Quando ci apriamo alla consapevolezza non è insolito che emergano sensazioni lungamente tenute sopite. Possono essere vecchi ricordi, possono essere emozioni della giornata che abbiamo tenuto da parte nello sforzo di controllare come stavano andando le cose.
In quel momento inizia un nuovo aspetto della nostra pratica: possiamo esplorare quel luogo – spesso ferito – oppure volgere lo sguardo altrove. A quello che abbiamo da fare, ai nostri programmi, alla ricerca della calma che sta dentro a molte delle intenzioni di pratica.
In realtà la pratica è la ricerca della consapevolezza: abbiamo bisogno della calma per andare in profondità ma la mindfulness non è, in se e per sé, un calmante. Può avere un effetto calmante ma è funzionale all’offrirci la possibilità di esplorare l’esperienza in corso. Così, quando nella nostra pratica emerge qualcosa che ci agita o ci turba, facciamo riferimento al respiro non per mandare via l’agitazione ma per avere il gentile coraggio di esplorare quello che sta emergendo. Sapendo che, questo venire a galla, è proprio l’aspetto curativo della pratica stessa. Può essere scomodo però guarisce. Guarisce perché non permette che avvenga la trascuratezza e l’evitamento nei confronti delle nostre ferite, dei nostri unfinished business. Guarisce perché offre un’attenzione affettuosa. Guarisce perché riconosce che c’è bisogno di cura, di soffermarsi, di guardare. Non guarisce perché ci calmiamo o perché ci forziamo a stare tranquilli. Ci calmiamo perché – respiro dopo respiro – veniamo guariti.
Rilassandovi nel momento, forse potete sviluppare una maggiore presenza al corpo. Le sue tensioni emergono nel momento presente in forma di sottili disagi (…) Invitate il corpo a lasciarsi andare senza combattere o resistere ma, piuttosto a cedere, ammorbidendosi. Gregory Kramer
Pratica del giorno: La classe del mattino
© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo di Mindfulness interpersonale: un evento che avviene una sola volta all’anno. Non perderlo!