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MBCT genova

La differenza tra generosità e sacrificio

05/06/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

La generosità è una qualità fondamentale della crescita: ci porta ad aprirci e quindi ad ampliare i nostri orizzonti e le nostre prospettive. È anche qualcosa che garantisce abbondanza perchè, se si è generosi, in forme poco prevedibili ma arrivano, in cambio, tante cose. Magari da persone insospettabili.

Così essere generosi è attivare uno scambio e una circolazione che nutre prima di tutto chi agisce con generosità. Anche la generosità però ha i suoi limiti. Limiti che è importante rispettare. Non deve trasformarsi in un peso. Quando la generosità che abbiamo verso qualcosa o qualcuno, diventa pesante, dobbiamo fermarci, prendere dello spazio e lasciar andare la nostra spinta a dare. Perchè se è diventata un peso vuol dire che porta, nella nostra vita e in quella di chi riceve la nostra generosità, un bagaglio di tensione non necessaria. Una tensione che, prima o poi si trasformerà in tempesta.

La generosità, perchè faccia bene, ci deve far sentire più ricchi e non più poveri. Più motivati e non più stanchi. Più felici e non sfruttati. Altrimenti è meglio tenere per se stessi quel nutrimento che stavamo per offrire. Vuol dire che ne abbiamo ancora bisogno. E allora dobbiamo fare un atto di generosità verso noi stessi. Interrompere la nostra compulsione a dare agli altri e rivolgere verso noi stessi la nostra generosità.

Nella meditazione sulla amorevole gentilezza diamo ai partecipanti un assaggio della potenza di sentimenti di bontà, generosità, amore e perdono diretti in primo luogo verso di noi. Evochiamo coscientemente sentimenti di amore e gentilezza verso noi stessi, magari ricordando un momento in cui ci siamo sentiti completamente visti e accettati da un altro essere umano e invitando quei sentimenti di gentilezza e amore a riemergere, a essere abbracciati dalla consapevolezza e sentiti nel corpo. Jon Kabat Zinn

Pratica di mindfulness: La pratica della gentilezza (meditazione live)

© Nicoletta Cinotti 2023

Mindful Self-Compassion: intensivo residenziale

 

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Lo spazio dell’attesa

27/12/2022 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Quando guardiamo siamo attirati dagli oggetti, dalle forme e quindi lo spazio tra un oggetto e l’altro finisce solo per disegnare la distanza. Eppure quello è lo spazio nel quale ci muoviamo. Uno spazio senza il quale finiremmo soffocati.

Quello spazio – che noi chiamiamo vuoto – dà la forma e l’armonia agli oggetti e alle cose. Restituisce a loro la dimensione e a noi la possibilità di muoverci e apprezzare la forma.

Quel vuoto – così necessario – è quello che coltiviamo nella pratica. Nella pratica – che sia di bioenergetica o di mindfulness – noi coltiviamo lo spazio di vuoto per poter dare un senso al pieno delle nostre esperienze e al pieno della forma che le cose prendono. Senza quel vuoto le nostre esperienze, i nostri pensieri, le nostre sensazioni diventano affollate e diventa difficile attribuire loro un significato.

Possiamo incontrare quel vuoto anche nella vita quotidiana: si incontra nei tempi dell’attesa. Quando sappiamo che qualcosa verrà ma ancora non c’è. Non è solo i mesi dell’attesa che nasca un bambino. Molti momenti sono momenti di attesa. Tra quando nasce un’idea e quando prende forma. Tra un desiderio e la sua possibile realizzazione. Anche il silenzio è una forma di attesa. È un dare forma al vuoto perchè il vuoto possa definirci. Perchè – alla fine – quello di cui abbiamo bisogno è un senso di spaziosità. Quella spaziosità che è lo spazio dell’attesa, del silenzio, del vuoto.

Con un maggior senso di spaziosità riusciamo più facilmente a rimanere presenti rispetto a qualunque cosa venga in mente e a essere più indulgenti con noi stessi quando le migliori intenzioni vanno storte. Segal, Teasdale, Williams

Pratica di mindfulness: Il suono del silenzio

© Nicoletta Cinotti 2022 Il protocollo MBCT online: in early bird fino al 31 Dicembre

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Ascoltare la nostra voce segreta

04/01/2018 by nicoletta cinotti 1 commento

Quando leggiamo qualcosa avviene un doppio processo: da una parte comprendiamo il significato di quello che stiamo leggendo e dall’altra parte abbiamo la possibilità di riconoscere la nostra voce.

È questo che rende certi libri indimenticabili, certe poesie scolpite nella nostra mente. È il fatto che danno sonorità alla nostra voce. Che con quelle parole, anche se scritte da qualcun altro, possiamo parlarci. E avere la meravigliosa sensazione che quello che accade intimamente dentro di noi ha una sua esistenza più grande della nostra. È un’esperienza che facciamo tutti e che fa sì che ci sia un legame particolare con alcuni autori. È un’esperienza che si accompagna d una insolita sensazione di sollievo: il sollievo di sentirsi riconosciuti e compresi.

Nella pratica di mindfulness iniziamo tutti a meditare con la voce del nostro mindfulness teacher. Prima o poi la sua voce deve diventare la nostra voce. La sua voce svanisce ed è la nostra – sia che avvenga in senso letterale che metaforico – quella che ci parla e questo permette quel lavoro di esplorazione interiore profonda che si accompagna alla pratica. Il sollievo che proviamo nell’incontrare la nostra voce è anche il sollievo di poter trovare una guida verso il mondo interno. È il tenero sollievo della verità che dissipa la nebbia del dubbio. Per il mondo esterno abbiamo google maps ma dentro di noi possono esserci strade molto tortuose: trovare una voce che ci guida e riconoscerla come la nostra voce è un passaggio fondamentale verso la scoperta di noi stessi.  È come se ascoltassimo di nuovo il mondo dal tepore dell’utero. Come se sentissimo il battito del cuore dall’interno anziché dall’esterno. In quel momento, indipendentemente di chi sia la voce che parla, diventa la nostra.

Alcuni dicono che quella è la voce della nostra anima e che non è mai solo nostra: è parte di una comune umanità. Io non lo so: so che quella voce la cerco dentro di me e cerco di farla parlare. E qualche volta canta.

Ci sono tante voci
nelle nostre giornate,
sono tante e diverse,
vanno tutte ascoltate.
Sono le nostre voci
che dicono parole
l’una legata all’altra:
non sanno stare sole. Tratto da Le voci di Elio Pecora

Pratica di mindfulness: Cullare il cuore

© Nicoletta Cinotti 2018 Andare al cuore della relazione: la mindfulness interpersonale

Foto di © Sabine Israel

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Iniziare la pratica della consapevolezza: il giusto atteggiamento

21/10/2017 by nicoletta cinotti Lascia un commento

L’atteggiamento con cui ti accosti alla pratica del prestare attenzione ed essere nel presente è di cruciale importanza: è il terreno in cui potrai coltivare la tua capacità di calmare la mente e rilassare il corpo, di concentrarti e vedere con chiarezza dentro di te. Se il terreno del tuo atteggiamento è povero, cioè se il tuo impegno e l’energia che porti alla pratica della consapevolezza sono scarsi, ti sarà difficile coltivare calma e rilassamento con una certa continuità. Se il terreno è inquinato, cioè se cerchi di importi il rilassamento e sei ansioso di «ottenere dei risultati», non crescerà nulla e presto ti convincerai che per te «la meditazione non funziona.

Per coltivare la consapevolezza e utilizzarla per guarire non basta seguire meccanicamente delle istruzioni. Nessun processo di apprendimento autentico funziona così. L’apprendimento e la trasformazione sono possibili solo in uno stato di apertura e ricettività. Nella pratica della consapevolezza dovrai portare tutto te stesso.

Coltivare la consapevolezza meditativa è un processo di apprendimento del tutto nuovo. La nostra mente è così abituata a pensare di sapere quali sono i nostri bisogni e i risultati a cui dobbiamo arrivare che è facile cadere nella trappola di cercare di controllare il processo e dirigerlo «a modo nostro». Ma questo atteggiamento è esattamente l’opposto di quello che facilita il lavoro della consapevolezza e della guarigione.

Jon Kabat Zinn

© www.nicolettacinotti.net 2017 Dalla rubrica “Addomesticare pensieri selvatici”

 

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Camminare nell’essere, essere nel camminare

29/07/2017 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Camminare è un’attività ovvia e scontata, che compiamo ogni giorno –come mangiare, dormire, lavarci le mani o stare seduti. Ma poter camminare è anche un prodigio, è una fortuna, un dono. Se avete dei dubbi chiedete a qualcuno che ha perso l’uso delle gambe in seguito a un incidente o a una malattia ed è costretto a servirsi sempre di una sedia a rotelle.

Si narra che quando venne chiesto al Buddha in che cosa consistesse il suo insegnamento, quest’ultimo rispose: sediamo, camminiamo, mangiamo. Di fronte all’obiezione che tutti lo fanno, la risposta fu: quando noi mangiamo, sappiamo di mangiare. Quando sediamo, sappiamo di sedere. E quando camminiamo, sappiamo di camminare. Il Buddha definì quindi il camminare consapevole – e così il sedere, il mangiare e via dicendo – come l’essenza del suo insegnamento.

Tutto qui? Sì, tutto qui. Ciononostante camminare in piena consapevolezza richiede un certo sforzo, ed esistono consigli e indicazioni che possono aiutarci a non camminare consapevoli solo occasionalmente, bensì ogni giorno, trasformando un numero sempre maggiore di passi e di momenti in passi e momenti consapevoli, in modo da liberarci da illusioni, pensieri, preoccupazioni, problemi e progetti che ci ronzano nel cervello incontrollati e ci rendono difficile la vita.

La meditazione camminata

La meditazione camminata è un grande aiuto perché è • semplice da praticare e praticabile ovunque • non necessariamente spirituale • estremamente efficace. Perché la meditazione camminata è semplice? Perché non c’è niente da apprendere. Sappiamo già camminare, lo facciamo ogni giorno. Allo stesso modo sappiamo orientare la nostra mente in una certa direzione, sappiamo concentrarci quando la situazione lo richiede, come per esempio quando guidiamo la macchina o prenotiamo un volo aereo in internet. Quindi si tratta solo di collegare due attività che già padroneggiamo: il camminare e il concentrarsi. L’ostacolo maggiore non è ciò che dobbiamo imparare, bensì la nostra abitudine, quell’abitudine a vivere in maniera inconsapevole e a camminare in maniera inconsapevole.

Dobbiamo piuttosto disimparare che imparare. Percorriamo i nostri itinerari quotidiani con la mente ingombra di miriadi di pensieri incontrollati e questo automatismo è impresso talmente bene dentro di noi che risulta difficile pensare che possa scomparire di punto in bianco, senza problemi. Tuttavia abbiamo la chance di creare un nuovo automatismo, che potrebbe suonare così: cammino, quindi cammino. Cammino quindi non mi lascio dominare da pensieri inconsapevoli e incontrollati. Cammino – e so di camminare. Cammino –dunque sono. Volker Winkler

Inizia la lettura gratuita: http://amzn.eu/8Ws6Kj7

Dove puoi imparare la meditazione camminata?

Sia nel protocollo MBSR  (A Genova e a Chiavari) che nel protocollo MBCT (A Genova) viene dato ampio spazio alla meditazione camminata. Partecipare può essere un buon modo per trasformare il tuo stile di vita da stressante ad appagante!

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© Nicoletta Cinotti 2017 Addomesticare pensieri selvatici

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Il dis-abituatore

19/10/2016 by nicoletta cinotti Lascia un commento

C’è un aspetto, nel vagare della nostra mente, che ce lo rende quasi gradevole. È la sensazione di “staccare”, di prendere una pausa dagli affanni del quotidiano. Una piccola vacanza. È quando il nostro vagare è nutrito dai pensieri di fuga. Ci immaginiamo altrove, nella vita che vorremmo. In quella che crediamo di meritarci. In quella che pensiamo sarebbe adatta a noi.

A volte usiamo questo tipo di divagazioni per consolarci. Come sarebbe bello se… diventa l’incipit dei nostri discorsi. E ci sembra che stare nella realtà sia troppo nudo e crudo. Il punto è che quel vagare ci offre un sollievo immediato dalla pesantezza del quotidiano. Poi, però, ci lascia feriti ogni volta che ci rendiamo conto della distanza che c’è tra quella vita immaginaria e la nostra realtà. Purtroppo ci fa sentire la nostra vita un fallimento perché nulla è mai all’altezza delle nostre fantasie. Nulla è mai all’altezza del nostro ideale.

Allora quel vagare – che per un momento ci è sembrato amico – diventa una specie di pervasivo dolore verso il quotidiano, una forma di avversione nei confronti della routine della nostra vita.

Ci sono altre strade per staccare. Possiamo mettere in azione il nostro dis-abituatore e fare in maniera diversa le azioni del quotidiano, per riassaporarne il gusto. Percorrere una strada diversa per andare in ufficio, fare colazione in un altro bar, mangiare un altro cibo. Staccare il pilota automatico per stare nella novità del momento presente. Non per alimentare l’irrequietezza ma per vedere con occhi nuovi, per tornare ai sensi e non aver bisogno di scappare nella mente.

La ricchezza dell’esperienza del momento presente è la ricchezza della vita stessa. Troppo spesso lasciamo che i nostri pensieri e la nostra presunzione di conoscere ci impediscano di vedere le cose così come sono. Tendiamo a dare per scontato il quotidiano e perdiamo di vista la straordinarietà dell’ordinario. Per cogliere la ricchezza del momento presente dobbiamo coltivare quella che è stata definita “La mente del principiante”: una mente che è disposta a guardare ogni cosa come se la vedesse per la prima volta. Jon Kabat Zinn

Pratica del giorno: Self compassion breathing

© Nicoletta Cinotti 2016 Il mese della genitlezza Foto di ©alexcurrie

 

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