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mindful parenting genova

Sognare qualcosa che ancora non c’è

22/09/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Siamo mossi dal desiderio; quando non riusciamo a desiderare ci sentiamo malati. Come se l’anima avesse abbandonato il corpo. Non tutti i desideri però sono uguali. Ci sono desideri che alimentano la nostra motivazione. Ci danno forza e speranza. Ci aiutano a costruire e ad andare al di là del consueto, anche dei nostri limiti consueti.

Ci sono desideri che, invece, ci offuscano e indeboliscono, ci confondono e ci rendono dipendenti. Sono desideri collegati al realizzarsi di condizioni esterne che non possiamo controllare; alla volontà di altri e non solo alla nostra spinta. Quando questi desideri compaiono è come se tutta la nostra attenzione venisse risucchiata e attirata verso un unico punto: quel desiderio che vorremmo realizzare. A volte questo diventa fonte di così tanta sofferenza che incominciamo a provare diffidenza per tutti i desideri. Finiamo per temerli come se fossero sempre pericolosi e così togliamo alla nostra vita un’energia importante: quella che nasce dalla capacità di sognare qualcosa che ancora non c’è.

Non possiamo separarci da questa capacità di sognare: sarebbe come tagliarci le ali. E, in effetti, quando cerchiamo di togliere la nostra capacità di sognare è come se le nostre braccia giacessero esangui ai lati del corpo. Abbiamo solo bisogno di distinguere i desideri che ci offuscano da quelli che, invece, ci fanno crescere.

Avere un desiderio nella vita significa semplicemente tenere d’occhio la stella polare, seguire un lampo, una traccia, qualcosa che appare e scompare all’orizzonte, qualcosa che non possiamo ancora vedere ma solo intra-vedere. Può scomparire alla vista per un po’ ma quando il cielo è chiaro possiamo vederlo di nuovo e riconoscerne ancora una volta lo splendore. David Whyte

Pratica di Mindfulness: Centering meditation

© Nicoletta Cinotti 2023 Scrivere storie di guarigione

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L’amore esagerato

18/08/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

C’è una poesia di Naomi Long Madgett che ogni tanto rileggo. perché pone una domanda fondamentale: di quanta cura abbiamo bisogno?

La risposta a questa domanda nel tempo è cambiata perché è cambiato il nostro modo di prenderci cura. Quando ho iniziato a lavorare le persone che arrivavano nel mio studio, per il 90%, avevano traumi e problemi legati alla deprivazione o alla cattiva cura. Adesso le persone che seguo hanno – al 70-80% – problemi legati ad una cura eccessiva. Sono persone che hanno ricevuto troppo: troppe cure, troppo amore, troppe attenzioni. E troppe aspettative. E continuano a pretendere che il troppo sia il minimo sindacale che devono ricevere costruendo così una infelicità senza speranza. L’infelicità che nasce dal chiedere l’impossibile.

Magari sono figli unici di due genitori figli unici con tutta la famiglia che guarda a loro per il proprio riscatto futuro. E, anche se può sembrare paradossale che la troppa cura faccia male, questo, alla fine, le ha soffocate. Magari sono stati figli di genitori ansiosi che, temendo di fare troppo poco hanno fatto troppo. O di genitori che si sono talmente innamorati che non hanno potuto fare altro che soffocarli d’amore. Questo non è amore incondizionato: questo è amore esagerato. È come la storia del contadino che, credendo che lo sciroppo antibiotico l’avrebbe fatto guarire, decise di berlo tutto insieme.

Perché qualsiasi cosa, anche la più buona, ha bisogno di misura. E quel trovare la misura del nostro bisogno costruisce, giorno dopo giorno, la nostra salute emotiva e fisica.

Se fossi in te, non curerei troppo la pianta. Quelle attenzioni premurose potrebbero danneggiarla. Smetti di zappare e lascia riposare il terreno e aspetta che sia secco prima di bagnarlo. La foglia trova da sola la propria direzione; …dalle la possibilità di cercare il sole per conto suo. Troppi stimoli e una tenerezza troppo assillante arrestano la crescita. Dobbiamo imparare a lasciare in pace le cose che amiamo. Naomi Long Magdett

Pratica di mindfulness: Assaporare: saper dire basta

© Nicoletta Cinotti  2023 Il programma di Mindful self-compassion online

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Non rimpicciolirsi

03/12/2021 by nicoletta cinotti 1 commento

Qualche anno fa, nel novembre del 1995, il violinista Itzhak Perlman si esibiva al Lincoln Center di New York. Perlman, a causa della poliomielite contratta da bambino, ha dei rinforzi nelle gambe e cammina a fatica con l’aiuto di due stampelle. Attraversare il palcoscenico e prepararsi a suonare, per lui, è già un compito arduo

Ma quando iniziò a suonare qualcosa andò storto. Una delle corde del violino si ruppe. La cosa più consueta sarebbe stata interrompersi e cambiare violino. Ma non lo fece.
Chiuse gli occhi per un momento, e poi accennò al direttore d’orchestra di ricominciare da dove si erano fermati. E suonò con passione, purezza e potere. Forse mai visti così in una sua esecuzione.

Tutti sanno che è impossibile suonare un brano sinfonico solo con tre corde.
Io lo so, e voi lo sapete, ma quella notte Itzhak Perlman si rifiutò di saperlo. Modulò, cambiò, scompose il pezzo sinfonico nella sua testa per adattarlo a quella mutata situazione.  Quando finì non ci fu un applauso ma un’ovazione, alla quale lui rispose dicendo: “Sapete, talvolta è compito dell’artista scoprire quanta musica può ancora creare con ciò che gli è rimasto!”.

Nella nostra vita siamo spesso nella sua stessa condizione. Le condizioni non sono le migliori, le cose non sono andate come previsto. Avremmo voluto qualcosa in più. O abbiamo la convinzione che sia necessario qualcosa che non abbiamo per compiere la nostra vita. Ma molto spesso il vero cambiamento non sta nell’aggiungere (o togliere) qualcosa. Sta nell’aprire quello che c’è e permettere che suoni nella nostra vita con tutta la passione, purezza e potere.
Le nostre scuse e le nostre giustificazioni rimpiccioliscono le nostre possibilità. Rimpiccioliscono noi. Sono le giustificazioni che ci rendono piccoli non le condizioni di difficoltà che incontriamo.
La vita molto spesso ci offre un violino con tre corde ma quello è ancora una meravigliosa e piena opportunità, se noi non la rimpiccioliamo. Se non decidiamo prima che cosa potremo o non potremo fare con quel violino. Proviamo a suonarlo con tutta la nostra passione prima di decidere che è da buttare.
È decisamente compito nostro scoprire quanta musica possiamo creare  con ciò che abbiamo.
Puoi entrare nella vulnerabilità di questo momento? Emerge la sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato in te? Questo è il momento di compiere il rischio squisito di essere te stesso.
Pratica di mindfulness: Self compassion breathing

© Nicoletta Cinotti 2021  Questa è la ri-edizione di uno dei post migliori del 2017

Foto di ©Giacomo Venturin

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Uno schienale pret a porter

22/09/2017 by nicoletta cinotti Lascia un commento

All’inizio dell’estate, quando ero nel pieno della preparazione del ritiro “Verso un’accettazione radicale” ho avuto un piccolo incidente. La cui conseguenza non è stata tanto piccola perché mi sono rotta una vertebra. Una vertebra pilastro del movimento tra la parte alta e la parte bassa del corpo. Una di quelle vertebre che uniscono la terra al cielo.

Mi è sembrata una sfida, proprio nel momento in cui stavo lavorando intimamente con l’accettazione, trovarmi con una frattura e con un busto, piuttosto vistoso e rigido, che doveva accompagnare ogni movimento. Potevo lasciarlo solo da sdraiata. La prima reazione è stata di stupore: ho capito subito di essermi fratturata e, nello stesso tempo, mi sembrava impossibile. La seconda reazione è stata di vergogna. La vergogna di dovermene andare in giro con un attrezzo vistosissimo – di quelli che attirano l’attenzione sia per forma che per rumore – la vergogna per la mia vulnerabilità. La vergogna per la mia schiena. Non è la prima volta che porto un busto: l’ho portato per molto tempo da bambina, nel tentativo di arrestare una scoliosi che, invece, ha fatto il suo corso. Mi vergognavo di non riuscire a giocare come gli altri. Mi vergognavo di essere rigida e di non riuscire a fare nulla bene se non studiare. Credo che la passione per lo studio sia nata lì: è piuttosto comodo studiare se hai un busto che ti tiene su: è come avere lo schienale del divano sempre con te. Uno schienale pret a porter.

Ho capito quanto la vergogna per la vulnerabilità giochi un ruolo centrale – almeno per me – nell’accettazione. Accetto più facilmente i problemi che vanno nella direzione dell’eroismo che quelli che vanno nella direzione della vulnerabilità. E qui, lo sapevo, un’altra persona non si sarebbe fratturata. Io mi fratturo perché le mie ossa sono fragili. Ho dato loro tutta la determinazione della mia mente ma rimangono fragili. Vorrei poter dire che non succederà più ma so che potrebbe ri-succedere. Malgrado tutta la cura che ho imparato a dare al corpo mio e altrui c’è una lezione che il corpo insegna – a volte duramente – la biologia ha un suo spazio e delle sue leggi. E la mente deve imparare a inchinarsi alle leggi della biologia. Sfidarle è una profonda non accettazione della verità delle cose.

Oggi, finita l’estate, lo devo lasciare. Devo togliere il busto e abbandonare il mio schienale pret a porter e, lo confesso, mi dispiace. Gli sono grata per il sostegno che mi ha dato. Il sollievo che mi ha offerto. La verità che mi ha insegnato e l’umiltà che ho praticato chiedendo alle persone, “Mi vieni a prendere per favore? Non posso guidare”

Inizia oggi la seconda edizione del ritiro “Verso un’accettazione radicale”. Molte persone sono rimaste in lista d’attesa ma questo ritiro verrà ripetuto ogni anno, perché non si finisce mai di imparare la direzione dell’accettazione

Pratica di mindfulness: Self compassion breathing

© Nicoletta Cinotti 2017 Verso un’accettazione radiclae

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Cambiare abitudini senza avversione

19/09/2017 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Ieri parlavo con una persona che vuole smettere di fumare. Vuole smettere di fumare da un po’ di tempo. Smette, sta un po’ senza fumare e poi riprende. Ieri pioveva, era freddo. Tutto faceva capire che siamo entrati in autunno. E l’autunno, a lui, non piace proprio. Un cliente gli ha offerto una sigaretta e lui ha detto “sì, grazie” dopo mesi che non fumava.

Non succede solo per il fumo. Succede per un sacco di altre cose. Siamo consapevoli che qualcosa ci fa male, ci siamo abituati a quel ritmo e non riusciamo a smettere. Oppure riusciamo a farlo per un po’ di tempo ma quando ricadiamo ci riempiamo di critiche interiori aumentando la sensazione di inadeguatezza.

Perché non funziona? Perché non riusciamo ad abbandonare le abitudini che ci fanno male?

Le ragioni per cui non funziona sono tre. La prima è che cerchiamo di cancellare la vecchia abitudine. La vecchia abitudine però ha la forza degli anni passati a praticarla e a trovarla anche consolatoria. Cancellarla sarebbe come spostare il letto di un fiume. Dopo un grande lavoro possiamo anche riuscirci ma alla prima pioggia torrenziale il fiume passerà di nuovo nel solito percorso. Facendo danni perché, nel frattempo, in quel percorso, abbiamo costruito altre cose. Non possiamo cancellare una vecchia abitudine. Possiamo costruire una nuova abitudine da rinforzare con la ripetizione, accanto a quella vecchia. Abbiamo bisogno di qualcosa che ci consoli per sostituire la consolazione di quello che ci fa male. È necessario conoscere a quale bisogno rispondiamo con quella sigaretta per dare risposta a quel bisogno in altro modo. Qualcosa di altrettanto caldo. Poi, ogni tanto, è possibile che sbaglieremo di nuovo. Bastonarci mentalmente non servirà a nulla.

E questa è la seconda ragione: quando vogliamo cambiare tendiamo a vedere gli errori più del processo di apprendimento. A dare peso alla ripetizione del passato più che a nuovi apprendimenti. In questo modo rinforziamo semplicemente l’avversione verso noi stessi e la sfiducia verso le nostre capacità. Il mio amico non si era detto bravo per essere stato senza fumare per mesi, era il minimo che potesse fare ma l’aveva dato per scontato. Non aveva nemmeno valorizzato le nuove buone attività che questo cambiamento aveva comportato. Ma appena ha riacceso quella sigaretta si è comportato come il più severo dei professori: ha fatto una predica infinita a se stesso. Chi vorrebbe dare soddisfazione ad un professore così? Meglio accendersi un’altra sigaretta!

Se non valorizziamo il processo di apprendimento delle nuove risposte, delle nuove abitudini ma lottiamo duramente solo per cancellare le vecchie abitudini non andremo molto lontano. Anche perché più la nostra voce critica interiore sarà forte, più avremo bisogno di vecchie consolazioni. Alla fine, diciamoci la verità, il vero problema – la terza ragione – è che non abbiamo voglia di ascoltare il bisogno che sta sotto le vecchie abitudini. Perché siamo troppo abituati a rimpicciolirci, anziché a crescere. E crediamo che fare così sia più comodo.

Scendere verso l’autunno e continuare ad amare. Luigi Nono

Pratica di mindfulness: Self compassion breathing

© Nicoletta Cinotti 2017 Verso un’accettazione radicale

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Mindfulness interpersonale per genitori

29/04/2017 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Crescere figli è uno specchio che costringe a guardarsi in faccia. Se si può imparare da ciò che si vede, si può avere la possibilità di continuare a crescere a nostra volta. Jon Kabat Zinn

Molte volte mi è capitato di parlare con genitori che stavano imparando molto, moltissimo, su di se dai propri figli. Sia attraverso la gioia che attraverso il dolore.

Perché il regalo più grande che fanno i figli è proprio insegnarti cose che nessun altro avrebbe potuto farti imparare. Per questo credo che le risposte alle domande dei genitori debbano arrivare dalla consapevolezza dell’unicità del loro rapporto con i propri figli. E in questi quattro incontri lo faremo proprio con lo strumento più relazionale possibile: la mindfulness interpersonale.

Da giovedì 4 Maggio 2017 alle 19 per 4 settimane consecutive. Se vuoi partecipare clicca qui

© Nicoletta Cinotti 2017

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