• Passa al contenuto principale
  • Passa al piè di pagina
Nicoletta Cinotti
  • Nicoletta
  • I miei libri
  • Blog
  • Contatti
  • Iscriviti
  • Mindfulness
    • Cos’è la Mindfulness
    • Protocollo MBSR
    • Protocollo MBCT
    • Il Protocollo di Mindfulness Interpersonale
    • Il Protocollo di Mindful Self-Compassion
    • Mindful Parenting
    • Mindfulness in azienda
  • Bioenergetica
    • Cos’è la Bioenergetica
    • L’importanza del gruppo
  • Corsi
  • Percorsi suggeriti
  • Centro Studi
  • Nicoletta
  • I miei libri
  • Blog
  • Contatti
  • Iscriviti
AccediCarrello

Meditazione e scrittura

Come si scrive un diario?

29/10/2022 by nicoletta cinotti

Gli occhi dei bambini sono così aperti che la responsabilità per ciò che racconterò mi fa trepidare. Sono più di duecento quegli occhi puntati su di me, sei terze classi della primaria. Il tema dell’incontro è affascinante ma impegnativo: come si scrive un diario? Vedo le loro dita, capaci di una grafia ancora acerba, in attesa sulle pagine bianche. Ho cominciato leggendo l’inizio di Oscar e la dama in rosa di Eric Emmanuel Schmitt: il protagonista è un bambino di 10 anni che, nei giorni della sua degenza in ospedale, decide di scrivere un diario rivolgendosi a Dio.

Sin dalle prime righe emerge che tenere un diario significa non poter mentire a se stessi. Questo genere di scrittura, oggi più che mai, è necessario per bambini e adolescenti, perché nasce dal bisogno di ritrovare l’io perduto. In un tempo come il nostro in cui l’io è disgregato, frammentato, confuso, per ragioni culturali e relazionali, scrivere un diario è un modo in cui ci si concede la possibilità di non perdersi nel caos e non essere schiacciati dalla vita. La frammentazione o destrutturazione della cosiddetta «conversazione interiore», l’originaria capacità che abbiamo di dire «io», oggi ferisce a morte la crescita personale. La solidità della conversazione interiore è ciò che ci consente di diventare «soggetto» (ciò che sta sotto): l’io a fondamento di tutti gli io provvisori che indossiamo a motivo di ruoli e compiti. Senza l’io-soggetto ci dissolviamo, con grande sofferenza, nei centomila e nessun io che le circostanze della vita richiedono.

Il diario è una forma di scrittura che libera e fa crescere l’io-soggetto, la cui dissoluzione porta all’estraneità a se stessi, che si manifesta con confusione, tristezza, paura, ansia… Il soggetto disperso avverte il bisogno di rivelare a qualcuno la propria vita per poterla salvare, cioè ritrovare l’unità di senso che dà pace e gioia. Le Confessioni di Agostino, il Diario di Kierkegaard, Il mio cuore messo a nudo di Baudelaire, i Diari di Kafka, il Diario di Etty Hillesum, Il mestiere di vivere di Pavese… hanno in comune la crisi di un io che cerca unità e pace. Per questo il diario ha bisogno di un «tu» più o meno esplicito. Ho chiesto allora ai bambini di sceglierne uno e hanno scelto chi amano di più: genitori, fratelli, amici, nonni… Perché? Perché quel tu accoglie e raccoglie i nostri frammenti sconnessi. Ho quindi spiegato loro che per questo il diario è «segreto», parola latina che indica ciò che si sceglie per sé separandolo da tutto: l’intimità è il luogo senza cui è impossibile vivere il proprio «io». Perché necessitiamo di un tu che accolga l’io «segreto»? Perché siamo esseri relazionali e il soggetto emerge solo se entra profondamente in relazione: ama ed è amato. Alessandro D’Avenia,

© www.nicolettacinotti.net

Archiviato in:Addomesticare pensieri selvatici, Meditazione e scrittura, mindfulness

La mente sensoriale

28/10/2022 by nicoletta cinotti

Rientro a casa dopo essere stata a Monteortone e a Genova per qualche giorno. Apro la porta, riconosco la luce del corridoio, l’odore della casa. Il silenzio sonoro, con l’esterno in sottofondo. L’ordine delle cose che mi aspetta. Le spalle che scendono e il petto che si dilata mi ricorda la sensazione conosciuta dell’essere tornata a casa. Una parte di me ha in mente un piano. Ha sempre un piano: disfare la valigia, separare le cose sporche dalle cose pulite, sistemarle nell’armadio, preparare la lavatrice, guardare il deserto del frigo. Decidere se rovistare nella dispensa o mangiare fuori ma un’altra parte di me – la mente sensoriale – è tutta nel gustare l’attimo in cui sperimento la sensazione di arrivare.

La sensazione di arrivare è preziosa perché è rara. Arriviamo molte volte ma ce ne rendiamo conto raramente. Per accorgersene dobbiamo lasciar spazio alla mente sensoriale e ascoltare. La nostra mente narrativa, quella che ha un piano sempre pronto, ci spinge al dopo, al movimento successivo, come se volesse cancellare il presente. Mente sensoriale e mente narrativa cercano di darci il quadro della situazione. La mente sensoriale parla nell’ascolto, la mente narrativa parla nell’azione e nella sequenza. La prima dilata il tempo, la seconda aggiunge velocità al tempo vissuto. Spesso la mente narrativa prende il sopravvento, l’altra è delicata e le lascia spazio. Solo le emozioni intense le fanno prendere la scena. Eppure la base su cui si poggia la nostra esperienza di vita, le sue fondamenta, non sono in quella chiacchierona della nostra mente narrativa. Le basi sono nella nostra mente sensoriale. Quella che parla a bassa voce e che chiede di essere ascoltata.

È una mente poetica, associativa, non logica ma dotata di senso. È il senso delle cose quello che ci parla della nostra mente sensoriale. È il senso del tornare a casa. Un arrivare che può accadere in qualunque luogo e in qualunque momento. È quando entriamo dritti dritti nell’esperienza. Perché tornare a casa è riconoscere dove siamo. E sentirsi riconosciuti da quello che incontriamo.

C’è sempre qualcosa da ascoltare, anche se non è incluso nell’argomento di conversazione apparente. Gregory Kramer

Pratica di mindfulness: Attenzione, precisione, gentilezza

© Nicoletta Cinotti 2022 Scrivere storie di guarigione: domani dalle 10 alle 12 (Pratica gratuita)

Riprendere i sensi tra ragione e sentimento. Laboratorio sensoriale di mindfulness Domenica 6 novembre dalle 14 alle 17, Milano, Fondazione Il Lazzaretto

Archiviato in:Meditazione e scrittura, mindfulness, mindfulness continuum

Come mai tornano i ricordi?

27/10/2022 by nicoletta cinotti

Come mai tornano i nostri ricordi? Ricordi che a volte sono di un passato remoto e altre volte di un passato molto prossimo? Ogni tanto compaiono come immagini, magari suscitate da un profumo. Altre volte sono pensieri che sembrano arrivare dal nulla, senza causa apparente. In alcuni casi invece sono ben presenti anche se vorremmo mandarli via.

Tornano perché dobbiamo capire qualcosa? Tornano perché vogliamo cambiare qualcosa? Forse la risposta certa non c’è. Per me tornano perché qualcosa di me è rimasto laggiù. Una parte che è prigioniera di quel passato, di quella situazione e che mi chiede di tornare nel presente, con me. In passato avevo molti ricordi. Adesso sono rarefatti perché, con il tempo, ho liberato queste parti catturate dal passato. Per farlo sono dovuta tornare lì e guardare. Accettare di vedere ancora le cose come se le guardassi per la prima volta. Succede spesso che non riusciamo a lasciar andare perché non accettiamo di guardare. E così il nostro passato ci rimane addosso, come un bambino piagnucoloso che vorrebbe ricevere attenzione e che ci trova, invece, scorbutici e distratti.

Lasciar andare non è far finta di non vedere: è accettare di vedere le cose come sono e riportare a casa le parti di noi rimaste prigioniere. A volte nel farlo avevo paura e mi immaginavo di trovare il coraggio di indiana Jones per convincermi ad andare avanti. Non ho il coraggio degli eroi, di quelli che combattono con le armi. A dire il vero non ne ho nemmeno il fisico: una ventata più forte mi sposta e con gli anni divento sempre più leggera. Ho il coraggio degli esploratori, che sono curiosi e un po’ maldestri e, per caso, trovano piccoli grandi tesori. È così che ho riportato a casa la mia bambina spaventata, la mia adolescente ribelle, la giovane donna spavalda. E se dimentico qualche pezzo posso stare tranquilla: prima o poi torna a bussare alla mia porta. Sono un po’ come gli anelli di crescita degli alberi che tengono insieme tutte le età della vita.

A volte in casa c’è una gran confusione: parlano tutte insieme e tutte vogliono ascolto: la bambina, l’adolescente, la giovane donna e la donna che sono ora. Allora gli racconto la storia dell’albero di tasso che, con gli anni, rende più vuoti i suoi rami in modo che siano più leggeri e che il vento, anche se tempestoso, non li spezzi. Gli racconto che dobbiamo lasciare sempre un po’ di vuoto, un po’ d’incompiuto per avere la leggerezza degli uccelli. Per avere lo spazio per crescere ancora. E loro, quando racconto favole, si mettono tranquille, perché niente è meglio di una bella storia per lasciar andare e non rimuginare. Perché le storie tessono i fili del nostro passato e li trasformano in una tela.

Il silenzio è tutto ciò che temiamo, perché aspettiamo il riscatto della parola. Emily Dickinson 

Pratica di mindfulness: Meditazione e scrittura: mi perdono per non aver capito

© Nicoletta Cinotti 2022 Meditazione e scrittura: pratica gratuita sabato 29 Ottobre

Archiviato in:Meditazione e scrittura, mindfulness continuum

Permettere e lasciar andare: dove corpo e mente si incontrano

01/10/2022 by nicoletta cinotti

Nella nostra vita ci troviamo spesso, forse anche molto spesso, a subire uno scacco matto. A differenza di quello che succede negli scacchi quello però non è il momento in cui finisce la partita. È il momento in cui dobbiamo giocare senza riserve la sfida che ci si è presentata davanti.

Che sia una malattia che mette a rischio la nostra esistenza o la sua qualità, oppure una dolorosa separazione o una difficoltà lavorativa, sono molti i momenti in cui ci sentiamo di fronte ad una sfida che, sappiamo, qualificherà il resto delle nostre giornate. Per molti di noi quelli sono i momenti in cui funzioniamo meglio. L’emergenza attiva le nostre risorse e la nostra anima di guerrieri. Il problema è che vorremmo che la battaglia finisse presto. O almeno che finisse ad un certo punto. E, invece, se c’è una cosa che succede quando siamo in scacco, è proprio che non sappiamo se questa battaglia finirà: lo scacco è proprio dovuto al fatto che cambia l’idea che ci eravamo fatti del nostro futuro.

Cambiare il panorama

In psicologia parliamo spesso di un costrutto – che temiamo molto tutti – che si chiama impotenza appresa. Spiegarla in due parole è piuttosto semplice: se più e più volte ci è andato male qualcosa, impariamo che, su quell’argomento, siamo impotenti. Succede ai bambini che hanno un disturbo dell’apprendimento ma anche alle persone che soffrono di attacchi di panico. Succede a chi ha una disabilità fisica e a chi ha avuto ripetuti incidenti. Ad un certo punto la nostra mente decide – prima che avvenga l’esperienza – che quella cosa andrà male. Anzi malissimo e che, quindi, tanto vale non provare. Impariamo ad evitare e a restringere il nostro campo vitale.

Voglio fare un esempio pratico. Una paziente che ha avuto alcune storie affettive che sono finite (perché bisogna dire la verità l’amore non sempre è per sempre!) mi raccontava della sua decisione di stare bene da sola. E anche mi portava molti elementi a sostegno di questa decisione. Siccome era una donna colta citava posizioni filosofiche, psicologiche e sociologiche sull’utilità di coltivare la solitudine. in termini emotivi cercava di giustificare la sensazione di impotenza appresa che era nata nella sua mente.

L’impotenza appresa e l’evitamento del dolore

Capita spesso che i bambini al primo compleanno spengano la candelina toccando la fiammella: imparano presto che non è una buona idea! Che differenza c’è tra questo apprendimento e l’impotenza appresa? Da un certo punto di vista nessuna differenza: imparano dall’esperienza ed evitano di farsi male di nuovo. Ed evitare di farsi male di nuovo è un comportamento che protegge la nostra sopravvivenza. Da un’altro punto di vista la differenza è sostanziale. Il fuoco brucia sempre. Quindi la generalizzazione è corretta: ogni volta che vedi una fiamma sai che quella cosa brucia e che bruciano anche gli oggetti che sono stati vicini a quella fiamma come le pentole che sono state sul fuoco. Quando evitiamo le relazioni perchè ci hanno fatto male facciamo la stessa generalizzazione. La relazione mi ha fatto male e quindi tutte le relazioni fanno male. Solo che le persone non sono tutte uguali come il fuoco. Ogni persona è diversa e ogni situazione è diversa. Quella generalizzazione – che sembra proteggerci – in realtà ci chiude delle possibilità. tante possibilità.

Il bambino che ha un disturbo dell’apprendimento non è incapace di imparare, come spesso finisce per pensare. Ha bisogno di strumenti diversi per imparare ma le sue facoltà cognitive sono integre: sono solo diverse. Chiudere con la scuola non è una soluzione ma la cristallizzazione del danno. Ecco l’impotenza appresa cristallizza il danno. Con la speranza di evitare la possibilità del dolore scegliamo di darci un dolore: perdere una possibilità.

Cosa ci raccontiamo quando siamo impotenti

Per evitare una situazione che sentiamo pericolosa usiamo due piccole e semplici parole che mettono in allarme il corpo: “Pericolo” e “Stai attento”. Possibile, direte voi? Si, è proprio così. Corpo e mente si parlano con parole semplici, essenziali: non frasi ma ingiunzioni che funzionano sotto traccia. Senza che ne siamo consapevoli …fino a che non ne diventiamo consapevoli. C’è un modo per diventarne consapevoli?

Sì, c’è un modo che si chiama noting o notazione . Che cos’è? La nostra mente comunica con il corpo attraverso le parole, mentre il corpo comunica con la mente attraverso la contrazione o il collasso muscolare. La notazione quindi non è altro che dare nome a quello che succede. Non raccontare quello che succede ma semplicemente riconoscerlo e nominarlo. C’è un detto inglese “naming is taming” ossia nominare è addomesticare. Quindi nominiamo la nostra esperienza interna a partire da una semplice parola. Può essere una parola che definisce l’emozione oppure una parola che definisce la sensazione fisica: nessun dialogo con i pensieri. Siamo zen: se abbiamo paura ripetiamo mentalmente “provo paura” oppure ” sento tensione alle spalle” e poi ancoriamo l’attenzione al respiro o ai suoni

Possiamo usare la notazione anche in modo attivo, come ti racconto in questo video. Quando ci rendiamo conto che stiamo per partire in difensiva ripetiamo mentalmente “permettere” o/e “lasciar andare” in modo da stare nell’esperienza in corso. Perché la pratica di mindfulness è semplicemente questo: stare nell’esperienza in corso.

Meditare: permettere e lasciar andare

Meditare vuol dire stare con tutto ciò che c’è in quel dato momento, con tutto ciò che si è in quel dato momento, né più né meno. Stare ed essere completamente nel qui e ora, senza aspettative. Non vuol dire cambiare lo stato delle cose (che sia un pensiero, un’emozione o un dolore fisico), né tantomeno reprimerle, ma riuscire ad accoglierle così come sono, dando attenzione intenzionale con un’atteggiamento da osservatore neutrale o testimone. Ecco perché permettere e lasciar andare sono i due verbi essenziali della mindfulness. Ci consentono di stare nell’esperienza in corso, anche se negativa. Ci permettono di andare oltre l’esperienza in corso, sia che sia negativa che positiva. Ci invitano a non rimanere aggrappati.

Possiamo dire che , se di tanto in tanto – sospendendo il giudizio – portiamo l’attenzione a quello che stiamo provando e ci ripetiamo mentalmente “permetto”, “lascio andare” stiamo facendo una straordinaria pratica informale

Perché è difficile permettere e lasciar andare?

Detto così è tutto semplice ma permettere e lasciar andare non sono facili: come mai? Ecco qui può aiutarci la scrittura. Noi abbiamo tante idee, tanti discorsi che, molto spesso, parlano solo della superficie delle cose. Con la pratica di mindfulness invece andiamo in profondità. facciamo un inquiring, una esplorazione percettiva. Così perchè non mettere dentro lo spazio interno queste due parole e poi lasciare che il respiro faccia venire a galla quello che vogliono dire per noi? Senza censurare se le consideriamo anche negative, senza nasconderci la verità.

A quel punto avremo fatto una doppia pratica: avremo lasciato che la consapevolezza del respiro porti a galla quello che sta in profondità e, nello stesso tempo, verrà a galla solo quello che possiamo tollerare. Scrivendolo poi l’avremo davvero lasciato andare perché avremo portato la luce della consapevolezza nella nostra ripetizione.

© Nicoletta Cinotti 2022

 

Eventi correlati

Scrivere storie di guarigione. Pratica gratuita. Prossimo incontro 29 Ottobre ore 10

https://us06web.zoom.us/meeting/register/tZIocO2upzovGd1GSkBrNa2cyApTu732nig0

Archiviato in:Addomesticare pensieri selvatici, approfondimenti, Meditazione e scrittura, mindfulness

Scrivere è un errore continuo

25/09/2022 by nicoletta cinotti Lascia un commento

All’esame di maturità presi 3 di tema. Mi salvò la prova di matematica dove presi 10. Il Presidente della Commissione d’esame – un’insegnante di Lettere molto stimata in città anche per il suo impegno politico – mi predisse le 7 calamità naturali per quello che riguardava la mia scrittura. Arrivai all’Università ben contenta che gli esami fossero orali. Scrivere la prima tesi di laurea fu difficile. Poi decisi di prendere un’altra laurea e anche la seconda tesi fu difficile: mi salvai perché era una tesi di ricerca e i numeri a me piacciono. Soprattutto le metriche e le statistiche.

Iniziai ad aver bisogno di scrivere per lavoro. Era una sofferenza ogni volta. Lo facevo ma non potevo dimenticare le 7 calamità predette dal presidente della commissione di maturità. Te le dico perché potrebbero venir utili: vai fuori tema, sei esagerata, usi frase fatte, non hai una struttura, inizi male, finisci peggio, usi parole difficili. Come ottava calamità aveva detto “Leggerti mi ha fatto venire i vermi”. Confesso che delle parole difficili non mi sono ancora liberata: mi piacciono abbastanza per via del suono.

Poi, ad un certo punto iniziai a scrivere per amore: per amore della pratica. Per gratitudine verso tutto quello che ogni giorno fioriva dentro di me e fuori di me. Continuavo ad avere tutte e sette le calamità naturali (qualche volta avevo anche i vermi mentre scrivevo che sarebbe stata l’ottava calamità!). Però ero certa che non fosse importante perché quelle parole erano un regalo. E ai regali non si contesta mai nulla. Piano piano le parole non erano più sassi appuntiti ma diventavano fluide come acqua. A volte dolci come miele.

Ho capito che quello che mi rendeva difficile scrivere erano gli errori. Scrivere è incontrare di continuo i nostri errori. Ti si palesano davanti perché scrivere è come tornare a casa: ti incontri. E vedi, con onestà, le cose come stanno. E se non sei onesta la scrittura lo rivela subito, diventa subito una nota stonata. Magari cerchi di nasconderti e allora la scrittura diventa roboante o contorta. Cerchi di dargli struttura ma invece a volte le parole girano nell’aria come fiocchi di neve e bisogna lasciarle così: parole singole in movimento.

ieri abbiamo fatto la pratica gratuita di meditazione e scrittura e alcune persone, dopo, mi hanno inviato quella che hanno scritto. È stato davvero un regalo, anche se non risponderò personalmente a tutti. Sono uscite parole vive, che splendevano. Che si mostravano – “piene di errori” sintattici, avrebbe detto la professoressa della maturità – eppure splendevano nella loro unicità insegnando, nei fatti, che quando ti mostri incontri i tuoi errori e li rendi luminosi. Scrivere è incontrare di continuo i nostri errori e amarli: meno male che è così.

Dedicate: prima e dopo aver scritto, siate sicuri che sia dedicato. Questo è vero per tutto, non solo per la scrittura. Dedico ogni cosa che faccio. Ogni singolo atto di dedica trasforma la mia pratica di scrittura. Gail Sher

© Nicoletta Cinotti 2022 Scrivere storie di guarigione

 Il diario di pratica

I principi di trasformazione

Meditazione e poesia

Archiviato in:Addomesticare pensieri selvatici, Meditazione e scrittura Contrassegnato con: meditazione, Nicoletta Cinotti, protocolli per bambini, protocollo di mindfulness interpersonale, protocollo MBCT, protocollo mbsr, protocollo mbsr chiavari, protocollo mbsr genova, protocollo mindfulness torino, psicoterapia, ritiri di mindfulness e bioenergetica, ritiro di bioenergetica e mindfulness, ritiro di meditazione, ritiro di mindfulness, scrittura, scrivere, tornare a casa

L’intento delle parole: il cambiamento

23/09/2022 by nicoletta cinotti

Sappiamo bene che le parole hanno una loro forza e una loro energia. Lo scopriamo ogni giorno quando, a volte inatteso, vediamo l’effetto delle parole che abbiamo detto o delle parole che abbiamo ricevuto. Non è solo perché le parole disegnano come ci sentiamo. È anche perché le parole hanno, molto spesso, forse sempre, un intento sottile e inconscio: il cambiamento.

Le diciamo per dare una direzione al cambiamento che vorremmo vedere in noi stessi e nel mondo e se riusciamo a cogliere questo motore nelle nostre parole possiamo davvero accorgerci come ci spingono un po’ più in là di dove siamo. Jung diceva che le previsioni esistono perchè l’inconscio copre il nostro presente fino a farlo arrivare al futuro. Non so se questo sia vero ma molto spesso, se ascoltiamo con attenzione, possiamo accorgerci quanto le parole disegnino una intenzione e diano una direzione al nostro movimento.

Ci dicono dove siamo e anche dove vorremmo andare e lo fanno attraverso un mezzo che è sensoriale. Le parole disegnano suoni e immagini prima ancora che pensieri. È per questo che toccano tanto in profondità. È per questo che scrivere ci permette di capire qualcosa in più di quello che sappiamo consapevolmente.

Scrivi al risveglio, senza selezionare e rileggi giorni dopo: vedrai che avevi visto cosa sarebbe successo nel panorama interno. Perché le parole sono i semi del nostro cambiamento e le immagini della nostra realtà.

E dopo aver scritto leggi ad alta voce, perché il suono ti dirà dove la tua intenzione si interrompe e quale emozione emerge da quella frattura parlerà dei sentimenti che ti trattengono. Scrivi per dare corpo alla tua voce. Non preoccuparti da dove vengono le tue parole. Non preoccuparti che siano perfette: lascia che sia il suono a dirti dov’è la frattura.

Winnicott, uno psicoanalista inglese diceva “Mi rifiuto di fare i collegamenti tra le mie idee e le teorie degli altri. La mia mente non funziona così. Quello che faccio è di mettere insieme ciò che, qua e là, emerge dalla mia esperienza clinica e dà forma alle mie teorie. E poi, solo alla fine, mi interessa scoprire da dove ho rubato quello che penso.”

Ecco, mi prendo la libertà di mettere insieme, a parole, la mia esperienza. Non mi preoccupo se viene dalla mindfulness, dalla bioenergetica, dalla psicologia umanistica o da altro ancora. Quando ci siamo permessi il rischio squisito di dare voce alla nostra autenticità, andiamo a cercare chi ha nutrito la nostra voce sincera. Siamo sempre seduti sulle spalle di giganti.

C’è una rischiosa connessione tra originalità e incoerenza. Virginia Woolf

Pratica formale di mindfulness: Centering meditation

Pratica informale di mindfulness: Ogni giorno scrivi un titolo alla tua giornata. Scrivilo al risveglio, senza sapere se sarà vero: quello è il tuo intento per quel giorno e porta l’impronta delle tue speranze e dei tuoi desideri. Alla sera, dai un titolo alla giornata appena trascorsa, sospendendo il giudizio – bella, brutta, giusta, sbagliata –  scrivilo come modo per inchinarti alla realtà del momento.

© Nicoletta Cinotti 2022

https://www.nicolettacinotti.net/eventi/be-real-not-perfect-crescita-e-cambiamento/

Archiviato in:Meditazione e scrittura, mindfulness continuum

  • Vai alla pagina 1
  • Vai alla pagina 2
  • Vai alla pagina 3
  • Pagine interim omesse …
  • Vai alla pagina 15
  • Vai alla pagina successiva »

Footer

Sede di Genova
Via XX Settembre 37/9A
Sede di Chiavari
Via Martiri della Liberazione 67/1
Mobile 3482294869
nicoletta.cinotti@gmail.com

Iscrizione Ordine Psicologi
della Liguria n°1003
Polizza N. 500216747, Allianz Spa
P.IVA 03227410101
C.F. CNTNLT59A71H980F

  • Condizioni di vendita
  • Privacy e Cookie Policy
  • FAQ
  • Iscriviti alla Newsletter

Le fotografie di questo sito sono state realizzate da Rossella De Berti e Silvia Gottardi
Concept e design Marzia Bianchi

Impostazioni Cookie

WebSite by Black Studio