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La distanza tra dove siamo e dove vorremmo essere

14/02/2018 by nicoletta cinotti Lascia un commento

All’interno di una relazione ci impegniamo molto a cercare di capire come funziona l’altro. Cerchiamo di comprendere i suoi gusti e le sue preferenze. Cerchiamo di capire come funziona per rendere un po’ più prevedibile la nostra relazione. Sentirci conosciuti e compresi è un elemento importante di tutte le relazioni. Sentire che veniamo ascoltati, che abbiamo uno spazio in cui possiamo essere autentici e spontanei è, in buona sostanza, quello che ci fa sentire amati e a casa. Da qui però, in molti casi, passiamo all’eccesso: passiamo a trasformare la nostra relazione in una psicoterapia prêt-à-porter. Così diventiamo i coach dei nostri compagni e delle nostre compagne. Portiamo a loro i nostri dolori e chiediamo aiuto per comprendere come siamo fatti. Questa aumenta tantissimo la quota di intimità affettiva, il senso di sicurezza e intimità, e diminuisce, progressivamente, come un volume che si abbassa, l’intimità sessuale.

Perchè questi due tipi di intimità hanno un volume diverso e una funzione diversa. L’intimità affettiva ha un volume morbido e serve per farci sentire al sicuro, a prescindere dalle circostanze. L’intimità sessuale costruisce il legame sulla base desiderio e il desiderio ha bisogno di nutrirsi con la fantasia. È difficile avere fantasia su qualcosa che conosciamo intimamente, su qualcosa che consideriamo sicuramente nostro. Abbiamo, per quella persona, altri sentimenti: sentimenti di affiliazione, di affetto, di calore, di comprensione che rendono il legame solido come tutto ciò che è ben costruito, La sessualità non ha bisogno di tutto questo e, anzi, a volte, il fatto che ci sia tutto questo diminuisce il desiderio sessuale. Sia per gli uomini che per le donne. L’affermazione che molte donne fanno “non sono interessata al sesso”, spesso va tradotta con “ho una sovrabbondanza di intimità affettiva”.

Perchè ci spostiamo sull’intimità affettiva in modo così prevalente, anche se siamo consapevoli che rischia di eliminare l’altra parte della relazione? Perchè viviamo in tempi d’incertezza e ci sembra che la solidarietà sia più importante della passione? Perchè ci sembra prioritario essere sicuri dell’amore e secondario avere piacere? Perchè ci sembra che l’affetto sia duraturo e il piacere momentaneo? Forse per tutte queste cose insieme. È certo che l’incertezza in cui passiamo la nostra vita – incertezza lavorativa, personale, culturale – sta cambiando radicalmente il nostro modo di stare al mondo. E tutta questa attenzione all’intimità affettiva spesso è proprio un modo per rispondere all’incertezza. Un modo che, a volte, diventa una strategia più che un atto di spontaneo interesse. Un modo che spesso sortisce il paradossale effetto di farci abbandonare le relazioni sicure per l’insicurezza di una relazione dove ci sia più intimità sessuale. Perchè un adulto non è un bambino e ha bisogno di entrambi questi livelli di intimità.

Quando sentiamo i segnali dell’incertezza forse non abbiamo bisogno di essere rassicurati ma di esplorarli. Forse non abbiamo bisogno di eliminarli ma di comprenderli. Forse abbiamo bisogno di imparare a stare nell’incertezza anziché cercare di navigare prima possibile verso la sicurezza. La sicurezza ci rende più teneri? Ci rende più felici? A volte trasforma la felicità in un miraggio che sta sempre alla stessa distanza da noi: la distanza tra dove siamo e dove vorremmo essere.

Sentimenti come la delusione, l’imbarazzo, l’irritazione, il risentimento, la rabbia, la gelosia, la paura, invece che essere cattive notizie, sono un momento di chiarezza che ci dice cos’è che teniamo dentro. Ci invitano a rianimarsi e a protendersi, piuttosto che a collassare e tirarsi indietro. Sono come messaggeri che ci mostrano, con terrificante chiarezza, esattamente dove siamo bloccati. Il presente è un maestro perfetto, e, fortunatamente per noi, è dovunque noi siamo. Pema Chodron

Pratica di MIndfulness: La meditazione del lago

© Nicoletta Cinotti 2018 Amore e passione tra mindfulness e bioenergetica

Foto di © montecani

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Ma che santo era San Valentino?

10/02/2018 by nicoletta cinotti

Siamo abituati a festeggiare San Valentino come festa degli innamorati. Ma come mai è stato scelto proprio lui? Valentino fu nominato vescovo giovanissimo – a 21 anni – e fu decapitato a 97 anni, proprio il 14 febbraio, per aver celebrato il matrimonio tra una giovane donna cattolica e un soldato pagano. Insomma un tipo controcorrente. E noi, in amore siamo controcorrente?

Dov’è che impariamo ad amare?

Non possiamo negare che il nostro modo di amare nasca nella nostra famiglia e, spesso, andare controcorrente e non ripetere schemi che sono stati disfunzionali non è la cosa più semplice del mondo. Perchè amare significa mettere insieme le mani anche nella struttura dei nostri desideri e delle aspettative che abbiamo rispetto alla realizzazione del desiderio.

Raramente vediamo l’amore da questo punto di vista: sappiamo che è legato al desiderio ma preferiamo concentrarci sull’aspetto della sua realizzazione o lamentarci della mancata realizzazione che guardare all’archeologia dei nostri desideri.

L’archeologia del desiderio

Cosa succedeva, da bambini, quando volevamo qualcosa? Come riuscivamo a realizzare i nostri desideri? Eravamo espliciti nelle richieste? Eravamo tormentosi nei capricci? E cosa succedeva con gli adulti significativi della nostra vita? Abbiamo imparato a chiedere o a nascondere? Abbiamo imparato la fiducia o l’ansia?

Anche se da bambini quello che chiediamo sono giocattoli o contatto fisico, consolazione o gratificazione, tutti questi elementi vanno a strutturare le nostre convinzioni su come può realizzarsi la nostra vita affettiva futura. Tendiamo, in questo, ad essere abbastanza ripetitivi. Ci aspettiamo che accadano le stesse cose, anche se lottiamo perchè succedano cose diverse.

In questa archeologia del desiderio risiede anche un altro paradosso: spesso sono proprio le esperienze che ci hanno causato più dolore nell’infanzia che diventano, una volta adulti, le fonti di pacere ed eccitazione erotica.

Liberarsi spietatamente del passato

Così, se abbiamo avuto un genitore donnaiolo, che ha fatto soffrire nostra madre, possiamo diventare una donna seduttiva che cambia continuamente partner. Per non correre il rischio di ritrovarsi nella stessa situazione di nostra madre, diventiamo come nostro padre, per scoprire che, anche quella, non è una grande soluzione.

La dipendenza fisica ed emotiva dai nostri genitori è molto duratura nel tempo e spesso supera il nostro effettivo bisogno di sicurezza. Per non perderli siamo disponibili a reprimere i nostri desideri e la nostra aggressività e possiamo riportare le stesse modalità anche nelle relazioni affettive adulte. Mischiando così il nostro bisogno di sicurezza alla nostra vita affettiva adulta rischiamo di trovarci con relazioni affettivamente sicure e sessualmente insoddisfacenti. Realizziamo quella sicurezza che non abbiamo avuto da bambini a patto di vivere una vita sessuale infantile. Oppure viviamo una vita sessuale adulta lasciando affamato il nostro bisogno affettivo.

Ciò che il linguaggio nasconde, è detto dal mio corpo. Il mio corpo è un bambino testardo, il mio linguaggio è un adulto molto civile. Roland Barthes

Un aspetto che evidenzia l’irrazionalità del nostro desiderio è il fatto che ciò che ci eccita di più spesso viene dalle ferite e dalle frustrazioni della nostra infanzia, perchè – come dice Esther Perel – proprio quello che nell’infanzia ci ha causato dolore diventa una delle maggiori fonti di piacere quando siamo adulti.

Eliminare la vulnerabilità dalla vita?

Da bambini impariamo molte cose, la maggior parte delle quali è retta dal nostro bisogno di sicurezza. Per sentirci amati e al sicuri siamo disponibili a perdere il controllo, a sottometterci, a domare il nostro spirito. A reprimere i nostri desideri e la nostra aggressività. Poi diventiamo adulti e non sappiamo più se vale la pena pagare un prezzo così alto per rimanere al sicuro. E inizia il conflitto tra il nostro bisogno di libertà e il nostro bisogno di dipendenza. Alcuni di noi avrebbero voluto genitori più vicini, altri meno intrusivi e così abbiamo imparato che, in qualche misura, mantenere un legame richiede una quota di rinuncia alle nostre necessità e un insieme di regole che riteniamo vere sul mantenimento dei rapporti affettivi. Molte di queste convinzioni non sono esplicite ma scritte nel corpo, molte delle nostre consolazioni non sono a parole ma a gesti.

Il corpo ci ricorda quello che abbiamo dimenticato e forse è proprio per questo che, nel sesso, affiorano le nostre paure più profonde e i desideri più persistenti: una avidità senza confini, come il terrore di essere divorati. L’abbandono come l’onnipotenza. Tutti lì: nel metroquadrato in cui viviamo l’incontro sessuale. Dove vorremmo rischiare e, contemporaneamente, eliminare la vulnerabilità della vita.

Dobbiamo essere capaci di legarci senza il terrore dell’annullamento e dobbiamo saper vivere la separatezza senza il terrore dell’abbandono. Esther Perel

Pensare a se stessi o proteggere il legame?

Tutte le reminiscenze della nostra storia intima entrano nella costruzione dei legami e ci mettono in un apparente paradosso. Abbiamo bisogno di intimità ma quando diventiamo intimi perdiamo quel senso di separatezza che è fondamentale per avere un  legame sano, lungo e felice. Abbiamo bisogno di essere uno per diventare noi. Senza la qualità dell’uno non siamo noi e se siamo troppo uno non diventiamo noi. Nessuna formula magica ma un continuo oscillare tra vicinanza e distanza, Intimità e separazione. E questo fa sì che i nostri desideri – relazionali e sessuali – diventino una sorta di codice di comportamento. Mi ama se fa quello che sta nel MIO codice di comportamento. Non mi ama se fa quello che sta nel SUO codice di comportamento. Trasformando così i desideri – che dovrebbero essere uno spazio creativo e libero – in aspettative rigide, pretese e test caratterizzati da pesantezza emotiva, senso di colpa, noia e ansia.

E qui la rabbia gioca un ruolo centrale per diverse ragioni. La prima è che la rabbia restituisce un senso di separatezza e fa da contrappunto alla dipendenza, alimentando la distanza necessaria. Nello stesso tempo se diventa eccessiva porta una minaccia nella relazione: quella della rottura. Inoltre la rabbia esprime un aspetto singolare della relazione: l’intimità alimenta il desiderio ma la sessualità richiede meno fusionalità e più separatezza. Richiede che ognuno dei due faccia la sua parte. Se siamo subito fusionali non nasce il desiderio ma solo l’intimità: che non è poco ma non è sufficiente per una relazione che voglia essere vitale. Se ci fidiamo l’uno dell’altro possiamo essere separati senza tenere che questo comporti un problema. Più il legame è forte più possiamo esplorare e deformarlo, essere aggressivi e tornare insieme. L’idea che più si è intimi più si è disinibiti è una teoria: vera qualche volta. Spesso molto sbagliata perchè l’intimità elimina la separatezza e spegne il desiderio: ci fa tornare bambini soddisfatti perchè amati e lascia che la nostra parte adulta vada in giro a cercare dell’altro.

In fondo San Valentino aveva ragione: era una buona idea sposare una cristiana con un pagano perchè è una buona idea non eliminare la separatezza.

Quando arriva un figlio?

Quando arriva un figlio ci innamoriamo…del figlio, che soddisfa moltissimo il nostro bisogno di intimità. Spesso il desiderio del partner sembra, per una giovane madre, un’altra persona a cui dover dare attenzione, dopo che prolungate ore di contatto fisico hanno ampiamente pareggiato il bisogno di intimità: non aspetta altro che di aver del tempo per se stessa, da sola, e non un nuovo contatto fisico.

Questo cambia, quasi sempre la forza di gravità della relazione. È un amore che unisce ma anche che riduce lo spazio della coppia a favore dello spaio della famiglia. Una volta questo non aveva grandi conseguenze perchè i legami erano strutturati per prolungarsi – felici o meno – per tutta la vita. Oggi non è così: per quanto i genitori siano senz’altro più disponibili e paritari nella passione per i figli, non sono disponibili a rinunciare all’aspetto romantico ed erotico di una relazione. Nessuno dei due.

E spesso la soluzione sembra essere iniziare una nuova relazione. Così moltiplichiamo le coppie: da una parte siamo coppia genitoriale, anche in ottimo modo, e dall’altro partner. Da una parte il desiderio ristagna, dall’altra cresce. Non si può forzare il desiderio ma si può coltivarlo e cercare di farlo è una buona condizione per una relazione sicura, anche con i figli. In questo senso i padri diventano troppo spesso madri, dimenticano che una parte del loro ruolo è quello di interrompere la relazione simbiotica con i figli e non di rafforzarla, aggiungendo anche la loro simbiosi. Quando nasce un figlio un uomo ha bisogno di ricominciare a corteggiare la moglie, accettando un inevitabile spazio di frustrazione. Corteggiarla con nuove modalità. E tenere il bambino per due ore è un bel modo per corteggiare la mamma, magari offrendole un abbraccio al rientro: sarà più chiaro ad entrambi perchè – dopo due ore di babytherapy – si ha meno bisogno di contatto fisico e più bisogno di parole, di qualcuno che ci distolga dalla voce infantile che facciamo quando parliamo con i bambini, che sembra mandare in pappa anche i neuroni, oltre che il desiderio sessuale.

La vita non ruota attorno ai figli

Anche i figli hanno bisogno di separatezza: la quantità di attenzione che certi bambini ricevono sarebbe sufficiente ad una mandria. E invece è tutta verso un unico figlio, che spesso è anche unico nipote di due famiglie: 8 persone che danno attenzione ad un unico bambino è un modo certo per alimentare l’ansia da prestazione e lo stress da overcompensazione. Non mi capita più, come succedeva all’inizio della professione, di seguire persone con trauma da deprivazione. L’80% delle persone che seguo hanno un trauma da sovrainvestimento. La vita non può ruotare attorno ai figli: non gli facciamo un favore, non ci facciamo un favore. Il genitore più autonomo deve aiutare il genitore prevalente a spostare l’attenzione anche su altro. Il lavoro non può essere un intermezzo alla cura dei figli  e l’agenda non può essere dominata dalle feste dei bambini, dalle cene con i genitori degli amici dei figli (che non ti stanno neanche tanto simpatici), dalle vacanze nel gruppo delle famiglia. Una coppia deve rimanere una coppia anche se ha un figlio.

Censurando la nostra vita di coppia a favore di quella dei genitori passiamo ai nostri figli una scomoda eredità e un senso di colpa: quello di essere stati la causa della fine della relazione tra i loro genitori. La causa non sono loro: la causa è la mancanza di fantasia e il desiderio di trovare condizioni nuove, in situazioni nuove.

Un regalo per San Valentino? La fantasia

Se hai letto fino a qui è perchè hai voglia di avere un’idea per San Valentino. Cosa regalo? Personalmente trovo tristissimo andare al ristorante, pieno di copie di noi stessi. Lo trovo tristissimo non perchè non ami andare la ristorante ma perchè è una consuetudine, come la rosa gambo lungo, il profumo e i cioccolatini. Del resto le donne abbondano in cravatte, sciarpe, penne, rasoi, dopobarba e profumi. Tutte cose che finiscono nel cassetto. Il famoso cassetto delle cose di cui non sai che fare.

Io proporrei, per San Valentino ma anche per la festa della mamma, del papà, il santo patrono, l’anniversario di matrimonio e quello di fidanzamento, il primo giorno (e l’ultimo giorno) uno dei regali più belli e rischiosi del mondo: la fantasia. Usa la fantasia, realizza una fantasia, metti la fantasia, per un giorno, nel tuo rapporto. Corri il rischio di essere frainteso, esplora la vulnerabilità del mostrare il tuo desiderio – sì perchè niente più della fantasia parla del desiderio – ed esci dalla consuetudine. Male che vada sarà un altro dei tanti regali sbagliati ma, almeno, avrai detto chi sei e che cosa vuoi. E se, invece, andrà bene, andrà veramente molto bene perchè avrai avuto la possibilità di essere te stesso e di essere intimo, avrai avuto libertà e relazione, ispirazione e piacere.

© Nicoletta Cinotti 2018 Foto © mauriziopeddis

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Amore e passione tra Mindfulness e bioenergetica

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L’intelligenza erotica: praticare la distanza per amare meglio

03/02/2018 by nicoletta cinotti

Come possiamo mantenere vitalità nelle nostre relazioni affettive? Come possiamo evitare che la quotidianità consumi gli affetti? Credo che sia una delle domande più frequenti sia per chi ha una relazione stabile e duratura sia per chi, invece, cambia spesso nido.

La risposta ti sembrerà paradossale: mantieni viva l’incertezza. Non c’è niente di più vitale dell’incertezza in una relazione e questa potrebbe essere una chiave proprio per mantenerla viva. Il problema è la nostra tendenza  a barattare la passione per la stabilità. E la convinzione che la certezza sia un marchio distintivo delle relazioni felici.

La fantasia della permanenza può schiacciare quella della passione, ma sono entrambi prodotti della nostra immaginazione. Stephen Mitchell

Avere occhi nuovi

Facciamo un sacco di fatica nel tentativo di rendere l’altro come desideriamo. Ci mettiamo d’impegno perché diventi ordinato se è disordinato, puntuale se è ritardatario e via discorrendo. E se, invece, giusto per dire una banalità, lo guardassimo ogni giorno con occhi nuovi? Se invece che guardare solo quello che tolleriamo di vedere, iniziassimo a guardare quello che ci sembra intollerabile? Neutralizzare la complessità fa sembrare le cose più gestibili e semplici ma annoia parecchio. Non dobbiamo stupirci se la passione diminuisce: cerchiamo di rendere i nostri partner scontati – eliminando quello che ci sembra intollerabile – e poi, una volta che sono scontati, protestiamo perché abbiamo perso interesse e passione.

Come fare per avere occhi nuovi? Resisti all’impulso del controllo che elimina la possibilità della scoperta. La passione – e l’erotismo – hanno bisogno di un misto di ansia e attrazione. Togliere l’ansia non aumenta l’attrazione.

La creazione: un mito

Gli inizi di una relazione sono pieni di possibilità perché sono pieni di fantasia. Piano piano la realtà inizia ad entrare, a costruire intimità e familiarità che è una delle declinazioni possibili dell’intimità. E per alcuni questa diventa la base anche della confidenza sessuale. Non per tutti. Direi che per un 25% di persone l’intimità affettiva e quella sessuale vanno insieme ma per un 50% di persone la crescita dell’intimità affettiva diventa inversamente proporzionale al desiderio sessuale. Più si diventa intimi e meno si diventa amanti. Come mai? Perché ormai non possiamo più dire che la separazione tra affettività e sessualità è patologica. Si può dire che è patologico un comportamento presente nel 50% delle persone? Credo di no. Quello che succede è che l’intimità sessuale sta diventando una entità sempre più separata dall’intimità affettiva. Non per tutti, non in tutte le storie ma molto spesso. Come mai?

L’eccesso di vicinanza impedisce il desiderio

Abbiamo passato decenni a sottolineare che l’intimità deve essere la base della sessualità però c’è un piccolo problema: stiamo navigando verso mari di intimità affettiva che non abbiamo mai sperimentato prima. E siccome filogeneticamente sappiamo che intimità e familiarità nutrono il tabù dell’incesto quello che temo è che la grande vicinanza emotiva che coltiviamo appassionatamente, il grande bisogno di sicurezza in una realtà sempre più instabile, finisca per spegnere il desiderio sessuale e produrre un effetto opposto. Produce instabilità perché, dopo un po’, si riattiva lo schema di ricerca del partner visto che manca il desiderio sessuale.

L’amore ha bisogno di consegna ma anche di autonomia. Se c’è troppa distanza non c’è legame ma se c’è troppa vicinanza non c’è più connessione. C’è fusionalità.

Per cui, strano a dirsi la separatezza è essenziale alla salute del legame affettivo. Vogliamo stare vicini ma non al punto di sentirsi in trappola.

Come mai esageriamo con la vicinanza?

Ci possono essere diversi motivi per cui esageriamo con la vicinanza tanto da diventare fusionali. il più significativo è il tentativo di compensare dei bisogni infantili irrisolti. Pessima idea che rischia di replicare lo stesso trauma del passato. Per molte persone l’intimità affettiva va di pari passo con la premura e il benessere dell’altro: Il desiderio erotico però richiede una piccola dose di egoismo e la capacità di non preoccuparsi. Si entra così in una impasse in cui si vuole sempre più bene al partner ma come ad un fratello o ad una sorella. E si inizia a pensare che la mancanza di desiderio sia un segno della fine del rapporto. Cosa fare?

[box] Per portare a casa il desiderio dobbiamo ricreare la distanza piena di interesse. Quella distanza che abbiamo cercato di eliminare e che rischia di diventare la distanza con disinteresse che porta alla separazione[/box]

L’intelligenza erotica sta nel ri-creare quella distanza con interesse reciproco che c’era all’inizio del rapporto. Abbiamo bisogno di una sicurezza dinamica.

Una sicurezza dinamica

L’amore ci fa accorciare le distanze ma l’erotismo e la passione hanno, invece, bisogno di distanza per rimanere vitali. Il fuoco ha bisogno di aria per bruciare e una coppia ha bisogno di essere formata da due individualità distinte e in crescita personale dinamica per essere viva. Ha bisogno di sapere che l’altro è una persona che non sta ferma ma che cambia continuamente. E, soprattutto, la nostra sicurezza ha bisogno di corpo. La familiarità e l’intimità diventano spesso condivisione verbale ma non azione corporea. Noi crediamo alle azioni prima che alle parole. Se lavoriamo per far crescere l’intimità verbale, oltre che correre il rischio di perdere desiderio corriamo il rischio di parlare bene e razzolare male. Di essere intimi a parole e distratti nei fatti. Inverti questo processo: sii intimo nei fatti e spendi meno parole e meno dichiarazioni di principio.

Non è sano dirsi tutto

L’attenzione all’importanza della comunicazione è un’arma a doppio taglio in un rapporto. Saper parlare e comunicare non vuol dire dirsi tutto e sviscerare qualsiasi cosa a parole: una relazione non è una psicoterapia. Ci sono aspetti che sono e debbono essere privati. Abbiamo bisogno di mistero per desiderare e, soprattutto, non abbiamo bisogno che la comunicazione venga forzata. Una comunicazione forzata fa molto più danno del silenzio.

Quando la condivisione diventa un obbligo l’intimità diventa soffocante. Quando esiste solo lo spazio condiviso e non quello personale non ci stiamo amando: siamo solo in un delirio possessivo. Quando non c’è più nulla da nascondere non abbiamo nemmeno nulla da cercare. Lasciamo parlare di più il corpo perché dietro a questa sopravvalutazione della parola c’è – ancora – la vecchia sottovalutazione del corpo.

Se diamo valore solo a ciò che svelano le parole non facciamo un favore a noi stessi. In un’epoca in cui possiamo usare praticamente qualsiasi mezzo per creare connessioni, dobbiamo rispettare e riconoscere i molti modi che abbiamo per toccare qualcuno.

© Nicoletta Cinotti 2018

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