
Ieri parlavo con una persona che vuole smettere di fumare. Vuole smettere di fumare da un po’ di tempo. Smette, sta un po’ senza fumare e poi riprende. Ieri pioveva, era freddo. Tutto faceva capire che siamo entrati in autunno. E l’autunno, a lui, non piace proprio. Un cliente gli ha offerto una sigaretta e lui ha detto “sì, grazie” dopo mesi che non fumava.
Non succede solo per il fumo. Succede per un sacco di altre cose. Siamo consapevoli che qualcosa ci fa male, ci siamo abituati a quel ritmo e non riusciamo a smettere. Oppure riusciamo a farlo per un po’ di tempo ma quando ricadiamo ci riempiamo di critiche interiori aumentando la sensazione di inadeguatezza.
Perché non funziona? Perché non riusciamo ad abbandonare le abitudini che ci fanno male?
Le ragioni per cui non funziona sono tre. La prima è che cerchiamo di cancellare la vecchia abitudine. La vecchia abitudine però ha la forza degli anni passati a praticarla e a trovarla anche consolatoria. Cancellarla sarebbe come spostare il letto di un fiume. Dopo un grande lavoro possiamo anche riuscirci ma alla prima pioggia torrenziale il fiume passerà di nuovo nel solito percorso. Facendo danni perché, nel frattempo, in quel percorso, abbiamo costruito altre cose. Non possiamo cancellare una vecchia abitudine. Possiamo costruire una nuova abitudine da rinforzare con la ripetizione, accanto a quella vecchia. Abbiamo bisogno di qualcosa che ci consoli per sostituire la consolazione di quello che ci fa male. È necessario conoscere a quale bisogno rispondiamo con quella sigaretta per dare risposta a quel bisogno in altro modo. Qualcosa di altrettanto caldo. Poi, ogni tanto, è possibile che sbaglieremo di nuovo. Bastonarci mentalmente non servirà a nulla.
E questa è la seconda ragione: quando vogliamo cambiare tendiamo a vedere gli errori più del processo di apprendimento. A dare peso alla ripetizione del passato più che a nuovi apprendimenti. In questo modo rinforziamo semplicemente l’avversione verso noi stessi e la sfiducia verso le nostre capacità. Il mio amico non si era detto bravo per essere stato senza fumare per mesi, era il minimo che potesse fare ma l’aveva dato per scontato. Non aveva nemmeno valorizzato le nuove buone attività che questo cambiamento aveva comportato. Ma appena ha riacceso quella sigaretta si è comportato come il più severo dei professori: ha fatto una predica infinita a se stesso. Chi vorrebbe dare soddisfazione ad un professore così? Meglio accendersi un’altra sigaretta!
Se non valorizziamo il processo di apprendimento delle nuove risposte, delle nuove abitudini ma lottiamo duramente solo per cancellare le vecchie abitudini non andremo molto lontano. Anche perché più la nostra voce critica interiore sarà forte, più avremo bisogno di vecchie consolazioni. Alla fine, diciamoci la verità, il vero problema – la terza ragione – è che non abbiamo voglia di ascoltare il bisogno che sta sotto le vecchie abitudini. Perché siamo troppo abituati a rimpicciolirci, anziché a crescere. E crediamo che fare così sia più comodo.
Scendere verso l’autunno e continuare ad amare. Luigi Nono
Pratica di mindfulness: Self compassion breathing
© Nicoletta Cinotti 2017 Verso un’accettazione radicale
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