranno mai quell’estate in cui si sono concesse di fare cose pazze e tenere.

La struttura del libro è molto originale e interessante: è divisa in sezioni che hanno tutte un riferimento all’unica cosa che questo figlio amava di sua madre: gli occhi verdi.

Anche solo leggendo in progressione il titolo di ogni sezione si ha una breve poesia

Gli occhi di mia madre erano uno sbaglio
Gli occhi di mia madre erano i resti di una madre bella
Gli occhi di mia madre piangevano da dentro
Gli occhi di mia madre erano il desiderio di una cieca avverato dal sole
Gli occhi di mia madre erano campi di steli infranti
Gli occhi di mia madre erano le storie che non mi aveva mai raccontato
Gli occhi di mia madre erano gli oblò di un sommergibile di smeraldo
Gli occhi di mia madre erano conchiglie cresciute sugli alberi
Gli occhi di mia madre erano cicatrici sulla faccia dell’estate
Gli occhi di mia madre erano germogli in attesa

Ma, soprattutto, l’estate in cui sua madre ebbe gli occhi verdi, non finì mai

© Nicoletta Cinotti 2023 Addomesticare pensieri selvatici

Tatiana Tîbuleac, L’estate in cui mia madre ebbe gli occhi verdi, Keller editore

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Scendere dal treno

09/06/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Ci sono momenti in cui tutto sembra procedere senza intoppi. Come se fossimo su un treno che corre verso una destinazione. A volte questa destinazione sono i nostri obiettivi, a volte non ci è davvero chiara. I giorni però corrono veloci, scanditi da impegni precisi, proprio come se fossimo su un treno. Magari anche ad alta velocità.

Ad un certo punto un imprevisto ci fa realizzare diverse cose nello stesso momento: che il guidatore di quel treno siamo noi e non è saggio lasciare il pilota automatico per troppo tempo, che la vita non corre su dei binari ma assomiglia più ad un  cammino. Che quello che è avvenuto, nella sua imprevedibilità, piacevole o spiacevole, ha avuto il potere di fermare il treno perchè ha interrotto le nostre abitudini.

È il momento in cui la realtà bussa alla porta della mente con una tale forza che nessun pilota automatico è in grado di disattivarla. Ci mostra quelle che erano le nostre illusioni, i nostri fallimenti e le nostre zone luminose. Perchè per quanto la mente sia forte, per quanto le nostre illusioni siano tenaci, la realtà vince sempre. E prima o poi ferma quel treno su cui stavamo correndo e ci costringe a scendere e guardare le cose così come sono.

A volte la frenata è brusca. Altre volte siamo stati noi stessi a innescare il freno a mano per fermare una corsa che aveva perso direzione. Il punto, quando avviene questo, non è fare in modo di risalire sul treno, come a volte pensiamo di fare. Il punto è continuare a piedi. Riprendere la propria vita, quella che avevamo prima di salire sul treno, prima che attivassimo il pilota automatico. Riprendere la nostra vita quando era ancora una vita piena di tempo, sogni e spazi di libertà. Non è tornare all’adolescenza (che a volte è il momento peggiore della vita) è proprio tornare vivi.

Ripensa ad un tempo della tua vita in cui le cose andavano con un ritmo meno frenetico, prima che una qualche tragedia o un aumento del carico di lavoro si imponesse nella tua esistenza quotidiana. Ricorda alcune delle attività che usavi fare a quel tempo. Scegli una di queste attività e progetta di farla questa settimana. Non importa se è corta o lunga, banale o importante. L’importante è che sia una cosa capace di rimetterti in contatto con una parte della tua vita che avevi dimenticato e forse considerata perduta e irrecuperabile. Non aspettare di aver voglia di farla: falla e stai a vedere che cosa succede. È tempo di rivendicare la restituzione della tua vita. Penman e Williams

Pratica di mindfulness: Le parti esiliate: meditazione di reparenting

© Nicoletta Cinotti 2023

Reparenting ourselves. Genitori di sé stessi

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