
Sono un’appassionata di lavoro corporeo: negli anni ho provato di tutto, dalla palestra tradizionale al pilates. Dal Meziers alla bioenergetica (che è il mio vero amore) dallo yoga all’osteopatia. Ogni forma di cura ed esplorazione che passi attraverso il corpo mi appassiona, anche se, devo dire il vero, non sono quella che si definirebbe una palestrata e, negli anni, tendo a diventare sottile e con muscoli sempre più leggeri. Non so come sarei se non avessi questa passione per il corpo: forse sarei sparita come i pollini dei soffioni che amo tanto.
C’è una cosa però che rischiamo di perdere quando lavoriamo sul corpo: rischiamo di essere troppo centrati sulla stabilità, sulla tonicità e, quindi, di non esplorare quello che succede nelle condizioni di incertezza. Perchè noi passiamo un sacco di tempo nelle condizioni di incertezza. E l’incertezza emotiva risuona sempre con una sensazione fisica di incertezza. Così mi sono innamorata del bosu, una semisfera che viene usata per lavorare sugli stabilizzatori. Mi sono innamorata del bosu perchè lavorare sull’incertezza dovrebbe essere la base di qualunque pratica corporea e perchè, nel farlo, lavoriamo sulla propriocezione e sui muscoli stabilizzatori che, guarda caso, sono muscoli profondi.
Questo è proprio il punto psico-fisiologico: per stare nell’incertezza, per stare nei luoghi traballanti che – malgrado tutti i nostri sforzi – dobbiamo attraversare – abbiamo bisogno di andare in profondità, nei luoghi in cui si esprime la reazione viscerale alla paura. Gli stabilizzatori sono gli stessi muscoli che si attivano quando abbiamo paura. Così, se vogliamo davvero essere sicuri dobbiamo percorrere la strada dell’incertezza. Se davvero vogliamo essere coraggiosi dobbiamo percorrere la strada della paura. Se davvero vogliamo provare gioia dobbiamo andare in profondità. Più conosco il corpo e più me ne innamoro!
Sono i luoghi traballanti – quelli interni e quelli esterni – che ci permettono di scoprire la grazia della nostra autenticità. proprio lì, nei movimenti fisici ed emotivi che facciamo quando tutto sembra cadere. In quei luoghi c’è la tenerezza e di fronte alla tenerezza abbiamo sempre due scelte: indurirci, nell’illusione di tornare stabili, o aprirci e fiorire. Se non ci fosse quell’incertezza rimarremmo stabili ma anche statici. Quell’incertezza permette un nuovo equilibrio, una nuova crescita e coltiva la mente del principiante.
Io tento la fioritura e tu?
Quando siamo traballanti e niente funziona potremmo accorgerci che siamo sull’orlo di qualcosa, in un posto vulnerabile e tenero. E la tenerezza può andare in entrambe le direzioni: possiamo chiuderci o toccare quella qualità pulsante. Pema Chodron
Pratica di mindfulness: Addolcire, confortarsi, aprire
© Nicoletta Cinotti 2018 A scuola di grazia e non di perfezione Foto di © TommHiro
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