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beginners mind

L’inconsapevolezza dell’intimità

28/04/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Molte volte mi è capitato di osservare che è più semplice essere consapevoli di ciò che facciamo quando siamo in relazioni sociali meno intime, più ampie e neutrali. Eppure è nell’intimità che decliniamo le molte sfaccettature dell’amore, dell’affetto, del contatto che produce intimità e familiarità.

Non sto parlando delle situazioni in cui si arriva a casa e si fa esattamente ciò che non si farebbe mai in pubblico. Sto parlando di quel velo di inconsapevolezza di noi che spesso incide sulle nostre relazioni intime.

Come se conoscersi fosse perdersi. Come se conoscersi fosse proprio smettere di conoscere momento per momento. Come se, alla fine, quel delicato processo che dal contatto porta all’intimità e poi alla familiarità, fosse meno facile e scontato di quello che può sembrare.

Rimane, nella relazione con qualcuno di poco conosciuto, quell’attenzione vigile che ci rende più facile essere presenti, consapevoli di sè e dell’altro. Il passaggio dall’intimità alla familiarità rischia di diventare così un passaggio in cui, anziché trovarci, ci perdiamo.

Per tante ragioni che non sono scuse: perché perdiamo la saggezza del non sapere, perché assimiliamo a noi le caratteristiche di chi amiamo finendo per renderlo troppo assomigliante alla nostra idea di lui/lei. Perché si attivano risonanze storiche con le nostre relazioni passate. Perché ciò che è stato tra di noi incide, anche se non determina. Perché rimaniamo aggrappati al piacere che c’è stato e ricerchiamo sempre quel piacere, senza rischiare di trovare qualcosa di diverso.

Così, cosa può portare alla consapevolezza nella familiarità, se non la mente del principiante?

Dovremmo inoltre dimenticare, giorno per giorno, ciò che abbiamo fatto; ecco il vero non attaccamento. E dovremmo fare qualcosa di nuovo. Per fare qualcosa di nuovo, dobbiamo naturalmente conoscere il nostro passato, e fin qui non c’è nulla di male. Ma non dobbiamo trattenere in nostro possesso ciò che abbiamo fatto; dobbiamo solo rifletterci su. E ancora: è chiaro che bisogna avere qualche idea su cosa fare in futuro. Ma il futuro è futuro, il passato è passato; adesso dobbiamo lavorare su qualcosa di nuovo. È questo il nostro atteggiamento, il modo in cui dovremmo vivere in questo mondo. Shunryu Suzuki-roshi

Pratica di mindfulness: La consapevolezza del respiro (meditazione senza pubblicità)

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBCT online

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La mente è una farfalla

02/02/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

A tutti capita di ricordare, con affetto, quando abbiamo imparato qualcosa di nuovo. L’incertezza, l’attenzione, il timore che hanno accompagnato quei primi momenti suscita, ancora adesso una tenerezza senza ragione. La tenerezza che abbiamo nei confronti di ciò che è piccolo è una forma di rispetto e amore nei confronti della vita.

Sappiamo che ciò che è nuovo, minimo, va preservato, perché è vulnerabile e perché deve crescere. Poi, una volta acquisito, succede, invece, che sorga una specie di sicurezza che può rendere la stessa esperienza meno interessante, anche se più facile.

Quella tenerezza dell’inizio è uno spiraglio della nostra mente originaria. Non è solo la mente del principiante ma è anche la qualità dell’attenzione e del rispetto verso l’esperienza che stiamo facendo, che ci permettono di comprendere come sarebbe se non considerassimo scontata la nostra vita. Come sarebbe se aprissimo la mente alla natura dell’esperienza che stiamo facendo? Potremmo scoprire che la conoscenza non è mai priva di affetto, che la scoperta non è mai priva di stupore. Che il momento presente è un tempo lento e ricchissimo.

Così, a volte, la mente è come un elefante in una cristalleria: schiaccia e piega, annulla e abbatte ma, all’origine la mente è una farfalla. Diamole la primavera.

La tenerezza ci dimostra che al mondo c’è posto per le persone fragili. Chandra Livia Candiani

Pratica del giorno: Gratitudine e accettazione

© Nicoletta Cinotti 2023 Be real not perfect: verso un’accettazione radicale

 

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Dividersi in due e anche in tre

31/01/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Quando qualcosa dentro di noi ci fa stare male all’inizio cerchiamo di occuparcene, di dargli soccorso. Se il malessere però si prolunga nel tempo, succede un fenomeno strano: incominciamo a rimanerci antipatici. È come se ci dividessimo in due. Una parte di noi soffre e l’altra, quella che funziona meglio, inizia a provare insofferenza e biasimo verso noi stessi. Come se fossimo due vicini di casa che mal si sopportano ed evitano di incontrarsi.

È qui che nasce l’evitamento: l’evitamento della profondità, l’evitamento della pratica, l’evitamento della riflessione. Poi, siccome evitare è tutt’altro che facile, per distrarci abbiamo bisogno di qualcosa di diverso che attiri la nostra attenzione.

E iniziamo a desiderare qualcosa: un oggetto, un libro, un progetto. Così da due diventiamo tre: una parte soffre, un’altra evita e la terza compensa, nutrita dalla nostra wanting mind. Nell’attimo in cui abbiamo quello che volevamo l’ansia si placa, spunta il piacere e un secondo di pace. Tanto che arriviamo a pensare che la soluzione sia avere quello che desideriamo.

Il realtà la nostra wanting mind ci spinge ad una compulsione, ad un fare che non fa altro che continuare a limitare l’essere. E rende il nostro evitamento sempre più disperato.

La buona notizia è che smettere e guardare dentro, a quelle parti evitate e rifiutate di noi, è sempre possibile. Sono lì che ci aspettano. Con la pazienza di chi si sa non amato. I capricci, infatti, se li può permettere solo chi è amato.

Siamo sempre occupati a rifiutare noi stessi, biasimando una cosa o l’altra. A volte finiamo per accettare di noi negatività che nemmeno abbiamo. Invece di rifiutarci ci aiuterebbe comprendere che le nostre negatività, vere o false che siano, non hanno solidità. Quando i nostri pensieri e i nostri concetti cambiano, il nostro atteggiamento cambia e l’energia che tenevamo bloccata si libera. Questa energia è stata bloccata dalla nostra negatività, che ha una qualità fissa, immobile. Più rendiamo flessibili i nostri concetti e la nostra rigidità, più l’energia può scorrere. Tarthang Tulku

Pratica di mindfulness: Lasciar andare l’eccesso

© Nicoletta Cinotti 2023 Formazione in reparenting

 

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L’ansia fondamentale

27/01/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Sto vivendo una condizione di grande incertezza. Un’incertezza che non dipende da me ma dalla vita. Seguo una persona cara ammalata e ogni giorno mi trovo negli alti e nei bassi della sua malattia. Mi rendo conto che questo mi mette di fronte a un’ansia fondamentale: l’ansia per l’incertezza che viene dalla natura in continuo cambiamento della vita.

Posso fare qualche tentativo per allontanarla, cercare di combatterla in qualche modo ma la condivido con chiunque, per quanto stabile e solida sia la sua posizione. La differenza è che in alcuni momenti quest’ansia è sullo sfondo. In altri momenti è in primo piano. Adesso per me è in primo piano: l’ultimo pensiero prima di dormire e il primo in ogni risveglio.

Posso conviverci con gli strumenti che ho: pazienza, fiducia, comprensione e la possibilità di scegliere cosa fare evitando situazioni che possono provocare danno o aumentare il problema. A questo aggiungo il rispetto e compassione per chi si trova in difficoltà, perché la vita non è una torta in cui non ci sono mai bocconi amari.

Ma il regalo più grande di questi giorni è che posso smettere di biasimare: smettere il rimprovero, la correzione, che rende, ciò che accade, ancora più persistente e durevole nella sofferenza. Perché richiamato continuamente all’attenzione dell’intolleranza. Mi sembra che le cose diventino più piccole in proporzione della vita stessa, che diventa grande. Tanto grande da mettere il resto in secondo piano. L’ansia dell’incertezza è l’ansia del cambiamento. So che quello che sta succedendo è un grande cambiamento. Uno di quelli che modifica il panorama degli affetti. Un panorama che vorremmo immutabile e, invece, è tanto sensibile e impermanente. So che altri, come me, condividono questo passaggio e per questo non mi sento mai sola.

La sofferenza è il risultato della nostra resistenza al cambiamento. Quando possiamo lasciar andare e non combattere, quando possiamo abbracciare l’incertezza della nostra situazione e rilassarsi nella sua qualità dinamica, ecco questo è quello che chiamiamo illuminazione, o risveglio alla nostra vera natura e alla nostra fondamentale bontà. Pema Chodron

Pratica di mindfulness: L’incertezza

© Nicoletta Cinotti 2023 Be real not perfect: Crescita e cambiamento

 

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Nel corso della storia

18/09/2017 by nicoletta cinotti

Nel corso della storia, grandi pensatori sono arrivati alla conclusione che ci sia qualcosa di profondamente meritevole nell’essere umano.

Nella tradizione Shambhala, chiamiamo questo concetto il sole dell’integrità basilare. Il sole è un simbolo di vita, calore e integrità, come la saggezza naturalmente all’interno della mente. Quando pratichiamo con questa concezione, arriviamo al cuore dell’essere umani, connettendoci con la nostra dignità intrinseca.

In questo periodo sembra esserci una sensazione – neanche troppo sottile – di un’umanità “cattiva”. Le storie tragiche che leggiamo sul giornale sono un segno di come le persone non siano connesse con la propria e altrui integrità di base. Nel momento in cui non rispettiamo noi stessi e gli altri, siamo finiti in un sistema che destabilizza la nostra dignità di individui e di società. E che cos’è la società, se non un network di relazioni fra persone?

Il modo in cui gestiamo le nostre vite

Il modo in cui gestiamo le nostre vite è basato sui nostri valori e sulla comprensione che abbiamo di noi stessi. Con la cerimonia che è la vita di tutti i giorni vissuta da ogni essere umano, contestualizziamo la nostra esistenza e ne otteniamo un senso di identità. Allo stesso tempo, l’ambiente in cui ci troviamo ha una grandissima influenza sul nostro percepirci. Basandoci su questa percezione della nostra identità, siamo in grado di farci un’idea di come la vita procederà. Questo è quello che veniva chiamato dal Buddha “interdipendenza”.

Quando prendiamo in considerazione l’integrità di base presente in noi stessi e negli altri, stiamo esplorando un grandissimo quesito – emotivamente, eticamente e filosoficamente. È davvero possibile che l’umanità sia alla base buona, gentile, saggia e forte?

In una società materialistica, conosciamo il significato e gli elementi esteriori del successo, ma stiamo perdendo familiarità con gli elementi interiori che ci conducono ad una felicità profonda e ad una connettività sociale positiva. Attraverso la meditazione, pratichiamo il risveglio di queste qualità percependo il nostro valore. Tuttavia, quando ci sediamo per meditare, potremmo non comprendere cosa stiamo cercando di risvegliare. Dobbiamo intraprendere un viaggio per capire cos’è reale.

L’integrità di base

L’integrità di base è intangibile. Da un lato, si potrebbe dire che è la più alta tradizione del tantra Buddhista, e non sarebbe falso. Dall’altro, la si può vedere in un neonato. L’integrità di base è il fondamento incondizionato di ogni esperienza. È sempre disponibile nel momento presente, è salutare e senza pecche.

Quando pratichiamo la meditazione, ci spogliamo dalle parole per scoprire cosa si sente ad essere umani. Arriviamo ad un’esperienza inesprimibile del nostro essere, e questo può succedere solo quando ci concediamo di rilassarci – quando non siamo spaventati da noi stessi, dagli altri o da ciò che ci circonda. Specialmente in un’epoca in cui il disprezzo verso di sé, l’aggressività e la sfiducia – non solo verso il mondo, ma anche verso la nostra forza e salute intrinseca – ci deve essere un punto in cui possiamo permetterci di riposare e sentire chi siamo davvero.

Questo è un momento molto importante, perché quando sentiamo chi siamo, abbiamo anche la fiducia nell’integrità, a prescindere dall’esperienza che stiamo vivendo. Questo è un elemento connesso con il non attaccamento. In maniera relativa, abbiamo un sacco di esperienze, ma in ultima analisi possiamo notare come alla fine non ci sia un giorno buono o cattivo quando si è pienamente con l’esperienza. C’è solo questa integrità di base, oltre al bene e il male relativi.

Come inizia la meditazione

La meditazione inizia prendendo una corretta postura: torace ben aperto, schiena ben eretta, gambe incrociate, mani sulle cosce. Questo contenitore ben bilanciato che creiamo ci permette di risposare nella nostra forza e vulnerabilità. Un momento di calma e apertura all’inizio ci garantisce uno spazio in cui possiamo sperimentare l’esperienza che si sviluppa.

Mentre pratichiamo, manteniamo consapevolezza del corpo e del suo linguaggio, che è il respiro, e restiamo consapevoli anche di com’è la mente, composta da pensieri ed emozioni. Quando non lo facciamo, ostacoli sorgono – spirituali e mondani – e invece di sperimentare questa fiducia nell’integrità, ci ritraiamo lentamente.

Perdere la connessione con il sentire

Quando perdiamo la connessione col nostro sentire, la vita diventa tumultuosa. Ci immergiamo nella nostra frenetica routine e diventiamo miopi e schivi, cerchiamo semplicemente di superare la giornata. Prima di rendercene conto ci ritroviamo a partecipare alla creazione di un mondo dove c’è più paranoia e meno sicurezza per la mente e il cuore umano. Dobbiamo essere persone davvero determinate per portare apertura e compassione nella nostra vita quotidiana. Oltre alla gentilezza, dobbiamo sviluppare anche forza e saggezza.

Per farlo addestriamo l’equanimità. In meditazione lo facciamo lasciando andare i pensieri. In aggiunta, scopriamo che una buona meditazione può essere una valida esperienza quanto un distrattore. Se sopravvalutiamo le nostre esperienze positive, aumentiamo anche la possibilità che quelle cattive ci abbattano.

L’equanimità

L’equanimità aumenta l’abilità della mente di andare avanti anche quando si incontrano gli ostacoli e le vicissitudini della vita. Senza questa freschezza e fluidità, ci ritroviamo proni alla depressione che abbatte la nostra abilità di agire o gioire, e questo ci brucia, ci estingue. L’equanimità verso quello che succede genera anche fermezza, e contemporaneamente ci libera dal dover continuamente ritrovare la nostra zona di comfort.

In meditazione, ci si coinvolge con qualcosa di potente – l’abilità di sperimentare la propria integrità e di generare un profondo senso di sicurezza in essa. Il processo in cui permettiamo alla nostra coscienza di risvegliarsi e sorgere viene simboleggiato dal sole, che rappresenta anche l’assenza di ignoranza. È la luminosità all’interno della nostra consapevolezza.

La saggezza è la sorgente della felicità

Questa saggezza è la sorgente di tutta la felicità, perché ha il potere di sovrastare la sofferenza. Anche rifletterci momentaneamente genera dignità perché la sua lucentezza supera i dubbi e le esitazioni riguardo al nostro valore. Quando possiamo riposare in questa qualità totalmente inclusiva ed auto rigenerante, la nostra mente non è più sconquassata dal desiderio che ci porta solo a voler consumare ancora. Ci possiamo liberare dalla trappola del materialismo e crogiolare nella fiducia di questa pura integrità. Non è una credenza, ma una sensazione che possiamo conoscere e incarnare praticando con costanza, riscoprendo quello che siamo e riappropriandocene.

Il nostro viaggio allena le nostre abilità di consapevolezza, questo ci porta ad equanimità e saggezza. È qui che l’integrità di base inizia a manifestarsi, nel momento in cui riconosciamo le potenzialità dello spirito e della mente umana. Se arriviamo a comprendere e apprezzare il nostro valore, la nostra vita diventerà davvero un cammino spirituale. Nel manifestare la dignità umana, anche la società avrà sarà predisposta a farlo.

Se un numero sufficiente di noi utilizzasse questo punto di vista, la trama della società verrebbe irradiata dal sole dell’integrità, che permetterebbe alla dignità della saggezza, della gentilezza e della forza di sorgere naturalmente. Il messaggio dell’interdipedenza è che siamo tutti nella matrice della vita, e non ci sono stacchi pubblicitari. Rafforzando la nostra umanità, generiamo fiducia nel suo valore intrinseco.

Traduzione: Niccolò Gorgoni

Articolo originale: https://www.elephantjournal.com/2014/10/uncovering-our-inherent-dignity-confidence/

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Sei degno di amore (te lo prometto).

07/05/2017 by nicoletta cinotti

Stavo conducendo una giornata di meditazione intensiva a Boston. Dopo aver studiato gli insegnamenti Buddhisti e aver parlato di come applicarli nelle nostre vite, ho invitato i partecipanti a scrivere in modo anonimo qualcosa con cui si tormentavano.

I foglietti vennero messi in una ciotola a dozzine e, uno a uno, vennero estratti perché queste domande potessero esser lette ad alta voce, divenendo materiale di contemplazione per il gruppo. Ce ne fu una che mi fermò il cuore. Non scorderò mai la prima volta in cui la vidi.

“Il mio ragazzo non mi ha mai detto che mi ama. Mi sento indegna di essere amata. Che cosa posso fare?”

Per questa situazione specifica il gruppo diede moltissimi e saggi insegnamenti. Questa domanda però, restò a tormentarmi nelle settimane a venire. Ero in viaggio per uno dei miei libri – presso centri di meditazione, comunità yoga, università, librerie, ovunque. Più mi spostavo e più entravo in contatto con varianti di questo stesso tema.

“Non credo troverò mai qualcuno che possa amarmi per come sono”.

“Se io non riesco ad amarmi, come posso pretendere che qualcun altro lo faccia?”.

“Perché sono single? Ho qualcosa che non va?”

Nella società consumistica in cui viviamo ci viene spesso insegnato che abbiamo qualcosa che non quadra. E poi, ci vengono proposte le buone notizie: c’è qualche cosa che possiamo comprare o che possiamo ottenere, di esterno a noi stessi, che ci aggiusterà. Anziché abbracciare chi siamo, ci ritroviamo a dar retta ai sussurri della società che ci dicono che non siamo abbastanza buoni, sufficientemente amabili o desiderabili. Ci viene detto che ci servono cose per scalare la piramide del successo e che solo quando saranno in nostro possesso saremo felici. Ci viene detto che, per liberarci da questa sensazione di sofferenza, dobbiamo diventare diversi da quelli che siamo realmente in questo momento. In realtà non è proprio così. Da un punto di vista Buddhista, ci sono delle vere buone notizie. Non serve nulla di esterno per essere amabili. Siamo perfetti e innatamente degni di amore proprio così come siamo.

Quando il Buddha si sedette a meditare sotto l’albero della bodhi 2600 anni fa, non si mise lì per escogitare un piano su come diventare diverso da sé stesso. Riconobbe che stava soffrendo e che voleva fare qualcosa al riguardo. Iniziò una semplice pratica meditativa per iniziare a contemplare quella sofferenza. Più la osservava, più realizzava che alla sua base non c’era niente di “incasinato”, niente di sbagliato. Era fondamentalmente buono e fondamentalmente risvegliato. E non è solo. Anche noi abbiamo questa potenzialità. È come un diamante sepolto dalla polvere, è comunque lì, dobbiamo solo scoprirlo.

Quando parliamo del Buddha c’è una parola in Sanscrito che viene spesso usata: lui è il Tathagata. Tathagata può esser tradotto come Buddha, ma in maniera più diretta anche come “il Risvegliato”. Ma a cosa si è risvegliato il Buddha? Si è risvegliato alla sua natura indistruttibile. Ha svegliato la sua mente e il suo cuore con pienezza e si è risvegliato alla realtà così come è, piuttosto che così come l’avrebbe voluta o così come soleva essere. Quando si parla di meditazione ed illuminazione si parla di questo. Parliamo di come possiamo seguire i passi del Buddha, diventando più presenti e svegli sul cuscino e nella vita di tutti i giorni.

Una delle cose che il Buddha scoprì era che non doveva più raccontarsela. Vide la realtà per quello che era e fu in grado di lavorare con le persone e le situazioni in maniera diretta e genuina. Non era un diplomatico né un politico. Era un rivoluzionario nel senso che presentò sé stesso in maniera autentica alla gente, e questi risposero. Chiunque incontrasse veniva ispirato dalla sua presenza. Con il semplice atto di rimanere con il cuore aperto, invitava le persone ad unirsi a lui in quello spazio e con cuore aperto. Parlo di questa storia perché possiamo fare anche noi come fece il Buddha e presentarci in maniera autentica.

Nella mia esperienza ci sono tre step da seguire in questo processo:

1.     Guarda te stesso

Una delle parole tibetane che preferisco per “meditazione” (e ce ne sono svariate) è gom, che può anche esser tradotta con “familiarità”. È il concetto per cui, attraverso la semplice pratica di osservazione del respiro e dei pensieri che fluttuano nella mente, si diventa più familiari. Più familiarità si sviluppa con i vari modi in cui ci si incastra con le emozioni, in cui si reagisce con i soliti pattern automatici, in cui la mente ci intrattiene abitualmente, più si sviluppa familiarità con l’essenza di chi siamo davvero.

2.     Scopri la tua bontà di base.

Quando diventi consapevole della tua vera essenza, puoi vedere quello che vide il Buddha: che oltre agli strati di confusione e dolore sviluppati nel corso degli anni, c’è un’innata pace. Sei innatamente saggio, buono e forte. Questa è la tua vera natura, quello che nella tradizione Shambhala viene chiamata “bontà di base”. Questa bontà di base è l’esperienza di essere originariamente interi. È questo che sei. E non sei solo tu; tutti posseggono questa stessa natura.

3.     Sviluppa la fede in questa bontà.

Una volta che hai scorto di essere fondamentalmente buono, dovresti sviluppare una fede in questo. È facile mollar la presa e ritrovarsi a seguire sussurri interni o esterni che dicono come in realtà non sei buono abbastanza, ma se riesci ad esperire questo senso di integrità primordiale, allora questo può sovrastare qualunque cosa ti venga scagliata contro. Non è un’idea, come l’idea di aver bisogno di un nuovo iPad, ma è una comprensione. Possiamo avere fiducia nella nostra esperienza di bontà di base e continuare a coltivarla sia sul cuscino che fuori.

L’essenza di quello che sei è innatamente amabile. Quando abbandoniamo le costanti critiche che sorgono nelle nostre giornate facciamo esperienza di un senso di pace e calore. Impariamo ad amarci. Il grosso del tempo lo spendiamo a spostarci e pensando “vorrei non averlo detto” o “devo davvero farlo meglio la prossima volta”. Difficilmente ci fermiamo per apprezzare tutto il buono che abbiamo fatto. Troppo raramente celebriamo il nostro potenziale umano.

La bellezza della meditazione Buddhista è che è un semplice strumento per fare proprio questo. Sì, diventiamo più familiari con sanità e follia che imperversano la nostra mente quando meditiamo, ma notiamo anche, a tratti, il nostro essere umani degni di amore. Notiamo che non ci serve affidarci a quel nuovo prodotto, lavoro o addirittura partner per essere interi. Il mio insegnante Buddhista, Sakyong Mipham Rinpoche, scrisse “Il vero amore è l’energia naturale della nostra mente calma”. Attraverso l’allenamento nello stare con qualcosa di semplice come il respiro, si impara a dimorare in sé stessi e a stare con la propria innata capacità di essere consapevoli. All’interno del tuo stato naturale c’è un profondo amore. Questo è quello che ha scoperto il Buddha e questo è quello che potresti scoprire anche tu.

Originale: https://www.elephantjournal.com/2015/09/you-are-worthy-of-love-i-promise/. Traduzione autorizzata da Elephant Journal

© Lodro Rinzler

Traduzione di Niccolò Gorgoni Foto di ©*SusieQ*

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