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Cosa c’è di nuovo nella cura con la Mindfulness?

16/04/2022 by nicoletta cinotti

Gli ultimi vent’anni sono stati attraversati dal vento della mindfulness, nelle diverse aree di cura. Un vento che ha portato semi nuovi e diffuso un approccio diverso alla cura di disturbi sia fisici che emotivi. Troviamo così la mindfulness come medicina complementare nella patologie fisiche e nel trattamento della depressione o dei disturbi emotivi. Cosa la rende così versatile? Quali sono i suoi principi di base? Cos’è che rende diverso l’approccio mindfulness alla cura?

L’approccio difensivo alla cura

 

Sia in psicologia che in medicina la cura – nell’ultimo secolo – è passata attraverso la logica delle difese. Il sistema immunitario ci protegge dall’attacco di agenti patogeni; le difese psicologiche ci proteggono da attacchi di tipo emotivo. La salute è stata associata all’avere un sistema immunitario in regola e un sistema difensivo efficace. E la cura è stata vista come un modo per rafforzare l’efficacia difensiva.

Questo approccio difensivo alla cura – ha sottovalutato il costo del tenere attiva una difesa. E ha anche sottovalutato il costo – in termini energetici – di mantenere attivo preventivamente un sistema difensivo. Le difese dovrebbero funzionare nel momento in cui c’è un attacco e disattivarsi una volta che l’attacco si è concluso. In realtà, almeno psicologicamente, i sistemi difensivi rimangono attivati più del necessario e finiscono così per costruire sintomi che non sono legati al disturbo ma proprio all’attivazione difensiva.

Un esempio? I sintomi paranoidi spesso sono un effetto delle difese non della patologia che ha un carattere depressivo. Oppure, nel caso delle patologie cardiovascolari, sappiamo che il rischio di infarto miocardico è aumentato in persone che nutrono affetti negativi. Affetti negativi che sono il risultato di conflitti irrisolti e mantenuti attivi dalle difese stesse.

Abbiamo costruito una cultura della guerra e ne stiamo vedendo le conseguenze proprio in questo momento.

 

Passare alla logica delle risorse

 

Spostare l’attenzione sulle risorse personali – che è uno dei primi passi dell’approccio basato sulla mindfulness – diminuisce il senso di pericolo e sottolinea l’aspetto delle capacità mettendo – psicologicamente – in un clima positivo. Inoltre attiva le risposte del sistema connesso alla calma e alle relazioni sociali, integrando gli aspetti cognitivi e quelli emotivi. 

 

L’uso sproporzionato della logica delle difese potrebbe essere responsabile della discrepanza che a volte viviamo tra pensiero ed emozioni

La nostra struttura di pensiero difensiva ci fa andare in una direzione che non è congruente con l’aspetto emotivo – so questa cosa ma non la sento è la frase che esprime questo conflitto – e dipende dal fatto che affidiamo in maniera eccessiva il processamento delle informazioni ai canali razionali e difensivi. Emotivamente avremmo bisogno di essere consolati ma, di fatto, – avendo attivato le nostre difese – abbiamo accesso ad una possibilità razionale di consolazione ma non affettiva.

Quali emozioni attivano le difese

 

Ci sono emozioni  attivate dai nostri sistemi difensivi. Sono emozioni come la vergogna, l’umiliazione, l’autocritica.

Queste emozioni disinnescano le risposte legate al conforto sociale, alla calma e alla relazione tra esseri umani e spingono ad un comportamento di ritiro.

Sono emozioni presenti in una varietà di disturbi emotivi perché, come dicevo prima, sono connesse alla difesa e non al disturbo emotivo.

Sono emozioni trans-diagnostiche: ossia le provi sia se hai un disturbo ossessivo-compulsivo, che un disturbo dell’alimentazione, una depressione maggiore o semplicemente una condizione cronica di stress.Spostare l’attenzione sugli aspetti legati alle regolazione attraverso emozioni positive, delle emozioni relazionali, ha un duplice effetto: riduce la sensazione di pericolo e porta in contatto con gli altri proprio nel momento in cui abbiamo bisogno di uscire dal ritiro prodotto dalla paura connessa alla minaccia.Facciamo un piccolo excursus e vediamo che cosa comporta avere attivo un sistema di autocritica

Il sistema di autocritica

Una delle ipotesi più accreditate sul nostro funzionamento ipotizza che esistano tre diversi schemi di risposta neuro-psico-fisiologica: 1) un sistema difensivo (attacco, fuga, freezing o accondiscendenza); 2) un sistema di ricerca delle risorse connesso all’eccitazione e alla ricerca di risposte connesse ai  nostri desideri e un 3) sistema affiliativo connesso alle emozioni di calma, relazione e connessione. L’autocritica si attiva in collegamento con quello difensivo e comporta una disattivazione del sistema di calma e connessione sociale. Quando è attiva l’autocritica – o la critica – sembra che le nostre capacità di connessione sociale siano spente. Il pensiero diventa competitiva e le modalità cooperative passano in secondo piano. Diminuiscono gli scopi condivisi e aumentano gli scopi personali; se la cooperazione aumenta le risposte relazionali, la competitività sviluppa una sorta di contro – empatia che rende più difficile – se non impossibile – l’accesso alle modalità di calma e connessione relazionale.

La percezione della minaccia disattiva la riflessione

 

Di questo quadro fa parte anche il fatto che quando ci sentiamo minacciati da una minaccia interna – autocritica – o esterna – critica o attacco – la nostra capacità riflessiva decresce in maniera estremamente rilevante.

Essere riflessivi, quando si è in pericolo, non è detto che sia una buona qualità e quindi diamo la precedenza alle risposte impulsive e rapide.

Se questa condizione è transitoria non ci sono particolari problemi: al ripristinarsi della situazione di sicurezza, torna attiva anche la capacità riflessiva.

Se, invece, le nostre difese rimangono attive anche dopo che il pericolo è passato, è molto probabile che, con il tempo, si sviluppi un atteggiamento non riflessivo e non affettivo rispetto alle difficoltà che incontriamo.

Minaccia e depressione

La serotonina – neuromediatore connesso alle patologie depressive – svolge un ruolo nel sistema difensivo. Sappiamo che la depressione si accompagna ad una ridotta captazione della serotonina presente o ad una riduzione nella produzione di serotonina. La captazione della serotonina influenza lo stato di attivazione, la sua durata e le risposte usate per calmare la sensazione di pericolo. Meno serotonina abbiamo in circolazione, più prolungata sarà la sensazione di minaccia relativa ad uno stimolo percepito come pericoloso. La risposta depressiva però non è mediata solo dalla serotina. Anche la dopamina partecipa alle complesse modalità reattive che possono essere presenti in una situazione di depressione. Una aumentata produzione di dopamina attiva il sistema motivazionale legato al desiderio, all’eccitazione e alla realizzazione dei propri bisogni. In questo modo però abbiamo ben due sistemi che si attivano e che escludono la possibilità di modulazione legata al sistema della calma e della connessione sociale: il sistema difensivo e il sistema di ricerca delle risorse. Paradossalmente, più ci sentiamo infelici più possiamo tentare di spostare la soluzione sul piano motivazionale, aumentando il numero di azioni che possono comportare soddisfazione.

Le relazioni sociali e l’appagamento

Quello che accade con la mindfulness è che l’attenzione si sposta decisamente sul sistema connesso alla calma, alla connessione relazionale e alle sensazioni di appagamento. Passiamo quindi dalla ricerca di sicurezza (safety seeking) alla sensazione di sicurezza (safeness). Questo sistema genera uno stato di sollievo, offrendo una sensazione di quiete e serenità che aiuta a recuperare il nostro equilibrio. La felicità non è data da modalità competitive ma dalla sensazione di appagamento per ciò che è presente.

Questo sistema è connesso all’affetto e alla gentilezza ed è mediato dalle endorfine e dall’ossitocina e ha una funzione modulatrice sulle emozioni attivate dagli altri due sistemi. Se cerchiamo di lavorare solo sul sistema difensivo possiamo sottovalutare il fatto che, prima di tutto, abbiamo bisogno di calmarci.

[box] Potete non avere colpa per com’è la vostra mente, per le passioni, le paura e gli accessi d’ira che si agitano in essa, ma solo voi potete assumervi la responsabilità di addestrarla nella direzione della vostra felicità e quella degli altri. È come un giardino. Potete lasciare che il vostro giardino cresca e crescerà: vi germoglieranno erbacce e fiori ma potrebbe non piacervi il groviglio che si crea se lo abbandonate a se stesso. La stessa cosa accade con la mente. Quindi coltivare, praticare, focalizzarsi sugli aspetti della nostra mente che vogliamo incrementare è la strategia chiave se scegliamo di assumerci il controllo di essa. Paul Gilbert[/box]

 Il cambiamento come cura e coltivazione

In questa prospettiva il cambiamento non è orientato dal sistema difensivo; è piuttosto una azione di coltivazione, di cura, in cui ognuno è responsabile del nutrimento che offre alla propria mente e del tipo di emozioni che coltiva nella propria vita quotidiana. Le strategie di autoregolazione emotiva funzionano quando sono connesse al sistema di regolazione appropriato. Quindi non sono i pensieri ad essere pericolosi ma la loro ripetizione. In questo senso l’azione di coltivazione è semplice e duplice: 1) spostare l’attenzione dai processi di pensiero a quelli sensoriali. 2) Focalizzare l’attenzione sul presente.

La rifocalizzazione dell’attenzione diventa un elemento basilare: permettere all’attenzione di vagare è come lasciare che le erbacce invadano il proprio giardino. 

La retroazione

Le emozioni problematiche si mantengono attraverso un meccanismo di retroazione che coinvolge il corpo – con le tensioni fisiche – e i pensieri, con l’attivazione delle strategie difensive. Qui si inserisce il diverso approccio della mindfulness: l’autocritica, la ruminazione che caratterizzano la nostra attività mentale sono responsabili del prolungarsi del sistema difensivo. La ripetizione rafforza queste connessioni. La mindfulness le indebolisce rafforzando il sistema affiliativo basato sulla calma, sulla consolazione e sulle connessioni sociali.

Lo fa attraverso la capacità di distanziarsi, in modo compassionevole, dalle proprie tempeste emotive; disattivando la ripetizione degli stessi schemi di pensiero, sviluppando una base interiore di compassione e accettazione.

Imparare a consolarsi

Inutile dire che parte del nostro apprendimento alla consolazione deriva dalla nostra infanzia; dai nostri genitori. Così domande come “Come ti dimostravano affetto i tuoi genitori?“; “Come ti consolavano?“; “Come ti parlavano delle emozioni ?”, “Quando soffrivi come ti aiutavano?” sono domande che possono offrire molte informazioni sulle nostre capacità di auto-consolazione e reparenting. Se desideriamo spostare l’attenzione dal sistema difensivo alle abilità di consolazione è necessario esplorare come queste abilità funzionano e si realizzano. Potremmo scoprire così che una parte della cura mindfulness consiste in una progressiva esposizione verso ciò che temiamo. Perché questo sia possibile è necessario avere fiducia nelle nostre capacità di consolarci: altrimenti non ci esporremo mai alla ripetizione di vecchi traumi o alla realizzazione di nuove paure.

Alla fine di tutte queste domande – una resta suprema: Cosa potrebbe succedere se abbandonassimo l’autocritica come sistema di protezione? Chi diventeremmo se non usassimo più il bastone della vergogna e dell’umiliazione nei confronti di noi stessi?

Rispondere a queste domande ci permetterà di spostare la prevalenza dal sistema difensivo al sistema affiliativo di consolazione. Dal binomio passato/futuro, al presente. Dalla critica alla comprensione. Dalla severità alla compassione.

© Nicoletta Cinotti 2022

Questo articolo è tratto da Mindfulness ed emozioni, il mio ultimo libro. Se desideri approfondire lo trovi qui (Clicca sulle parole in grassetto)

Bibliografia

Nicoletta Cinotti, Mindfulness ed emozioni, Gribaudo editore

Rebecca Crane, La terapia cognitiva basata sulla mindfulness

Christina Feldman, Compassion

Paul Gilbert, La terapia focalizzata sulla compassione

Paul Gilbert, The compassionate mind

Shambhala Publications, Radical Compassion (Scaricabile gratuitamente in formato kindle)

https://www.nicolettacinotti.net/eventi/mindfulness-e-psicoterapia-formazione-in-reparenting/

 

 

 

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La storia del crepaccio è la storia della vulnerabilità

05/01/2018 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Per Natale mi hanno regalato un CD di Leonard Cohen. Così tutti i giorni lo ascolto e lo sento ripetere quella frase ormai famosa: C’è un crepa in ogni cosa è da lì che entra la luce. C’è anche un poema di Rumi che recita esattamente la stessa strofa: chissà se la frase arriva proprio da lì! Certo mi colpisce questa frase che ripete – con dolcezza – quello che tutti i giorni ognuno di noi sperimenta: la nostra vulnerabilità.

Facciamo molto per curarla e, a volte per evitarla. Eppure è da lì che parte ogni spinta verso il cambiamento. Non è lo scorrere placido delle acque del fiume che ci fa cambiare direzione. Sono gli ostacoli. Il torrente canta quando incontra gli ostacoli e anche noi, in qualche modo, cantiamo proprio quando siamo di fronte alla nostra vulnerabilità. Senza queste piccole e grandi fratture la nostra vita avrebbe preso un altro corso.

Così onorare la nostra vulnerabilità è il primo passo. Il secondo può essere esplorare con consapevolezza cosa facciamo quando ci sentiamo vulnerabili. Andiamo verso il rimprovero o verso la compassione? Cerchiamo di correre prima possibile ai ripari, spinti dal nostro perfezionismo, o cerchiamo aiuto? Tendiamo a isolarci o a cercare contatto? E come rispondiamo alla vulnerabilità delle persone che amiamo? Per strano che possa sembrare spesso, la prima reazione alla vulnerabilità è la rabbia. Soprattutto se riguarda una persona che amiamo. Ci arrabbiamo perchè è in pericolo, ci arrabbiamo perchè siamo spaventati.

Così, ad essere onesti, guardare il crepaccio che sta nella vita, guardare la crepa che c’è in ogni cosa, non è affar semplice. Abbiamo proprio bisogno della dolce voce di Cohen per farlo. Oppure della luce della nostra self compassion.

Perchè le persone più difficili da perdonare non sono gli altri: siamo noi.

Viviamo in un mondo vulnerabile. E uno dei modi che abbiamo per relazionarci con la vulnerabilità è cercare di offuscarla…La ricerca scientifica ci insegna però che non possiamo offuscare selettivamente una emozione. Non possiamo dire non voglio il dolore, non voglio la vergogna o la delusione. Non possiamo offuscare solo i sentimenti difficili senza offuscare tutte le nostre emozioni. Non possiamo offuscare selettivamente ciò che non ci piace. Se offuschiamo queste emozioni offuschiamo anche la gioia, la gratitudine, la felicità. Brenè Brown

Pratica di mindfulness: Self compassion breathing

© Nicoletta Cinotti 2018 A scuola di grazia e non di perfezione

Foto di © morillo

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Allargare il cerchio dell’amore

16/07/2017 by nicoletta cinotti

Widen the Circle of Love BY OMID SAFI (@OSTADJAAN), COLUMNIST Pubblicato su On Being

Tutti noi abbiamo un ego che continua a dirci “me, mio”. Ma l’amore ci spinge. È diverso. L’amore non è solo un’emozione: è una forza divina che ci spinge oltre il nostro ego. In parole semplici potremmo dire che molta della nostra vita spirituale non riguarda esperienze mistiche, il bruciare incenso o partecipare a costosi ritiri. È piuttosto una progressione di amore dai confini del nostro ego verso cerchi più ampi, più gentili e compassionevoli.

Vale la pena fermarsi ed esplorare il nostro cuore, esplorare quanto è ampio il nostro cerchio di compassione, chiederci chi potremmo curare, infine, nella nostra vita? Perché in fondo ciò che ci muove dal nostro ristretto egoista e campanilista Sé verso una sfera più ampia è l’amore. Se questo cerchio riguarda solo noi è una forma di egoismo. L’amore ci spinge al di là e mette il benessere degli altri davanti o, quanto meno, a fianco al nostro benessere. L’amore si diffonde oltre, verso la nostra famiglia, i nostri vicini, i nostri amici. Ma non deve fermarsi qui. Allarga il cerchio dell’amore.

Se il cerchio delle tue preoccupazioni riguarda solo una famiglia (la tua).
È nepotismo
L’amore mette il benessere di molte famiglie davanti alla propria. Ma non si ferma qui. Allarga il cerchio dell’amore.

Se il cerchio delle tue preoccupazioni riguarda solo un popolo
È tribalismo
L’amore può portare insieme popoli che vivono dentro confini immaginari. ma non si ferma lì. Allarga il cerchio dell’amore.

Se il cerchio della nostra compassione si ferma ai confini della nostra nazione
è nazionalismo rabbioso
Invece di essere protetti da un confine nazionale, abbracciamo un’intera comunità religiosa e da lì muoviamoci verso il globale e l’universale: non dobbiamo comunque fermarsi. Allarga il cerchio dell’amore.

Se il cerchio della nostra compassione si ferma ai confini di una comunità religiosa (e non va oltre)
e fanatismo religioso

Dobbiamo continuare a spingere, approfondire, allargare il cerchio dell’amore. Quando l’amore arriva abbraccia tutta l’umanità senza eccezioni. Quando ogni vita umana, senza distinzioni di genere, colore, ricchezza, nazionalità, credo religioso viene abbracciata ci siamo elevati oltre i ristretti confini dell’egoismo, del nepotismo, del nazionalismo, del fanatismo religioso per arrivare ad un luogo che è degno di noi, degno d’amore.

Eppure non dobbiamo fermarci qui. Allarga il cerchio dell’amore.

Se ci occupiamo solo della vita umana, allora cerchiamo la supremazia dell’umanità. In qualche modo, in qualche forma, dobbiamo arrivare a condividere l’amore con ogni essere senziente. In qualche modo dobbiamo arrivare a vedere che la terra stessa è viva.

Che, sì, le colline sono vive con il suono della musica, E così sono le nuvole, I colibrì, le onde, l’alba, La foglia che cade in autunno, La formica nera che cammina tranquillamente sulla roccia  di notte, La neve che cade silenziosamente nel vento.

In qualche modo dobbiamo arrivare a comprendere che siamo connessi. Non possiamo essere chi siamo se la natura non è più ciò che dovrebbe essere. È un cerchio d’amore perché un cerchio finisce proprio dove inizia. Non possiamo amarci se l’amore non ci spinge oltre noi stessi, all’angolo più distante del cosmo, e poi torna a noi. Ma il “noi” che torna non è più l’ego-sé da cui siamo partiti.

In ultima analisi, l’amore ha un mandato: rimanere radicato, fondato, servendo le persone vicine ma andando oltre, verso il globale, l’universale, il cosmo. L’amore rifiuta i confini, li annulla. L’amore cancella le frontiere come le ombre scompaiono nella luce, come la nebbia evapora alla luce del sole. L’amore è divino e l’amore ama tutto ciò che è Dio. Cioè … Tutto.

Dobbiamo ricordare chi siamo e di chi siamo.

Abbiamo bisogno di ricordare di chi siamo stati
chi siamo,
e di chi saremo ancora.

Abbiamo bisogno di un promemoria che non siamo “meri relitti galleggianti nel fiume della vita”, come diceva Martin Luther King, ma che c’è qualcosa in noi di grandissimo, come tutto il cosmo. Come dice Rumi

“Veniamo fuori
dal nulla,
stelle sparpagliate
come polvere.”
Profondamente dentro di noi c’è una capacità che contiene l’intero universo. È in profondità nei nostri cuori perché è fatta ad immagine del Signore dell’intero universo.

Come diceva Martin Luther King “Se vogliamo avere pace sulla terra, la nostra lealtà deve essere ecumenica piuttosto che nazionale. La nostra lealtà deve trascendere la nostra razza, la nostra tribù, la nostra classe e la nostra nazione; E questo significa che dobbiamo sviluppare una prospettiva del mondo. Nessuno può vivere da solo. Nessuna nazione può vivere da sola, E tanto più cercheremo di farlo, tanto più avremo la guerra in questo mondo “. Martin Luther King parla della lealtà che ciascuno di noi ha e delle sue conseguenze per la pace sulla Terra. Cominciamo da ogni singola persona e facciamo la più urgente delle domande: Chi è incluso nel nostro cerchio di amore? A chi esprimiamo la fiera urgenza della compassione?

C’era una canzone che ripeteva “Quanto è profondo il tuo amore?” Buona domanda. Vale anche la pena chiedersi: “Quanto è ampio il cerchio del tuo amore?”

Permetti al cerchio del tuo amore di approfondirsi, allargarsi, espandersi fino a che abbracci l’intero universo. Quando questo avviene abbraccia anche te in un modo che ti rende intero,capace di guarire e di valore.

©Omid Safi

Trad. Nicoletta Cinotti Foto di © iam.sandramarie

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Quello che le donne non dicono (e gli uomini sanno)

13/06/2017 by nicoletta cinotti Lascia un commento

La scorsa settimana mi hanno fatto un’intervista e durante l’intervista mi hanno chiesto “Cosa pensa del multitasking di cui le donne sono state così orgogliose fino a qualche tempo fa?”

Non è stata la domanda sul multitasking a colpirmi ma l’accento sulla parola “donne”. È vero che molto spesso le donne si sono vantate del loro riuscire a fare più cose alla volta, Sono state orgogliose del loro essere performative e perfezioniste. Spesso è diventato una espressione comune del dialogo – banale – tra i sessi: le donne fanno più cose contemporaneamente e gli uomini una sola per volta.

Quello che le donne non dicono però è ciò che sta dietro il loro multitasking o quello che nasconde il loro perfezionismo. Nasconde il continuo bisogno di dimostrarsi adeguate. Di rassicurare se stesse e convincere gli altri che sono capaci. Gli uomini lo sanno e, qualche volta ci giocano sopra. Chiedi ad una donna di fare qualcosa e ne farà tre di cose. Per essere sicura di aver fatto bene.

Chiedi ad un uomo di fare qualcosa e ti farà quella cosa. Perché teme che farne una in più lo esponga troppo. Susciti critiche o rimproveri.

In fondo però abbiamo tutti la stessa paura: quella di scoprire che non siamo in grado. Uomini e donne nascondono questa paura in modo diverso: la paura è uguale. Le donne la coprono con l’iperattività. Gli uomini con i muscoli.

E se incominciassimo a dirci che va bene così? Proprio come siamo ora? Senza bisogno di fare il doppio per dimostrare di essere all’altezza (le donne)? Senza bisogno di fare il minimo sindacale per evitare problemi (gli uomini)? Se ci dicessimo che facciamo quello che possiamo perché, per i miracoli, non siamo ancora abilitati?

Al di là di ciò che è giusto o sbagliato, c’è un giardino. Ci incontreremo là. Rumi

Pratica di mindfulness: La classe del mattino

© Nicoletta Cinotti 2017 Verso un’accettazione radicale

 

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La nostra naturale spinta alla felicità

01/11/2016 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Perché parliamo di spinta naturale alla felicità? Perché tutti noi la cerchiamo: è questa universalità che ci fa essere certi che esista una spinta innata che ci porta in questa direzione.

Il fatto che sia innata – termine che spesso viene identificato con naturale – non significa però che sia semplice e garantita. Questo è già il primo elemento su cui riflettere: siamo convinti che se abbiamo una spinta naturale verso qualcosa questo significa che siamo naturalmente debitori verso questo aspetto e che ciò che è “naturale” debba realizzarsi sempre. Non è così. Ciò che è innato è sempre ricercato ma non garantito.

Il vero punto però è quello che facciamo per garantirci la felicità. Spesso facciamo cose paradossali. La prima è allontanarci dalla fonte del dolore – interno ed esterno. Convinti che questo protegga la nostra felicità mentre invece nutre la nostra inquietudine. Non sto dicendo che dobbiamo andare a cercarci guai: sto dicendo che se non consoliamo il dolore che già c’è nella nostra vita e cerchiamo di evitarlo, ci mettiamo nell’ansia.

La seconda cosa paradossale è che ci aggrappiamo: a persone, idee, relazioni, cose. Bloccando così il flusso vitale. proprio quello che, lasciato libero, ci permette di sperimentare la felicità. Dulcis in fundo, per diventare felici, facciamo crescere gli aspetti egoici: togliamo spazio agli altri, consideriamo i nostri problemi più importanti di quelli altrui, cerchiamo di avere più attenzione. Facendo così l’opposto di quello che ci rende felici: essere connessi, in relazione, insieme, ci rende felici. Non essere soli o isolati. Essere primi ci fa temere di diventare secondi. Essere insieme ci dà la forza della condivisione.

Un costante monitoraggio di come ci collochiamo rispetto ai parametri ottimali di felicità che abbiamo stabilito per noi stessi si rivela del tutto inutile.(…)In casi come questo possiamo vedere come la nostra naturale spinta alla felicità crei rimuginazione e ruminazione, cioè schemi di pensiero, emozione e comportamento che sono inutili perché non fanno che girare e rigirare in tondo senza produrre alcuna soluzione, ma facendoci sentire peggio. Segal, Williams,Teasdale

Pratica di mindfulness: Cullare il cuore

© Nicoletta Cinotti 2016 Il mese della gentilezza Foto di ©Bambino Blù

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Nuovo osservatorio

22/07/2016 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Ora, come chiamare questa nuova forma di osservatorio

che si è aperta nella nostra città, in cui la gente siede

in quiete e lancia intorno sguardi

come fossero luce, come a dare risposte?

Rumi

Una citazione di Rumi per accompagnare un nuovo modo di guardare

© Nicoletta Cinotti 2016 Le radici della felicità

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