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L’educazione del cuore: le due strade dell’apprendimento

17/02/2018 by nicoletta cinotti

Quando pensiamo all’educazione abbiamo davanti a noi il vasto panorama dell’apprendimento, un apprendimento che misuriamo in base agli obiettivi raggiunti. Saper fare spesso diventa il metro della nostra educazione. Esiste però, oltre all’educazione del saper fare, anche l’educazione del saper essere.

La prima educazione – quella del saper fare – coinvolge pratica e teoria; la seconda educazione – quella del saper essere – coinvolge pratica ed esperienza. Nella prima educazione siamo legati ai contenuti dell’apprendimento. Nella seconda al processo dell’apprendimento. Nella prima educazione ognuno è diverso, nella seconda educazione tutti sperimentiamo uno stesso processo: quello dell’essere pienamente umani, pienamente presenti.

Questi due processi di apprendimento possono procedere separatamente: a volte uno a scapito dell’altro. A volte uno ad integrazione dell’altro.

Questa integrazione è quella che dà alla nostra vita un senso di pienezza e soddisfazione: una ricchezza che nasce dal sentire di aver realizzato la propria vocazione.

Tanta dell’infelicità che proviamo rispetto al nostro lavoro quotidiano – che sia un lavoro retribuito o domestico – nasce dalla difficoltà di integrare questi due registri di apprendimento, queste due strade di conoscenza. Queste due forme di educazione.

Non si cura questa insoddisfazione, questa infelicità, aumentando il sapere fare ma nutrendo il sapere essere. Quella educazione del cuore che ci insegna che la nostra gioia e il nostro dolore non dipendono dai nostri successi e dai nostri errori ma dalla relazione che abbiamo con ciò che avviene.

Praticare l’educazione del cuore è semplice: richiede gentilezza, precisione e presenza. E’ quello che facciamo con qualsiasi pratica di consapevolezza.

Sappiamo che le emozioni sono importanti nel processo educativo, perchè attirano l’attenzione, quella stessa attenzione che guida l’apprendimento e la memoria. Robert Sylwester

Sviluppare la capacità emotiva nell’educazione

Quando siamo coinvolti in un processo educativo, sia come genitori che come insegnanti, pensiamo che la cosa più importante sia quello che possiamo dare come apprendimento e ci dimentichiamo che qualsiasi apprendimento è regolato, modulato e promosso dalla qualità dell’attenzione di chi sta imparando. E l’attenzione è strettamente legata alle emozioni. In parte questa sottovalutazione del ruolo delle emozioni è dovuto al fatto che consideriamo l’apprendimento un processo cognitivo e razionale. Solo negli ultimi anni abbiamo capito che la cosiddetta razionalità è spesso un modo per nascondere gli aspetti emotivi irrisolti. Molte emozioni secondarie infatti vengono percepite come stati mentali ma non sono pensieri logici. Sono, piuttosto, emozioni travestite da pensieri. Nel box qui sotto trovi una mappa (puoi anche saltarla e andare al paragrafo successivo

[box] Quando ci perdiamo una mappa e una bussola possono essere provvidenziali. Per questo vorrei dare un elenco delle più frequenti confusioni tra pensieri ed emozioni. Un elenco che può permetterci, se illuminato dalla luce della nostra consapevolezza, di chiederci:”Sono davvero qui e ora? Sto davvero dimorando nel presente e nel mio corpo?

Pensiero dicotomico: le cose sono viste in categorie mutualmente escludentisi senza gradi intermedi. Per esempio, una situazione o è un successo oppure è un fallimento; se una situazione non è proprio perfetta allora è un completo fallimento. (“o tutto o nulla”); Ipergeneralizzazione o”globalizzazione”; uno specifico evento è visto come se caratterizzasse la nostra vita in generale piuttosto che come essere un evento tra tanti. Ad esempio, concludere che se qualcuno ha mostrato un atteggiamento negativo in una occasione, non considera poi le altre situazioni in cui ha avuto atteggiamenti più opportuni. (“di tutta l’erba un fascio”); Astrazione selettiva:Un solo aspetto di una situazione complessa è il centro dell’attenzione mentre altri aspetti rilevanti sono ignorati. Ad esempio, focalizzare un commento negativo in un giudizio sul proprio lavoro trascurando altri commenti positivi. (“bicchiere mezzo vuoto”); Squalificare il lato positivo: le esperienze positive che sono in contrasto con la visione negativa sono trascurate, sostenendo che non contano. Ad esempio, non credere ai commenti positivi degli amici e colleghi dubitando che dicano ciò solo per gentilezza. (“ciò non conta nulla, conta di più … “); Lettura del pensiero: sostenere che altri individui stiano formulando giudizi negativi ma senza alcuna prova evidente. Ad esempio, affermare di sapere che l’altro ci giudica male anche contro la rassicurazione di quest’ultimo. (“ti ho già capito”); Riferimento al destino:reagire come se le proprie aspettative negative sugli eventi futuri siano già fatti. Ad esempio, pensare che qualcuno ci abbandonerà e agire come se ciò fosse vero. (“lo so già”). Insieme al precedente formano il “salto alle conclusioni”, molto più pericoloso di un trapezio senza rete; Catastrofizzare: gli eventi negativi che possono verificarsi sono trattati come intollerabili catastrofi piuttosto che essere visti in una prospettiva più pratica e moderata. Ad esempio, disperarsi dopo un brutta figura come se fosse una catastrofe terribile e non come una situazione semplicemente imbarazzante e spiacevole. (“è terribile se…); Minimizzazione: le esperienze e le situazioni positive sono trattate come reali ma insignificanti. Ad esempio, pensare che in una cosa si è positivi ma che essa non conta in confronto ad un’altra più importante. (“niente conta veramente di quello che faccio”); Ragionamento emotivo: considerare le reazioni emotive come reazioni attendibili alla situazione reale. Ad esempio, concludere che siccome ci si sente sfiduciati, la situazione è senza speranza. (“se mi sento così allora è vero”); Doverizzazioni: l’uso di “dovrei”, “devo”, “bisogna”, si deve”, segnala la presenza di un atteggiamento rigido e tendente alla confusione tra “pretendere” e “desiderare”, in diretta connessione con regole personali. Ad esempio, il pensare che un amico deve stimarci, perchè bisogna stimare gli amici. (“devo …”, “si dovrebbe …”, “gli altri devono …”); Etichettamento: identificare qualcuno tramite una etichetta globale piuttosto che riferirsi a specifici eventi o azioni. Ad esempio, pensare che si è un fallimento piuttosto che si è inadatti a fare una certa cosa. (“è un …..”); Personalizzazione: assumere che siamo la causa di un particolare evento quando nei fatti, sono responsabili altri fattori. Ad esempio, considerare che una momentanea assenza di amicizie è il riflesso della propria inadeguatezza piuttosto che un caso. (“è colpa mia se…”);

Questi errori cognitivi sono diffusi e caratteristici del nostro funzionamento mentale. L’aspetto disfunzionale è determinato dalla compresenza di più errori, dalla frequenza di comparsa e dal grado in cui tali procedure sostituiscono il ragionamento realistico e riflessivo. In sintesi, considerare i pensieri come dati incontrovertibili di realtà senza esplorare quali emozioni e sensazioni fisiche li stanno alimentando può essere pericoloso. Sono pensieri automatici che svolgono una funzione adattiva in situazioni di emergenza ma …utilizzarle molto frequentemente ci porta “lontano da noi”![/box]

Espandere il range delle emozioni

Espandere il range emotivo significa esercitare una volontaria azione di auto-osservazione interiore per comprendere qualcosa in più del nostro panorama emotivo, identificando emozioni piacevoli e spiacevoli. In questo modo potremmo accorgerci che molti dei nostri scambi relazionali – ed educativi – sono condizionati dal desiderio di evitare emozioni che riteniamo sgradevoli o difficili. Insomma le nostre emozioni attutiscono la nostra efficacia educativa!

Quando espandiamo il nostro range emotivo aumentiamo la nostra capacità di accettare le diverse stagioni atmosferiche del cuore, nostro e altrui, e di comprendere gli schemi di comportamento che fanno emergere in noi e negli altri.

Quali pratiche possiamo usare per lavorare con le emozioni scomode?

Ci sono diverse pratiche informali che possiamo utilizzare. proviamo a farne un breve elenco:

[box] Nota quali sono le emozioni che ti fanno sentire a tuo agio con gli altri e quali sono le emozioni che ti fanno sentire a disagio. Crea una lista delle situazioni che possono attivare emozioni scomode e osserva come reagisci. Tieni un diario delle tue reazioni emotive e rileggilo dopo un mese: scoprirai molto su quali sono le emozioni più frequenti e anche molto su quali sono i segnali che predicono una esplosione[/box]

[box] Quando provi una emozione forte prova a chiederti “Qual è il messaggio che mi porta questa emozione? Quale azione mi spinge a fare? Posso scegliere se agire oppure no?[/box]

Sviluppare una intelligenza emotiva

L’intelligenza emotiva è la capacità di riconoscere le proprie emozioni e quelle altrui, sapendo distinguerle e usando queste informazioni per dirigere i propri pensieri e le proprie azioni (Daniel Goleman)

I buoni insegnanti sono come i buoni genitori: offrono una base sicura, creano un ambiente che permette agli studenti di funzionare al meglio delle loro possibilità. Questa base diventa un porto sicuro, una zona dalla quale possono partire per avventurarsi verso qualcosa di nuovo. Se gli studenti vengono aiutati a padroneggiare la loro ansia imparano anche a padroneggiare la loro attenzione. E questo gli permette loro di realizzare il potenziale della zona di sviluppo prossimale. Daniel Goleman

Possiamo sviluppare la nostra intelligenza emotiva chiedendoci regolarmente Cosa sto provando in questo momento? Come questo condiziona il mio stile educativo? Come posso relazionarmi meglio con le mie emozioni?.Se sentiamo che la rabbia sta emergendo potrebbe essere utile passare del tempo in un silenzio riflessivo per vedere se è possibile cambiare prospettiva. Oppure cercare di fare qualcosa di creativo o espressivo del proprio stato emotivo che non abbia diretta conseguenza sugli altri. Ci sono alcune emozioni che sono difficili da contenere ma questo non vuol dire che debbano essere agite sugli altri.

Promuovere un clima di sicurezza emotiva

Per promuovere un clima di sicurezza emotiva è importante sviluppare maggiore consapevolezza degli stati emotivi e, insieme, avere la capacità di confortare e consolare noi stessi nelle situazioni in cui, inevitabilmente, possono sorgere emozioni difficili. Non è una sconfitta provare rabbia o dolore, senso di colpa o ansia. È parte del nostro panorama interno: è una sconfitta non sapere come consolarsi. Non avere idea che cosa fare per calmarci comporta anche non saper confortare gli altri e rimanere preda delle loro tempeste emotive.

[box] Pratica informale Quando provi una emozione intensa prova a immaginare che questa emozione sia provata da un bambino. Che cosa faresti per consolarlo? Che cosa avresti voluto che, da bambino, gli adulti facessero per consolarti? Puoi fare qualcosa che abbia questo effetto su di te oggi?[/box]

[box] Pratica formale

Prova a prenderti uno spazio per praticare Self compassion breathing: non pretendere risultati particolari ma concludi ogni giornata con una pratica – formale o informale – di compassione rivolta a te stesso[/box]

© Nicoletta Cinotti 2018 Foto di © eying2012

Bibliografia

Daniel Goleman, Intelligenza emotiva

Daniel Goleman, Intelligenza sociale

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Corso mindfulness per insegnanti riconosciuto dal MIUR

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Quanto gioca il fattore tempo?

19/08/2017 by nicoletta cinotti Lascia un commento

In uno studio classico condotto anni fa al Princeton Theological Seminary fu detto ad alcuni studenti di teologia che avrebbero dovuto tenere un sermone di prova, sul quale sarebbero stati valutati. A ciascuno studente fu assegnato un argomento dalla Bibbia. Metà ricevette come argomento il Buon Samaritano, l’uomo che si fermò per aiutare uno straniero bisognoso ai margini della strada. All’altra metà vennero affidati altri argomenti scelti a caso.

Trascorso un certo lasso di tempo destinato alla preparazione del discorso, uno a uno uscirono dall’istituto per andare a tenere il loro sermone. Mentre andavano da un edificio all’altro, passarono davanti a un uomo piegato su se stesso e che si lamentava, in evidente stato di bisogno e di dolore. I ricercatori volevano sapere se gli studenti si sarebbero fermati ad aiutarlo. E, ancora più interessante, il fatto che stessero riflettendo sulla parabola del Buon Samaritano aveva influenza oppure no?

Si scoprì che la cosa più importante era a quale pressione credevano di essere sottoposti in termini di tempo, e in un certo modo la cosa è vera anche per molti di noi. Abbiamo le nostre liste di cose da fare, abbiamo più email e altri messaggi elettronici di quanto sia mai accaduto nella storia dell’uomo. Il problema è: quanto siamo lontani dal notare gli altri, dal sintonizzarci su di loro, dall’entrare in empatia, dall’essere preoccupati dei loro problemi? Credo che il fattore chiave per provare compassione –per essere un bambino, un adulto o persino un collega o un cittadino che si prende cura degli altri –sia sintonizzarsi sui problemi della gente ed essere disponibili a fare qualcosa al riguardo.

Daniel Goleman

© www.nicolettacinotti.net  Addomesticare pensieri selvatici 2017 Foto di © Zaporogo

 

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Il bozzolo creativo

08/07/2017 by nicoletta cinotti Lascia un commento

«La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un fedele servo» disse Albert Einstein. «Noi abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono.»

Per molti di noi è un lusso anche solo potersi permettere qualche momento personale ininterrotto di tranquillità e di riflessione durante la giornata; tuttavia, questi momenti sono tra i più preziosi, soprattutto per quanto riguarda la creatività. Perché le nostre associazioni libere possano produrre frutti di innovazione, però, è anche necessario che ci sia l’atmosfera giusta. Abbiamo bisogno di tempo libero durante il quale poter mantenere una consapevolezza aperta. Il continuo assalto di e-mail, testi, bollette da pagare ci getta in uno stato cerebrale antitetico a quella attenzione aperta favorevole alle scoperte fortuite. Nel tumulto delle nostre distrazioni quotidiane e delle troppe cose da fare, l’innovazione non ha prospettive: per fiorire ha bisogno di tempo libero. È per questo che gli annali della scoperta sono pieni di storie di brillanti intuizioni partorite durante una passeggiata, un bagno, una lunga cavalcata o una vacanza. Il tempo libero permette allo spirito creativo di prosperare, i ritmi serrati lo uccidono.

L’importanza di ritagliarsi questi bozzoli creativi nel tempo e nello spazio è emersa in uno studio condotto dalla Harvard Business School sulle abitudini di lavoro di 238 membri di squadre di ricerca alle prese con una serie di sfide innovative, dalla soluzione di complicati problemi informatici all’invenzione di accessori da cucina.  Il progresso nel loro campo richiede un flusso continuo di piccole intuizioni creative. Le giornate proficue per l’intuizione non avevano nulla a che fare con scoperte rivoluzionarie o grandi vittorie. La chiave stava nell’ottenere delle piccole conquiste –come innovazioni secondarie e soluzioni a fastidiosi problemi –in una serie progressiva di passi concreti verso un obiettivo più grande. Le intuizioni creative emergevano con più facilità quando le persone avevano obiettivi chiari ma erano anche libere di decidere come raggiungerli; e, cosa fondamentale, avevano del tempo libero, abbastanza per mettersi davvero a pensare senza condizionamenti. Un vero e proprio bozzolo creativo.

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Daniel Goleman, Focus. Come mantenersi concentrati nell’era della distrazione

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La differenza tra rimuginare e riflettere

01/07/2017 by nicoletta cinotti Lascia un commento

La linea di divisione tra il vano rimuginare e le riflessioni produttive sta in questo: se approdiamo a qualche intuizione o a un tentativo di soluzione e quindi abbandoniamo quei pensieri, oppure se continuiamo a ritornare ossessivamente sulle stesse preoccupazioni.

Quando perdiamo la concentrazione, il nostro rendimento cala in maniera proporzionale. Per esempio, un test condotto su atleti di alcuni college ha individuato una correlazione significativa fra la loro minore o maggiore tendenza a lasciarsi distrarre dall’ansia e i risultati, positivi o negativi, che otterranno nella stagione successiva. La capacità di mettere a fuoco un singolo oggetto ignorando tutto il resto risiede nelle regioni prefrontali del cervello, dove alcuni circuiti neurali specializzati rafforzano i segnali su cui vogliamo concentrarci (quella specifica e-mail) e smorzano quelli che scegliamo di ignorare (le persone che stanno chiacchierando al tavolo accanto).

Dato che per concentrarci dobbiamo mettere a tacere anche le nostre distrazioni emotive, il circuito neurale dell’attenzione selettiva include quello per l’inibizione delle emozioni: ciò significa che le persone che si concentrano meglio sono relativamente immuni ai tumulti emotivi, hanno minore difficoltà a mantenersi imperturbabili nei momenti di crisi e restano stabili in mezzo al flusso di emozioni della vita.

Nei casi più gravi, l’incapacità di abbandonare un oggetto di attenzione per soffermarsi su altri può far sì che la mente si ritrovi a rimuginare senza fine ripercorrendo sempre gli stessi circoli di preoccupazioni, in uno stato di ansia cronica. Agli estremi della patologia clinica, ciò può voler dire perdersi in quelle sequenze di pensieri di disperazione, impotenza e autocommiserazione che caratterizzano la depressione, o in quelle interminabili ripetizioni di idee o atti rituali (come toccare cinquanta volte la porta prima di uscire) che contraddistinguono la sindrome ossessivo-compulsiva.

La capacità di distogliere l’attenzione da una cosa per spostarla su un’altra è fondamentale per il nostro benessere. Quanto più è forte la nostra attenzione selettiva, tanto più possiamo rimanere assorbiti da quello che stiamo facendo: farci travolgere da una scena commovente di un film, per esempio, o lasciarci colpire in profondità da un passo poetico particolarmente coinvolgente. Una forte concentrazione permette ai ragazzi di «perdersi» in YouTube o nei loro compiti fino al punto di non accorgersi dell’eventuale trambusto attorno a loro.Le persone concentrate possono essere individuate con facilità in una festa: sono quelle che riescono a immergersi in una conversazione, tenendo gli occhi fissi sul loro interlocutore e recependo tutte le sue parole anche se, magari, vicino a loro c’è qualcuno che canta a squarciagola l’ultimo successo dei Beastie Boys. Le persone non concentrate, invece, sono in perenne agitazione: i loro occhi vagano spostandosi su tutto ciò che li attira e la loro attenzione non si ferma su niente.

Richard Davidson, un neuroscienziato della University of Wisconsin, annovera la concentrazione in un piccolo gruppo di abilità vitali essenziali, ognuna basata su un sistema neurale separato, le quali ci guidano attraverso le turbolenze della nostra esistenza interiore, delle nostre relazioni e di tutte le sfide che la vita ci pone davanti. Secondo le ricerche di Davidson, nei momenti di acuta concentrazione i circuiti chiave della corteccia prefrontale entrano in uno stato di sincronia, da lui definito «aggancio di fase», con l’oggetto di quel fascio di consapevolezza: se una persona preme un bottone quando sente un determinato suono, i segnali elettrici nella sua area prefrontale si accendono in perfetta sincronia con quel suono. L’aggancio neurale si rafforza con l’aumentare della concentrazione; se però al posto di quest’ultima c’è un’accozzaglia di pensieri, la sincronia svanisce. Questa perdita di sincronia è il tratto caratteristico delle persone affette dalla sindrome da deficit di attenzione.

Quando la nostra attenzione è focalizzata, impariamo meglio. Se ci concentriamo su quello che stiamo studiando, il cervello mappa le informazioni su ciò che già conosciamo creando nuove connessioni neurali. Se prendete un bambino piccolo e nominate un oggetto a cui state prestando entrambi attenzione, ne imparerà il nome; ma se mentre lo pronunciate la sua attenzione sta vagando, non se lo ricorderà. Quando la nostra mente è distratta, il cervello attiva una serie di circuiti neurali riferiti a cose che non hanno nulla a che fare con ciò che stiamo cercando di apprendere. In assenza di concentrazione, non viene immagazzinato nessun nuovo ricordo di quello che stiamo imparando. I fattori di distrazione più potenti sono le nostre emozioni: tutto ciò che è in grado di suscitare in noi forti sensazioni attira la nostra attenzione. Le persone più concentrate sono comunque in grado di resistere a questa attrazione magnetica e di mantenere focalizzata altrove la loro attenzione.

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