Molto spesso pensiamo che la pratica sia difficile e che la nostra pazienza non sia sufficiente per aspettare che i frutti della pratica maturino. In realtà, anche se la pazienza può sembrare una qualità estranea alla nostra vita, ognuno di noi possiede questo seme.
Con quanta pazienza abbiamo aspettato la nascita di un figlio, aspettato che iniziasse a parlare o camminare? Con quanta pazienza abbiamo cucinato il nostro piatto preferito oppure sistemato la moto? Con quanta ripetizione siamo andati in palestra, o giocato a calcio, anche senza vincere?
Erano tutte declinazioni della pazienza nutrite dai suoi due ingredienti fondamentali: l’amore e la fiducia. È l’amore, la passione che ti fa ricordare e nutrire – con pazienza – l’attesa e l’incontro. E la fiducia che ti dà il sostegno che ti permette di sapere che quello che non è successo ora, accadrà dopo.
Quello che a volte scambiamo per impazienza è il rumore dell’ansia che ci spinge a correre anziché camminare, a sforzarci anziché fluire. Ad anticipare quello che, anche senza il nostro sforzo, arriverà. Non abbiamo bisogno di pensare adesso a quello che faremo dopo: abbiamo bisogno di esserci quando lo faremo.
Così, se ci troviamo impazienti non dobbiamo fare altro che chiederci dove sono finiti l’amore e la fiducia e, cercandoli, quello spazio di quiete in cui possiamo dimorare prima che sorga una azione, diventa ampio e caldo. Non dobbiamo cercare la pazienza ma coltivare il suo seme e allora può bastare un attimo per riconoscere di essere tornati a casa.
Quando rinunciamo a desiderare che in un dato momento accada qualcos’altro, la nostra capacità di misurarci col presente compie un grande passo avanti. Se speriamo di raggiungere un obiettivo qualsiasi o di svilupparci ulteriormente non possiamo che partire da dove siamo. Jon Kabat Zinn
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