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mindfulness per principianti. protocolli mindfulness

Quando ti senti vivo o viva?

13/09/2023 by nicoletta cinotti

Tempo fa, parlando di un qualche sport estremo, un amico disse: “Io lo proverei, una volta, per sentirmi vivo.” C’era una ragazza con noi, lo guardó colpita, e disse semplicemente: “Io mi sento viva anche quando mi lavo la faccia alla mattina.” La percezione della propria vitalità, questo ‘sentirsi vivi‘, é una questione estremamente personale. Qualcuno si sentirà più vicino al mio amico, in cerca dell’adrenalina di una situazione estrema, qualcun altro alla ragazza. Inutile dirlo, é facile che a molti sia venuta in mente una circostanza ancora diversa, legata ad una personale esperienza sensoriale.

Abbiamo tutti le nostre ancore alla vita, i nostri intimi risvegli, più o meno frequenti.

Se il più delle volte siamo in realtà ‘sovrappensiero’, ci sono invece momenti in cui i nostri sensi si affinano, siamo connessi con il nostro corpo, con la certezza di trovarci propriamente nel posto giusto e al momento giusto. Momenti in cui tutto diventa opportuno.

Di sicuro ci ricordiamo questi attimi con un buon livello di dettaglio: siamo in grado di rivivere quelle sensazioni visive, tattili, sonore ecc. Semplicemente perché ci trovavamo davvero nel nostro corpo, più che persi nei nostri pensieri.

Quando accadono questi risvegli, non importa se sei in cima all’Everest o se stai camminando in mezzo al traffico: anche l’aspetto più ordinario può diventare importante e avere valore. Che tu sia in un posto lontano o dietro casa, il mondo é degno della tua viva attenzione.

Praticare la mindfulness é una ricerca costante di questo stato mentale. Alla consapevolezza ci si può allenare, ci si può allenare alla vita.

“Solo lo stupore conosce”. S. Gregorio

Pratica informale di mindfulness: Cambiare strada da casa al lavoro, soffermare lo sguardo su qualche particolare mai guardato, o comportarci in un modo diverso da quello che noi stessi ci aspettiamo può aiutare a spostare la prospettiva, facendo rinascere quello stupore che pareva congelato in una ferrea abitudine.

© Nicoletta Cinotti 2023

Archiviato in:mindfulness continuum Contrassegnato con: consapevolezza, corpo, dare, interpersonal mindfulness, mente, mindful, mindfulness, mindfulness per principianti. protocolli mindfulness, Nicoletta Cinotti, pensieri, presente, protocollo MBCT, protocollo mbsr, protocollo MBSR torino Niccolò gorgoni

Lasciar andare la mente di povertà

17/08/2023 by nicoletta cinotti

Anche se le evidenze sono molte tendiamo a dimenticare che siamo animali, presumibilmente una forma evoluta di scimpanzè, con i quali condividiamo il 98-99% dei geni. Questo non significa che uno scimpanzè è al 98% un umano perché gli stessi geni funzionano diversamente a seconda di come sono organizzati ma che la nostra evoluzione è frutto di diversi compromessi, biologici, funzionali, culturali e mentali.

Forse ti domanderai in che modo questo è collegato alla nostra mente di povertà. Se osserviamo il modo di funzionare del nostro cervello dobbiamo riconoscere che si è evoluto in forme straordinariamente complesse ed efficaci ma, a volte, non del tutto adeguate alle necessità contemporanee. Per questa ragione possiamo trovare motivazioni contrastanti ed emozioni e desideri che non si integrano tra di loro. Il risultato è uno stato di ansia che ci può far sentire in pericolo anche quando non c’è niente di reale che ci minaccia.

Non diversamente dai nostri progenitori abbiamo motivazioni che ci spingono a cercare riparo, cibo, partner sessuali e che ci spingono ad avere un buon posto nella gerarchia del nostro gruppo di riferimento. Queste motivazioni sono primarie, appartengono alla nostra natura animale, contribuiscono a dare significato alle nostre scelte e possono promuovere stati di profondo benessere e di altrettanto profondo malessere se sentiamo che non siamo riusciti a raggiungere gli obiettivi che ci eravamo fissati, come se da questo dipendesse, in senso letterale, la nostra sopravvivenza.

La mente che vaga o wandering mind

Pensa come sarà stato utile, per i nostri progenitori, avere una mente capace di cogliere i segnali di pericolo, sempre attiva a vagare per riconoscere nell’ambiente circostante opportunità di caccia o di riposo ma anche per cogliere tempestivamente i segnali di pericolo. Certo questo avrà messo anche loro in uno stato d’allerta ma, nella giungla un po’ d’allerta non fa mai male. Il punto è che la nostra wandering mind è ancora con noi e attiva il Default Mode Nwork, una parte del nostro cervello che “ci tiene sulle spine”, costantemente alla ricerca di ciò di cui dovremmo preoccuparci. Cose che richiedono azioni e che percepiamo come minacciose ma che non sono davvero presenti. Sono piuttosto frutto della nostra capacità di pensare, di prevedere il pericolo e di pianificare. Entra in funzione indipendentemente dalla nostra volontà quando la nostra attenzione non è ancorata a qualcosa di definito e tonifica costantemente diversi circuiti cerebrali. Può risvegliare il sistema difensivo oppure quello di ricerca delle risorse. Una cosa è certa: porta l’attenzione a quello che manca e non a quello che c’è. Come fare per spegnerla, visto che si accende quando siamo distratti? Basta riportare l’attenzione a qualcosa di specifico e definito. Questo permette alla mente di calmarsi e smettere di stimolare circuiti che possono farci sentire minacciati. La concentrazione può avere un effetto calmante proprio perché disattiva le emozioni ansiose del sistema difensivo e del sistema di ricerca delle risorse.

Quando la nostra attenzione si aggancia ad uno stimolo in nostro Default Mode Network si sposta su quello stimolo e cessano i pensieri rimuginativi e le preoccupazioni. In questo modo il rumore emotivo si abbassa. Se hai tanti pensieri però può essere difficile fermare l’attenzione su qualcosa e allora può essere una buona idea aumentare il “volume del corpo” con una attività fisica che già conosci e che ti impegni un po’ per la sua difficoltà. Alzando il volume del corpo abbassi quello della mente ed eserciti l’attenzione selettiva: stai attento ai movimenti e al loro corretto svolgimento. A quel punto, avrai un maggiore rilassamento e un maggior senso di apertura, ossia sarai disponibile, in modo naturale, per una consapevolezza aperta

La storia della scimmia, la banana e la wanting mind

Sappiamo tutti che le scimmie adorano le banane e che il loro saltare da un ramo all’altro, in eterno movimento, assomiglia al vagare della nostra mente che cerca di trovare qualcosa di buono o, almeno qualcosa di sicuro. Le scimmie sono astute, veloci e golose, così per catturarle viene usata una trappola particolare. La trappola consiste in una noce di cocco svuotata e legata a uno steccato. La noce di cocco contiene una banana, che la scimmia può prendere infilando la mano nel buco. A quel punto la scimmia non può togliere la mano se non rinunciando a prendere la banana. Quella banana ha il costo della sua libertà e del suo desiderio. Se rimane incastrata può venir catturata, se lascia la banana rinuncia a qualcosa che desidera.
Quando la nostra wanting mind è attiva si comporta come quella scimmia. Ci fa andare con determinazione verso qualcosa che desideriamo e sottovaluta quale può essere il prezzo che paghiamo per realizzare quel desiderio perché rimaniamo incastrati nel desiderio e ci fa credere che rinunciare sarebbe un disastro. Possiamo desiderare che la nostra vita sia diversa, oppure che il nostro aspetto fisico o il nostro lavoro siano diversi, non ritenendoli sufficienti per portarci appagamento. Questo senso di povertà interiore e di mancanza è una delle manifestazioni della wanting mind che ci illude di aiutarci a realizzare una vita migliore e ci porta invece sempre più vicini ad un senso di mancanza e povertà.
I desideri alimentano la nostra abitudine alla distrazione, collegando la wandering mind con la wanting mind. La prima ci fa desiderare qualcosa – magari proprio mentre meditiamo – e la seconda inizia a cercare il modo per realizzarli. La nostra wanting mind è continuamente stimolata dalla pubblicità, dai social che alimentano i nostri desideri

La mente che paragona: l’ultimo aiutante della mente di povertà

La nostra mente di povertà è nutrita dalle emozioni del sistema difensivo, come rabbia e paura, e da alcune emozioni del sistema di ricerca delle risorse, come l’invidia e la gelosia. Invidia e gelosia sono emozioni ubiquitarie: possiamo provarle anche nei confronti di qualcuno che amiamo e la vicinanza affettiva è proprio una delle caratteristiche più specifiche di queste due emozioni difficili. Non proviamo gelosia o invidia per qualcuno che sentiamo molto lontano da noi e con una vita molto diversa dalla nostra. Le proviamo nei confronti del nostro vicino di casa che abita un appartamento simile al nostro o nei confronti dei nostri fratelli e sorelle o del nostro partner.
È difficile ammettere di provarle e per questa ragione spesso si accompagnano con vergogna e senso di colpa: non solo ci fanno sentire poveri ma addirittura miseri. L’invidia poi è considerata il sentimento opposto alla gratitudine: più proviamo invidia e meno ci sarà facile accedere a quella grande risorsa promotrice di cambiamento che è la gratitudine.
La gelosia e invidia, sono una miscela complicata di desiderio, risentimento, infelicità e apprensione, sono difficili anche da definire. La gelosia nasce dalla paura ci venga sottratto qualcuno o qualcosa che riteniamo che ci appartenga, mentre l’invidia ci fa desiderare qualcosa che appartiene ad un’altra persona. Sia invidia che gelosia sono emozioni del sistema di ricerca delle risorse e per questa
ragione se la nostra wanting mind è molto attiva, è probabile che prima o poi compaiano anche queste due emozioni nel nostro panorama interiore. Si accompagnano con le affermazioni più tipiche della nostra mente di povertà come, “lei o lui hanno questo e quest’altro e io non ho niente”; sappiamo che non è vero ma nel momento in cui lo pensiamo lo “sentiamo” aderente alla nostra realtà.
Il confronto, e quindi la comparing mind, potrebbe anche essere utile se ci spinge ad agire per conto nostro per migliorarci ma l’invidia è per sua natura ostile. La parola deriva dal latino invidere, considerare con cattiveria, rancore. A differenza della sua cugina, l’avidità, che è un’emozione tipica della wanting mind, l’invidia non si limita a desiderare l’oggetto del suo desiderio, ma macchia l’intero progetto, negando agli altri ciò che hanno e, quando tutto il resto fallisce, svalutando o distruggendo l’oggetto desiderato. È tra i sette peccati capitali ed è l’unica, tra queste, che non porta piacere a chi la prova tanto è considerata uno stato mentale non salutare.

Riconoscere la mente di povertà

A questo punto può sembrare inevitabile fare qualcosa per uscire dalla nostra mente di povertà. Nelle prossime settimane te ne parlerò ancora ma per adesso perché non riconoscere quando entra in funzione la nostra mente di povertà e guardarla con curiosità e interesse? Se ci rendiamo conto di come funziona per noi la wandering mind, la wanting mind e la comparing mind incominciamo ad avere qualche idea in più su come la nostra mente costruisce quel senso di infelicità senza ragione che tanto colpisce la nostra vita.

Tutta la pratica di mindfulness, nei diversi programmi e protocolli, ha questo nobile intento: aiutare a riconoscere, nominare, esplorare quello che succede senza identificarsi. Il vero cambiamento nasce quando, avendo compreso, visto, ascoltato nominato, facciamo anche l’ultimo passo: non ci identifichiamo e ci rendiamo conto che, tutto questo, è solo un gioco della nostra mente che è old fashion anche se è piena di upgrade!

Nicoletta Cinotti 2023

Corsi

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Spesso nel presente abbiamo ad attenderci molto più di quello che immaginiamo

08/07/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Perdere gli aspetti positivi significa che la vita non è ricca come potrebbe essere. Non essere consapevoli degli aspetti negativi significa non essere in condizione di intraprendere azioni utili.

Quando la nostra mente è altrove, la depressione può insinuarsi in noi. Non possiamo avere realmente il controllo su ciò che ci entra nella mente, però possiamo avere il controllo su ciò che facciamo dopo, il passo successivo. E la mindfulness è interamente incentrata sul divenire capaci di raggiungere una posizione di consapevolezza dalla quale poter scegliere quale sarà il prossimo passo, invece di lasciare le vecchie abitudini mentali libere di agire.

Per il semplice fatto di prestare attenzione, si scopre che è possibile sia «svegliarsi» e uscire dalla modalità del pilota automatico sia connettersi più pienamente con il presente (…) Spesso nel presente abbiamo ad attenderci molto più di quello che immaginiamo, soprattutto se siamo soliti agire in modo automatico per la gran parte del tempo. Williams, Teasdale, Segal

©Nicoletta Cinotti 2023 Rubrica “Addomesticare pensieri selvatici” Il protocollo MBCT online

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Lo spazio dell’attesa

27/12/2022 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Quando guardiamo siamo attirati dagli oggetti, dalle forme e quindi lo spazio tra un oggetto e l’altro finisce solo per disegnare la distanza. Eppure quello è lo spazio nel quale ci muoviamo. Uno spazio senza il quale finiremmo soffocati.

Quello spazio – che noi chiamiamo vuoto – dà la forma e l’armonia agli oggetti e alle cose. Restituisce a loro la dimensione e a noi la possibilità di muoverci e apprezzare la forma.

Quel vuoto – così necessario – è quello che coltiviamo nella pratica. Nella pratica – che sia di bioenergetica o di mindfulness – noi coltiviamo lo spazio di vuoto per poter dare un senso al pieno delle nostre esperienze e al pieno della forma che le cose prendono. Senza quel vuoto le nostre esperienze, i nostri pensieri, le nostre sensazioni diventano affollate e diventa difficile attribuire loro un significato.

Possiamo incontrare quel vuoto anche nella vita quotidiana: si incontra nei tempi dell’attesa. Quando sappiamo che qualcosa verrà ma ancora non c’è. Non è solo i mesi dell’attesa che nasca un bambino. Molti momenti sono momenti di attesa. Tra quando nasce un’idea e quando prende forma. Tra un desiderio e la sua possibile realizzazione. Anche il silenzio è una forma di attesa. È un dare forma al vuoto perchè il vuoto possa definirci. Perchè – alla fine – quello di cui abbiamo bisogno è un senso di spaziosità. Quella spaziosità che è lo spazio dell’attesa, del silenzio, del vuoto.

Con un maggior senso di spaziosità riusciamo più facilmente a rimanere presenti rispetto a qualunque cosa venga in mente e a essere più indulgenti con noi stessi quando le migliori intenzioni vanno storte. Segal, Teasdale, Williams

Pratica di mindfulness: Il suono del silenzio

© Nicoletta Cinotti 2022 Il protocollo MBCT online: in early bird fino al 31 Dicembre

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Troviamo la nostra vera natura

17/12/2022 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Il desiderio di cambiare è essenzialmente una forma di aggressione verso se stessi. Un altro problema è che i nostri conflitti psicologici, purtroppo o per fortuna, contengono la nostra ricchezza. Le nostre nevrosi e la nostra saggezza sono costituite dallo stesso materiale. Se buttiamo via le nevrosi, buttiamo anche la saggezza.

Quando siamo molto arrabbiati, siamo anche pieni di energia: è questa energia che ci rende così vitali e che piace così tanto alla gente. Il punto, allora, non è liberarsi della rabbia ma farci amicizia, osservarla chiaramente con precisione, onestà e gentilezza. Ciò significa che non dovete né considerarvi una persona indegna, né cadere nell’autocompiacimento: “Faccio bene a comportarmi così, ho proprio ragione. Gli altri sono insopportabili, è giusto che io sia sempre arrabbiato con loro”.

Gentilezza vuol dire non reprimere la rabbia, ma anche non darle libero sfogo. È qualcosa di molto più raffinato e generoso. Presuppone che, una volta pienamente riconosciuta la sensazione della rabbia, una volta compreso chi siete e che cosa state facendo, impariate a lasciar andare. Potete lasciar andare la solita storiella meschina che fa da sfondo alla vostra rabbia e iniziare a vedere chiaramente come e quanto continuate a tenere in piedi tutta la faccenda.

Allora che si tratti di rabbia, attaccamento, gelosia, paura o depressione, qualunque cosa sia, l’importante è non cercare di reprimerla ma fare amicizia con essa. Ciò significa arrivare a conoscere l’emozione in profondità e con una certa delicatezza e, una volta che l’abbiamo pienamente sperimentata, imparare a lasciarla andare. Pema Chodron

© www.nicolettacinotti.net  Rubrica “Addomesticare pensieri selvatici”

https://www.nicolettacinotti.net/eventi/be-real-not-perfect-verso-unaccettazione-radicale/

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La riflessione: un modo per vedere i propri film

12/12/2022 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Parlo spesso dei pensieri: eventi mentali del momento presente che, a volte, ci trascinano in un altrove pieno di fantasmi e fantasie. Non dobbiamo certamente scacciare i pensieri né, tantomeno, diffidare dei nostri processi mentali. Abbiamo solo bisogno di riconoscere quelli che sono i nostri film e quella che è la realtà.

A volte questa distinzione non è facile perchè i nostri film hanno una grande forza di persuasione. Ci sembrano più veri della realtà. Ci sembrano la parte più intelligente e geniale di noi. Allora abbiamo bisogno di metterli alla luce della riflessione per vedere se sono davvero così reali.

Possiamo farlo immaginandoli proprio come un film. Noi al cinema, seduti in prima fila. Guardiamo il film che ci siamo fatti come spettatori seduti in prima fila. Guardiamo cosa succede a vederlo così da vicino. Poi spostiamoci a metà sala e guardiamo cosa succede vedendo lo stesso spettacolo con maggiore distanza. Forse potremmo cogliere elementi diversi che erano coperti dalla vicinanza.

E infine guardiamo lo stesso film da una posizione in fondo alla sala. Potremmo scoprire che cambia ancora la visione e la prospettiva con cui guardiamo allo stesso evento. Non è un processo di distanziamento. È l’apertura di uno spazio tra noi e i nostri pensieri. Uno spazio in cui possa avvenire la riflessione. Uno spazio in cui possiamo vedere prospettive diverse. Perchè la riflessione è l’apertura di uno spazio in cui essere liberi dalla reattività e dalla compulsione che i pensieri producono.

Così, se ci affidiamo alla riflessione, possiamo davvero sapere quanto è vero il nostro film e quanto la parte che attribuiamo agli altri sia proprio corretta. E faremo film da Oscar: quelli che nascono dalla riflessione lo sono sempre.

Qui sotto trovi una pratica guidata su questo tema: Il cinema

https://www.nicolettacinotti.net/wp-content/uploads/2016/12/Cinema.m4a

 

Il processo della riflessione ha tre fasi: il riconoscimento che significa penetrare nel proprio vissuto. L’ammissione dei propri film che significa riconoscere i propri meccanismi di difesa e la rivoluzione, quando riusciamo a cambiare il significato della nostra esperienza. Liberamente tratto da Brenè Brown

© Nicoletta Cinotti 2022 Il protocollo MBCT online. Early bird fino al 31 Dicembre

 

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