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stress relazionale

I barattoli del rancore

23/10/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Capita a tutti di voler o dover fare delle scelte razionali. Sappiamo cosa è giusto e come dovremmo fare e ci apprestiamo a farlo.

Spesso tanta lucida razionalità non illumina la nostra vita ma ci rende, invece, irrequieti e pieni di proteste.Succede perché quello che sappiamo razionalmente giusto ci appare, emotivamente, ingiusto.Non rispettoso delle nostre emozioni e non espressivo delle nostre ragioni più profonde. Queste emozioni di protesta continuano a rimanere sullo sfondo ma fanno rumore come se fossero in primo piano. Le mettiamo chiuse in un barattolo, come quello delle conserve: dentro hanno un mix di rabbia e tristezza. Fanno rumore come le onde del mare: un rumore fatto di tensione nel corpo e di chiusura nel cuore. Questa situazione accade proprio dentro alle relazioni più importanti. Le relazioni superficiali non meritano un’emozione stagionata come la protesta e il rancore, non hanno la profondità necessaria per farle emergere.

Facciamo una scelta che crediamo sia protettiva della relazione. Cediamo, malvolentieri, e andiamo così a nutrire una coda di risentimento che darà, prima o poi, i suoi frutti, magari con la persona sbagliata. A volte chiamiamo questo modo di procedere razionale; questa però non è razionalità. È  un sacrificio che chiediamo a noi stessi: potremmo evitarlo? E se non possiamo evitarlo possiamo darci conforto?

La razionalità, senza affetto per noi, non è utile. Abbiamo bisogno di trovare una posizione che esprima un accordo tra le diverse parti di noi. Come possiamo pensare che una scelta che nasce da un disaccordo interiore porti la pace?

Ho capito cos’ è la vacuità: non è il vuoto. È quella discrepanza che si crea tra la situazione in cui ti trovi e quella in cui pensavi di essere. Scopri improvvisamente che tutta una serie di certezze, date per scontate, non sono affatto certe. Ti accorgi di quanto sei stata ingenua e di quanto la sensazione di sicurezza che provavi fosse solo una maschera apparente. Genitori di sé stessi: Mindfulness e Reparenting (la pietra filosofale) by Nicoletta Cinotti

Pratica di mindfulness: Cullare il cuore

© Nicoletta Cinotti 2023 Reparenting

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Raddrizzare la luna storta

21/10/2023 by nicoletta cinotti

108 riflessioni buddiste per brontolare verso la felicità

Un fisico diventato monaco buddista è l’autore di questa raccolta di storie. Si chiama Ajahn Brahm e di lui ti avevo già parlato per la recensione di “Una camionata di merda”,uscito sempre con la stessa casa editrice, Ubiliber, la casa editrice dell’unione buddista italiana.

Il libro ha tanti meriti: ogni storia è un piccolo grande insegnamento fatto con animo leggero. I temi che tocca sono quelli del rimuginino quotidiano e per questo motivo sono tutti interessanti. Che sia accettare le rotture e l’impermanenza oppure fare i conti con. la nostra tendenza a giudicare, le sue riflessioni sono le domande più comuni rispetto al nostro desiderio di felicità e alla nostra tendenza a fare esattamente quello che ci renderà infelici. Alcuni di questi racconti sono perle che hanno anche valore clinico. Per esempio la storia numero diciannove “Descrivere l’ansia” non è altro che quello che farebbe un buon psicoterapeuta mindfulness based: le aveva dato degli strumenti ma, soprattutto, aveva restituito fiducia in sé stessa alla ragazza che si trovava intrappolata nell’evitamento prodotto dall’ansia. La storia numero cinquanta è dedicata a “Curare la depressione”. In questo caso la soluzione è molto meno clinica: se sei depresso fai qualcosa di buono per una persona che ha bisogno e ne riceverai in cambio molto di più di quello che hai dato

Il tema complessivo del libro è cosa facciamo per renderci infelici e cosa potremmo fare di concreto per smettere di brontolare per la nostra infelicità, accettando che la maggior parte del tempo della nostra vita passa nella transizione tra uno stato momentaneo di felicità e uno di infelicità. Il problema, come dice Ajhan Brahm è che ci vogliono in media quindici secondi di lodi continue perché esse siano percepite mentre la critica, invece, colpisce subito il bersaglio!

Alla fine, essendo il suo pensiero molto controintuitivo Ajhan elargisce due tipi di permessi. Li trovi qui sotto. Stampa quello che ti sembra giusto per te!

© Nicoletta Cinotti 2023 Addomesticare pensieri selvatici

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L’inquietudine e la pausa

18/10/2023 by nicoletta cinotti 4 commenti

Sono moltissime le cose che facciamo per mettere il silenziatore alla nostra inquietudine. E altrettante quelle che facciamo perché non tolleriamo la pausa. Spesso questi due aspetti sono collegati: non tolleriamo la pausa, la sospensione, il silenzio perché l’inquietudine si fa sentire. L’azione – e le parole – ci permettono di dare una forma all’energia che spinge e anima la nostra inquietudine.

Eppure l’inquietudine non è che una voce, a volte forte, che ci chiede di essere ascoltata. È la nostra voce.

Ogni volta che agiamo reattivamente non ci permettiamo di ascoltare quello che sta davvero accadendo ma attiviamo il solito pilota automatico. Nelle relazioni il pilota automatico vuol dire agire sulla base di un pre-giudizio, sulla base delle nostre esperienze passate. Sulla base della categoria del piacevole o della spiacevole. Eppure, malgrado la nostra profonda convinzione, il piacevole non vuole sempre dire sicurezza e lo spiacevole non vuole sempre dire pericolo.

Praticare Pausa nelle relazioni non richiede tempo: significa riconoscere che ciò che ci sembra spontaneo spesso è reattivo e predeterminato dal nostro passato. Che più l’emozione è intensa più acquistiamo una vertiginosa velocità reattiva. Che reagendo ci convinciamo che il nostro dolore passato sia ancora presente, anche se non è vero. Che tante cose, se aspettiamo, si trasformano, senza bisogno di trovare una soluzione a tutto.

Più esploriamo quello che accade senza agire più acquistiamo una tendenza nuova: la consapevolezza

Fermarci ci orienta alla calma, al rallentare, al vedere noi stessi in una cornice di riferimento più ampia. Quando facciamo Pausa diminuisce l’attaccamento al dolore, si ha una momentanea sospensione della reattività alla rabbia, ci si rende conto della vacuità dei fenomeni, o, forse, si conosce la pace. Gregory Kramer

Pratica di mindfulness: Praticare pausa

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo di mindfulness interpersonale

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Tornare adolescenti

30/09/2023 by nicoletta cinotti

Da innamorati torniamo adolescenti, con le stesse incertezze e le stesse eroiche grandiosità. Possiamo viaggiare tutta la notte per fare una sorpresa e, nello stesso tempo, sentirci imbarazzati perché abbiamo un po’ troppa pancia. Proprio come adolescenti possiamo fare di tutto per attirare l’attenzione e poi nasconderci aspettando che ci vengano a cercare. Visto che l’innamoramento è uno stato nascente, è pieno di promesse: alcune si realizzeranno, altre no. È importante riprendere il senso della possibilità, uscire dall’impressione che la nostra vita scorra su binari troppo conosciuti. È questo quello che rende l’innamoramento così simile alla mindfulness. Anche le cose che normalmente ci disturbano diventano di secondaria importanza, almeno per il momento perché poi, quando l’innamoramento diventa una relazione stabile e duratura, tutto può cambiare. Nel passaggio dall’innamoramento all’amore facciamo, molto spesso, il percorso inverso. Iniziamo a pensare che, se l’altro ci ama, non dovrebbe mai fare qualcosa che ci disturbi. Ovviamente non è vero e, soprattutto, questo genera un rapporto basato sull’accondiscendenza più che sulla sincerità. La diversità è una risorsa e il modo migliore per accoglierla è proprio lo stesso che abbiamo quando siamo innamorati: interesse, curiosità e non giudizio. Non è detto che ignoriamo la diversità dell’altro ma, nella fase dell’innamoramento, ci appare, giustamente, come una possibilità in più e non come una minaccia–cosa che spesso accade quando la relazione diventa più stabile. In fondo, innamorarsi è arrendersi, ma la capacità di arrendersi all’amore è molto condizionata dal nostro carattere: se abbiamo bisogno di dominare, sarà per noi molto difficile farlo. Arrendersi non vuol dire diventare accondiscendenti, anzi è proprio l’opposto: significa permettere che l’altro sia così com’è e consentire a noi di essere proprio come siamo; significa accogliere la possibilità di diventare diversi senza sforzarsi nella direzione di un cambiamento voluto. Accettare di essere differenti non è un obbligo, altrimenti diventa uno stress inutile e intenso. In qualche modo, impariamo ad amare nello spazio che le nostre difese lasciano libero alla possibilità di aprirsi.”

— Amore, mindfulness e relazioni: Qualità mindful per amare senza equivoci by Nicoletta Cinotti. Gratis su Kindle Unlimited

Per la Rubrica di recensioni e citazioni “Addomesticare pensieri selvatici”

© Nicoletta Cinotti 2023

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Uscire dall’imbuto

27/08/2023 by nicoletta cinotti

La nostra mente di povertà funziona come un imbuto. Ci fa andare avanti in una direzione via via sempre più stretta. Siamo convinti che la direzione, la via d’uscita, sia davanti a noi. Man mano che procediamo tutto diventa più oppressivo ma noi andiamo avanti fino alla fine. A quel punto rimaniamo incastrati perché l’uscita è troppo piccola. Questa descrizione ti ricorda qualcosa? A me sì, ricorda la sensazione di oppressione che a volte provo nell’andare avanti a testa bassa. Allora qual è la via d’uscita? Finire tutto il lavoro che ho in programma di fare? Vedere il risultato di qualche nuovo progetto? No, in realtà questo non fa che aggiungere stress allo stress. La via d’uscita è girarsi indietro, fare retromarcia, uscire dalla mente di povertà per entrare, finalmente, nella mente di abbondanza.

La mente di povertà e la mente di abbondanza

La nostra mente di povertà ha tre braccia: la wanting mind, la wandering mind e la comparing mind che hanno un unico grande effetto: ci sintonizzazno su quello che manca e sul desiderio di ottenerlo ma funzionano come la carota messa davanti all’asino per farlo camminare. La carota penzola di fronte a lui ma è legata ad un bastone e, per quanto cammini, rimane sempre alla stessa distanza. E così funziona la nostra mente di povertà. Ci fa credere che se andiamo avanti a testa bassa – e soprattutto con determinazione – raggiungeremo quello che ci manca. Ma non arriviamo mai e rimaniamo incastrati in questo disegno ostile che ci fa vedere solo la mancanza.

Se ci giriamo indietro possiamo iniziare a fare esattamente l’opposto: possiamo incominciare a mettere a fuoco tutto quello che abbiamo. È come se volessiomo cucinare un piatto con gli ingredienti che non abbiamo comprato, avendo la dispensa piena di ingredienti che già abbiamo. È un cambiamento di prospettiva piccolo ma significativo: incominciare a ragionare in base alle risorse che possidiamo, come recita la poesia di oggi, la famosa, Poesia dei doni di Jorge Luis Borges.

Non dare nulla per scontato

La nostra mente di povertà dà per scontato tutto quello che abbiamo che acquista valore solo quando abbiamo paura di perderlo. Ci rendiamo conto di quanto amiamo qualcuno quando temiamo che la relazione finisca. Oppure ci accorgiamo di quanto è preziosa la salute ogni volta che ci ammaliamo. Questo succede perché perdita e mancanza non sono la stessa cosa. La mancanza la avvertiamo sulla base della nostra wanting mind, la mente che desidera e che ci rende ostaggi di quello che non abbiamo realizzato. È una sofferenza che raramente percepiamo con chiarezza, quella che viene dalla sensazione di non essere interi, dalla sensazione, spesso sottile e sconosciuta, che qualcosa manchi. A noi o alla nostra vita.Non la sentiamo perché viene coperta subito da qualcosa. Un acquisto, una sigaretta, un boccone di cibo. Qualsiasi cosa che, in quel momento, ci da l’idea che sarà in grado di farci sentire più felici.Quando affidiamo la nostra felicità e il nostro senso di interezza a qualcosa di esterno iniziamo a percorrere una strada che ci condurrà presto alla delusione. Non c’è nulla che il mondo possa darci per questa sottile sensazione di mancanza o di perdita.

Tradiamo noi stessi se pensiamo che avere quel pezzetto in più ci renderà felici. Vogliamo quello che non abbiamo, spinti dalla nostra wanting mind a cercare all’esterno anziché dentro. E quindi paragoniamo la nostra vita a quella altrui, la nostra storia a quella altrui, confondendo la felicità che vediamo negli altri con il possesso e rendendoci così ostaggio di quello che non abbiamo ancora realizzato.

Perché non rendere onore invece a quello che abbiamo già realizzato? Quando lo facciamo pratichiamo una goccia di gratitudine che distende il cuore e la mente.

 

Prova a riflettere su questi tre aspetti:

  • ho bisogno di qualcosa in più per essere grato o felice, un’atteggiamento che alimenta il senso di scarsità
  • non devo niente a nessuno, un atteggiamento che alimenta un fallace senso di invulnerabilità
  • mi merito di più (o non mi meritavo questo) come se per qualche misterioso fattore ci meritassimo solo cose belle e invece i guai fossero riservati solo agli altri

Adesso prova a fare il movimento opposto, a voltarti indietro, a camminare verso l’imboccatura larga dell’imbuto invece che dalla chiusura stretta:

  • di cosa potresti essere grato o grata adesso?
  • chi ti ha aiutato nei momenti difficili? Quali sono stati gli incontri, diretti o indiretti, che ti hanno aiutato ad essere come sei adesso? Includi i libri, i viaggi, le persone incontrate per caso e le amicizie durevoli
  • guarda quali sono stati i regali inaspettati i che la vita ti ha fatto. Quello che hai ricevuto senza aver fatto qualcosa di specifico per meritarlo. Se sposti lo sguardo a ciò che già hai puoi dire, onestamente, che nulla è stato un regalo e che tutto è stato meritato?

Coltivare la mente di abbondanza

Come mai la mente di abbondanza va coltivata e la mente di povertà sembra, invece, spontanea o naturale? La ragione è che la sopravvivenza è il nostro primo istinto, la gratitudine, la  sensazione di abbondanza invece richiedono un’attenzione intenzionale perchè siano percepite. Ecco perché la pratica di mindfulness è importante: perché ci aiuta a coltivare l’intenzionalità che non è la volontà di raggiungere quello che ci manca: è l’intenzionalità di coltivare stati mentali salutari perchè il vero danno della mente di povertà è che porta emozioni afflittive.

Cos’è che guida la nostra generosità, un’emozione tipica della nostra mente di abbondanza? Cos’è che ci permette di condividere con gli altri ciò che abbiamo?

Spesso mi faccio questa domanda e cerco di mettere in relazione i miei bisogni e il desiderio di condividere quello che posso condividere.

La chiave mi sembra che stia proprio nella percezione del bisogno. Nell’attimo in cui condividiamo con un’altra persona qualcosa che ci appartiene, in senso materiale o immateriale, in quel preciso momento il rumore del nostro bisogno è attenuato mentre è aumentato il volume della fiducia e del senso di comune umanità condivisa. Essere generosi è l’espressione della nostra mente dell’abbondanza, la percezione che possiamo dare perché ci sentiamo in una situazione di prosperità: è questo che ci rende generosi. Se, invece, la nostra mente di povertà è attiva – la mente che ci fa vedere solo quello che manca – il nostro bisogno, vero o presunto che sia, ci sembrerà sempre più grande del piacere di condividere.

La cosa interessante è che la generosità ha un doppio ritorno: condividendo nutriamo la percezione di abbondanza e abbassiamo la paura di perdere, di non avere, di non  essere abbastanza. Sembra una magia ma non è così: finiamo per assomigliare a quello che facciamo.

Il vero trucco, se di trucco possiamo parlare, è non scambiare la generosità per lusinga: non possiamo comprare nessuno con la nostra generosità. Né usare la generosità per lustrare la nostra immagine. Sarebbe una visione condizionata e condizionante di noi stessi che ci renderebbe ancora più vittime della mente di povertà. Essere generosi è il movimento che guida la nostra vita e la porta fuori dalla stagnazione. Ci sono infiniti atti di generosità nel nostro corpo: la generosità dell’incessante lavoro del cuore, dei polmoni, della pelle. Basta seguire il loro esempio per restituire alla nostra vita quel fluire di cui abbiamo bisogno per crescere. In fondo cos’è più generoso di una finestra?

© Nicoletta Cinotti 2023

 

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La differenza tra distacco e distanza

25/08/2023 by nicoletta cinotti

Nell’intimità delle nostre relazioni sperimentiamo molte forme di distanza. A volte si tratta di una distanza fisica – siamo lontani – a volte si tratta di una distanza emotiva – abbiamo prospettive diverse – ma la distanza non è pericolosa fino a che non diventa distacco.

Quando la distanza diventa distacco vuol dire che quel misterioso filo che ci unisce – e che io immagino proprio come il filo di un gomitolo – si è rotto o è diventato troppo sottile. In quello spazio creato dal distacco possono entrare molte persone, possono entrare diverse emozioni. Emozioni che per una relazione affettiva sono difficili da tollerare. In quel distacco le caratteristiche dell’altro diventano difetti. Quello che prima accoglievamo, diventa irritante e così tutto è più freddo e anaffettivo. Le relazioni possono sostenere la distanza ma non il distacco. E, con il tempo, anche una distanza prolungata può diventare un distacco.

Poi ci sono quelle relazioni in cui, malgrado i giorni, gli anni che ci separano, ritrovarsi insieme è sempre facile. Quegli amici che, anche a distanza di anni, è come se li avessi appena salutati. Perché niente ha reso sottile il filo che ci univa.

Anche con noi stessi possiamo coltivare distanza o distacco. A volte abbiamo bisogno di prendere distanza da certe emozioni per non farci trascinare ma non possiamo davvero pensare di diventare distaccati da noi stessi senza che questo abbia conseguenze. Quando siamo distaccati da quello che ci accade perdiamo la capacità di provare compassione per noi. Perdiamo la capacità di sentire e di sentirci. Entriamo in quella famigerata modalità da pilota automatico innescato che ci permette – forse – grandi performance e offre bassa soddisfazione. Il distacco si riconosce facilmente perché tutto perde sapore e anche le esperienze più belle sembrano un po’ sintetiche e innaturali. Siamo efficienti e, nello stesso tempo, incapaci di gustare il piacere della vita

“Coltivare la flessibilità tra vicinanza e distanza è un’ottima garanzia di salute per una relazione e il momento migliore per iniziare a farlo è proprio quando siamo innamorati.”— Amore, mindfulness e relazioni: Qualità mindful per amare senza equivoci by Nicoletta Cinotti

Pratica di mindfulness: Comprendere le notizie del cuore

© Nicoletta Cinotti 2023 Il Programma di Mindful Self-compassion online

 

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