Lo stereotipo della persona che medita: solo, occhi chiusi, gambe incrociate, un bel tramonto dietro. Ma siamo sicuri che sia sempre così? Ognuno ha il suo modo di praticare. Ecco qualche consiglio per chi vuole cominciare un percorso di consapevolezza.
1. Qual è la posizione più giusta per meditare? Il corpo come uno strumento musicale
Come saprete ci sono diverse posizioni consigliate, con diversi punti di equilibrio e di radicamento a terra. Nessuna però è la più corretta in senso assoluto.
Una posizione è tanto più giusta quanto più riesce a conciliare in noi la comodità con la predisposizione a rimanere vigili.
Se quindi preferite praticare da sdraiati, piuttosto che seduti per terra o su una sedia, non importa. Si possono sperimentare diverse posture, per comprendere poi quella che si addice maggiormente al nostro corpo.
La cosa importante è prestare attenzione al modo in cui il nostro corpo sta in questa “attenzione rilassata”.
Ascoltate se alcune parti del corpo tendono ad irrigidirsi o ad assopirsi, non scordatevi di loro, imparate ad “accordarvi” come si fa con uno strumento musicale.
2. Occhi aperti o occhi chiusi?
Molte delle pratiche di meditazione vengono fatte ad occhi chiusi, per non avere distrazioni visive e per facilitare l’introspezione e l’ascolto dei movimenti corporei. Il “silenzio visivo” è spesso un mezzo per calmarsi e tornare al corpo.
Alcune persone, però, si possono trovare meglio in una situazione diversa. Magari perché il chiudere gli occhi li induce alla sonnolenza. O semplicemente perché preferiscono mantenere più forte il contatto con la realtà esterna.
Allora si può restare ad occhi socchiusi o addirittura aperti: un atteggiamento forse più difficile, ma non per questo meno interessante.
Volete sperimentare ma non sapete dove posare lo sguardo?
Provate a “guardare lo spazio”. Come quando si cerca di stare in equilibrio su un piede solo.
3. Qual è il luogo migliore per la pratica? Il tuo.
Forse non abitate in un posto mozzafiato, o forse sì. In ogni caso scegliete un luogo che possiate sentire vostro, almeno per i momenti che dedicate alla pratica. Un posto in cui possiate trovare pace. Al chiuso o all’aperto, sentitevi liberi, come per tutto ciò che riguarda la pratica, di sperimentare. Non è detto che lo troviate alla prima.
Questo posto si deve trovare anche, e prima di tutto, dentro di voi: uno spazio dove potersi dedicare completamente alla consapevolezza.
Se lasciate a questo “posto” la libertà di esistere (al pari delle vostre attività e pensieri quotidiani), probabilmente sarete distratti e interrotti molto meno.
E’ una questione di rispetto. Se rispettate quel luogo, quella stanza, rispetterete voi stessi. E anche chi vi sta intorno (se non siete da soli) sarà messo in condizione di percepire il valore che quello spazio ha per voi.
4. C’è un momento della giornata che si presta di più?
La pratica non richiede una quantità smisurata di tempo libero: spesso basta davvero molto poco. Se ci si ritaglia lo spazio “interno”, il tempo lo si trova.
Capita a volte di rinunciare a qualcosa, che magari non durerebbe più di cinque minuti (la pratica all’inizio è così), e di procrastinarla in continuazione. Succede con vari aspetti della vita. Possono essere cose che ci sembrano molto difficili o che non giudichiamo fondamentali.
Qui ci viene in aiuto la precisione. Scegliete un momento della giornata preciso, anche solo per provare. Al mattino, dopo pranzo, la sera, durante i viaggi.
Vedete se funziona. Se riuscite a trovare un momento che sia “vostro” completamente, sarà quello il momento giusto, da poter trasformare in una “bella abitudine”.
5. Suoni o silenzio?
Dopo il tempo e lo spazio, bisogna anche trovare un modo. Decidere se essere accompagnati e guidati da una voce, da altri suoni, dal semplice (o forse tutt’altro che semplice) silenzio. Che peraltro contiene sempre dei suoni.
Cosa ti aiuta di più a “sentirti”?
A volte la voce-guida ti riporta all’attenzione meglio di te stesso, quando i tuoi pensieri vagano e senza un padrone si perdono nelle strade da loro stessi costruite.
Altre volte ci riesci già da solo.
Farsi accompagnare non è segnale di debolezza. Non è neanche detto che non si possa meditare integrando più modi e metodi.
Se vuoi provare a farti guidare da alcune tracce audio, qui ne puoi trovare alcune (Clicca sulla parola qui). Sul canale you tube del Centro studi puoi trovare anche video, oltre che moltissime pratiche divise in Playlist. Se puoi, non usarle come un cioccolatino da gustare per tirati su: segui un percorso, in modo da mettere i semi perché la pratica diventi davvero una bella abitudine.
6. “Non ci vuole mica una scienza?!?” Invece sì.
La mindfulness è una ricerca in prima persona. E, come tutte le ricerche, richiede un’attenta osservazione. Perché è un metodo per investigare le relazioni tra gli eventi che accadono (interno o esterni che siano) e i loro effetti su di noi.
La scienza è in grado di formulare delle ipotesi e di dire: “Lo stress può avere un impatto sullo stomaco”. Ugualmente, con l’osservazione, diventiamo consapevoli del rapporto tra il nostro corpo e la nostra testa: “Quando sono stressato mi fa male lo stomaco”.
La differenza sta proprio nel punto di vista. Con la mindfulness si parla in prima persona e si sperimenta sulla pelle. Allo stesso tempo si mantiene uno sguardo non condizionato, esattamente come nella scienza, e nulla si dà per scontato. Questa attitudine scientifica è fondamentale affinché la pratica possa essere uno strumento utile e costruttivo.
Allora qual è il modo giusto per meditare?
Quello attento, curioso, disposto alla ricerca. Anche scettico, se necessario.
Quello di scegliere, sperimentare, non fermarsi mai.
Per cui non esiste la parola fine.
©Il team di Bioenergetica e Mindfulness 2016 Foto di © nickkclapson © Globalista1 © Jenn Phatiphong
I prossimi protocolli
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