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emozioni

Le acque torbide

21/04/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Ci sono delle giornate in cui è come se fossimo immersi in un’acqua torbida. Sentiamo le spinte in tante direzioni, proprio come se fossimo nell’acqua, ma non abbiamo chiaro né dove siamo né dove stiamo andando.

È una specie di cecità che ci mette in difficoltà e ci lascia disorientati. Quell’acqua torbida a volte è prodotta dalle nostre emozioni: tanto intense che rendono tutto un po’ offuscato. A volte è prodotta dalla situazione esterna. La tentazione sarebbe quella di rendere l’acqua più chiara togliendo ciò che ci offusca. Ma, proprio come se fossimo nell’acqua, questo produce solo più movimento nel fango che galleggia e ci lascia ancora più immersi nella confusione.

La tentazione di risolvere le difficoltà con una soluzione immediata è tanto forte quanto improduttiva: come possiamo trovare una soluzione se tutto è così torbido? Non possiamo che aspettare e lasciare che il fango si depositi sul fondo.

Quando il fango che galleggia sarà depositato sul fondo, potremo vedere qual è la giusta azione da compiere: quella che nasce dalla quiete e non dalla reattività. Ricordarci che i fiori di loto galleggiano sopra le acque torbide ci permetterà di avere fiducia in questo processo di attesa che le cose si chiariscano.

Quando ci troviamo nelle acque torbide della vita quotidiana, spesso la pratica non è né semplice né chiara. Tuttavia, parte della sfida, consiste nel portare una certa precisione e impeccabilità nei nostri sforzi. Ecco perché è importante tornare in continuazione ai due aspetti basilari della pratica: primo comprendere a fondo il processo mentale con tutto il suo rumore; secondo entrare nel silenzio non concettuale della realtà così com’è. Ezra Bayda

Pratica di mindfulness: La pazienza

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBCT online

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Paziente come una meridiana, quieto come un lago, intimo come un bambino

17/04/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Molti dei nostri pensieri e della nostra proliferazione mentale nasce da un conflitto: quello tra l’immagine di sé e il nostro sé reale.

Pensiamo perché non siamo all’altezza dei nostri standard ideali. O perché rimaniamo aggrappati all’insoddisfazione per non averli raggiunti. Oppure perché li abbiamo raggiunti ma temiamo di non poterli ripetere e trasformiamo così la nostra soddisfazione in una frustrazione.

Dietro a questi pensieri sta una sottile paura, elusiva, che ci è difficile riconoscere. Protegge la nostra immagine ideale attraverso l’allarme nei confronti dell’incertezza e della novità e si autoalimenta. Perché la paura crea altra paura e va avanti con la sua forza propulsiva che ci spinge all’azione.

Per uscire da questo circuito di paura e proliferazione mentale abbiamo bisogno di fare tre semplici passi:

  • ricordarci la natura in constante cambiamento delle cose attraverso la consapevolezza del respiro
  • sentire l’energia delle nostre emozioni senza rimanere rinchiusi dal loro significato. Cercarne la risonanza nel corpo.
  • allentare le tensioni fisiche che le mantengono attive.

In questo modo il nostro contatto con noi stessi e con il mondo diventa il contatto che avevamo all’origine: paziente come una meridiana, quieto come un lago, intimo come un bambino.

Siate semplicemente con il vostro respiro. Siate con i vostri pensieri discorsivi. Questa purezza porta un senso di sollievo e di pace, chiamato salvezza individuale. Pace significa, in questo caso essere senza complicazioni. Non è uno stato di tranquillità fine a se stessa: è solamente una semplicità fondamentale e una fondamentale condizione ordinaria. Quella pace, quella semplicità per sua natura è vuota. Non ha nulla su cui dilungarsi, perciò è fondamentalmente nuova e pulita, libera dallo sporco, libera dalla sciattezza. È vuota. Chogyam Trungpa

Pratica di mindfulness: Il panorama della mente

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBCT online

 

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Insonnia

16/04/2023 by nicoletta cinotti

Il sonno è indispensabile alla vita: è una fisiologica, ritmica e spontanea interruzione delle attività tipiche della veglia, cioè della vita cosciente e di relazione e si accompagna a variazioni fisiologiche soprattutto metaboliche con bradicardia, bradipnea e ipotermia.

All’EEG  si compone di (1)-sonno lento e ortodosso o sincronizzato o non REM; (2)-sonno rapido o paradosso o desincronizzato o REM (Rapid Eyes Mouvement) caratterizzato da ritmi rapidi EEG, accompagnato da movimenti rapidi oculari, tipico della fase dei sogni e accompagnato – a differenza del sonno lento – da perdita del tono posturale, innalzamento dei metabolismi con ipertermia relativa, tachicardia e tachipinea relativa, ipertensione, aumento del tono simpatico e della secrezione corticosurrenalica, aumento del flusso ematico cerebrale

Il sonno rapido rimane costante e rappresenta un quinto del sonno totale, fase REM e non REM si susseguono 4/6 volte per notte ogni 1-2 ore.

Cos’è il sonno

Il sonno è la risultante (Mancia 1980) della interazione di un sistema risvegliante desincronizzante e di un sistema ipnogeno sincronizzante, circuiti specializzati a livello del tronco, ipotalamo e talamo .

La alterazione di questa interazione determina una turba del sonno.

In termini neurofisiologici si assiste ad una riduzione delle fasi di sonno lento con relativa maggior rapidità per arrivare al sonno paradosso; per quanto riguarda la fase REM i “buoni” dormitori si distinguono dai “cattivi”dormitori per una maggior quantità di sonno REM.

Tra gli ormoni che intervengono nell’induzione del sonno svolge un ruolo primario la serotonina mentre la noradrenalina svolgerebbe un ruolo nel sogno. Da un altro punto di vista possiamo considerare la fase non REM come preparatoria ad una fase esecutoria REM di soddisfazione dell’istinto(sogni).

Le turbe del sonno

Le turbe del sonno si possono considerare come disturbi di questo ritmico alternarsi di fasi preparatorie e consumatorie.

Da un punto di vista psicoanalitico possiamo riferirci al senso che assume il sonno per l’individuo: predominano due elementi, il primo legato all’angoscia di morte connessa al dormire (il sonno è stato paragonato ad una “piccola morte”); il secondo al desiderio di ritorno alla fusione con la madre, desiderio ambivalente di fusione con il seno materno

A questa stregua ci si potrebbe chiedere se il bicchiere di latte che favorisce il sonno è utile perchè simbolizza il seno materno o perchè contiene un alto contenuto di triptofano precursore della serotonina.La definizione di insonnia è legata molto a valutazioni soggettive:il vero punto è quanto il soggetto si sente stanco il giorno dopo. L’insonnia, infatti, non è un problema esclusivamente notturno

La maggior parte delle classificazioni distinguono – accanto ad una insonnia occasionale – le insonnie vere distinte in primitive e secondarie a disturbi fisici o psichici.

E’ un disturbo del riposo notturno che può riguardare sia la qualità che la quantità di sonno – le ore di sonno necessarie sono 6/8.

I principali tipi di insonnia

I principali tipi di insonnia sono

1-difficoltà di addormentamento

2-risvegli notturni frequenti e brevi

3-uno o più risvegli prolungati

4-risveglio mattutino precoce

Le cause sono soprattutto psicologiche ma vi sono cause organiche come l’ipertiroidismo ,i disturbi del respiro ,le cardiopatie,l’insufficienza renale.

L’insonnia iniziale sarebbe tipica delle sindromi ansiose, quella terminale della depressione, quella intermedia di entrambe. L’ansia è infatti una forma di ipervigilanza e pertanto una esasperazione dell’attenzione. Nel caso della depressione se si considera il sonno come un istinto, l’insonnia potrebbe rientrare in quel quadro di globale perdita degli istinti caratteristica del depresso; se consideriamo il sonno come una funzione di recupero potremmo vedere nell’insonnia la prima e più importante delle somatizzazioni depressive (espressione a livello somatico del conflitto psichico)

Chi soffre d’insonnia?

In generale chi soffre di insonnia

  • è dominato da un desiderio di iperattività, è insoddisfatto della propria vita e vorrebbe prolungarla anche nelle ore di sonno;
  • teme gli eventi improvvisi,non si lascia andare alle emozioni;
  • è ipercontrollato,timoroso dei momenti di abbandono,deve stare sveglio per controllare la situazione;
  • teme l’istintualità,spesso allontana da sé la sessualità come momento in cui ci si lascia andare;
  • teme la passività;
  • teme la notte che popola di fantasmi negativi e/o aggressivi;
  • teme la propria aggressività rimossa ed espressa a volte nei sogni e negli incubi;
  • attribuisce un potere superiore alla mente rispetto al corpo.

Ogni tipo di insonnia quindi si presta ad una lettura più specifica

  • difficoltà nell’addormentamento:la persona non vuole o non riesce a fermare l’attività mentale e mettere da parte gli eventi appena trascorsi e non vuole affidarsi alle capacità rigeneranti e ricostitutive della notte;
  • risvegli notturni: i contenuti profondi emergono alla coscienza; ansie rispetto a decisioni da prendere, conflitti da risolvere, bisogni di cambiamento, fantasie rimosse di tipo sessuale ma anche aggressivo;
  • risveglio mattutino precoce: ansia di affrontare una nuova giornata, la mente è più che mai attiva, focalizzata soprattutto sugli impegni della giornata.

In questo caso non si tratta dell’irrompere dell’inconscio nella coscienza come nei casi precedenti ma è la coscienza che interrompe il sonno, nel tentativo di riprendere a controllare interamente la realtà e le situazioni.

Terapia?

Per valutare se è opportuno fare una specifica terapia è bene rispondere alle seguenti domande:

  • Ci sono cause cause organiche?
  • Ricontattare il corpo e allentare il controllo razionale mediante tecniche di rilassamento corporeo piacevoli  (autoipnosi, mindfulness, training autogeno)
  • chi si sveglia nel corso della notte è utile che si renda consapevole di tematiche irrisolte che possono riguardare eventi quotidiani o conflitti profondi (analisi dei sogni)
  • chi si sveglia troppo presto è bene che si tolga da uno schema di vita in cui è meccanicamente calato da tempo, riorganizzando il proprio tempo in modo meno stressante (pratiche di mindfulness)
  • l’uso di ipnoinducenti è consigliabile solo sotto stretto controllo medico e per periodi limitati di tempo.

© Luisa Merati 2016

 

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Un ciliegio ha paura di fiorire?

08/04/2023 by nicoletta cinotti

Siamo da pochi giorni entrati nella primavera. Abbiamo già sentito l’allungarsi delle ore di sole, le prime fioriture, i raggi più caldi del sole, le prime passeggiate in spiaggia.Amiamo la primavera perché è una promessa rispetto all’inizio di qualcosa di nuovo.

Una promessa di quello che potremo fare nelle vacanze e, forse un anticipo di vacanze.

Amiamo la primavera perché ci fa lasciare alle spalle il peso del freddo inverno e ci ricorda che è sempre possibile cambiare.Che è sempre possibile iniziare qualcosa di nuovo e lasciar andare qualcosa di vecchio.

“Solo chi ha la forza di scrivere la parola fine può scrivere la parola inizio”. Lao Tzu

Per iniziare qualcosa di nuovo abbiamo bisogno di lasciar andare qualcosa di vecchio: di concluderlo o di accettare che quello che era possibile è già stato fatto. Può darsi che non sia esattamente quello che volevamo ma se non lo lasciamo andare ci sarà molto difficile avere le energie per aprirsi alla novità. Questa è una delle ragioni che rende il cambiamento difficile e una delle spinte che la primavera sollecita.

La tendenza ad aggrapparsi allo stato di benessere o ad un ideale porta ad entrare in allarme quando la realtà differisce dalle nostre aspettative oppure ci spinge ad evitare le situazioni che producono emozioni negative e turbamento, finendo però in questo modo per restringere moltissimo il campo della nostra esperienza. Ci aggrappiamo ad un piacere che, con il tempo, diventa sempre meno piacevole e sempre più grigio per sfuggire alla nostra paura del cambiamento.

Cosa ci insegna la primavera sul cambiamento?

Il cambiamento della primavera è una piccola sorpresa: bastano pochi giorni e quello che sembrava fermo, prende vita e fiorisce quasi improvvisamente. Spesso il cambiamento è così: ci coglie alla sprovvista quando non siamo stati noi a deciderlo.

Quando avviene senza la nostra volontà è più semplice. Anche noi abbiamo aree della nostra vita in cui vorremmo portare delle novità e il modo – improvviso – con cui arriva la primavera ci apre alla fiducia che questo possa essere contagioso. È la stagione dei buoni propositi che passano all’azione. Forse nel freddo inverno abbiamo trascurato qualcosa e la vitalità della primavera ci aiuta a riattivarli.

Ciò che cresce porta nuova energia e richiede tutta la nostra attenzione e vitalità. Per questa ragione, a volte, la primavera può essere anche difficile. Ci rende un po’ bipolari, con improvvisi sbalzi d’umore e un’alternanza tra scoppi d’energia, pigrizia e demotivazione. Tanto che, per alcune persone, la primavera è anche la stagione più faticosa dell’anno.

Se cambiare quando non dipende da noi può esseer facile e avventuroso, quando siamo noi a dover decidere qualcosa può diventare insolitamente difficile.

Un ciliegio non ha paura di fiorire. Noi sì.

Uscire dal letargo

È a questo punto che possiamo nasconderci dietro al rimandare, dietro all’evitamento. Sia rimandare che evitare ci portano a vivere in una specie di torpore che assomiglia al letargo ma, quando arriva la primavera, che senso ha rimanere in letargo?

Ogni essere vivente attraversa fasi in cui funziona con meno vigore: per noi la procrastinazione, l’evitamento, il rimandare possono essere queste fasi. Sono fisiologiche, magari abbiamo bisogno di un riposo riparativo. Magari abbiamo bisogno di riprendere le forze ma se rimaniamo troppo a lungo nella stessa situazione il letargo di trasforma in stagnazione e quella perdita di vitalità diventa una perdita di colore della nostra vita.

In questi casi il sentimento dominante diventa la paura e abbiamo bisogno di riti di passaggio per uscire dalla paura. Riti di passaggio che possono essere riassunti in tre fasi:1) affrontare sé stessi allo specchio; 2) riconoscere le proprie risorse; 3) trasformare la pigrizia in azione.

Affrontare se stessi allo specchio

Alla fine quello che evitiamo è guardarsi allo specchio. Abbiamo paura di vedere i nostri limiti e in questo modo perdiamo la possibilità di vedere chi siamo davvero. A volte abbiamo paura di fare i conti con gli errori del passato. Altre volte di scoprire che non riusciamo ad imparare. In verità quando mettiamo i piedi nel fiume non ci sono più problemi. Affrontare se stessi è un’esperienza che ci restituisce un’immagine migliore di quella che pensavamo. Soprattutto se ci decidiamo a lasciar andare la nostra tendenza a pensare che un ideale sia la migliore soluzione per vivere. L’ideale che abbiamo è la migliore soluzione per svalutarsi.

Riconoscere le proprie risorse

Quando ci affrontiamo con onestà possiamo scoprire quali sono le nostre vere risorse. Le nostre capacità nascoste. Quelle che copriamo per paura di vedere chi siamo. Le nostre risorse nascono dalla connessione con la mente originaria. Una connessione che è possibile ristabilendo la calma, la quiete dalla quale nascono le giuste azioni. Il risveglio della primavera non è buttarsi a caso in qualcosa di nuovo: è sentire che cosa vogliamo sia il nuovo nella nostra vita e lasciare che questa spinta si concretizzi. Non vuol dire diventare impulsivi. Anzi, vuol dire lasciare che fiorisca la giusta azione.

[box] Puoi avere la pazienza di aspettare che il fango si depositi e l’acqua torni chiara? Puoi rimanere immobile fino a che non sorge la giusta azione? Lao Tzu[/box]

Non possiamo pensare però di riconoscere le nostre risorse se rimaniamo nascosti a noi stessi per coprire i nostri errori. Ecco quindi che lo svelamento della verità è il primo passo e solo dopo che l’abbiamo compiuto siamo pronti al passo successivo: nutrirsi con le nostre qualità.

Trasformare la pigrizia in azione

C’è un momento in cui l’azione ha inizio: se nel nostro corpo c’è troppa stagnazione questo inizio naturale risulta ritardato dal trattenimento.

Possiamo trattenere perché siamo abituati a tenere dentro. Trattenere perché siamo abituati a tenerci al di sopra delle esperienze difficili. Trattenere perché siamo abituati a tirarci indietro rispetto al flusso dell’azione. Tutte queste forme di trattenimento alimentano la pigrizia e rendono stagnante la nostra energia.

Insomma uscire dal letargo è la cosa più naturale che sia ma se leggiamo il processo nei singoli passaggi ci rendiamo conto di quante volte corriamo il rischio di fermarci. Perché abbiamo paura di vivere e abbiamo paura della nostra grandezza

[box] Dal profondo della notte che mi avvolge,
Nera come un pozzo da un polo all’altro,
Ringrazio qualunque dio esista
Per la mia anima invincibile.
Nella feroce morsa delle circostanze
Non ho arretrato né gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma non chino.
Oltre questo luogo d’ira e lacrime
Incombe il solo Orrore delle ombre,
E ancora la minaccia degli anni
Mi trova e mi troverà senza paura.
Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.[/box]

Il ritiro è un rito di passaggio

Quando vogliamo favorire il cambiamento abbiamo bisogno di riti di passaggio. Un ritiro di meditazione ha proprio questa funzione.Un rito di passaggio è una pratica che segna il cambiamento di un individuo da uno status socio-culturale ad un altro, da una situazione emotiva ad un’altra. Da un passato ad un presente nuovo. Spesso viene affrontato attraverso una sorta di iniziazione. Nella nostra cultura non abbiamo più veri e propri riti di iniziazione anche se, ovviamente, abbiamo anche noi molti momenti di transizione come ci insegna la primavera. Possono essere momenti stagionali di transizione o momenti di vita che segnano il passaggio da una situazione all’altra. I riti di passaggio permettono di legare la nostra storia a quella di altre persone. Permettono di ri-scoprire la nostra comune identità.

Permettono di comprendere che le difficoltà ci appartengono ma ci appartiene anche il coraggio, la nobiltà e la dignità. Ci chiedono di sapere dove vogliamo andare e tutta la nostra tribù ci accompagna e sostiene.

Arnold Van Gennep identifica tre fasi: uscire dal gruppo, isolamento e solitudine, tornare in un nuovo gruppo o tornare nuovi alla propria vita.

Spesso queste tre fasi sono quelle che attraversiamo quando avviene in noi un cambiamento e una crescita. Ci separiamo da qualcuno o qualcosa, passiamo un periodo di solitudine e poi costruiamo qualcosa di nuovo.

I ritiri di meditazione

Queste tre fasi sono presenti anche nei ritiri di meditazione: ci stacchiamo, lasciamo i nostri luoghi abituali per andare in un luogo altro, dove, con un gruppo di persone che condividono la nostra stessa esperienza, ci “isoliamo”, per poi tornare, diversi, ad una nuova aggregazione. Quella del nostro quotidiano. Non credo che sia possibile rinunciare a queste tre fasi dell’iniziazione: possiamo cambiare la forma ma ci è necessario separarci, isolarci per poi, infine, tornare alla socialità.

Qualcosa che ci rende grandi

Iniziare qualcosa di nuovo ci rende grandi. Indipendentemente da cosa iniziamo. Perché dichiariamo che siamo in grado di creare una novità, una discontinuità con il passato. Non permettiamo che la paura di vivere ci tolga questa opportunità!

La paura di vivere è quello spavento che ci coglie ogni volta che ci troviamo di fronte a “qualcosa che ci rende grandi”.È la paura di crescere e diventare chi siamo veramente. Vuol dire realizzare noi stessi, compiere quell’impresa che rende più significativa la nostra vita e che ci permette di sentirci vivi e padroni di se. Ecco perché risolversi a cominciare è la più nobile delle azioni: una volta iniziato basterà seguire il flusso. Ma aver iniziato avrà voluto dire essere stati in grado di sorridere alla paura.

© Nicoletta Cinotti 2023

https://www.nicolettacinotti.net/eventi/be-real-not-perfect-crescita-e-cambiamento/

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L’impulso al paragone

29/03/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

I nostri occhi sono una finestra sul mondo. Ci mettono in contatto, aprono e chiudono scenari interni ed esterni.

Quando sono vicini al cuore ci fanno cogliere le più piccole sfumature e ci restituiscono, ad ogni sguardo, la ricchezza del panorama interno ed esterno.

Quando sono solo finestre nella testa ci possono portare a giudicare e a paragonare, in un’incessante esame.Controllano la realtà e rilevano ogni discrepanza tra “come dovrebbero essere le cose” e come sono nella realtà.

Allora possono nutrire sentimenti difficili come l’invidia, la gelosia, la rabbia. Trascinati dall’impulso, insano, al paragone.Così, anziché abitare la nostra vita, ci portano in un mondo che esiste solo nei nostri pensieri.

Oggi, guardiamo come se fossimo la superficie di un lago, che riflette e accoglie. In contatto con il panorama interno – la profondità del lago – e con il panorama esterno – la profondità del mondo.

Gli occhi hanno una doppia funzione: sono un organo visivo ma anche un organo di contatto. Quando lo sguardo di due persone si incontra percepiscono una sensazione di contatto fisico e la qualità del contatto dipende dalla qualità dello sguardo. A. Lowen

Pratica del giorno: La meditazione del lago

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBSR online

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Mindfulness e psicoterapia: il ruolo dell’accettazione

26/03/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

C’è una famosa leggenda Cherokee che ben si presta a descrivere l’approccio mindfulness alla psicodinamica tra stati mentali salutari e stati mentali non salutari

Leggenda Cherokee dei due lupi

Un anziano Cherokee stava raccontanto al nipote la propria vita.“C’è una guerra dentro di me:” E’ una lotta molto dura tra due lupi. Uno e cattivo… è invidioso, ingordo, ha molte colpe , prova risentimento verso il prossimo, è indulgente con se stesso, bugiardo e con un orgoglio finto. L’altro invece è buono.. è la gioia, la compassione, l’umiltà, la benevolenza e la verità…La stessa lotta che c’è dentro di me adesso c’è anche dentro di te, e c’è dentro a ogni persona….”Il nipote guarda in su verso il nonno e con gli occhi pieni di paura gli chiede:” Dimmi nonno, quale di questi due vince?” E il nonno in risposta “Quello che nutri…..”

Questa leggenda descrive bene l’esperienza che ognuno di noi può avere su di sé: spesso siamo attraversati dall’invidia di cui ci ha parlato riccamente Melanie Klein, oppure dai profondi conflitti interni che costituiscono la topica psicoanalitica o siamo pieni di risentimento rispetto alla nostra esperienza passata. Questa realtà non viene negata. Ma si sceglie di nutrire gli aspetti positivi della propria personalità: quelle emozioni di compassione, saggezza, umiltà e benevolenza che appartengono alle emozioni sociali positive e che sottolineano gli aspetti di interconnessione anziché gli aspetti personalistici.

L’accettazione

La storia permette subito, fin dall’incipit, di svelare la chiave di questo processo: è la consapevolezza non giudicante, della presenza di entrambi, la verità della loro coesistenza e una accettazione onnicomprensiva che permette di aprire la porta all’emergere dei sentimenti positivi, senza negare la presenza gli elementi negativi.

Si rinuncia quindi all’analisi degli aspetti conflittuali per indagarli, con interesse e curiosità, senza evitare di riconoscere la loro presenza e la loro natura che comprende eventuali associazioni con la nostra storia passata. Questo materiale entra nel campo della consapevolezza per essere trattato con accettazione, senza intraprendere azioni dirette volte al cambiamento e viene trattato come una contrazione della mente, un corrispettivo alle contrazioni muscolari che possiamo sperimentare nel corpo.

La storia afferma anche la presenza dei “se multipli”(Bromberg 1993) dove la coscienza ha la funzione di una coalizione di diversi stati del sé. Ciò che conscio è quindi ciò a cui prestiamo attenzione, più che una biforcazione del sistema psichico tra conscio e inconscio. L’attenzione ai diversi stati del Sé, in momenti differenti, è una funzione determinata da diversi stimoli, sia interni che esterni.

Considerarle come sub-identità offre parecchi vantaggi: patologizza meno i sintomi considerandoli aspetti parziali e non identitari; rende possibile conoscere e nominare parti di noi e consente di rispondere in maniera differenziata a bisogni che possono sembrare contraddittori; lascia sempre attiva una parte sana, capace di curarci. Genitori di sé stessi . Enrico Damiani Editore. 

Alcuni aspetti del Sé vengono tenuti fuori dalla coscienza, attraverso aspetti dissociativi. Non esiste un Io che reprime gli impulsi inaccettabili ma piuttosto una direzione sistemica dell’attenzione che distoglie da quegli aspetti dell’esperienza del Sé che riteniamo inaccettabili. Questi aspetti dissociati sono generalmente quelli connessi ad esperienze traumatiche.

La terapia consiste nell’integrare differenti parti del Sé e nel portarle ad un dialogo reciproco attraverso la consapevolezza.

 

La psicologia buddista

Nella psicologia buddista, a cui la tradizione mindfulness fa riferimento, l’esperienza di un Sé unitario e statico è considerata una illusione. In questa prospettiva il cambiamento avviene abbandonando la necessità difensiva di vedere se stessi come un insieme immutabile e statico. E la salute psicologica coincide con la capacità di abbandonarsi e di essere semplicemente vivi.

Questa visione granulare della nostra identità non è nuova, fa parte della psicologia buddista ma è, nello stesso tempo,all’avanguardia perché viene teorizzata nella psicologia contemporanea. Ne parla Richard Schwartz5 nella sua teoria IFS (Internal Family System), ne parla Daniel Siegel in Mindsight. Genitori di sé stessi . Enrico Damiani Editore. 

Accettazione e consapevolezza

La ragione dell’importanza particolare attribuita ai processi di accettazione è strettamente collegata al ruolo centrale della consapevolezza. Ogni processo di rifiuto, critica o giudizio, infatti, finisce per provocare una restrizione del campo di consapevolezza. Non riusciamo a rimanere a lungo consapevoli dei nostri aspetti negativi se non attraverso il filtro dell’accettazione incondizionata, del perdono e della compassione verso di sé. Il tema dell’accettazione è, quindi, inevitabilmente e strettamente connesso al sostegno agli aspetti positivi di compassione, benevolenza e perdono nei confronti di sé stessi e degli altri. Aspetti che sappiamo essere connessi con la pratica della meditazione. Questo comporta la rinuncia a qualsiasi elemento direttamente trasformativo degli aspetti negativi. Una rinuncia che comporta una piccola rivoluzione terapeutica: non è la manipolazione e l’attacco diretto al sintomo quello che guida il processo di cambiamento. E’ piuttosto il riconoscere l’esistenza di un tratto che necessita di quell’amoreprofondo che gli è stato originariamente negato e che ha prodotto una sorta di scissione interna alla nostra personalità.

Il paradosso centrale del processo di cambiamento è propri qui: abbandonando il desiderio di essere qualcosa di diverso da ciò che siamo, sperimentiamo il cambiamento. Un compito importante della terapia mindfulness based consiste nell’aiutare i pazienti ad abbandonare i loro tentativi di manipolazione di sé per muoversi verso l’accettazione.

 

Il ruolo della resistenza

Questo nuovo approccio alle difese ha origini lontane nella storia della clinica. Già nel 1941 Fenichel affermava.<<L’analisi deve sempre procedere secondo il livello che in quel momento è accessibile all’io. Quando una interpretazione non ha efficacia ci si chiede spesso:”Come avrei potuto dare un’interpretazione più profonda?” Spesso però il problema andrebbe posto in maniera più corretta:”Come avrei potuto interpretare in maniera più superficiale?”>>(Fenichel, 1941,41). Prima ancora Reich (1934), attraverso l’analisi del carattere, aveva avanzato l’ipotesi che le resistenze costituissero una protezione contro il pericolo psichico, fornendo al terapeuta informazioni essenziali rispetto al modo di funzionare nella realtà del paziente. Questo significa che la resistenza è una parte del Sé con la quale è essenziale imparare a collaborare e ad allearsi.

In questo senso il paziente va aiutato ad assumersi non la responsabilità del cambiamento ma la responsabilità delle proprie azioni, ossia sperimentare le azioni consuete come qualcosa di scelto e voluto. Perché questo sia possibile è necessario che il paziente possa essere in grado di accettarsi nel momento e nel contesto della relazione con il terapeuta. Una accettazione che deve essere bipersonale.

La contrazione del corpo e della mente:mindfulness e bioenergetica

Sotteso al tema dell’accettazione è quindi il ruolo chiave delle resistenze che costruiscono il nostro modo di funzionare nella realtà. In questo alveo si comprende l’attenzione centrale ai processi corporei che ci permettono di riconoscere le nostre contrazioni fisiche, che sono sia modi di ridurre la consapevolezza, che aspetti corrispondenti a contrazioni mentali da esplorare. In questo senso mindfulness e bioenergetica declinano insieme l’attenzione alla consapevolezza corporea e alla padronanza ma anche il senso del principio di identità funzionale mente-corpo. Questo principio, di origine reichiana, afferma che ad ogni stato corporeo corrisponde uno stato mentale e quindi ad una contrazione cronica nel corpo, corrisponde una contrazione cronica nella mente, uno schema maladattativo di risposta.

Il lavoro sull’accettazione quindi non può prescindere da un lavoro corporeo perché, altrimenti, il rischio è che l’accettazione sia una scelta “pensata” ma non “sentita”.

© Nicoletta Cinotti 2023

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