
Spesso, la prima cosa che pensiamo al risveglio è cosa faremo oggi. A volte questo ci suscita un sorriso, a volte una preoccupazione. Tanto più vero se, come oggi, siamo nel momento di inizio di un nuovo anno. Un anno in cui quello che avremmo voluto dichiarare finito continua e quello che vorremmo fare di nuovo può sembrare frenato o irrealizzabile.
L’elemento della continuità è importante ma abbiamo bisogno di accompagnarlo con l’elemento della novità. C’è una novità che è sempre lì, a nostra disposizione: guardare con occhi nuovi alla nostra vita. Questo è quello che significa tornare alla mente del principiante. Lo possiamo fare in tre semplici modi: 1) cogliendo la novità che c’è nelle nostre azioni abituali. 2) Lasciando andare qualcosa di inutile che continuiamo a tenere con noi. 3) Iniziando qualcosa di nuovo.
Ognuna di queste azioni ci riporta al nostro più profondo desiderio di novità: quello che ci dice che il cambiamento è sempre possibile. Quello che ci dice che in noi rimane e permane quella vulnerabilità che è necessaria per continuare a crescere. Quella che ci fa rispolverare le vecchi aspirazioni che abbiamo tenuto in un cassetto per troppo tempo. E alle quali vogliamo dare voce e dare luce.
L’ unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi.
Marcel Proust
1. Cogliere la novità che c’è nelle proprie abitudini
Padroni delle proprie abitudini
Abbiamo molte abitudini: anche le persone più creative e disordinate le hanno. Ci servono per fare le cose quotidiane, ci rassicurano, ci aiutano a dormire e a svegliarci. Per alcuni il problema può essere quello di avere cattive abitudini che minano la propria salute o disperdono troppo il proprio tempo. Ma tutti abbiamo delle abitudini. Ed essere padroni delle proprie abitudini è davvero una grande capacità. Avere un routine ma non irritarsi se dobbiamo cambiarla; avere uno schema ma essere capaci di flessibilità è una grande cosa. Significa che non siamo schiavi delle nostre abitudini ma ne abbiamo piena padronanza.
In ogni caso vale la pena introdurre una buona abitudine perchè ci permette, senza lottare, di dare meno spazio alle cattive abitudini. Quanto ci vuole perchè si formi una abitudine? Dipende dal carattere delle persone ma le ricerche parlano di un minimo di 21 giorni e un massimo di 254. La media è 66 giorni. Con i neonati la media è 7 giorni (hanno il vantaggio della flessibilità!). Poi ci sono i momenti migliori per iniziare una nuova abitudine e sono i momenti in cui c’è già un cambiamento in corso: le vacanze, l’inizio dell’anno, un cambiamento di casa o di lavoro oppure di orario. Il fatto che ci sia già un altro elemento di novità aiuta.
Regole per le buone abitudini
Vogliamo riassumere le regole per le buone abitudini?
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- Inizia subito, non rimandare l’inizio ad un momento perfetto. Gennaio è un momento perfetto.
- Sii specifico nel cambiamento che desideri. Vuoi smettere di bere bevande gassate? Stabilisci un numero di bevande consentito che sia decrescente settimana dopo settimana.
- Niente severità, niente indulgenza. La severità e l’indulgenza interferiscono con il formarsi di nuove abitudini salutari. Se sei troppo severo alla fine ti ribellerai. Se sei troppo indulgente alla fine rimarrai sempre allo stesso punto.
- Dai uno scopo felice alla tua nuova abitudine. Metti l’intenzione che ti aiuti ad essere più sano, più sereno, più motivato. La felicità è un ottima motivazione per qualsiasi cosa.
- Non temere la noia. La noia sorge quando non sappiamo più essere presenti all’esperienza. Ti annoi? Presta più attenzione a quello che stai facendo!
- Sii paziente: ci saranno giorni buoni e altri meno buoni. Ecco perchè tenere fisso lo sguardo all’intenzione è meglio che tenere fisso lo sguardo ai risultati. È come con la corsa: fino a che non rompi il fiato è dura. Poi correresti tutta la vita.


2. Lasciar andare: ricominciare o lasciar essere
Ri-cominciare
Ri-cominciare è la forma più coraggiosa di lasciar andare che conosco. Ogni volta che ricominciamo abbiamo incontrato il lasciar andare e, molto probabilmente, abbiamo incontrato anche qualche forma di delusione. Ricominciando seguiamo la legge degli alberi: lasciano andare per ricominciare la primavera successiva. Basta guardarsi intorno e vediamo come tutto è in un ritmo in cui lasciar andare e ricominciare si alternano. Ricominciare e lasciar andare sono insieme come inspirazione ed espirazione. Ci permettono, entrambi, di scegliere. Se non abbiamo lasciato andare non è un ricominciare: è lottare, sforzarsi, combattere. È andare avanti a denti stretti e a testa bassa. Con il cuore in fortezza e un unico obiettivo: arrivare dove abbiamo deciso. Ricominciare è abitare la casa delle possibilità. Ricominciare fa rima con provare, consapevoli che, per ricominciare davvero, abbiamo bisogno di tutta la nostra dedizione. E di una intenzione in dialogo con la realtà.
Lasciar essere
Lasciar andare, una parola semplice e complessa insieme, è permettere alla realtà di essere com’è senza lottare e senza aggrapparsi al nostro desiderio di cambiarla. È difficile lasciar andare perché significa rinunciare al nostro desiderio di trasformare il passato. Sappiamo che non è possibile cambiarlo ma abbiamo anche una convinzione tenace: che solo se cambieremo il passato sarà possibile avere un futuro divero. Non è così. Il vero mutamento sta nel lasciar essere e nel fare un passo avanti. Possibilmente non da soli ma insieme.
Lasciar essere significa accettare l’esperienza, fare spazio a ciò che è presente invece di sforzarsi di creare uno stato alternativo. Se stabilizziamo una “volontà di esperienza” ci stabilizziamo nella consapevolezza di ciò che è presente e lo lasciamo essere osservando che è già qui. Iniziamo così il processo di libertà da queste esperienze: aprendoci alla possibilità di rispondere in maniera compassionevole e saggia, anziché reattiva.
Il diritto di lasciar andare
Prova a prendere un respiro, un grande respiro profondo. Proprio adesso mentre stai leggendo. Prova a trattenere il respiro e ad esplorare le sensazioni di tensione, di pressione legate al trattenere. Prova a rimanere ancora un ‘attimo in apnea fino a che non senti che tutto il corpo vuole respirare. E a quel punto lascia andare l’espirazione. In modo lento, così che tu possa ascoltare fino in fondo il sollievo.
In quel trattenere c’è una sorta di dolore che cresce man mano che aumenta il tempo in cui rimaniamo in apnea inspiratoria. Possiamo allenare la nostra capacità di trattenere il respiro ma, ad un certo punto, il corpo reclama il suo diritto. Il diritto a lasciar andare.
Adesso prova a immaginare lo stesso esperimento fatto con un pensiero. Arriva un pensiero, uno dei tuoi pensieri ricorrenti. Compare nel panorama della mente e attrae tutta la tua attenzione. Inizi a trattenerlo, proprio come hai fatto con il respiro. È facile trattenerlo perché i nostri pensieri ricorrenti suscitano sempre una forma di interesse. Facile trattenerlo anche se fa male. Solo che la mente non ha lo stesso senso del limite del corpo. Il corpo ha dei segnali fisiologici che ad un certo punto ci pongono un limite. La mente no. Possiamo continuare a trattenere quel pensiero fino a farlo diventare un’ossessione. Succede spesso. L’unico rimedio allora è lasciarlo andare. A volte può bastare immaginare che se ne vada come un palloncino nel cielo d’estate, insieme alla nostra espirazione. Altre volte, per farlo andare, dobbiamo riconoscere che fa parte di una trama più complessa e articolata alla quale è necessario dare un titolo. I nostri pensieri sono come i personaggi in cerca d’autore di Pirandello. Fino a che non diamo loro un titolo non si sentono riconosciuti e rimangono. Rimangono a tormentarci. Come li riconosciamo diventano personaggi che fanno parte di noi come le nuvole fanno parte del cielo ma non sono il cielo. Come noi non siamo i nostri pensieri.
È importante ricordare cosa succede quando tratteniamo il respiro troppo a lungo. Ricordare che quel disagio – anche se non percepito – è simile al danno che fanno i nostri pensieri quando li tratteniamo troppo a lungo. Non è indifferente trattenere i pensieri. È solo perché i pensieri anestetizzano che non ci accorgiamo di quanto ci fanno male. Reclamiamo anche per i pensieri un diritto: il diritto di lasciar andare. (da un post del 2019. Vuoi iscriverti al blog? Clicca qui
Ciascuno di noi si crede uno ma non è vero: è tanti, signore, tanti, secondo tutte le possibilità d’essere che sono in noi: uno con questo, uno con quello diversissimi! E con l’illusione, intanto, d’esser sempre uno per tutti, e sempre quest’uno che ci crediamo, in ogni nostro atto. Non è vero! Luigi Pirandello
3. Iniziare qualcosa di nuovo
Iniziare: il verbo della gioia
Per molte persone iniziare è il verbo della gioia. Una gioia che dirige la nostra attenzione verso un unico oggetto. La gioia è anche considerata, nella tradizione buddista, uno dei più importanti stabilizzatori dell’attenzione e, in effetti, quando siamo in un processo di apprendimento quello che sgorga – in senso letterale – dentro di noi è una qualità di brillantezza, lucidità e presenza colorate tutte di gioia. L’ho sentita dentro di me e l’ho vista negli occhi di chi praticava con me. Non importa affatto quale oscurità abbiamo attraversato. Se abbiamo imparato portiamo con noi un frammento di quella gioia, non mondana eppure attiva, aperta vitale.
Saper riconoscere quel sentimento che sorge nella pratica, che sorge nell’apprendimento è importante: dà alla nostra urgenza di felicità un ancoraggio e una fedeltà non paragonabile ad alcuno sforzo.
Non basta aprire la finestra
per vedere la campagna e il fiume.
Non basta non essere ciechi
per vedere gli alberi e i fiori.
Bisogna anche non aver nessuna filosofia.
Con la filosofia non vi sono alberi:
vi sono solo idee. da Fernando Pessoa
Iniziare: il verbo dell’ansia
Per alcune persone iniziare non è per niente facile perché iniziare fa nascere un senso di ansia. Può essere ansia da prestazione oppure proprio l’ansia che segna il passaggio dalla quiete al movimento.Risolversi a cominciare vuol dire smettere di evitare l’inizio. Vuol dire non rimandare, non procrastinare ma entrare in quello che ci aspetta. Vuol dire riconoscere che evitare compie un doppio tradimento: un tradimento verso la nostra vera natura e verso quel processo del divenire che è sempre presente nell’essere. I nostri desideri spesso sono i rilevatori del divenire e funzionano come un campo di gravità, che attrae a se stesso tutto quello che si avvicina. Rimandare è come lottare contro questo campo di gravità. Un campo di gravità la cui legge d’attrazione è fatta dal senso di appartenenza.
Risolversi a cominciare significa non tirarsi indietro, non rifiutare, per paura o accidia, l’azione. Significa appartenere ai nostri desideri più intimi. Significa uscire dalla nostra comfort zone per entrare nella scoperta della novità.
Così, qualunque sia il progetto che dorme in un cassetto; qualunque sia il tuo sogno segreto, questo è il mio augurio
“Che possiamo risolverci ad iniziare ciò che aspetta la nostra presenza
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© Nicoletta Cinotti 2022