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Meditazione e scrittura

Abitare poeticamente il mondo

29/09/2023 by nicoletta cinotti

È possibile “abitare poeticamente il mondo” come dice Bobin? È possibile proprio in questo momento in cui tutto sembra così crudo e duro? E, soprattutto perché vale la pena farlo?

La poesia non è fiocchi e balocchi

Ci sono delle false convinzioni che riguardano la poesia. La prima è che sia un modo edulcorato e romantico di descrivere il mondo e i sentimenti

In realtà poesia significa parlare attraverso una metafora – visiva o sonora – che permette di entrare dentro l’esperienza in modo diretto. È la matrice attraverso la quale un bambino impara a parlare. Poi perdiamo – quasi sempre – questa capacità e la perdiamo proprio come perdiamo altre qualità della nostra mente bambina e proprio come “impolveriamo” le qualità della nostra mente originaria. Le perdiamo a favore della nostra efficienza e della nostra capacità di fare e agire. Niente di male quindi.

Il punto – come ripetiamo spesso nella pratica di mindfulness – è coltivare non solo la nostra modalità del fare ma anche la modalità dell’essere, quella capacità contemplativa che esprime la nostra creatività. A cosa serve, direte voi? Tanto più siamo in un momento difficile, tanto più abbiamo bisogno di un pensiero laterale, creativo.  Potrei raccontarti diverse storie di persone che, in questo momento, hanno trovato modi creativi di organizzarsi. Ma forse, queste storie le conosci e le vivi anche tu. Sono le piccole storie quotidiane in cui troviamo soluzioni semplici per cose che sembrano difficili

Poesia è un atteggiamento, una pratica di relazione con il mondo che consente alle cose, alle persone, agli eventi, di mostrarsi a noi, come se nascessero ogni volta. Sara Costanzo dall’introduzione di C. Bobin

La poesia è per poeti oppure per artisti

Abbiamo una cultura che insegna l’iper-specializzazione. Non sempre è la soluzione migliore. Oltre a questo molti grandi poeti erano, realisticamente, impiegati di banca o comunali. Non è solo perché è estremamente difficile vivere e, come lavoro, fare i poeti.  Succede perché la poesia è un modo di guardare alle cose e al mondo che può prescindere dal lavoro che facciamo. Un modo di assoluta verità. Questa non è una qualità esclusiva degli artisti. La creatività è una dotazione che abbiamo tutti e che coltiviamo nel nostro lavoro ogni volta che facciamo qualcosa con attenzione non divisa e con passione. La “cosa poetica” non è un dato concettuale ma qualcosa di vissuto intensamente, qualcosa che rompe la noia, dove la noia è proprio l’assenza della realtà e l’iperbole della ripetizione

Dopo aver pubblicato la sua opera più importante – La terra desolata – Tomas Stearn Eliot continuò a lavorare in banca ancora per tre anni. Aldous Huxley lo definiva “il bancario più bancario immaginabile”. E quando si licenziò infine dalla banca lo fece per iniziare a lavorare in una casa editrice – lavoro che fece per altri 40 anni – scriveva poesie nel tempo libero. Che spreco – potremmo pensare – oppure che saggezza! Sentirci sicuri in un ambito – in questo caso nell’ambito economico – ci lascia la libertà di essere originali in un altro.

arriva il treno e taglia la neve

scoperchiando improvvisamente la lucentezza dei binari

l’uccella altissima vede la velocità. Annamaria Farabbi

La base poetica della mente

James Hillman, clinico junghiano internazionalmente noto, definiva la base poetica della mente Il linguaggio primario dei modelli archetipici di cui sono un esempio il discorso metaforico dei miti, che possiamo considerare i modelli fondamentali dell’esistenza umana. Per studiare la natura umana, secondo Hillman,  bisogna rivolgersi alla mitologia, alla religione, all’arte, dove questi modelli sono rappresentati.

La qualità̀  e lo sviluppo del nostro linguaggio e della memoria è globale. Impariamo e ricordiamo attraverso la percezione. Anche le parole vengono apprese sulla base di caratteristiche percettive oltre che di significato. L’amore per le storie, la passione per “leggere i libri” ha una ragione neurobiologica: la nostra mente impara che le cose accadono per una ragione, che c’è un prima e un dopo. Che le sequenze danno ritmo e l’insieme della storia diventa un ricordo. Impariamo così come organizzare la memoria autobiografica, con una disciplina dell’ascolto mediato dalla voce degli altri. la voce delle persone che amiamo.

Accanto alla memoria delle esperienze, attiva fin dalla nascita, arriva così anche la memoria autobiografica e semantica. Questi due stili di apprendimento e memorizzazione rimangono attivi tutta la vita. Abbiamo una mente sensoriale e una mente narrativa; una memoria procedurale e sensoriale e una memoria semantica e narrativa.

Quando stiamo bene la mente sensoriale parla a bassa voce. Non per questo è meno importante. Non per questo non è significativa. È significativa e importante ed è la rete su cui costruiamo significati. Parla attraverso metafore. Cos’è una metafora? La metafora, a partire da una esperienza, trasporta il significato in una forma linguistica, la metafora è la forma linguistica base della poesia. Ecco perché potremmo dire che la poesia è ricordare e curare.

Ricordare e curare

La parola cura – colere – deriva da cultum e condivide l’etimo con la parola cultura. L’agri-coltura era prendersi cura del campo. La poesia cura perchè rivolge l’attenzione al nostro campo interiore e gli offre strumenti ed espressione. Ci ricorda – parola che ha dentro di sé l’etimo della parola cuore – che non possiamo davvero ricordare senza tornare al cuore delle cose, all’impatto percettivo e sensoriale che hanno su di noi, poeti distratti e dimenticanti, trascinati dal nostro pilota automatico più che dalla poesia.

La poesia ci ferma perché ci tocca profondamente e ci rende presenti. A volte le persone mi dicono che non capiscono la poesia. Questo – le rassicuro – è perfettamente normale. Non c’è bisogno di capire una poesia. Basta sentirla. È per questo che possiamo rileggere infinite volte una poesia, ascoltare infinite volte la stessa musica: perché entrambe ci permettono di ricordare, evocano una sensazione che abbiamo conosciuto e perduto.

Lavandomi interiormente

fino a diventare acqua potabile. Annamaria Farabbi

 

© Nicoletta Cinotti 2020 Meditazione e scrittura

 

 

Archiviato in:approfondimenti, esplora, gruppo, Meditazione e scrittura, mindfulness

Un sangha di scrittura

07/09/2023 by nicoletta cinotti

Qualche anno fa – nel 2015 – ho dato vita ad un progetto di scrittura collaborativa che si svolgeva durante le 8 settimane di un protocollo mindfulness. Ogni settimana mandavo un capitolo ad un gruppo, in crescita costante, di lettori e contributors, che mi rispondevano su quel tema con qualcosa scritto da loro oppure poesie e citazioni. Settimana dopo settimana abbiamo messo a fuoco le 8 qualità della mindfulness che andiamo a coltivare con un protocollo. Quel progetto è diventato un libro in self-publishing e un i.book “Destinazione mindfulness: 56 giorni per la felicità”.

Qualche tempo dopo ho scoperto la Amherst Writers & Artists fondata da Pat Schneider: una comunità che sostiene il processo della scrittura in gruppo. O, se volete, è un vero e proprio sangha di scrittura.

AWA e il sangha di scrittura

Scrivere è un lavoro solitario. Eppure, una volta scritto, il desiderio di essere letti e apprezzati anche da altri è forte. È un desiderio forte e complicato perché su quel foglio non ci sono solo le nostre parole: c’è anche un pezzetto di noi. Meglio ancora, un pezzetto della nostra parte più vulnerabile, quella che non esponiamo mai. In realtà il segreto è proprio la chiave della scrittura. Le cose migliori che scriviamo – e che leggiamo – sono quelle che rivelano un lato nascosto, solo intravisto fino a che le parole non lo svelano. Siamo abituati a proteggere la nostra vulnerabilità lasciandola intima ma questo toglie un po’ di spessore al nostro Sè. Il nostro Sé ha bisogno di luce e di esposizione e sentire che parti di noi devono rimanere segrete gli toglie un po’ di vita.

Senza l’accesso al linguaggio, senza il diritto di esprimere ciò che uno deve esprimere, il Sé scompare. L’accesso alla parola è essenziale tanto per la libertà politica che per la realtà interiore della persona. Deena Metzger

Quando lavoriamo con la scrittura però abbiamo bisogno di preservare questo processo. Esporlo troppo presto lo mette a rischio: il rischio di non sostenere i feedback. Non esporlo affatto rende meno forte la nostra motivazione nei confronti dell’espressione creativa. È per l’insieme di queste ragioni che, ad un certo punto, Pat Schneider “costruisce” dei laboratori di scrittura con lo scopo di coltivare e nutrire una comunità di scrittori. La comunità AWA,  l’acronimo di Amherst Writers & Artists. 

Come nella tradizione buddista – dove il sangha, la comunità di pratica – sostiene la possibilità di meditare, così i laboratori di scrittura del suo metodo sostengono gli scrittori attraverso un lavoro di scrittura condivisa.

Come ci aiuta un gruppo di scrittura?

Ci sono alcuni aspetti che, in una scrittura di gruppo, sono facilitati. Proviamo a farne un elenco:

  • si impara dall’esperienza nostra e da quella degli altri
  • si esprime un parere da pari, senza presumere di essere gerarchicamente più bravi o migliori dei nostri compagni di corso
  • ci si addestra a correre dei rischi: esporre i propri scritti alla lettura degli altri è un rischio ma può essere fruttuoso se vogliamo correre anche il rischio di venir pubblicati
  • normalizza i rifiuti a cui ogni scrittore va incontro, anche se in forme diverse
  • scrivere con gli altri può aiutarti a credere nella tua arte. Lo so, forse pensi che gli artisti sono pochi. Direi che gli artisti emersi sono pochi ma, alla nascita, ognuno di noi è un artista. Come diceva Pablo Picasso, “Ci vuole una vita per imparare a dipingere come un bambino”. Ci vuole una vita per dare voce e spazio alla nostra parte creativa. E se proprio non vogliamo dargli spazio, almeno diamogli voce!
  • Scrivere aiuta a guarire fisicamente, come affermano James Pennebaker e Chip Sann, la scrittura espressiva – dare espressione scritta dei propri pensieri ed emozioni rispetto a situazioni dolorose o traumatiche – facilita uno stato di benessere personale. 
  • aiuta a superare lo stato di inibizione che si associa allo stress e alla paura.

Cos’è lo stato di inibizione?

L’inibizione è legata alla percezione che parti di noi non siano desiderabili o apprezzate dagli altri. Questo conduce a comportamenti di autocritica e autocensura. È un sentimento veicolato dalla vergogna per la nostra condizione e rivolge l’aggressività contro di noi. Tutti sperimentiamo condizioni di inibizione. Sia Alexander Lowen che Wilhelm Reich ritenevano che qualsiasi condizione di blocco muscolare porti ad una situazione di inibizione e di perdita della spontaneità. La formazione dell’inibizione è sempre la stessa, anche se diverse possono essere le condizioni che portano all’inibizione. Si ha la sensazione che ciò che proviamo non sia accettabile o apprezzato e iniziamo a prendere la distanza da quello che proviamo. Spesso attraverso il controllo, altrettanto spesso attraverso il biasimo o la riprovazione. Queste parti però continuano ad esistere e, periodicamente, si esprimono, a volte mettendoci in difficoltà.

Uno degli autori che più si è occupato della relazione tra scrittura e inibizione è James Pennebaker, uno psicologo americano che ha lungamente utilizzato i report dei risultati medici delle persone che venivano sottoposte alla macchina della verità. Come saprai questi dati comportano la registrazione delle variazioni a livello di battito cardiaco, pressione sanguigna, conduzione elettrica del palmo della mano. Il rilievo che però colpì Pennebaker durante le sue ricerche non fu l’emergere di queste alterazioni quanto il fatto che, quando la persona arriva a dire la verità, questi parametri fisiologici tornano nella norma anche se questo, in alcuni casi, vuol dire essere condannati al carcere. Da qui Pennebaker costruisce la sua ipotesi sulla relazione tra inibizione, disagio fisico ed emotivo/ espressione/miglioramento del benessere fisico ed emotivo.

Viviamo tempi eccezionali

Viviamo tempi eccezionali. Tempi in cui chiunque può condividere e pubblicare qualunque cosa e “contagiare” con le proprie emozioni il vicino di FB, o la propria rete di contatti. Come mai le nostre condivisioni possono essere così crude? Sicuramente questo è dovuto alla perdita di valore empatico che registriamo in situazioni digitali ma, d’altra parte, abbiamo anche il bisogno di esprimerci e di “buttare fuori” contenuti difficili o dolorosi.

Era necessario scrivere senza un perchè, senza per chi. Parole emesse da un pensiero  a guisa di tavola del naufrago. Alejandra Pizarnik

Quello che non devi scrivere

Deena Metzger racconta di un amico poeta che da anni non riusciva più a scrivere. La sua ispirazione era inaridita. Andò da lei a chiedere soccorso e Deena gli chiese una delle cose che anch’io faccio fare nella mia “grammatica esperenziale” di “Scrivere la mente”. Scrivi partendo dai sensi – gli disse. Come se fossi cieco ma avessi un udito incredibile. Come se fossi sordo m avessi un tatto sensibilissimo. Come se fosse il tuo corpo a scrivere e a gustare il mondo attraverso il palato. In ognuno di noi c’è una grammatica sensoriale, esperenziale che aspetta di vedere la luce. Ci muove dentro, come un’onda di inquietudine e di emozioni che trovano pace solo quando trovano parola. L’amico poeta era riluttante a seguire il suggerimento di Deena Metzger, aveva paura e non gli sembrava che emergessero contenuti utili. Forse era così ma Deena insistette e gli dette un bellissimo esercizio che riporto qui, per te:

Fai un elenco di quello che non devi scrivere. Elenca ciò che non devi scrivere perché:

  • non è abbastanza importante
  • è troppo privato
  • ti imbarazzerebbe parlarne
  • metterebbe in imbarazzo la tua famiglia o i tuoi amici
  • è un tabù
  • offenderebbe un ipotetico lettore

Inutile dire che il sistema funzionò e nel giro di qualche mese il poeta riprese a scrivere con ispirazione rinnovata ma, soprattutto, era cresciuta la sua comprensione nei confronti della propria vita: la poesia nutriva la vita e la sua vita nutriva la poesia mentre prima la sua poesia aveva impoverito la sua vita rendendola arida e desertica.

Il coraggio di creare

Ci vuole coraggio e pazzia a creare qualcosa. Eppure abbiamo bisogno tutti di quel coraggio e di quella pazzia. Abbiamo bisogno di rompere le condizioni dell’esilio da noi stessi. A volte scriviamo per riportare a casa parti esiliate di noi. A volte per dare voce a demoni che non ci fanno dormire. A volte perché, come il gallo, vogliamo cantare in ogni alba che viviamo. Non importa le ragioni per cui abbiamo questa spinta a creare. Sono tutte ragioni valide e importanti. A volte abbiamo bisogno del permesso di parlare. A volte del permesso di tacere e la creatività può offrirci quel silenzio da cui nascono le nostre parole.

© Nicoletta Cinotti 2023 Scrivere storie di guarigione. Seminario residenziale dal 29 Settembre al 1 Ottobre, Casa Cares, Reggello, (FI)

Scrivere storie di guarigione

 

 

 

Archiviato in:approfondimenti, esplora, Meditazione e scrittura, mindfulness

Archeologia umana

23/07/2023 by nicoletta cinotti

La vita è fatta
di piccoli ritrovamenti
una sequenza scattata
per gioco
archeologia dell’adolescenza.

Gli anni insegnano l’arte di perdere
e la gioia di ritrovare
quello che si è perduto
e finalmente amarlo.

Deve maturare in botti
di ricordi, botti
di castagno e rovere
come il vino.

La memoria
fermenta e distilla
l’amore per quello che è stato
la possibilità di amare quello che c’è.

© Nicoletta Cinotti 2023

Archiviato in:Meditazione e scrittura, mindfulness continuum Contrassegnato con: meditazione e poesia, meditazione e scrittura

Come si fa

22/07/2023 by nicoletta cinotti

“Come si fa”, avrebbe potuto dire la mamma della protagonista di questo libro di memoir, a mandare avanti una famiglia così numerosa, se il papà si mette a letto e non lavora? Come si fa a far finta che tutto sia normale se non tutto gira per il verso giusto? Come si fa a capire quello che succede se siamo bambini e il mondo dei grandi ci sembra lontano e non avvicinabile?

In questo libro, genovesissimo, Giovanna Profumo racconta, molto probabilmente, la sua famiglia, vista con gli occhi di una bambina che osserva, cerca di partecipare ma non riesce ad attribuire il proprio significato agli eventi che accadono. Riesce a restituire in modo perfetto lo stupore e l’incomprensibilità di certi fatti così come possono apparire ai suoi occhi. Occhi desiderosi di essere amati e di amare quello che accade. La tenerezza infatti pervade spesso gli episodi raccontati in uno svolgimento temporale dove la cronologia è secondaria perché lo sguardo rimane uguale: non capisco perché succede quello che sta succedendo.

Visto che il primo capitolo è un salto temporale che vede la protagonista a vent’anni mentre per tutto il resto del libro è una bambina, mi aspetto che il libro successivo parta da lì, da quei vent’anni, il momento in cui incominci ad andare al di sotto della superficie e a capire perché le cose sono andate in un certo modo. Sarebbe triste se la nostra protagonista, a cui ci affezioniamo quasi subito, continuasse a non capire anche una volta uscita dall’infanzia.

Al piacere della lettura si aggiunge il piacere di un libro curato nella pubblicazione, con una copertina elegante come i genovesi sanno essere nella loro sobrietà.

Se vuoi conoscere Genova da dentro le mura, questo è il libro perfetto per te, pubblicato da un editore genovese, Il Canneto, dà uno spaccato di questa città apparentemente iperbole della normalità e in realtà piena di risvolti nascosti. Risvolti sopra e sotto le righe. Se invece genovese lo sei già, per nascita o per adozione, questo è il libro perfetto per fare qualcosa che a Genova è davvero difficile fare: entrare nelle case altrui.

Giovanna Profumo, Come si fa, Il Canneto editore

© Nicoletta Cinotti 2023 Addomesticare pensieri selvatici

Archiviato in:Addomesticare pensieri selvatici, Meditazione e scrittura, Mindfulness in famiglia e a scuola Contrassegnato con: parole che si poggiano sul cuore, meditazione e scrittura, scrivere, scrivere la mente

La storia dei bicchieri

11/07/2023 by nicoletta cinotti

Hai presente la storia del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto? Ci sono persone che lo vedono mezzo pieno e altre che lo vedono mezzo vuoto. Dipende da quante emozioni positive o negative abbiamo in quel momento. Infatti il nostro umore condiziona la percezione e ci fa propendere per la messa a fuoco degli aspetti positivi o degli aspetti negativi a seconda che il nostro umore sia alto o basso. C’è anche una specie di tenzone tra chi vede il pieno e chi vede il vuoto, come se il punto fosse stabilire chi ha ragione.

Poi ci sono le persone che non vedono il pieno o il vuoto ma vedono il bicchiere.

Sono persone che sanno che nella vita gioia e dolore sono due ingredienti sempre presenti ma quello che conta è che ci sia un bicchiere a contenerli. Sono le persone che provano riconoscenza senza sapere perché, forse la provano perché sono vive e stanno nel mondo con la loro vitalità.

Quelle persone hanno capito che la bilancia della gioia e del dolore è una bilancia mobile e che non dobbiamo farci ingannare dalla sua mobilità e dalle illusioni che nutrono questo movimento. Perché le illusioni, insieme all’umore, condizionano la possibilità di vedere il  pieno o il vuoto. Quando la nostra illusione viene realizzata lo vediamo pieno, quando non si realizza lo vediamo vuoto. Il problema è l’illusione ma questo ci sfugge. Ci sembra che il problema sia che la nostra illusione non si è realizzata.

Come ti raccontavo domenica ne abbiamo una per ogni carattere. A volte ci illudiamo di essere speciali, altre volte passiamo dall’esaltazione al crollo in poco tempo. Oppure alterniamo la convinzione di essere importanti; con quella di essere inferiori. In tutti i casi tendiamo a dimenticare che la nostra mente funziona per contrapposizione e alterna gli stati mentali proprio come la notte si alterna al giorno.

Basta smettere di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto e iniziare a guardare il fatto che abbiamo un bicchiere e che, anche questo, non è scontato. Essere grati è un bel modo per vedere il bicchiere. Se poi siamo anche riconoscenti, riusciamo a vedere tutto il servizio di bicchieri a nostra disposizione.

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario,
la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente
e quello che oggi vale ancora poco.

Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe,
tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordare di che.

Considero valore sapere in una stanza dov’è il nord,
qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca,
la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.

Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto. Erri De Luca

Pratica di mindfulness: La pratica di gratitudine

© Nicoletta Cinotti 2023 Il Programma di Mindful Self-compassion online

Archiviato in:Meditazione e scrittura, Mindful Self Compassion, mindfulness continuum

Quando si diventa grandi

05/07/2023 by nicoletta cinotti

C’è chi ha avuto l’amico immaginario, compagno di giochi pazzesco pronto a sostenerti in qualunque avventura. Io non avevo un amico immaginario. Avevo un padre immaginario. Raccontavo cose di mio padre che non erano vere: erano quelle che avrei voluto fossero vere ma non lo erano.

Non inventavo un lavoro prestigioso ma un rapporto prestigioso, speciale, fatto di ammirazione e intimità insieme. Raccontavo quello che mi sarebbe piaciuto fare con lui e che non avveniva malgrado lo desiderassi molto.

Poi, un giorno, mio padre andò a parlare con gli insegnanti. Ero in seconda o terza media e le insegnanti lo accolsero come un eroe. Finalmente un padre come si deve e un rapporto padre – figlia meraviglioso. Non avrei mai immaginato che glielo avrebbero detto. Forse lo fecero per vedere se le mie parole corrispondevano al vero. Oppure perché le donne, a qualsiasi età, amano le favole.

La cosa peggiore fu quando tornò a casa e mi raccontò, senza un’ombra di dubbio, che le insegnanti erano ammirate per la buona opinione che avevo di lui e della nostra relazione. Segretamente avevo sperato che qualcosa lo facesse risvegliare, invece era solo lusingato. Molto lusingato. Non aveva nemmeno lontanamente intuito che poteva fare di più. Rimase per tutta la vita convinto che noi due avevamo un rapporto speciale.

Quello fu il giorno in cui diventai grande. Quando capisci qualcosa in più dei tuoi genitori diventi, improvvisamente, grande. Quello fu anche il momento in cui, dentro di me, andai via di casa. Oggi guardo a quel momento come si guarda una vecchia fotografia: con tenerezza, commozione, comprensione. So che non si può essere vanitosi con i figli. So perchè non amo le favole.

Quando esitiamo nell’essere diretti inconsciamente indossiamo qualcosa, come uno strato di protezione aggiuntivo che ci impedisce di sentire il mondo e spesso quella copertura sottile è l’inizio di una solitudine. Mark Nepo

Pratica di mindfulness: Meditazione e scrittura. Mi perdono per non aver capito

© Nicoletta Cinotti 2023 Scrivere storie di guarigione

International Teacher Training di Mindful Parenting

Archiviato in:Meditazione e scrittura, mindfulness continuum Contrassegnato con: audio meditazione, Bioenergetica e Mindfulness, curarsi con la mindfulness, formazione in mindfulness, interpersonal mindfulness, meditazione, meditazione e scrittura, mindful parenting, mindful self-compassion, reparenting, scrivere, scrivere la mente

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