A soli due anni dall’uscita in lingua originale, “No bad parts” e dopo pochi mesi dall’uscita di “Terapia dei sistemi familiari interni”, sempre di Richard Schwatrz, l’editore Cortina pubblica, “Come allearsi con le parti “cattive” di sé”. Guarire il trauma con il modello dei sistemi familiari interni”. Segno che questo modello di trattamento, originale e innovativo, ha davvero suscitato molta attenzione, non solo negli Stati Uniti, dove nasce, ma anche da noi.
Consiglio questo libro per tante ragioni. La prima è che, insieme al precedente, è un testo fondativo del mio “Genitori di sé stessi”. Ormai l’amore tra i teorici della self-compassion e Richard Schwartz è esplicito. Poche settimane fa presentavo l’endorsment di Kristin Neff, in questo libro c’è l’endorsment di Richard Schwatz. Io posso solo essere felice di aver coniugato, forse tra le prime in Italia, questi due approcci. La mia vanità finisce qui
C’è un assunto che Richard Schwartz condivide con tutta la psicologia umanistica: la nostra radice è buona. Sempre. La polarizzazione di parti di noi può spingerci a comportamenti sbagliati ma è sempre possibile – almeno in via teorica – il recupero della bontà originaria. Su questo Schwartz dà molti esempi che vanno dalla clinica alla spiritualità (in effetti in qualche momento il libro ha toni spiritualistici).
L’altro assunto di base è che il modo con cui pensiamo alle nostre parti e ci relazioniamo a loro corrisponde al modo con cui entriamo in relazione con le persone del mondo esterno. Se viviamo nel timore delle nostre parti e ci sforziamo di controllarle, faremo lo stesso con le persone che ce le ricordano. Come dire che è necessario portare pace dentro di noi per trovarla fuori di noi.
Non solo: è nello stato naturale della mente avere delle parti: è il modo in cui siamo fatti e non solo un effetto dei traumi. Il trauma agisce sui fardelli che ogni parte porta con sé e che può spingerla ad agire comportamenti estremi. Lo scopo della terapia è liberare le parti dai loro fardelli, non di eliminare le parti che, invece, sono importanti risorse di vitalità e energia, una volta che sono state rese libere dai loro “impegni” di protezione nei nostri confronti.
I quattro obiettivi dell’IFS
Questo approccio ha 4 obiettivi, che condivido assolutamente
- Liberare le parti dai ruoli che si sono assunte
- Ripristinare la fiducia nel Sé
- Riarmonizzare il sistema interno
- Lasciarsi condurre dal Sé nelle interazioni con il mondo
Appare chiaro come la nostra tendenza al controllo e al contenimento, (…) non funzioni. Non esistono parti cattive, bensì solo parti gravate da fardelli e congelate nel passato, che hanno bisogno di essere sollevate da quei fardelli, anziché punite. E se scoprissimo che, fondamentalmente, ognuno possiede un Sé a cui è possibile accedere facilmente? Come cambierebbe il mondo? Richard Schwartz
Una storia vera
Vorrei aggiungere una storia vera, come risposta a questa domanda di Schwartz. La storia vera è quella di Nadia Mondeguer, madre di Lamia, una delle vittime degli attentati del 13 Novembre 2015 a Parigi. Nadia è di origine egiziana e residente a Parigi. Sono arabe, la madre e la figlia. Suo marito, cooperante, si è occupato della formazione dei lavoratori immigrati. Lamia è morta a pochi passi dalla loro casa, in uno degli attentati condotti nei café all’aperto. La sua storia, e la storia di questo mega processo durato 9 mesi è raccontata da Emmanuele Carrere, in V13. Alla fine della sua deposizione Nadia invita gli avvocati della difesa a fare bene il loro lavoro. Non gli avvocati delle parti civili ma quelli della difesa. La sua testimonianza al processo è una di quelle che lascia senza parole per qualche minuto, tanto è intensa. Uno degli imputati, facendo riferimento a lei, dice, “Potrebbe essere mia madre” .Dopo la sua testimonianza uno degli avvocati di Bakkali, imputato, le aveva detto: “non soltanto hanno ascoltato, ma riflettono. E quando Abrini ha detto: non siamo usciti dalla pancia delle nostre madri con i kalashnikov in mano, ho pensato: tu mi stai rispondendo”.
Tornando alla psicologia: istruzioni per l’uso
Torniamo alla psicologia: questo libro offre una panoramica di facile accesso che lo rende molto più leggibile ai non addetti ai lavori del precedente. Offre anche una serie di esercizi e la trascrizione di molte pratiche e un’avvertenza importante, che mi sento di condividere. Lavorate sui protettori quanto volete. Avvicinatevi alle parti esiliate in un setting clinico perché possono essere difficili da trattare. L’esilio è come il carcere: spesso rende più violenti.
Al di là di tutto il libro offre una sincera speranza. La speranza di un cura più rapida, efficace e naturale della nostra storia, per quanto difficile possa essere stata. C’è poi una piccola perla: la prefazione di Alanis Morisette che racconta delle sue depressioni con quel linguaggio semplice e diretto che rivela quanto ha capito e quanto ha guarito.
© Nicoletta Cinotti 2023 Addomesticare pensieri selvatici