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Nicoletta Cinotti

Andare contro corrente

21/09/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Tutti noi conosciamo la storia dei salmoni, che nuotano contro corrente per deporre le uova nei fiumi, dove vivono la prima parte della loro vita. Lo fanno per offrire un ambiente più adatto alla loro prole che, una volta cresciuta, arriverà al mare.

Lo sforzo di nuotare contro corrente è tale che non sopravvivono a questa impresa. I salmoni non sono certo i soli a nuotare contro corrente. Lo facciamo tutte le volte in cui le nostre idee vanno in una direzione divergente rispetto agli altri. Lo facciamo quando vogliamo risalire all’origine delle cose. A volte lo facciamo perchè l’unica posizione che conosciamo è quella contro.

Spesso è contro qualcuno o qualcosa. La lotta che ingaggiamo è così attraente che non ci rendiamo nemmeno conto di quanto ci costa, delle condizioni in cui ci mettiamo per realizzarla. E, soprattutto, non ci accorgiamo di quanto ci lascia bloccati. Perchè questo è il prezzo che paghiamo per andare contro: è un tale sforzo che tutte le nostre energie vanno in quella direzione. Non possiamo spostarci da lì perchè altrimenti smetteremmo di andare contro e finiremmo, invece, per fluire. Per andare con il flusso. Per scorrere e gioire.

Impariamo questa posizione ad un certo punto della nostra crescita quando, per differenziarci, passiamo attraverso il No per poi imparare a dire anche Sì. Qualcosa però ci lascia imbrigliati nel No. Forse è la forza del nostro interlocutore. Forse è la paura che se piegheremo la testa verremo schiacciati. Forse, semplicemente, non vogliamo dargliela vinta e così finiamo per sacrificare la nostra vita a questa opposizione, proprio come un salmone, che esaurisce in questo sforzo la sua vitalità.Confondiamo questa opposizione con la libertà perchè declina i verbi della ribellione. E invece ha tutta la limitatezza di una prigione di cui solo noi abbiamo le chiavi e non sappiamo nemmeno di averle. Crediamo che le abbia il nostro interlocutore

Oggi vorrei fluire, scendere allegra e saltellante verso il mare e lì perdermi nella compagnia di infinite gocce d’acqua.

Nessuno sarebbe in terapia se ritenesse che nella sua vita non c’è niente per cui protestare. Alexander Lowen

Pratica di mindfulness: Rabbia e paura: una pratica

© Nicoletta Cinotti 2023 Scrivere storie di guarigione

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Il body scan e la lettura del corpo

20/09/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Quando portiamo attenzione e consapevolezza al corpo e alla percezione che ne abbiamo possiamo trovarci pieni di domande. Come mai mi sta succedendo questo? Cosa vuol dire? Cosa devo fare perché non succeda più o, se è stato piacevole, ri-succeda ancora?

Domande che nascono in parte dallo stupore e in parte dalla curiosità che la percezione che abbiamo di noi ha suscitato.

Per vecchia abitudine però le domande le poniamo all’esterno. O poniamo all’esterno la ricerca della risposta a queste domande. Chiediamo che sia un altro, chiediamo che sia un esperto, a leggere il nostro corpo. Forse perché pensiamo che dall’esterno le cose si vedano meglio.

Eppure con il corpo non è proprio così. La lettura del corpo fatta dall’esterno, fatta dall’esperto, ci toglie informazioni invece che offrircene, rende la nostra esperienza una esperienza di categoria generale, privata delle sfumature che, invece, sono presenti nell’esperienza personale. La lettura del corpo quindi deve essere un dialogo tra chi cura e chi è curato. Un dialogo che consenta una esplorazione e un approfondimento. Un dialogo in cui possa tornare l’intimità con la nostra esperienza e la capacità di radicare, nell’esperienza, l’apprendimento.

La lettura del corpo è leggere noi stessi: è leggerci con amore, affetto e rispetto. Leggerci dimenticando la parola sintomi e dichiarando la parola segni: segni di amoroso dialogo con noi stessi. Questa è la lettura del corpo. Il resto è l’elenco – necessario – dei capitoli di un libro.

Amare qualcuno significa leggerlo. Significa saper leggere tutte le frasi che ci sono nel cuore dell’altro, e leggendolo liberarlo. . Cristian Bobin

Pratica del giorno: La consapevolezza del corpo

© Nicoletta Cinotti 2023  Il protocollo MBCT online

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A tutti piace il raccolto

19/09/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Seminare è qualcosa di entusiasmante: mette elementi di novità, attiva la speranza, fa crescere nuove opportunità. Possiamo sperimentarlo molte volte nelle nostre giornate: ogni volta che attiviamo un contatto nuovo; ogni volta che facciamo spazio ad una nuova idea, non facciamo nient’altro che seminare.

Poi viene il momento in cui dobbiamo coltivare: è fatto di piccoli gesti quotidiani, spesso ripetuti. Dobbiamo dare acqua, nutrimento, attenzione, giorno dopo giorno. Aspettare che spunti qualcosa. Vederlo esposto ai rischi della gramigna e alle stagioni avverse. Solo alla fine arriva il raccolto ma, dalla semina al raccolto, a volte, può passare moltissimo tempo.

In questo tempo possiamo provare sentimenti di noia, sfiducia. Temere che le nostre speranze siano mal riposte. Possiamo renderci conto che i semi che abbiamo gettato sono troppi o troppo pochi. Che non possiamo crescere in questo modo, con questo terreno. Oppure diventare consapevoli di aspetti che ci erano rimasti oscuri.

Queste tre fasi avvengono sempre nella nostra vita: semina, coltivazione e raccolto. I terreni sono, in genere, le nostre relazioni. È lì che mettiamo i semi anche nelle attività più individuali. Senza un terreno di relazioni non potrebbero crescere e prosperare.

Ci sono persone appassionate di semina, altre di coltivazione. A tutti piace il raccolto, quando va bene. Nessuno di questi tre momenti può essere disgiunto dall’altro. Tutti questi momenti richiedono movimenti del corpo e dell’anima. Abbiamo bisogno della generosità delle braccia e dell’ampiezza del cuore per la semina. Della dignità ed elevazione della schiena per la coltivazione. Della forza di tutto il corpo per il raccolto. Nessuna di queste fasi avrebbe bisogno del nostro ego.

Scegliendo di praticare, abbiamo dichiarato la nostra disponibilità a lasciar andare le nostre pretese. E le pretese sono i mattoni più solidi della nostra infelicità, soprattutto nelle relazioni sentimentali. — Amore, mindfulness e relazioni: Qualità mindful per amare senza equivoci by Nicoletta Cinotti

Pratica del giorno: Il filo del respiro

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBCT online

 

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Una cura circolare

18/09/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Quando parliamo di muscoli contratti in genere abbiamo una visione unitaria: qualcosa di teso e rigido magari dolorante. In realtà il muscolo ha molte espressioni e ognuna di queste espressioni corrisponde ad una diversa posizione emotiva e tutte hanno una relazione con la forza perchè la contrazione genera una forza in seno al muscolo.

La più tipica è quella del muscolo che, essendo contratto, si ritira. Corrisponde al nostro tirarci indietro dall’intimità con gli altri. Ci mette in una posizione difensiva che a volte arriva all’arroccamento. Ci sono poi contrazioni da allungamento: sono quelle che ci portano ad andare al massimo delle nostre possibilità. A volte anche oltre le nostre possibilità perchè sfruttano la forza che abbiamo immagazzinato nella fase di accorciamento. Così non è insolito che una persona molto ritirata abbia una apertura improvvisa e inaspettata. Oppure una esplosione improvvisa e inaspettata. Poi ci sono le contrazioni circolari, quelle di cui si occupa prevalentemente la bioenergetica: quelle che fanno perdere la percezione di una parte del corpo pur mantenendone la funzionalità. Quelle che ci rendono meccanici e privi di sentire nel nostro muoverci nel mondo. Quelle che, per usare una immagine poetica, essendo circolari, hanno bisogno di una cura circolare come l’affetto. Ne hanno bisogno perchè ogni contrazione muscolare esprime una emozione e ne nasconde un’altra.

L’affetto è una cura circolare perchè – in qualsiasi modo si manifesti – scioglie e apre. Non possiamo curare e curarci senza amare. Non possiamo sottovalutare l’effetto che lo sguardo, al momento dell’incontro, ha su di noi. Alla sua possibilità di ridurre il nostro ritiro. Alla fine, qualsiasi contrazione, ha un’unica cura che si chiama intimità e contatto. Intimità declinata con tutte le sfumature che appartengono a questa parola. Contatto con quel misto di presenza e attenzione affettuosa che ci fa riconoscere a quale distanza stare per dare contatto. Perchè contatto non significa necessariamente toccare con le mani: significa essere toccati da ciò che l’altro fa per noi.

La tensione muscolare cronica è l’espressione fisica del senso di colpa perchè rappresenta l’ingiunzione dell’ego contro certi sentimenti e certe azioni. Alexander Lowen

Pratica di mindfulness: Cullare il cuore

© Nicoletta Cinotti 2023 Selfcompassion: emozioni & relazioni

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Emozioni: come nascono, come cambiano

16/09/2023 by nicoletta cinotti

Mi capita spesso di sentirmi chiedere la differenza tra emozioni e sentimenti oppure di sentirmi chiedere perché le emozioni sono più importanti dei fatti. Ho pensato quindi che un po’ di chiarezza potesse essere utile.

Intanto proviamo a vedere che cosa produce un’emozione

che cosa produce un'emozioneUn’emozione è frutto di 4 elementi continuamente in interazione tra di loro. Tutti questi elementi possono formare l’innesco all’emozione così come viene percepita.

I pensieri sono quelli che contribuiscono a rendere l’emozione più continuativa nel tempo e la legano alla nostra storia personale e relazionale. Le sensazioni fisiche danno il felt sense ed è quello che attiva o meno il segnale di pericolo. I sentimenti ci parlano invece della nostra storia relazionale e personale e danno un colore e un tono all’umore oltre che alla singola emozione. Gli impulsi sono le nostre tendenze di base, diverse da persona a persona anche se condivise da tutti gli esseri umani.

Il ruolo del corpo

Fino a non molto tempo fa non credevamo che il corpo avesse un ruolo nell’esperienza emotiva. Oggi sappiamo che non è così: ciò che accade nella mente non ha una esistenza autonoma ma è una parte fondamentale del corpo stesso e tra il corpo e la mente c’è un continuo scambio di informazioni reciproche. Molto di ciò che il corpo sente è influenzato dai pensieri e, contemporaneamente, tutto quello che pensiamo è mosso da ciò che accade nel corpo, come ha originalmente illustrato Alexander Lowen.

Johannes Michalak, dell’università della Ruhr, e il suo gruppo di ricerca, ha studiato le differenze di movimento tra un gruppo di persone depresse e un gruppo di controllo, attraverso 40 microsensori posizionati in tutto il corpo. Le persone depresse avevano meno mobilità dalla vita in su e una camminata con oscillazioni laterali, una posizione ingobbita e pendente in avanti. Non solo. Se il gruppo di controllo era invitato a simulare per un certo periodo di tempo questa posizione, pur non essendo depressi, il loro umore cambiava.

Minaccia interna e minaccia esterna

Non consideriamo diversamente una minaccia interna e una minaccia esterna. In presenza di un pericolo, il corpo si prepara a rispondere e la sua risposta muscolare condiziona il profilo di attivazione mentale e le emozioni che possono emergere. In questo modo attiviamo un circolo vizioso tra la mente e il corpo che rende difficile produrre emozioni diverse senza passare dal cambiamento delle tensioni fisiche.

Fortunatamente le emozioni sono variabili e quindi possiamo passare da una all’altra velocemente ma se le nostre tensioni fisiche sono stabili avremo più probabilità di provare sempre le emozioni che le hanno generate. Oppure, quelle stesse emozioni dureranno più a lungo.

Le costellazioni emotive

In superficie sembra che le emozioni siano poco collegate le une alle altre. In realtà le emozioni si muovono in gruppi coerenti di stati emotivi nei quali un singolo elemento dello schema innesca tutto il resto.

Ci capita di rado di provare solo tensione o solo tristezza. Queste finiscono per intrecciarsi con vulnerabilità, rabbia, amarezza, gelosia, dolore: tutti sentimenti che possono essere orientati verso gli altri o verso noi stessi.

Nel corso della nostra vita queste costellazioni possono combinarsi strettamente con determinati pensieri, sensazioni fisiche, comportamenti e così il passato comincia ad avere un effetto pervasivo sulle esperienze emotive del presente.

Il problema del perché

Una delle caratteristiche della mente umana è quella di cercare spiegazioni per quello che prova. Non ci basta sentire una emozione: abbiamo bisogno di sapere perché proviamo quella specifica emozione. La domanda “perché” è forse una delle domande più importanti nella storia dell’umanità. Ci ha permesso una crescita culturale e scientifica che ha disegnato la nostra possibilità di progresso. Non sempre però questa domanda ci aiuta. Soprattutto è una domanda che non ci permette di comprendere tutto e che rischia, invece, di diventare un chiodo fisso.

Quando siamo infelici è naturale cercare di scoprire perché ci sentiamo così e di trovare una maniera di risolvere il problema che ha causato la nostra infelicità. Solo che le emozioni non possono essere risolte: possono solo essere provate. Una volta che ne hai riconosciuto l’esistenza e hai lasciato andare la tendenza a spiegarle o a sbarazzartene, è molto più probabile che svaniscano da sole.

Quando si cerca di risolvere il problema dell’infelicità (o di qualunque altra emozione negativa) si mette in uso uno degli strumenti più potenti della mente: il pensiero razionale critico. Funziona così: ci si vede in un posto (infelici) e si sa dove si vorrebbe essere invece (felici). A quel punto la mente analizza la distanza fra le due alternative e cerca di elaborare il modo migliore per collegarle fra loro. Allo scopo utilizza la sua modalità del fare, detta così perché riesce bene a risolvere i problemi e a portare a compimento le azioni. Penman, Williams

La modalità del fare

La modalità del fare opera riducendo progressivamente la distanza che c’è tra il punto in cui siamo e quello in cui vorremmo essere. Lo facciamo frammentando il problema in parti più piccole, cercando di risolvere ognuna di queste parti per avvicinarsi all’obiettivo del benessere che andiamo cercando.

Rispetto alla  nostra vita emotiva questa modalità è controproducente: non possiamo costringerci a provare emozioni diverse da quelle che proviamo e la regolazione cognitiva non ha efficacia sulle emozioni. Rischiamo che questa modalità ci porti a farci domande senza soluzione: “Cosa c’è in me che non va?” Perché ho sbagliato?” Perché continuo a fare sempre questi errori?”. In questo modo entriamo in una modalità rimuginativa che non permette la fisiologia del cambiamento emotivo.

Le persone sono sinceramente convinte che se si preoccuperanno a sufficienza della propria infelicità finiranno per trovare una soluzione, che basterà solo fare un ultimo sforzo, ragionare ancora un po’ sul problema… La ricerca invece mostra il contrario: di fatto rimuginare riduce la nostra capacità di risolvere i problemi. Ed è assolutamente inutile per gestire difficoltà emotive. È evidente: rimuginare è il problema, non la soluzione.

© Nicoletta Cinotti 2023 Mindfulness ed emozioni

Ultimi giorni per iscriversi al Protocollo MBCT, Mindfulness per la prevenzione delle ricadute depressive

Il Protocollo MBCT: Protocollo per la prevenzione delle ricadute depressive

 

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Rigidi o troppo flessibili?

15/09/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Spesso quando proviamo avversione per qualcosa che sta avvenendo finiamo per assumere una posizione rigida: contraiamo la mandibola o stringiamo le mani o tratteniamo il respiro. Lottiamo contro l’espressione dell’avversione ma siamo consapevoli che proviamo avversione. Più o meno consapevoli che c’è una tensione nel corpo. Un conflitto tra quello che sentiamo e quello che riteniamo opportuno esprimere. Perché, molte volte, non abbiamo dubbi sull’opportunità della nostra sensazione ma abbiamo dubbi sulla possibilità di esprimere la nostra sensazione. Così tratteniamo, irrigidendolo, il corpo. E se proprio non riusciamo a trattenere diciamo quello che pensiamo, senza preoccuparci troppo dell’effetto sull’altro. Siamo tanto arrabbiati che sentiamo solo noi stessi.

Non sempre però trattiamo così la nostra avversione. Se amiamo molto la persona che produce la situazione che rifiutiamo, possiamo, quasi impercettibilmente, coprire la nostra avversione con una accondiscendenza gentile. Una iperflessibilità all’adattamento. Perché la cosa più importante è non perdere l’amore di quella persona, anche se ci propone cose che non vogliamo. Anche se siamo costretti ad subire condizioni che non accetteremmo. Sostituiamo la protesta con la resa. Tutto pur di essere vicini. Tutto purché l’altro sia fiero di noi. E noi fieri di riflesso.

Dal punto di vista relazionale l’accondiscendenza è una posizione meno sfidante: si tratta di chinare la testa, di guardare le cose con pazienza, di cercare, velocemente, molto velocemente, il positivo della situazione. Ma l’avversione rimane. Sta nascosta dentro di noi e ci confonde. Non capiamo più cosa vogliamo e cosa non vogliamo. Prendiamo l’abitudine a rispondere sì ma quel sì non è accettazione. È un piegare, con lacrime senza suono, la testa. Un dire e dirsi che l’amore che proviamo per l’altro è più importante dell’amore che possiamo avere per noi. Senza condizioni. Siamo tanto spaventati che sentiamo solo le ragioni di chi amiamo.

In mezzo, tra la rigidità e l’iper-flessibilità, sta l’ascolto. E il coraggio e la fiducia di scegliere se dire sì o no.

Felicità non è altro che contentezza del proprio modo di essere, soddisfazione, amore perfetto del proprio stato, qualunque questo stato sia. Giacomo Leopardi

Pratica del giorno: Esplorare l’accettazione nel corpo

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBSR online

 

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