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Guarire come un elefante

27/07/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Qualche giorno fa un amico dentista mi spiegava che ci sono due diversi tipi di guarigione: quella dell’epitelio, della pelle – che è rapida e leggera – e quella dell’osso che, invece, è un pachiderma. Ci mette mesi a fare lo stesso percorso che l’epitelio fa in pochi giorni.

Mi è sembrato che questo fosse vero anche per la psiche. Superficialmente le nostre ferite guariscono spesso molto velocemente. Dentro però rimangono tracce più nascoste e profonde che riaffiorano come risentimento, rancore, rimorso. Perché ciò che tocca la struttura coinvolge una ridefinizione dell’insieme. Quello che ferisce la superficie invece può ricostruirsi più semplicemente.

Così, quando ci rimproveriamo perché non riusciamo a reagire potremmo domandarci: è una ferita che ha toccato la struttura oppure è un graffio superficiale? Ci costringe a rivedere il nostro modo di stare nel mondo o, come un acquazzone che ha bagnato i vestiti, ci lascia solo inzuppati per un po’?

Perché ciò che è più basso e profondo, richiede più tempo. O, forse, come dice Rovelli nel suo bellissimo libro, il tempo in alto scorre più veloce che in pianura.

Inizio da un fatto semplice: il tempo scorre più veloce in montagna che in pianura. La differenza è piccola ma si può controllare con orologi che si acquistano su internet per un migliaio di euro. Con gli orologi di laboratori specializzati si osserva il rallentamento del tempo anche tra pochi centimetri di dislivello: l’orologio per terra va un pelino più lento dell’orologio sul tavolo. Non sono solo gli orologi a rallentare: in basso tutti i processi sono più lenti. Carlo Rovelli

Pratica di mindfulness: La meditazione del fiume

© Nicoletta Cinotti 2023 Scrivere storie di guarigione

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Come si fa

22/07/2023 by nicoletta cinotti

“Come si fa”, avrebbe potuto dire la mamma della protagonista di questo libro di memoir, a mandare avanti una famiglia così numerosa, se il papà si mette a letto e non lavora? Come si fa a far finta che tutto sia normale se non tutto gira per il verso giusto? Come si fa a capire quello che succede se siamo bambini e il mondo dei grandi ci sembra lontano e non avvicinabile?

In questo libro, genovesissimo, Giovanna Profumo racconta, molto probabilmente, la sua famiglia, vista con gli occhi di una bambina che osserva, cerca di partecipare ma non riesce ad attribuire il proprio significato agli eventi che accadono. Riesce a restituire in modo perfetto lo stupore e l’incomprensibilità di certi fatti così come possono apparire ai suoi occhi. Occhi desiderosi di essere amati e di amare quello che accade. La tenerezza infatti pervade spesso gli episodi raccontati in uno svolgimento temporale dove la cronologia è secondaria perché lo sguardo rimane uguale: non capisco perché succede quello che sta succedendo.

Visto che il primo capitolo è un salto temporale che vede la protagonista a vent’anni mentre per tutto il resto del libro è una bambina, mi aspetto che il libro successivo parta da lì, da quei vent’anni, il momento in cui incominci ad andare al di sotto della superficie e a capire perché le cose sono andate in un certo modo. Sarebbe triste se la nostra protagonista, a cui ci affezioniamo quasi subito, continuasse a non capire anche una volta uscita dall’infanzia.

Al piacere della lettura si aggiunge il piacere di un libro curato nella pubblicazione, con una copertina elegante come i genovesi sanno essere nella loro sobrietà.

Se vuoi conoscere Genova da dentro le mura, questo è il libro perfetto per te, pubblicato da un editore genovese, Il Canneto, dà uno spaccato di questa città apparentemente iperbole della normalità e in realtà piena di risvolti nascosti. Risvolti sopra e sotto le righe. Se invece genovese lo sei già, per nascita o per adozione, questo è il libro perfetto per fare qualcosa che a Genova è davvero difficile fare: entrare nelle case altrui.

Giovanna Profumo, Come si fa, Il Canneto editore

© Nicoletta Cinotti 2023 Addomesticare pensieri selvatici

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Velarsi o svelarsi?

06/07/2023 by nicoletta cinotti

Passiamo la vita a velarci. Ci copriamo con uno strato sottile di difese, con una maschera leggera, con qualche vestito adatto. Ci drappeggiamo addosso il nostro lavoro, la famiglia. A volte ci veliamo con la felicità e a volte con l’infelicità.

Lo facciamo perché pensiamo che sia meglio. Meglio non far vedere troppo della nostra vulnerabilità e della nostra verità. Lo facciamo per paura, perché sentirsi protetti è meglio che sentirsi vulnerabili.

Fare l’opposto, svelarsi, però non è coraggio. Anche se è il movimento opposto al velarsi non si tratta di coraggio. Quello ce l’abbiamo tutti perché stare nella vita richiede un po’ di genio e molto coraggio. Svelarsi è smettere di vergognarsi. Smettere di guardarsi dall’esterno, come se fossimo attori su un palcoscenico.

Smettere di vergognarsi è dichiarare pace alle cose che sono accadute e a quelle che potrebbero accadere. Non è per niente un atto diplomatico ma nemmeno un atto aggressivo. È comprendere che tutto ciò che è inutile diventa un peso e ad un certo punto le difese non sono più utili, le maschere non sono più una protezione, gli abiti non sono più travestimenti. Svelarsi è il momento in cui scegli la strada dell’intimità e della rivelazione e per questa ragione puoi sentirti più nudo ma non ti senti più isolato. Perché la solitudine è una cosa e l’isolamento un’altra. L’isolamento nasce dal velarsi, dal mettere degli strati tra noi e la vita.

Svelarsi è l’atto in cui iniziamo ad amarci per come siamo e quindi cominciamo a scrivere storie che non hanno un finale già noto, che non sono la ripetizione dei traumi precedenti, ma storie nuove. Storie scritte a partire dal corpo invece che a partire dalla memoria. Perché la memoria è un falso amico, un amico che ricorda sulla base dell’umore e dell’emozione prevalente non è un buon amico. È un partigiano della resistenza.

La nostra sfida quotidiana non è essere ben coperti per poter affrontare il mondo ma toglierci i guanti affinché possiamo sentire il freddo dei pomelli della porta, il bagnato sulla maniglia dell’automobile e affinché possiamo sentire che un bacio d’addio è il contatto con le labbra di un altro essere umano. Dolce e irripetibile. Mark Nepo

Pratica di mindfulness: Apri la porta

© Nicoletta Cinotti 2023 Scrivere storie di guarigione

 

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Quando si diventa grandi

05/07/2023 by nicoletta cinotti

C’è chi ha avuto l’amico immaginario, compagno di giochi pazzesco pronto a sostenerti in qualunque avventura. Io non avevo un amico immaginario. Avevo un padre immaginario. Raccontavo cose di mio padre che non erano vere: erano quelle che avrei voluto fossero vere ma non lo erano.

Non inventavo un lavoro prestigioso ma un rapporto prestigioso, speciale, fatto di ammirazione e intimità insieme. Raccontavo quello che mi sarebbe piaciuto fare con lui e che non avveniva malgrado lo desiderassi molto.

Poi, un giorno, mio padre andò a parlare con gli insegnanti. Ero in seconda o terza media e le insegnanti lo accolsero come un eroe. Finalmente un padre come si deve e un rapporto padre – figlia meraviglioso. Non avrei mai immaginato che glielo avrebbero detto. Forse lo fecero per vedere se le mie parole corrispondevano al vero. Oppure perché le donne, a qualsiasi età, amano le favole.

La cosa peggiore fu quando tornò a casa e mi raccontò, senza un’ombra di dubbio, che le insegnanti erano ammirate per la buona opinione che avevo di lui e della nostra relazione. Segretamente avevo sperato che qualcosa lo facesse risvegliare, invece era solo lusingato. Molto lusingato. Non aveva nemmeno lontanamente intuito che poteva fare di più. Rimase per tutta la vita convinto che noi due avevamo un rapporto speciale.

Quello fu il giorno in cui diventai grande. Quando capisci qualcosa in più dei tuoi genitori diventi, improvvisamente, grande. Quello fu anche il momento in cui, dentro di me, andai via di casa. Oggi guardo a quel momento come si guarda una vecchia fotografia: con tenerezza, commozione, comprensione. So che non si può essere vanitosi con i figli. So perchè non amo le favole.

Quando esitiamo nell’essere diretti inconsciamente indossiamo qualcosa, come uno strato di protezione aggiuntivo che ci impedisce di sentire il mondo e spesso quella copertura sottile è l’inizio di una solitudine. Mark Nepo

Pratica di mindfulness: Meditazione e scrittura. Mi perdono per non aver capito

© Nicoletta Cinotti 2023 Scrivere storie di guarigione

International Teacher Training di Mindful Parenting

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La forza di volontà? Just for love!

18/12/2022 by nicoletta cinotti

Ovvero come far durare a lungo i buoni propositi

Questa è la parte dell’anno dedicata ai buoni propositi. Anche se sappiamo che è solo simbolico pensare a dicembre come ad una conclusione, diventa inevitabile farlo. Fare un bilancio e fare i conti con quello che si è realizzato o mancato di realizzare

È spontaneo che sorga l’idea di fare qualcosa di nuovo, di meglio, di diverso, per l’anno nuovo. Dirsi “quest’anno farò….è tanto rituale quanto farsi gli auguri.

Quando lo diciamo siamo convinti e pieni di entusiasmo. Poi passano i giorni, i mesi e il nostro entusiasmo svanisce di fronte alla fatica del quotidiano. È mancanza di forza di volontà? Possiamo fare qualcosa per avere più grinta? Direi proprio di sì e a questo è dedicato questo articolo.

Per la forza di volontà aboliamo devo, dovrei, per forza

Come prima cosa aboliamo il verbo “Devo” in tutte le sue declinazioni di significato. La mente è “grammaticale” cioè è sensibile alle parole come un poeta e quindi reagisce a questa ingiunzione come reagirebbe ad un ordine. La considera qualcosa di estraneo e, prima o poi, cercherà di liberarsene. E anche noi lo vivremo così. Non siamo più bambini che devono sottostare alle regole: cambiamo il linguaggio verso di noi e trasformiamo i nostri obiettivi in intenzioni.

Può sembrare una sfumatura priva di significato ma non lo è. Se ci diamo un obiettivo abbiamo solo due possibilità: lo raggiungiamo o falliamo. Se mettiamo una intenzione sappiamo che, lungo la strada, potremmo accorgerci che ci sono aspetti nuovi da prendere in considerazione che possono farci cambiare direzione. Se procediamo per obiettivi costruiamo un immagine di noi in cui basta un fallimento per considerarci perdenti. Se mettiamo un’intenzione rimarremo consapevoli del processo e non inizieremo a pensarci come persone prive di forza di volontà!

Sì, perchè uno dei problemi rispetto alle intenzioni dell’anno nuovo è proprio questa: a volte partiamo considerandoci già dei perdenti. Non farlo!

Pensare a te stesso come a qualcuno capace di superare tremende avversità spesso porta ad un comportamento che conferma questa idea. Angela Duckworth

Vòlli, e vòlli sèmpre, e fortissimaménte vòlli

Ve lo ricordate Alfieri? Io lo ricordo più che per le sue opere per la sua frase “vòlli, e vòlli sèmpre, e fortissimaménte vòlli” e per l’immagine di lui legato alla sedia con le corde per non farsi distrarre dallo studio. Ho sempre pensato che fosse una forma estrema e una manifestazione di come la forza di volontà possa essere follia.

In quella breve frase però Alfieri ci dice due cose importanti: la forza di volontà comporta un conflitto contro la distrazione e anche uno sforzo fisico. Lui lo faceva in modo estremo: legandosi. Però è vero che una delle misure della forza di volontà può essere proprio la facilità con cui ci distraiamo. Tutte le volte che, indipendentemente dalla situazione, non ci permettiamo di distrarci coltiviamo la forza di volontà, anche se può sembrare strano. Questa è una delle cose in cui la pratica di mindfulness può essere un grande aiuto. Perchè permette di accorgersi della nostra tendenza a distrarsi ma, senza rimprovero, ci dice, semplicemente, di tornare a casa. Quindi è necessario stabilire un punto in cui tornare e un punto in cui vorremmo arrivare che è la nostra intenzione. Il punto a cui tornare ha bisogno di essere sufficientemente stabile per permetterci l’orientamento. L’intenzione, ossia la direzione, può essere suscettibile di modifiche lungo il percorso, ma deve rimanere chiara.

[box] Stabilire un’intenzione

1. Scrivi su un foglio che cosa desideri per la tua vita. Metti giù 25 cose, anche le più disparate tra loro.

2. Di queste 25 scegline 5: le più importanti.

3. Considera le 20 che hai lasciato fuori una distrazione. Ti torneranno in mente tante volte: ricordati che non le hai scelte e quindi lascia perdere. Tutto non si può fare!

4. Guarda se tra le 5 rimaste c’è un filo comune e costruisci così la tua intenzione.

Liberamente tratto da Grinta di Angela Duckworth[/box]

Mettere a fuoco

Il primo punto quindi potrebbe essere non chiedere troppo a noi stessi e metterci in condizioni in cui, se vogliamo essere concentrati, gli stimoli siano ridotti. Immagino che Alfieri non si legasse ad una sedia pretendendo di studiare in piazza ad Asti ma lo facesse nella sua stanza. Quindi la prima condizione potrebbe essere proprio mettere a fuoco quello che davvero è importante per noi.

Molto spesso mettiamo alla prova la nostra forza di volontà con cose che detestiamo (tipo le diete: ditemi che non posso mangiare una cosa e improvvisamente avrò voglia di mangiare solo quello!). Prova a partire da un punto di vista diverso: che cosa ti sta davvero a cuore? Che cosa vorresti davvero per la tua vita? Qual è la tua passione segreta? Seguila – magari come hobby – ma nel seguirla coltivi la tua forza di volontà perchè è lì che si impara determinazione e perseveranza: dall’amore.

[box] In questo senso la mindfulness è un ottimo esercizio per la forza di volontà: ci distraiamo continuamente e continuamente siamo richiamati a tornare allo stesso oggetto d’esplorazione. Mille volte vaghiamo, mille volte torniamo. Congratulandoci per essere tornati presenti coltiviamo l’attenzione e i vantaggi del mantenere un’attenzione prolungata su un unico oggetto.[/box]

Rimane però un tema: come fare per non essere trascinati continuamente da nuove distrazioni?

Iniziare e finire qualcosa

Dietro alla distrazione e alla relativa mancanza di forza di volontà c’è una sorta di abbandono. Iniziamo qualcosa, magari entusiasti e poi arriva qualcos’altro e appena l’entusiasmo diminuisce passiamo ad una nuova attività. Apparentemente questa è mancanza di forza di volontà. Con una piccola aggiunta: a volte siamo sopraffatti da moltissimi stimoli e quindi non solo non basta la forza di volontà ma quasi non ci accorgiamo che stiamo seguendo uno dei tanti desiderata che avremmo dovuto mettere in secondo piano se abbiamo fatto l’esercizio del mettere un’intenzione che è nel box sopra. Un buon modo per non farsi trascinare è prendere un tempo prima di iniziare qualcosa di nuovo: quel tempo permetterà di chiederci se è davvero questo quello che vogliamo fare. Lo stesso vale per prendersi del tempo quando finiamo qualcosa: ci permetterà di chiederci se è proprio il momento per concludere o se non stiamo abbandonando troppo presto un’attività. In più ci permetterà di mettere una specie di segnalibro: ottimo quando torneremo su quell’attività

[box] Cerca di fare una pausa proprio prima di iniziare e proprio dopo aver finito qualcosa di nuovo. Anche se è qualcosa di semplice come mettere la chiave per aprire la porta. Questa pausa è un breve momento, eppure ha l’effetto di decomprimere il tempo e di centrarti. David Steindl-Rast[/box]

Le componenti della forza di volontà? Passione e perseveranza

Cos’è che forma la nostra forza di volontà? Angela Duckworth non ha dubbi: sono la passione e la perseveranza che formano la nostra forza di volontà. Che lei chiama, in modo più accattivante, grinta.

La passione alimenta la nostra motivazione e la rende resistente alla distrazione, alla noia e alla frustrazione che si incontrano sempre quando vogliamo approfondire una qualità. Sì, perchè avere una passione significa essere soddisfatti anche quando siamo insoddisfatti. Significa non mollare perchè le cose non vanno nella direzione giusta ma insistere perchè ci sembra che quello che arriverà dopo sarà un bel premio anche se ci è costato fatica. La passione non ha solo determinazione ma ha anche una direzione: vogliamo arrivare da qualche parte e lo facciamo con perseveranza. Queste due qualità sono nutrite dai successi ma diventano essenziali di fronte alle difficoltà e agli insuccessi. La forza di volontà infatti riguarda più quello che facciamo quando qualcosa non funziona che quello che facciamo quando va tutto bene. Quando le cose vanno a gonfie vele siamo motivati…abbiamo bisogno della forza di volontà nei momenti difficili.

Lavorare duro come…topi

Se la passione può essere considerata qualcosa di intimo e personale la perseveranza è invece una qualità che può essere coltivata. Come? Secondo Robert Eisenberg, che lavora all’università di Houston, dando compiti duri. Due popolazioni di topi con le stesse caratteristiche genetiche possono sviluppare comportamenti di perseveranza molto diversi a seconda del tipo di addestramento ricevuto. Eisenberg propone ad un gruppo una ricompensa – in genere cibo – ottenuta attraverso 20 ripetizioni di una singola azione e ad un altro gruppo dopo 2 ripetizioni. Dopo un periodo di addestramento con questo esercizio ai topi viene proposto un compito difficile.  I topi che sono stati addestrati ad avere più difficoltà per ottenere il cibo sono più abili nei compiti successivi di quelli che hanno avuto “la vita facile”. Anche se sono compiti di altra natura.

Ecco perchè è importante partire dalla passione: coltiva la tua forza di volontà facendo qualcosa che ami. Questo rafforzerà la tua determinazione anche nel fare le cose che non ami particolarmente perchè le nostre abilità sono trasversali.

Geoffrey Canada è uno scienziato sociale che si occupa di bambini che crescono in situazioni disagiate, per favorire uno sviluppo pieno del loro potenziale di crescita. Non si comporta come Eisenberg con i topi, facendoli lavorare duro per poter mangiare. Fa una cosa ancora più bella. Li fa lavorare duro per la loro passione: che sia ballare o giocare a basket non ha importanza. Parte da lì per sviluppare i loro comportamenti di perseveranza. Nella convinzione – abbastanza dimostrata – che se accetti la fatica da qualche parte poi la saprai usare anche per il resto della sua vita. E i dati gli stanno dando ragione!

Il talento: gioie e dolori

Vogliamo che i nostri figli siano felici e così esageriamo: esageriamo nell’offrire loro un ambiente eccessivamente comodo. In questo modo non gli permettiamo di sperimentare le loro passioni a fondo, né di fargli trovare quella perseveranza che nasce dal lavorare duro per qualcosa che ami. Il punto però è partire dalla loro passione e metterli in condizione di capire che la passione vale la pena del lavoro duro che, a volte, comporta.

Il vero ostacolo, per strano che possa sembrare, è il talento. Abbiamo una cultura che dà estrema importanza al talento e rischia di sottovalutare l’importanza dell’impegno. Per quanto una persona sia talentuosa nessuno può fare a meno di esercitarsi. Ne sono un esempio gli sportivi o i musicisti. Quando li vediamo in gara rimaniamo estasiati dal loro talento e crediamo che sia un miracolo, frutto di una fortunata coincidenza tra struttura fisica e condizioni ambientali. In realtà dietro ci sono tantissime ore di allenamento e una vita passata a studiare.

Ho odiato ogni minuto di allenamento ma mi dicevo, soffri ora ma vivi il resto della vita come campione! Muhammad Alì

Questa frase è un po’ come quella dell’Alfieri: non sottovaluta la fatica e la accetta in vista di un risultato futuro. Il punto di partenza però è il cuore.

I campioni non si costruiscono in palestra. Si costruiscono dall’interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione. Devono avere l’abilità e la volontà. Ma la volontà deve essere più forte dell’abilità. Muhammad Alì

La forza di volontà è una caratteristica innata?

È vero che i bambini, fin da neonati, hanno comportamenti molto diversi. E che questi comportamenti sembrano avere una base innata. È vero però che la forza di volontà risponde all’apprendimento e – buona notizia – è un apprendimento che può essere fatto in qualsiasi momento. Angela Duckworth dà alcuni suggerimenti che io ho un po rielaborato.

  1. Fermati al punto naturale di fine. Che vuol dire impara a non andartene troppo presto ma anche a non rimanere oltre il limite duro delle cose. Interrompere alla prima difficoltà coltiva la distrazione. Insistere troppo a lungo coltiva lo sforzo. Le cose però hanno un punto naturale di fine che è importante saper riconoscere. E quel punto di fine deve essere in relazione con noi non con il raggiungimento di un obiettivo particolare che potrebbe essere molto spostato rispetto al nostro limite. Tradotto vuol dire finisci tutte le lezioni di yoga che hai comprato anche se è dura; finisci la pratica anche se ti sembra lunga; domandati se sei al punto naturale di fine o se stai abbandonando o prolungando troppo oltre.
  2. Scegli su che cosa vuoi esercitare la tua forza di volontà: non farlo su qualcosa che devi ma su qualcosa che ami. Una volta imparato a coltivare perseveranza e determinazione su quello che ami ti sarà più semplice applicarlo anche su quello che devi fare.
  3. Scegli una cultura, un  gruppo di riferimento. Può sembrare che la forza di volontà sia un fatto squisitamente personale: non lo è. Nelle famiglie i cui membri hanno maggiore determinazione, ci sono bambini più determinati. Meditare insieme è più facile che meditare da soli. Essere in una squadra affiatata ci fa giocare meglio che quando si è in un gruppo disordinato. Abbiamo bisogno del rinforzo, del sostegno che viene dalla condivisione. Abbiamo bisogno di modelli di riferimento. Qualunque sia la tua passione, l’intenzione per il nuovo anno, l’oggetto della tua forza di volontà cerca un buon gruppo con cui condividerlo. Persone con cui allenarti o essere in dialogo.
  4. Non farlo solo per te. Gli scopi esclusivamente personali sono più deboli. Chi ha famiglia è più motivato ad avere successo professionale perchè pensa al futuro dei propri figli. Questo è vero anche se non abbiamo famiglia: è più facile studiare per ore e ore violino se pensiamo alla gioia che potremo dare a chi ci ascolterà. È più facile allenarsi se siamo affezionati al nostro allenatore. Il nostro animo e la nostra mente sono squisitamente sociali e hardwired per la socialità. Ciò che rafforza esageratamente gli elementi di personalità a discapito del gruppo mette una condizione di stress eccessivo. Competere, nella sua etimologia originaria, aveva il significato di andare insieme verso il medesimo punto: qui nasce la nostra forza: nell’andare insieme verso il medesimo punto. Nei secoli abbiamo ristretto questa visione in “io arrivo prima di te”. Torniamo all’etimo originario e andiamo insieme verso il medesimo punto…

Per me lo scopo della forza di volontà non è l’eccellenza ma la pratica. Lo scopo è aiutare le persone a trovare il proprio ritmo e la propria continuità nella pratica. Quando ho fatto la supervisione con Carolyn West del Center for Mindfulness le sue parole sono state molto gentili su questo argomento “Rilassati: non possiamo fare niente perchè le persone pratichino. Deve essere una loro scelta”.

È vero: la pratica non può che essere una scelta personale ma poiché sperimento ogni giorno i benefici della pratica, ogni giorno mi piace ricordare che abbiamo la possibilità di compiere un retto sforzo: non per amore dell’eccellenza ma just for love. E la mia pratica non sarebbe così ricca se non sapessi che la faccio ogni giorno insieme a te. Per cui grazie: sei la radice della mia determinazione. (Grazie anche se hai letto fino a qui: sono un po’ lunga!)

© Nicoletta Cinotti 2022

 

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Scrivere è un errore continuo

25/09/2022 by nicoletta cinotti Lascia un commento

All’esame di maturità presi 3 di tema. Mi salvò la prova di matematica dove presi 10. Il Presidente della Commissione d’esame – un’insegnante di Lettere molto stimata in città anche per il suo impegno politico – mi predisse le 7 calamità naturali per quello che riguardava la mia scrittura. Arrivai all’Università ben contenta che gli esami fossero orali. Scrivere la prima tesi di laurea fu difficile. Poi decisi di prendere un’altra laurea e anche la seconda tesi fu difficile: mi salvai perché era una tesi di ricerca e i numeri a me piacciono. Soprattutto le metriche e le statistiche.

Iniziai ad aver bisogno di scrivere per lavoro. Era una sofferenza ogni volta. Lo facevo ma non potevo dimenticare le 7 calamità predette dal presidente della commissione di maturità. Te le dico perché potrebbero venir utili: vai fuori tema, sei esagerata, usi frase fatte, non hai una struttura, inizi male, finisci peggio, usi parole difficili. Come ottava calamità aveva detto “Leggerti mi ha fatto venire i vermi”. Confesso che delle parole difficili non mi sono ancora liberata: mi piacciono abbastanza per via del suono.

Poi, ad un certo punto iniziai a scrivere per amore: per amore della pratica. Per gratitudine verso tutto quello che ogni giorno fioriva dentro di me e fuori di me. Continuavo ad avere tutte e sette le calamità naturali (qualche volta avevo anche i vermi mentre scrivevo che sarebbe stata l’ottava calamità!). Però ero certa che non fosse importante perché quelle parole erano un regalo. E ai regali non si contesta mai nulla. Piano piano le parole non erano più sassi appuntiti ma diventavano fluide come acqua. A volte dolci come miele.

Ho capito che quello che mi rendeva difficile scrivere erano gli errori. Scrivere è incontrare di continuo i nostri errori. Ti si palesano davanti perché scrivere è come tornare a casa: ti incontri. E vedi, con onestà, le cose come stanno. E se non sei onesta la scrittura lo rivela subito, diventa subito una nota stonata. Magari cerchi di nasconderti e allora la scrittura diventa roboante o contorta. Cerchi di dargli struttura ma invece a volte le parole girano nell’aria come fiocchi di neve e bisogna lasciarle così: parole singole in movimento.

ieri abbiamo fatto la pratica gratuita di meditazione e scrittura e alcune persone, dopo, mi hanno inviato quella che hanno scritto. È stato davvero un regalo, anche se non risponderò personalmente a tutti. Sono uscite parole vive, che splendevano. Che si mostravano – “piene di errori” sintattici, avrebbe detto la professoressa della maturità – eppure splendevano nella loro unicità insegnando, nei fatti, che quando ti mostri incontri i tuoi errori e li rendi luminosi. Scrivere è incontrare di continuo i nostri errori e amarli: meno male che è così.

Dedicate: prima e dopo aver scritto, siate sicuri che sia dedicato. Questo è vero per tutto, non solo per la scrittura. Dedico ogni cosa che faccio. Ogni singolo atto di dedica trasforma la mia pratica di scrittura. Gail Sher

© Nicoletta Cinotti 2022 Scrivere storie di guarigione

 Il diario di pratica

I principi di trasformazione

Meditazione e poesia

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