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christina feldman

Cosa c’è di nuovo nella cura con la Mindfulness?

16/04/2022 by nicoletta cinotti

Gli ultimi vent’anni sono stati attraversati dal vento della mindfulness, nelle diverse aree di cura. Un vento che ha portato semi nuovi e diffuso un approccio diverso alla cura di disturbi sia fisici che emotivi. Troviamo così la mindfulness come medicina complementare nella patologie fisiche e nel trattamento della depressione o dei disturbi emotivi. Cosa la rende così versatile? Quali sono i suoi principi di base? Cos’è che rende diverso l’approccio mindfulness alla cura?

L’approccio difensivo alla cura

 

Sia in psicologia che in medicina la cura – nell’ultimo secolo – è passata attraverso la logica delle difese. Il sistema immunitario ci protegge dall’attacco di agenti patogeni; le difese psicologiche ci proteggono da attacchi di tipo emotivo. La salute è stata associata all’avere un sistema immunitario in regola e un sistema difensivo efficace. E la cura è stata vista come un modo per rafforzare l’efficacia difensiva.

Questo approccio difensivo alla cura – ha sottovalutato il costo del tenere attiva una difesa. E ha anche sottovalutato il costo – in termini energetici – di mantenere attivo preventivamente un sistema difensivo. Le difese dovrebbero funzionare nel momento in cui c’è un attacco e disattivarsi una volta che l’attacco si è concluso. In realtà, almeno psicologicamente, i sistemi difensivi rimangono attivati più del necessario e finiscono così per costruire sintomi che non sono legati al disturbo ma proprio all’attivazione difensiva.

Un esempio? I sintomi paranoidi spesso sono un effetto delle difese non della patologia che ha un carattere depressivo. Oppure, nel caso delle patologie cardiovascolari, sappiamo che il rischio di infarto miocardico è aumentato in persone che nutrono affetti negativi. Affetti negativi che sono il risultato di conflitti irrisolti e mantenuti attivi dalle difese stesse.

Abbiamo costruito una cultura della guerra e ne stiamo vedendo le conseguenze proprio in questo momento.

 

Passare alla logica delle risorse

 

Spostare l’attenzione sulle risorse personali – che è uno dei primi passi dell’approccio basato sulla mindfulness – diminuisce il senso di pericolo e sottolinea l’aspetto delle capacità mettendo – psicologicamente – in un clima positivo. Inoltre attiva le risposte del sistema connesso alla calma e alle relazioni sociali, integrando gli aspetti cognitivi e quelli emotivi. 

 

L’uso sproporzionato della logica delle difese potrebbe essere responsabile della discrepanza che a volte viviamo tra pensiero ed emozioni

La nostra struttura di pensiero difensiva ci fa andare in una direzione che non è congruente con l’aspetto emotivo – so questa cosa ma non la sento è la frase che esprime questo conflitto – e dipende dal fatto che affidiamo in maniera eccessiva il processamento delle informazioni ai canali razionali e difensivi. Emotivamente avremmo bisogno di essere consolati ma, di fatto, – avendo attivato le nostre difese – abbiamo accesso ad una possibilità razionale di consolazione ma non affettiva.

Quali emozioni attivano le difese

 

Ci sono emozioni  attivate dai nostri sistemi difensivi. Sono emozioni come la vergogna, l’umiliazione, l’autocritica.

Queste emozioni disinnescano le risposte legate al conforto sociale, alla calma e alla relazione tra esseri umani e spingono ad un comportamento di ritiro.

Sono emozioni presenti in una varietà di disturbi emotivi perché, come dicevo prima, sono connesse alla difesa e non al disturbo emotivo.

Sono emozioni trans-diagnostiche: ossia le provi sia se hai un disturbo ossessivo-compulsivo, che un disturbo dell’alimentazione, una depressione maggiore o semplicemente una condizione cronica di stress.Spostare l’attenzione sugli aspetti legati alle regolazione attraverso emozioni positive, delle emozioni relazionali, ha un duplice effetto: riduce la sensazione di pericolo e porta in contatto con gli altri proprio nel momento in cui abbiamo bisogno di uscire dal ritiro prodotto dalla paura connessa alla minaccia.Facciamo un piccolo excursus e vediamo che cosa comporta avere attivo un sistema di autocritica

Il sistema di autocritica

Una delle ipotesi più accreditate sul nostro funzionamento ipotizza che esistano tre diversi schemi di risposta neuro-psico-fisiologica: 1) un sistema difensivo (attacco, fuga, freezing o accondiscendenza); 2) un sistema di ricerca delle risorse connesso all’eccitazione e alla ricerca di risposte connesse ai  nostri desideri e un 3) sistema affiliativo connesso alle emozioni di calma, relazione e connessione. L’autocritica si attiva in collegamento con quello difensivo e comporta una disattivazione del sistema di calma e connessione sociale. Quando è attiva l’autocritica – o la critica – sembra che le nostre capacità di connessione sociale siano spente. Il pensiero diventa competitiva e le modalità cooperative passano in secondo piano. Diminuiscono gli scopi condivisi e aumentano gli scopi personali; se la cooperazione aumenta le risposte relazionali, la competitività sviluppa una sorta di contro – empatia che rende più difficile – se non impossibile – l’accesso alle modalità di calma e connessione relazionale.

La percezione della minaccia disattiva la riflessione

 

Di questo quadro fa parte anche il fatto che quando ci sentiamo minacciati da una minaccia interna – autocritica – o esterna – critica o attacco – la nostra capacità riflessiva decresce in maniera estremamente rilevante.

Essere riflessivi, quando si è in pericolo, non è detto che sia una buona qualità e quindi diamo la precedenza alle risposte impulsive e rapide.

Se questa condizione è transitoria non ci sono particolari problemi: al ripristinarsi della situazione di sicurezza, torna attiva anche la capacità riflessiva.

Se, invece, le nostre difese rimangono attive anche dopo che il pericolo è passato, è molto probabile che, con il tempo, si sviluppi un atteggiamento non riflessivo e non affettivo rispetto alle difficoltà che incontriamo.

Minaccia e depressione

La serotonina – neuromediatore connesso alle patologie depressive – svolge un ruolo nel sistema difensivo. Sappiamo che la depressione si accompagna ad una ridotta captazione della serotonina presente o ad una riduzione nella produzione di serotonina. La captazione della serotonina influenza lo stato di attivazione, la sua durata e le risposte usate per calmare la sensazione di pericolo. Meno serotonina abbiamo in circolazione, più prolungata sarà la sensazione di minaccia relativa ad uno stimolo percepito come pericoloso. La risposta depressiva però non è mediata solo dalla serotina. Anche la dopamina partecipa alle complesse modalità reattive che possono essere presenti in una situazione di depressione. Una aumentata produzione di dopamina attiva il sistema motivazionale legato al desiderio, all’eccitazione e alla realizzazione dei propri bisogni. In questo modo però abbiamo ben due sistemi che si attivano e che escludono la possibilità di modulazione legata al sistema della calma e della connessione sociale: il sistema difensivo e il sistema di ricerca delle risorse. Paradossalmente, più ci sentiamo infelici più possiamo tentare di spostare la soluzione sul piano motivazionale, aumentando il numero di azioni che possono comportare soddisfazione.

Le relazioni sociali e l’appagamento

Quello che accade con la mindfulness è che l’attenzione si sposta decisamente sul sistema connesso alla calma, alla connessione relazionale e alle sensazioni di appagamento. Passiamo quindi dalla ricerca di sicurezza (safety seeking) alla sensazione di sicurezza (safeness). Questo sistema genera uno stato di sollievo, offrendo una sensazione di quiete e serenità che aiuta a recuperare il nostro equilibrio. La felicità non è data da modalità competitive ma dalla sensazione di appagamento per ciò che è presente.

Questo sistema è connesso all’affetto e alla gentilezza ed è mediato dalle endorfine e dall’ossitocina e ha una funzione modulatrice sulle emozioni attivate dagli altri due sistemi. Se cerchiamo di lavorare solo sul sistema difensivo possiamo sottovalutare il fatto che, prima di tutto, abbiamo bisogno di calmarci.

[box] Potete non avere colpa per com’è la vostra mente, per le passioni, le paura e gli accessi d’ira che si agitano in essa, ma solo voi potete assumervi la responsabilità di addestrarla nella direzione della vostra felicità e quella degli altri. È come un giardino. Potete lasciare che il vostro giardino cresca e crescerà: vi germoglieranno erbacce e fiori ma potrebbe non piacervi il groviglio che si crea se lo abbandonate a se stesso. La stessa cosa accade con la mente. Quindi coltivare, praticare, focalizzarsi sugli aspetti della nostra mente che vogliamo incrementare è la strategia chiave se scegliamo di assumerci il controllo di essa. Paul Gilbert[/box]

 Il cambiamento come cura e coltivazione

In questa prospettiva il cambiamento non è orientato dal sistema difensivo; è piuttosto una azione di coltivazione, di cura, in cui ognuno è responsabile del nutrimento che offre alla propria mente e del tipo di emozioni che coltiva nella propria vita quotidiana. Le strategie di autoregolazione emotiva funzionano quando sono connesse al sistema di regolazione appropriato. Quindi non sono i pensieri ad essere pericolosi ma la loro ripetizione. In questo senso l’azione di coltivazione è semplice e duplice: 1) spostare l’attenzione dai processi di pensiero a quelli sensoriali. 2) Focalizzare l’attenzione sul presente.

La rifocalizzazione dell’attenzione diventa un elemento basilare: permettere all’attenzione di vagare è come lasciare che le erbacce invadano il proprio giardino. 

La retroazione

Le emozioni problematiche si mantengono attraverso un meccanismo di retroazione che coinvolge il corpo – con le tensioni fisiche – e i pensieri, con l’attivazione delle strategie difensive. Qui si inserisce il diverso approccio della mindfulness: l’autocritica, la ruminazione che caratterizzano la nostra attività mentale sono responsabili del prolungarsi del sistema difensivo. La ripetizione rafforza queste connessioni. La mindfulness le indebolisce rafforzando il sistema affiliativo basato sulla calma, sulla consolazione e sulle connessioni sociali.

Lo fa attraverso la capacità di distanziarsi, in modo compassionevole, dalle proprie tempeste emotive; disattivando la ripetizione degli stessi schemi di pensiero, sviluppando una base interiore di compassione e accettazione.

Imparare a consolarsi

Inutile dire che parte del nostro apprendimento alla consolazione deriva dalla nostra infanzia; dai nostri genitori. Così domande come “Come ti dimostravano affetto i tuoi genitori?“; “Come ti consolavano?“; “Come ti parlavano delle emozioni ?”, “Quando soffrivi come ti aiutavano?” sono domande che possono offrire molte informazioni sulle nostre capacità di auto-consolazione e reparenting. Se desideriamo spostare l’attenzione dal sistema difensivo alle abilità di consolazione è necessario esplorare come queste abilità funzionano e si realizzano. Potremmo scoprire così che una parte della cura mindfulness consiste in una progressiva esposizione verso ciò che temiamo. Perché questo sia possibile è necessario avere fiducia nelle nostre capacità di consolarci: altrimenti non ci esporremo mai alla ripetizione di vecchi traumi o alla realizzazione di nuove paure.

Alla fine di tutte queste domande – una resta suprema: Cosa potrebbe succedere se abbandonassimo l’autocritica come sistema di protezione? Chi diventeremmo se non usassimo più il bastone della vergogna e dell’umiliazione nei confronti di noi stessi?

Rispondere a queste domande ci permetterà di spostare la prevalenza dal sistema difensivo al sistema affiliativo di consolazione. Dal binomio passato/futuro, al presente. Dalla critica alla comprensione. Dalla severità alla compassione.

© Nicoletta Cinotti 2022

Questo articolo è tratto da Mindfulness ed emozioni, il mio ultimo libro. Se desideri approfondire lo trovi qui (Clicca sulle parole in grassetto)

Bibliografia

Nicoletta Cinotti, Mindfulness ed emozioni, Gribaudo editore

Rebecca Crane, La terapia cognitiva basata sulla mindfulness

Christina Feldman, Compassion

Paul Gilbert, La terapia focalizzata sulla compassione

Paul Gilbert, The compassionate mind

Shambhala Publications, Radical Compassion (Scaricabile gratuitamente in formato kindle)

https://www.nicolettacinotti.net/eventi/mindfulness-e-psicoterapia-formazione-in-reparenting/

 

 

 

Archiviato in:approfondimenti, esplora, mindfulness Contrassegnato con: cambiamento, christina feldman, compassione, corpo, depressione, emozioni, felicità, fiducia, gentilezza, mindfulness, Nicoletta Cinotti, paul gilbert, pensieri, presente, psicologi, ritiro, rumi, terapia cognitiva basata sulla mindfulness, trauma

Ostaggi di quello che non abbiamo realizzato

04/04/2016 by nicoletta cinotti 3 commenti

C’è una sofferenza che raramente percepiamo con chiarezza: quella che viene dalla sensazione di non essere interi, dalla sensazione, spesso sottile e sconosciuta, che qualcosa manchi. A noi o alla nostra vita.

Non la sentiamo perché viene coperta subito da qualcosa. Un acquisto, una sigaretta, un boccone di cibo. Qualsiasi cosa che, in quel momento, ci da l’idea che sarà in grado di farci sentire più felici.

Quando affidiamo la nostra felicità e il nostro senso di interezza a qualcosa di esterno iniziamo a percorrere una strada che ci condurrà presto alla delusione. Non c’è nulla che il mondo possa darci per questa sottile sensazione di mancanza o di perdita.

Tradiamo noi stessi se pensiamo che avere quel pezzetto in più ci renderà felici. Vogliamo quello che non abbiamo, spinti dalla nostra wanting mind, a cercare all’esterno anziché dentro. E quindi paragoniamo la nostra vita a quella altrui, la nostra storia a quella altrui, confondendo la felicità che vediamo negli altri con il possesso e rendendoci così ostaggio di quello che non abbiamo ancora realizzato.

Perché non rendere onore invece a quello che abbiamo già realizzato? Quando lo facciamo pratichiamo una goccia di gratitudine che distende il cuore e la mente.

L’esperienza ci ha dimostrato che volere è una causa di sofferenza eppure, stranamente, cerchiamo di volere sempre di più proprio per sbarazzarci dalla sofferenza. Christina Feldman

Pratica di mindfulness: Addolcire, confortarsi, aprire

© Nicoletta Cinotti 2016 Cambiare diventando se stessi

Foto di ©Antonio Bartalozzi

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