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tensioni

Dare voce al corpo

19/11/2023 by nicoletta cinotti

Spesso, troppo spesso, diamo attenzione al corpo attraverso la voce del rimprovero o dell’estetica. Lo rimproveriamo se non funziona bene, alimenta i nostri incubi ipocondriaci, somatizza le nostre tensioni, racconta i nostri desideri estetici ma è davvero raro che possa essere ascoltato senza giudizio. Lo imbrigliamo attraverso la tensione, lo intrappoliamo attraverso le somatizzazioni.

Uno dei nuclei principali del lavoro bioenergetico è lo scioglimento dei blocchi e delle tensioni croniche. Lavoriamo per sciogliere il corpo perchè queste tensioni – espressione delle nostre difese – mantengono vivo il nostro radicamento nella situazione traumatica del passato.

Gli schemi di reazione allo stress sono strutturati nel corpo e fanno parte di un atteggiamento del carattere dell’individuo. Alexander Lowen

Per quanto possa apparire paradossale noi costruiamo le nostre difese dopo che si è verificato l’evento critico e, quindi, ogni difesa ha un carattere anacronistico: è chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati. Di fatto la difesa compie anche un’altra funzione: permette un ritiro che dovrebbe essere riparativo. Il problema è che se non manteniamo flessibilità e vitalità non riusciamo ad uscire da questo ritiro riparativo, lo consolidiamo e rimaniamo per un tempo esageratamente lungo nelle difese corporee. La bioenergetica si colloca qui: nel lavoro di scioglimento dei blocchi e delle tensioni che mantengono ancorati al passato e che non hanno una funzione riparativa.

La coscienza si schiude come il bocciolo di un fiore, in modo così graduale che non è possibile percepire il cambiamento. Eppure la nostra coscienza può distinguere degli stadi, che possiamo descrivere per il gusto dell’analisi. La memoria ha un ruolo importante nella funzione della coscienza. Alexander Lowen

Che cosa significa sciogliere le tensioni?

Le tensioni e contrazioni difensive hanno una struttura particolare: sono tensioni circolari che non impediscono la funzione muscolare ma limitano la consapevolezza corporea. I movimenti che le allentano sono essenzialmente di due tipi: movimenti di allungamento e movimenti rotatori. I movimenti di allungamento facilitano, in modo diretto e indiretto, la lunghezza dell’atto respiratorio. Quelli rotatori allentano l’anello di tensione vero e proprio. Per facilitare il processo di scioglimento in bioenergetica usiamo il suono: le vocalizzazioni che sono connesse all’emozione che è rimasta “impigliata” nell’esperienza. Ripristinare l’equilibrio tra la consapevolezza corporea e l’atto espressivo è un passo squisito della bioenergetica. Moltissime persone hanno sperimentato come non basta essere consapevoli per stare meglio. Abbiamo bisogno che la nostra consapevolezza realizzi anche espressivamente una differenza nella nostra vita. Così, passando attraverso l’espressione primitiva del suono diamo voce all’aspetto non verbale delle nostre emozioni. È questo passaggio che ci restituirà la declinazione verbale.

 L’impiego delle parole giuste è una funzione energetica perchè è una funzione della coscienza. È la consapevolezza dell’esatta corrispondenza fra una parola (o una frase) e una sensazione, fra un’idea e un sentimento. Quando le parole sono connesse o combaciano con le sensazioni, il flusso energetico che ne risulta fa aumentare lo stato di eccitazione della mente e del corpo elevando il livello di consapevolezza e la messa a fuoco. Alexander Lowen

Andare in profondità

Questo è il primo livello di lavoro che facciamo per sciogliere le tensioni. Il lavoro però non si ferma qui: andiamo più in profondità ossia andiamo ad esplorare due aspetti dell’atteggiamento difensivo e della corrispondente tensione: l’accettazione e la reattività.

La base della risposta difensiva è un aspetto avversativo. È successo qualcosa che non volevamo e che non vogliamo si ripeta. Ci poniamo quindi in una posizione oppositiva rispetto alla realtà. Questa lotta – come accade in tutte le opposizioni – lascia ingabbiati nella situazione. Lottando contro non abbiamo più le energie a disposizione per andare avanti. Rimaniamo fissati, in opposizione, al nostro nemico e impegniamo tutte le nostre energie in questa lotta. Anche in questo caso abbiamo una modalità di risposta muscolare: blocchiamo un movimento spontaneo opponendo una forza muscolare contraria.

Nutriamo così la non accettazione che si manifesta, dal punto di vista comportamentale, con la reattività. Di fronte a stimoli che ci ricordano il trauma originario diamo adito ad una schema di risposta automatico e reattivo che può essere scambiato per spontaneità ma è tutt’altro. In questo punto molto spesso il processo di cambiamento e trasformazione si arresta. Ci sembra che la parola accettazione sia scandalosa mentre la parola opposizione diventa magica, come se avesse la forza di cancellare quello che è successo. Non è così. Accettazione non significa invocare il dolore: significa riconoscere la presenza di quell’evento nella nostra vita e riconoscere il danno che ha portato alla fiducia e all’apertura del cuore.

La reattività

Possiamo scambiare la reattività per spontaneità. E spesso i comportamenti reattivi – che comportano una scarica emotiva e fisica – possono dare un sollievo momentaneo. Ma non è difficile distinguerli dalla spontaneità: sono ripetitivi e non portano davvero avanti ma lasciano la persona sempre nello stesso posto.

Nel comportamento reattivo c’è un aspetto che è solo apparentemente spontaneo, in quanto è condizionato e predeterminato dalle esperienze precedenti. Chi va su tutte le furie ogni volta che viene frustrato può dare una espressione di spontaneità ma la qualità esplosiva della reazione lo smentisce. L’esplosione deriva dal blocco degli impulsi, dietro a cui si crea un accumulo di energia che una lieve provocazione basta a scatenare. Il comportamento reattivo deriva da una interferenza con il fluire degli impulsi ed è espressione di una situazione di blocco all’interno dell’organismo. Alexander Lowen

Quindi, quando lavoriamo sulle tensioni, possiamo dire che superficialmente lavoriamo sull’aspetto muscolare ma in profondità lavoriamo per ampliare la capacità di accettare per diminuire l’aspetto di reattività.

Il ruolo dell’attenzione

L’aspetto di movimento della bioenergetica, prodotto dagli specifici esercizi, non sarebbe sufficiente se non utilizzassimo una qualità cognitiva: l’attenzione. Tutti gli esercizi, perché siano efficaci, vanno compiuti in modo non meccanico, portando l’attenzione al corpo. L’attenzione è un passaggio fondamentale perchè aumenti la carica e si arrivi allo scioglimento. C’è una relazione positiva tra consapevolezza e attenzione che fa sì che l’una aumenti l’altra. E insieme collaborino per quello scioglimento che integra consapevolezza, padronanza di sé e capacità espressiva.

Diamo voce

È arrivati a questo punto che possiamo dare voce a chi siamo davvero. È arrivati a questo punto che le nostre parole sono davvero espressive della nostra consapevolezza. Vanno al di là delle narrazioni schematiche che abbiamo imparato sull’argomento della nostra vita. È arrivati a questo punto che possiamo dire cos’è – davvero – la nostra esperienza. E possiamo – davvero – declinarla al tempo presente in modo pacifico anche se raccoglie lampi di conflitto. La pace è disegnata dallo scioglimento e dall’accettazione e non dall’assenza di tensione o di confltto. Non possiamo essere in pace solo quando non c’è conflitto. Vogliamo la pace anche quando attraversiamo tempeste che non dipendono dalla nostra volontà e che non possiamo controllare.

Le parole svolgono a livello individuale la stessa funzione che svolgono per la società. La storia viva di una persona è registrata nel corpo ma la storia cosciente lo è nelle parole. Se manca la memoria delle esperienze mancano anche le parole per descriverle. Alexander Lowen

Ecco perchè le meditazioni narrative sono impprtanti: portano pace attraverso le parole e accarezzano le tensioni del corpo, come potresti aver sperimentato con le pratiche dedicate alla pace della scorsa settimana (sono le ultime pratiche che trovi sul Canale YouTube)

A sostegno delle pratiche narrative il lavoro proposto dal protocollo di mindfulness interpersonale ci aiuta a portare consapevolezza nell’area delle relazioni e della comunicazione

Le citazioni di Alexander Lowen sono tratte da Bioenergetica

Se vuoi approfondire il processo della mindfulness interpersonale ti suggerisco Mindfulness relazionale di Gregory Kramer

© Nicoletta Cinotti 2023

Attività correlate

Il protocollo di Mindfulness interpersonale compie 10 anni. Festeggerò questo compleanno con la diretta di Sabato 2 Dicembre 2023 sul mio profilo Instagram alle 9

 

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Guarire, respiro dopo respiro

09/11/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Quando ci apriamo alla consapevolezza non è insolito che emergano sensazioni lungamente tenute sopite. Possono essere vecchi ricordi, possono essere emozioni della giornata che abbiamo tenuto da parte nello sforzo di controllare come stavano andando le cose.

In quel momento inizia un nuovo aspetto della nostra pratica: possiamo esplorare quel luogo – spesso ferito – oppure volgere lo sguardo altrove. A quello che abbiamo da fare, ai nostri programmi, alla ricerca della calma che sta dentro a molte delle intenzioni di pratica.

In realtà la pratica è la ricerca della consapevolezza: abbiamo bisogno della calma per andare in profondità ma la mindfulness non è, in se e per sé, un calmante. Può avere un effetto calmante ma è funzionale all’offrirci la possibilità di esplorare l’esperienza in corso. Così, quando nella nostra pratica emerge qualcosa che ci agita o ci turba, facciamo riferimento al respiro non per mandare via l’agitazione ma per avere il gentile coraggio di esplorare quello che sta emergendo. Sapendo che, questo venire a galla, è proprio l’aspetto curativo della pratica stessa. Può essere scomodo però guarisce. Guarisce perché non permette che avvenga la trascuratezza e l’evitamento nei confronti delle nostre ferite, dei nostri unfinished business. Guarisce perché offre un’attenzione affettuosa. Guarisce perché riconosce che c’è bisogno di cura, di soffermarsi, di guardare. Non guarisce perché ci calmiamo o perché ci forziamo a stare tranquilli. Ci calmiamo perché – respiro dopo respiro – veniamo guariti.

Rilassandovi nel momento, forse potete sviluppare una maggiore presenza al corpo. Le sue tensioni emergono nel momento presente in forma di sottili disagi (…) Invitate il corpo a lasciarsi andare senza combattere o resistere ma, piuttosto a cedere, ammorbidendosi. Gregory Kramer

Pratica del giorno: La classe del mattino

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo di Mindfulness interpersonale: un evento che avviene una sola volta all’anno. Non perderlo!

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Raddrizzare la luna storta

21/10/2023 by nicoletta cinotti

108 riflessioni buddiste per brontolare verso la felicità

Un fisico diventato monaco buddista è l’autore di questa raccolta di storie. Si chiama Ajahn Brahm e di lui ti avevo già parlato per la recensione di “Una camionata di merda”,uscito sempre con la stessa casa editrice, Ubiliber, la casa editrice dell’unione buddista italiana.

Il libro ha tanti meriti: ogni storia è un piccolo grande insegnamento fatto con animo leggero. I temi che tocca sono quelli del rimuginino quotidiano e per questo motivo sono tutti interessanti. Che sia accettare le rotture e l’impermanenza oppure fare i conti con. la nostra tendenza a giudicare, le sue riflessioni sono le domande più comuni rispetto al nostro desiderio di felicità e alla nostra tendenza a fare esattamente quello che ci renderà infelici. Alcuni di questi racconti sono perle che hanno anche valore clinico. Per esempio la storia numero diciannove “Descrivere l’ansia” non è altro che quello che farebbe un buon psicoterapeuta mindfulness based: le aveva dato degli strumenti ma, soprattutto, aveva restituito fiducia in sé stessa alla ragazza che si trovava intrappolata nell’evitamento prodotto dall’ansia. La storia numero cinquanta è dedicata a “Curare la depressione”. In questo caso la soluzione è molto meno clinica: se sei depresso fai qualcosa di buono per una persona che ha bisogno e ne riceverai in cambio molto di più di quello che hai dato

Il tema complessivo del libro è cosa facciamo per renderci infelici e cosa potremmo fare di concreto per smettere di brontolare per la nostra infelicità, accettando che la maggior parte del tempo della nostra vita passa nella transizione tra uno stato momentaneo di felicità e uno di infelicità. Il problema, come dice Ajhan Brahm è che ci vogliono in media quindici secondi di lodi continue perché esse siano percepite mentre la critica, invece, colpisce subito il bersaglio!

Alla fine, essendo il suo pensiero molto controintuitivo Ajhan elargisce due tipi di permessi. Li trovi qui sotto. Stampa quello che ti sembra giusto per te!

© Nicoletta Cinotti 2023 Addomesticare pensieri selvatici

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Quando le emozioni fanno ammalare?

24/06/2023 by nicoletta cinotti

Le emozioni sono il sale della vita, potremmo dire sinteticamente. Come il sale hanno bisogno di essere dosate. Troppo sale può rovinare una pietanza e renderla immangiabile. Oppure l’assenza di sale può suscitare un senso di delusione. Proprio come un incontro senza emozioni. Però se la quantità di sale dipende da noi spesso pensiamo spesso che le emozioni che proviamo non dipendono da noi. O meglio che dipendano da forze di cui non abbiamo padronanza. Arrivano, ci attraversano e se ne vanno.

I bambini capiscono le emozioni?

Abbiamo tutti l’esperienza della grande sensibilità che i bambini possono avere nei confronti delle emozioni. Eppure molte delle nostre difficoltà emotive hanno radice nella nostra infanzia. Come mai?I bambini provano emozioni con grande intensità ma molto spesso non sono in grado di comprenderle correttamente. O meglio le comprendono in una prospettiva egocentrica che fa credere loro di essere responsabili di tutte le cose che accadono: positive e negative.

In parte il senso di colpa nasce così. Accade un evento traumatico – come una separazione – e i bambini possono sbagliare valutazione e pensare che è colpa loro. Questo errore di valutazione emotivo infantile permane poi anche nell’età adulta. In qualche modo potremmo dire che non sono le emozioni ad essere un problema: lo sono le valutazioni che facciamo sulla base delle emozioni che proviamo. Due bambini – posti di fronte ad uno stesso evento – possono darne valutazioni completamente diverse a seconda del loro umore e della loro fiducia in se stessi. La valutazione del bambino più insicuro tenderà a conservarsi più a lungo – come se fosse messa sotto sale – perchè assocerà questa valutazione ad una protezione dal pericolo o dalla perdita e finirà per condizionare la sua visione del mondo. Questo, molto in sintesi, è il processo che facciamo e che rende le nostre risposte adulte più infantili di quello che vorremmo. L’unico modo serio per intervenire sui processi di valutazione emotivi è la consapevolezza. Ecco perchè una terapia dell’essere (consapevoli) può offrire risultati così buoni: perchè permette di intervenire sui processi di valutazione emotivi a partire non dal pensiero ma dalle emozioni stesse.

Facciamo un esempio

Le emozioni vengono suscitate da qualcosa nell’ambiente esterno o interno (per esempio una sensazione fisica) e vengono immediatamente classificate in aree: pericolo, provocazione, perdita.

Questa risposta utilizza l’esperienza che ci siamo fatti nel corso della vita. Quindi per me – che sono sempre vissuta in città – un animale selvatico riveste un senso di maggior pericolo che per una mia coetanea vissuta sempre in una zona boschiva. Se non siamo consapevoli di quello che succede – a livello fisico ed emotivo – passeremo velocemente ad agire la risposta abituale che però, può essere basata su un cattivo apprendimento infantile che, così, verrà ulteriormente rinforzato.

Andiamo più nel dettaglio con una emozione molto frequente: la rabbia. Mettiamo che abbiamo una propensione a considerare provocazione quello che ci accade. Una propensione molto alta a sentirci provocati a causa di una storia infantile in cui siamo stati molto sfidati. La nostra tendenza sarà quella di reagire aggressivamente con una facilità maggiore e quindi a ricevere più frequentemente risposte aggressive che consolideranno ulteriormente la nostra convinzione. Se però siamo consapevoli a livello fisico di quello che accade possiamo accorgerci del restringimento della spaziosità interna prodotta dall’aumento di tensione dei muscoli connessi all’espressione dell’aggressività. E riportare – attraverso il respiro – una maggiore spaziosità e un maggiore rilassamento muscolare.  A quel punto,  – se non siamo in una di quelle rare situazioni in cui è bene essere prontissimi – ci accorgeremo che sotto la rabbia sta un’altra emozione. Forse paura, vergogna, senso di esclusione. Dipende. E cercheremo di dare una risposta più adeguata perchè avremo sentito che cosa è davvero il nostro bisogno.

Mannaggia che umore!

A tutto questo è necessario aggiungere due parole sull’umore. L’umore tende a influenzare la durata delle emozioni. Se il nostro umore è alto le emozioni scorrono veloci. Se è basso ristagnano pesanti. Non solo: l’umore attiva processi di memoria congruenti. Se siamo felici ci ricordiamo solo cose liete e viceversa. Saper riconoscere la differenza tra umore ed emozione è fondamentale: molte delle difficoltà che abbiamo infatti più che connesse alle nostre emozioni sono connesse alla variabilità del nostro umore, per cui passiamo con estrema facilità, dall’alto (o altissimo) al basso (o bassissimo). In questi casi sapersi ancorare al corpo e al respiro è fondamentale per non finire trascinati dagli sbalzi d’umore e per saper riconoscere la differenza tra l’uno (emozione) e l’altro (umore).

Molte emozioni inoltre sono senza fondo: sono le emozioni più importanti della nostra vita o strettamente legate al momento che stiamo vivendo. Saper offrire un contenitore sufficientemente ampio a queste emozioni permette di rimanere presenti e di non farci trascinare troppo verso il basso (la tristezza) o troppo verso l’alto (la rabbia).

 

Attenti colleghi ad esagerare con l’espressione

Nella psicoterapia lavoriamo molto sulle modalità ripetitive di risposta. È fondamentale saperle riconoscere; individuare gli elementi corporei, emotivi, cognitivi che le compongono. Nel fare questo però corriamo un rischio: ossia di solidificarle ancora di più come se fossero immodificabili. È importante quindi portare l’attenzione non solo sugli aspetti legati alla struttura delle emozioni ma anche sulla loro transitorietà e sugli elementi che fanno da passaggio tra una emozione e l’altra.In modo da sottolineare la possibilità di lasciar andare. Inoltre l’espressione emotiva deve essere sempre preceduta dalla consapevolezza, altrimenti quello che può accadere – e frequentemente accade – è che la persona, esprimendo quello che sente, perda la consapevolezza di ciò che accade. Non a caso Lowen sottolinea l’interazione tra gli aspetti espressivi, la consapevolezza e la padronanza di sé.

Penso che molte delle nostre strategie difensive siano un modo per saltare via da quello che sentiamo fisicamente ed emotivamente e rifugiarci così nella mente. Trasformiamo le nostre emozioni troppo velocemente in pensieri, il che significa che tralasciamo gli aspetti corporei. Mark Epstein[

Caro Winnicott

Uno dei primi psicoanalisti ad avere chiara la relazione tra corpo ed emozione fu Winnicott che, essendo uno psicoanalista infantile, aveva un osservatorio privilegiato: lo sviluppo emotivo dei bambini. Quando un bambino cresce in un ambiente non favorevole è costretto ad allontanarsi dalle emozioni, che sarebbero soverchianti, attraverso il pensiero. In questo modo sposta molte delle sue energie dalle sensazioni emotive ai pensieri. Questo però comporta una sorta di tristezza: la tristezza di aver perso la dimensione emotiva nella sua pienezza a favore di quella mentale. Ecco perchè ripristinare la capacità di sperimentare la gioia nelle persone è così importante: perchè cura quella tristezza primaria che viene dall’aver abbandonato il sentire a favore del pensare.

© Nicoletta Cinotti 2023

Libri consigliati

Nicoletta Cinotti, Mindfulness ed emozioni, Gribaudo editore

Il Protocollo MBCT: Protocollo per la prevenzione delle ricadute depressive

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Camilla is a reader

17/06/2023 by nicoletta cinotti

Questa recensione è diversa dalle altre perché si tratta della recensione fatta ascoltando un audiobook.

L’ultimo libro di Camilla Ronzullo, “I no che non dici agli altri sono quelli che imponi a te stessa” mi è stato suggerito da una mia paziente. (I miei pazienti sono gran spacciatori di libri, film e musica!). D’altra parte il titolo è nato durante una seduta di psicoterapia di Camilla che – questo si capisce subito – fa fatica a dire di no. In parte per accondiscendenza, in parte per generosità, in parte perché (ma questo lo dico io) il No e il Si sono due parole che impariamo a dire presto ma che costruiamo per tutta la vita perchè disegnano il nostro senso di identità.

Così Camilla, attraverso questo libro, racconta come è arrivata a chiarirsi le idee rispetto ai no che servono a crescere e a quelli che servono per ritirarsi.

L’ha fatto in una maniera originale, attraverso un lungo elenco di libri i cui protagonisti si sono trovati di fronte a dei no difficili da dire. Camilla dialoga con i personaggi dei libri e ci offre un resoconto divertente, chiacchieroso (infatti è adattissimo ad un audiobook) e romantico. Alla fine non tutte le sue motivazioni sono condivisibili (ad un certo punto mi sembra che sostenga un po’ troppo il no impulsivo ma forse è stata una mia impressione) ma il libro è piacevole ed è una ricchissima bibliografia ragionata sull’argomento.

Insomma, in conclusione Camilla Ronzullo, presente su Instagram come Zelda was a writer, per me adesso ha un altro nome, Camilla is a reader. Ed essere una gran reader che sa dialogare con i libri che legge è una grande qualità!

© Nicoletta Cinotti 2023 Addomesticare pensieri selvatici

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La teoria polivagale di Stephen Porges

10/06/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

L’abilità di osservare il battito cardiaco negli ultimi anni è diventato una specie di porta d’ingresso per considerare i fenomeni psico fisici e osservare come il sistema nervoso regola i nostri corpi. Quando osserviamo variazioni nel nostro ritmo cardiaco, in risposta al variare degli stimoli che provengono dalle viscere o dalla periferia del corpo, è la regolazione vagale che assicura al nostro organismo quel necessario equilibrio tra flessibilità o stabilità che ci è tanto necessario.

La teoria polivagale di Porges

Questo elemento assume, nella teoria polivagale di Porges un ruolo centrale per comprendere come il nostro sistema nervoso risponde alle esigenze di adattamento all’ambiente.
Altro elemento importante della sua teoria è quello relativo al prevalere, per noi come per tutti i mammiferi, di esigenze sociali che hanno non solo una funzione relazionale ma anche di regolazione psicofisiologica. Secondo Porges la nostra propensione alle relazioni sociali è funzionale alla nostra necessità di regolare, attravero gli scambi e il contatto, i nostri parametri fisici e psicologici. Fondamentalmente infatti noi creiamo relazioni sociali che hanno lo scopo di farci sentire sicuri e di mantenere il nostro benessere psicofisico
Le interazioni quindi, con la loro opportunità di fornirci intimità, affetti positivi e sicurezza non svolgono solo una funzione emotiva ma anche una funzione di regolazione del nostro sistema fisico mediato attraverso le risposte vagali.

Quando le relazioni sono fonte di stress

Le relazioni sociali devono essere appropriate per la situazione fisiologica che abbiamo altrimenti, anziché fornire supporto, diventano una fonte di stress. Possiamo quindi dire che la teoria polivagale affronta il tema della risonanza fisiologica delle interazioni sociali, dove le interazioni mente-corpo non sono considerate legate da una correlazione ma sono considerate la stessa cosa vista sotto due profili diversi. Una piena aderenza quindi al principio reichiano dell’identità funzionale mente corpo.
In questo quadro la ricerca tende ad investigare come l’amicizia e le interazioni sociali possono contribuire al diretto miglioramento della salute o al recupero dopo un abuso o un incidente fisico.
Il punto centrale è che quando siamo emotivamente in uno stato difensivo non siamo in grado, dal punto di vista metabolico, di attivare processi virtuosi di guarigione fisica. Questo significa che il benessere emotivo gioca un ruolo essenziale anche nei processi fisici di guarigione perché le emozioni negative attivano, a livello fisiologico, una reazione di allarme che interferisce con il metabolismo di recupero dalla malattia.

Il nervo vago

Per questo il nervo vago riveste un ruolo centrale nella teoria di Porges: infatti permette la comunicazione tra la periferia del corpo e il cervello e può veicolare i segnali di rassicurazione, cioè di assenza di pericolo. Cosa ancora più interessante per l’analisi bioenergetica è che il nervo vago risponde ai processi di espirazione, uno degli obiettivi del lavoro corporeo che mira a restituire spazio al respiro nell’aspetto dell’allungamento più che del volume. una respirazione sana infatti è una respirazione che è “lunga”
Quando viene segnalato un rischio a livello centrale il sistema di rassicurazione del nervo vago viene disattivato e si attiva invece il sistema di risposta difensiva che si struttura attorno a due polarità “attacco” e “fuga”.

La teoria polivagale descrive, in buona sostanza, il funzionamento del sistema individuale di calma e connessione, attraverso sia i segnali corporei non verbali che attraverso le relazioni sociali. I segnali non verbali che sono tipicamente coinvolti sono i gesti della testa, delle mani, la prosodia della voce, l’espressione della parte superiore del viso. Tutte queste informazioni vengono lette dalla corteccia temporale che ne individua l’intenzionalità e decide se iniziare una interazione o ritirarsi.
Il sistema di conforto è legato all’espressione del viso mentre il sistema difensivo può comportare, oltre alla risposta di attacco e fuga, anche la risposta di freezing o immobilizzazione.

Tre sistemi gerarchici

La teoria polivagale ipotizza tre sistemi gerarchici di risposta agli stimoli ambientali: il primo livello è costituito dal sistema nervoso autonomo. C’è poi un sistema di soglia che regola la percezione del dolore e che può eliminare la percezione del dolore stesso quando supera una certa soglia, come espresso nei lavori di Porges sulla finestra di tolleranza. La caratteristica di questo sistema è quella di produrre il fenomeno del distacco dissociativo in condizioni estreme di abuso e la risposta di immobilizzazione.
Il problema è che, mentre il sistema nervoso autonomo passa facilmente da una risposta simpatica di attivazione ad una parasimpatica di disattivazione, questo sistema di soglia, una volta attivato, non ha un processo automatico di disattivazione. Questo processo è mediato dal nervo vago. Il vago è un nervo sia motore, collegando il tronco encefalico alle viscere, che sensore (80%) collegando i segnali viscerali al tronco encefalico. Nel caso delle fibre motorie si tratta di fibre mielinizzate e regolano le aree al di sopra del diaframma, mentre le fibre sensorie sono demielinizzate e regolano le funzioni sottostanti al diaframma. Per Porges la consapevolezza che la risposta vagale può modificarsi attraverso i segnali positivi della mimica facciale e attraverso il lavoro sull’espirazione diventa importante proprio in ordine alla possibilità di uscire dalla risposta traumatica di immobilizzazione.

Quello che abbiamo bisogno di comprendere, dice Porges, è che qualunque processo di cura, fisica e psicologica, richiede un livello di buona reciprocità relazionale e la sensazione di essere in condizioni di sicurezza perché non si attivi – o si disattivi – la risposta vagale al pericolo.

Questo articolo è tratto dai miei appunti del corso organizzato sul trattamento dl trauma dal National Institute for the Clinical Application of Behavioural Medicine, www.nicabm.com.
A cura di Nicoletta Cinotti 2023

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