
Chi lavora nell’area della psicoterapia è abituato a pensare all’aspetto psicologico delle difese ma, molto spesso, non coglie il correlato corporeo che accompagna tutte le difese psichiche.
Per la bioenergetica è l’opposto. Cogliamo l’aspetto corporeo della difesa ma spesso ci dimentichiamo, o sottovalutiamo, l’organizzazione psichica corrispondente perchè siamo convinti che, una volta sciolta la difesa psichica, tutto il resto tornerà a posto da solo. È una fiducia nelle capacità di autoregolazione che rischia di farci dimenticare il ruolo della mente nel riattivare – attraverso il pensiero – vecchi schemi di comportamento e vecchie emozioni.
Perchè lasciar andare
Tutte le difese corporee si collocano su un continuum tra un eccessivo aggrappamento e una eccessiva remissione. Lowen definisce questo continuum una oscillazione tra la ribellione e l’accondiscendenza. Visto in termini mentali potremmo dire che, da un lato stanno le modalità avversative su base aggressiva e, dall’altro lato, stanno le modalità di freezing basate sulla paura o sull’iperadattabilità. In ogni caso però, dal punto di vista mentale, si assiste ad una sorta di aggrappamento perchè quale che sia la nostra modalità difensiva prevalente abbiamo la ferma convinzione che lasciarla andare ci metterebbe in una condizione di eccessiva vulnerabilità.
La paura della vulnerabilità
La paura della vulnerabilità è una paura di base molto forte e ancestrale: siamo convinti di essere in pericolo e siamo predisposti per cogliere, in modo preferenziale, tutti i segnali che possono avvisarci di un pericolo immanente. Questo fa sì che le nostre difese di base siano permanenti. Saperle allentare però è fondamentale perchè le difese comportano anche una tensione che rinforza la sensazione di pericolo. Il fatto che siano attive ci fa vedere di più i pericoli ma ce li fa anche “immaginare di più” e questo non è salutare!
Inoltre, culturalmente, la nostra società rafforza moltissimo l’idea che si debba essere migliori e al di sopra delle difficoltà. Quindi molte delle nostre difese hanno questa base e questa radice: l’intellettualizzazione, la sublimazione, l’idealizzazione, le modalità perfezionistiche hanno tutte questa origine che è culturale ed educativa insieme. A queste difese psichiche corrispondono precise risposte corporee: scissione mente/corpo, tensioni al collo, tensioni al diaframma, poco radicamento a terra e un prevalere del radicamento al cielo, ossia a quella fiducia nelle idee che fa sì che i nostri pensieri siano considerati come veri e tangibili: più reali delle sensazioni.
Iniziare il lavoro sulle difese
Il primo passo per una salute vitale sta proprio nell’aprire un varco rispetto a questa paura della vulnerabilità: abbiamo bisogno di essere più vulnerabili per uscire dalla ripetitività della percezione e degli schemi di pensiero costruiti dalle nostre difese. Abbiamo bisogno di farlo lavorando sui due fronti, quello corporeo e quello mentale. Le pagine più belle che ho letto su questo argomento sono di Pema Chodron: non è una psicoterapeuta ma una insegnante di meditazione della tradizione Shamabala. Sottolinea ripetutamente, nei suoi interventi, l’importanza dell’imparare a stare nell’incertezza e nella vulnerabilità come modo per cogliere creativamente le opportunità del presente.
Ovviamente questo lavoro sulla vulnerabilità è anche il cuore delle nostre difese. Nel farlo infatti andiamo sempre a toccare il trauma che sta dietro. E quindi non è un lavoro che può essere compiuto con troppa enfasi: è un lavoro in cui alla forza del lavoro corporeo è necessario che si accompagni la dolcezza della mindfulness e della profondità della consapevolezza.
Inoltre attorno alle nostre difese si organizza il nostro dialogo interiore e quindi è necessario lavorare saggiamente du questo dialogo andando incontro alle sue diverse sfumatura
Il succo del nostro dialogo interiore è spesso legato al fatto che ci rendiamo conto che non siamo nella situazione in cui vorremmo essere. E quindi ci incitiamo a cambiarla. Bene: rovesciamo la logica. Anziché incitare il cambiamento, proviamo a passare dalla parte dell’altro – quello che dovrebbe ubbidire – e chiediamogli perché fa così. Forse le nostre informazioni ne sarebbero fortemente arricchite.
In genere infatti il nostro dialogo si basa sul fatto che uno è nel giusto e l’altro è nello sbagliato. Uno sa che cosa si dovrebbe fare e l’altro no. Si basa su un giudizio e su una direzione. Proviamo invece a lasciare sospeso il giudizio ed esplorare come mai siamo a quel punto: potremmo scoprire che quella situazione copre qualche nostra nascosta necessità. In questo modo il lavoro sulle difese – dal punto di vista verbale – non inizia dal cogliere la prospettiva della parte di noi che vuole cambiare ma dal cogliere la prospettiva della parte di noi che vuole rimanere aggrappato alle difese.
La forza del respiro
Come sappiamo il respiro gioca un ruolo chiave in tutte le difese corporee perchè la riduzione nella lunghezza del respiro ha proprio la funzione di non farci sentire emozioni che riteniamo disturbanti. Non è una scelta pacifica però: una parte di noi vuole vivere di più, sentire di più, avere più libertà. Quindi da una parte vogliamo rimanere ancorati alla nostra difesa – soprattutto dal punto di vista corporeo – e dall’altra vogliamo essere più liberi. Questo struttura un’area di conflitto cronico che si esprime attraverso il dialogo interiore. È come se ci fossero due giocatori: uno più esteriore e uno più interiore. Dalla qualità di questo conflitto possiamo cogliere l’area di sviluppo prossimale della psicoterapia e quanto cambiamento è realmente possibile per la persona. Per esplorare l’area di sviluppo prossimale in psicoterapia abbiamo bisogno di lavorare sulla lunghezza del respiro: un respiro che rimane accorciato lascia la persona immobile. Un respiro che si “allunga” oltre le possibilità mentali della persona la lascia, invece, spaventata. Quindi abbiamo bisogno di procedere con lentezza perchè l’allungamento del respiro sia adeguato.
[box] Dal crepacuore ci difendiamo rinunciando ad amare e dalla morte rinunciando a vivere. Alexander Lowen[/box]
Le difese corporee hanno radice in 5 movimenti fondamentali: servono per tenerci insieme e quindi lavorano per la coesione del Sé. In questo caso tutti i movimenti espansivi incontrano fatica e resistenza. Servono per darci sicurezza e quindi alimentano tutti i movimenti di aggrappamento. Servono per tenere dentro i propri contenuti e quindi nascondere le parti per le quali proviamo vergogna, servono per tenerci al di sopra degli altri e delle nostre difficoltà e per tenerci indietro. Lavorare sul corpo significa incontrare prima il movimento originario e poi il movimento opposto. Quindi anziché tenerci insieme, aprire; anziché aggrapparci lasciar andare; anziché tenere dentro, fiorire; anziché tenerci sopra lasciar essere; anziché tirarci indietro protenderci.
La mappa bioenergetica e il lavoro corporeo
Negli ultimi decenni il ruolo del corpo nello sviluppo psichico non è più stato secondario. Ormai tutti parlano dell’importanza dell’esperienza e della necessità di lavorare sul corpo per permettere un cambiamento che abbia radici nella realtà dell’esperienza. Nello stesso tempo i criteri per questo lavoro risultano sempre più confusi. Lo Yoga, il Feldenkrais, l’Osteopatia e molte altre discipline diventano strumenti psicoterapici senza che ci sia una chiarezza nell’utilizzo di questi metodi e, soprattutto, spesso senza che ci sia una reale padronanza dei processi mentali, oltre che corporei, che attivano. In questo modo ottimi approcci diventano tecniche strumentali: in realtà rischiamo di trasformare tutto in una strategia di cambiamento.
Lasciar andare non è una strategia di cambiamento: qualcosa che facciamo perchè così – magicamente – le cose siano diverse. È un lavoro profondo, solo in parte sotto il controllo volontario, in gran parte retto da processi corporei che non azioniamo con la volontà. Così, a volte, mi sento dire “Ho lasciato andare questo e quello e quell’altro ma non è cambiato nulla. Come mai?”. Lasciar andare non è qualcosa che si misura con la volontà: se “lasciamo andare nella mente” ma non nel corpo quella che facciamo è una strategia e, prima o poi ci ritroveremo aggrappati alle difese passate con la solita forza di prima. Mi dispiace non funziona così! Così come bioenergetica e mindfulness non significa fare prima bioenergetica e poi fare mindfulness, come vedo sempre da più parti. Significa mischiare, contaminare l’una con l’altra fino a che l’insieme sia forza e dolcezza, grazia e grinta, vulnerabilità e forza vitale, autenticità e verità. Tutte cose che richiedono tempo.
[box] Come pensatori illuminati separiamo, purifichiamo e opponiamo per amore della chiarezza. Cosa succederebbe se percorressimo un sentiero diverso e mischiassimo, contaminassimo e unissimo per amore della complessità? Francisco Varela[/box]
C’è una lentezza nell’acquisizione di una pratica, una lentezza che ci offre profondità. Se mettiamo troppo velocemente insieme le cose – se facciamo troppo “Copia e incolla” – non rendiamo onore a noi stessi né onore all’autenticità del processo. È un peccato di onestà: non onoriamo la nostra unicità.
© Nicoletta Cinotti 2017
Eventi correlati
[ecs-list-events design=”columns” limit=’15’ thumb=’true’ thumbheight=’550′ viewall=’false’ venue=’true’ contentorder=’date, title,venue, excerpt, thumbnail’ buttonbg=”#038793″ buttonfg=”white” button=”Informazioni” cat=”— — Gruppi terapeutici, — Analisi bioenergetica” ]
Foto di © Alessandro Giorgi Art Photography