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Corpo e salute

Viaggi di scoperta

16/03/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

A volte vogliamo spiegare agli altri cose di noi che non conosciamo davvero bene. Sappiamo superficialmente che stanno così ma non sappiamo profondamente il peso e il significato che hanno per noi. Questo tentativo è fatto con il desiderio di intimità ma spesso porta solo frustrazione. La frustrazione di scoprire quanto siamo lontani da noi stessi.

Abbiamo bisogno di conoscerci davvero in profondità per poter trovare intimità con gli altri e con noi stessi.

E la profondità ha bisogno del corpo.

Pratica del giorno: Camminata consapevole

Dopo aver fatto un viaggio in un paese siamo in grado di portarci anche altre persone. Dobbiamo fare un viaggio di scoperta di noi stessi, passare attraverso i nostri problemi, prima di portarci qualcun altro. A. Lowen

© Nicoletta Cinotti 2023 Be real not perfect

 

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Il piacere: la visione dell’analisi bioenergetica

25/08/2022 by nicoletta cinotti Lascia un commento

–,,,Alexander Lowen dedica al piacere uno dei suoi libri più famosi e inizia con una distinzione – peraltro molto attuale – fra piacere e divertimento. Molto spesso inseguiamo il divertimento proprio perché nella nostra vita non siamo in grado di provare piacere. Diventiamo ossessionati dall’idea del divertimento tanto che ” La cosa importante oggi è divertirsi o sembrare che tu ti stia divertendo, o, almeno, far credere che tu ti stia divertendo“. Insomma sembra che Lowen fosse chiaroveggente rispetto all’uso dei selfie che rientrano benissimo nella descrizione precedente!

Piacere o divertimento?

Il divertimento rappresenta un modo per catturare il piacere che c’era nell’infanzia ma lo facciamo in una forma che è ingannevole. Trasformare attività importanti come l’amore, il sesso, il lavoro in qualcosa di divertente – al di là del fatto che a volte sono naturalmente divertenti – crea un equivoco rispetto alla serietà dell’impegno del gioco per i bambini. Quando i bambini giocano sono totalmente assorti in quella attività: quando gli adulti si divertono sono totalmente distratti da molte attività diverse, dice Lowen.

Possiamo ritrovare quella qualità di piacere che provano i bambini quando giocano, nella creatività: lì si realizza quell’insieme di piacere e auto-realizzazione che caratterizza i giochi dei bambini. La fantasia nei loro giochi ha una qualità diversa dall’illusione perché un bambino non tradisce sé stesso quando gioca. Se ha fame o sonno o è stanco, interrompe il gioco. Questa capacità di rimanere fedele alla propria realtà interiore è essenziale anche per comprendere la distinzione che Lowen fa tra piacere e divertimento: possiamo divertirci ben oltre la nostra soglia di tolleranza – bere più del necessario, fumare più del necessario – ma il piacere vero è fedele alla nostra realtà interiore.

Infine, dice Lowen la confusione tra piacere e divertimento nasce proprio, dal pretendere di divertirsi facendo cose serie e dal fare troppo seriamente quello che dovrebbe essere un gioco, come accade in molti sport. Quella serietà non è il coinvolgimento dei bambini nel gioco: è il desiderio di ottenere un risultato che soddisfi le nostre aspettative!

Ma cos’è il piacere per Lowen?

Il piacere per Lowen è quell’esperienza in cui l’ego lascia l’egemonia al corpo, cioè il flusso delle sensazioni fisiche prevale sulla volontà e la determinazione; “lasciamo andare” permettendo pienamente l’esperienza in corso. Questo “pienamente” permette di comprendere perchè  l’inibizione – frammentando la pienezza percettiva – diminuisce il piacere. Da questa base – ossia dall’esperienza del piacere – noi attiviamo la nostra creatività: l’eccitazione può essere sia una fonte d’ispirazione che una sensazione fisica, che dà l’inizio ad un processo creativo. Un processo creativo in cui il piacere è sia il motore che il risultato dell’atto creativo stesso, visto che per lui ogni atto creativo aggiunge piacere e significato alla vita stessa. “Il piacere nel vivere incoraggia la creatività e l’espansività, la creatività aggiunge piacere e gioia alla vita”.

Il piacere di essere pienamente vivi

Malgrado Lowen fosse stato allievo e paziente di Reich, la sua visione del piacere differisce da quella del suo maestro.

Per Reich il piacere è, essenzialmente, l’orgasmo sessuale, per Lowen è, essenzialmente il piacere di essere pienamente vivi!

La nostra preoccupazione per il mondo esterno ci fa dimenticare che il piacere è la percezione di una vitalità corporea piena.

Essendoci dissociati dal nostro corpo, non pensiamo più in termini corporei ma questa dissociazione non può essere risolta da un approccio meramente “mentale”: dobbiamo affrontarla sia in senso fisico che psicologico.

 

Il semplice cambiamento che inizia dal corpo

La bioenergetica si basa sull’identità funzionale mente – corpo: questo significa che qualsiasi autentico cambiamento nel modo di pensare – e di conseguenza nel comportamento e nelle emozioni – è condizionato da un cambiamento a livello fisico. Perché questo cambiamento a livello fisico avvenga gli aspetti importanti sono il movimento e il respiro. Entrambe queste funzioni sono disturbate in presenza di un conflitto emotivo perché le tensioni fisiche sono la controparte dei conflitti emotivi e mantengono il conflitto attivo nel corpo. Quando questo accade i conflitti non possono essere risolti fino a che le tensioni corporee non sono sciolte, perché queste tensioni alimentano delle modalità reattive di risposta.

Non è sufficiente essere consapevoli del dolore che le tensioni producono – e alcune persone non sono nemmeno consapevoli – perché le tensioni diventando croniche limitano la nostra consapevolezza. In questo modo manteniamo un livello di tensione attivo e sub-acuto che limita la nostra vitalità e il nostro piacere di essere vivi.

Torniamo a sentire quando apriamo il respiro e aumentiamo il movimento. In questo modo ci rendiamo conto quanto la nostra fatica e depressione cronica fossero alimentate dalla mancanza di vitalità corporea e mantenute da una riduzione costante del respiro.

 

Come respirare più profondamente

La ragione che sta dietro alla nostra limitazione del respiro è la paura di sentire. Abbiamo imparato a trattenere le lacrime, a stringere i denti, ad andare avanti a testa bassa e trattenere il respiro ci permette di non cambiare questi aspetti.

Ci sono due limitazioni del respiro che sono più frequenti: in un caso il respiro è limitato alla parte alta del torace, con esclusione dell’addome (respiro schizoide). Queste tensioni hanno lo scopo di bloccare le sensazioni connesse alla parte inferiore del corpo, specialmente le sensazioni sessuali. Nell’altro caso il respiro è principalmente diaframmatico, con scarsi movimenti nel petto (respiro nevrotico) che rimane però espanso perché l’espirazione è incompleta.

Espirare equivale a lasciar andare e simbolicamente rimanda al lasciare andare il controllo: anche in questo caso il corpo è separato e la responsività emotiva ridotta.

 

Un processo creativo in cui il piacere è sia il motore che il risultato dell’atto creativo stesso, visto che per lui ogni atto creativo aggiunge piacere e significato alla vita stessa. “Il piacere nel vivere incoraggia la creatività e l’espansività, la creatività aggiunge piacere e gioia alla vita”.

L’onda del respiro

 

In condizioni di salute l’inspirazione inizia con un movimento verso l’esterno dell’addome che si gonfia portando rilassamento nell’area addominale.

L’espansione sale poi verso l’alto e arriva al petto.

L’espirazione inizia con un lasciar andare dal petto e arriva come un onda di contrazione, fino alla pelvi.

Insieme inspirazione ed espirazione procedono con un movimento ad onda che produce un basculamento nella pelvi – quello che Reich chiamava “riflesso orgasmico” – e nella testa.

La profondità del respiro è misurata dalla lunghezza dell’onda respiratoria e non dalla sua ampiezza e ha un effetto diretto sulla qualità della scarica sessuale.

Un respiro profondo “carica” il corpo e lo rende vivo, in senso letterale.

I classici esercizi di respirazione non hanno l’effetto di cambiare queste modalità disfunzionali di respiro perché non lavorano sulle tensioni muscolari che limitano il respiro stesso e non liberano le emozioni che sono state trattenute dalle contrazioni muscolari.

 

L’esercizio di base per lavorare sulle tensioni che limitano il respiro è l’arco e il cavalletto, in alternanza con il bend-over. Questi semplici esercizi, che Lowen propone in quasi tutti i suoi libri, hanno un effetto cumulativo. La prima volta possono apparire senza effetto e senza significato. Questo è dovuto alla distanza che abbiamo costruito con il nostro corpo.

La loro ripetizione, all’interno della classe d’esercizi, nei ritiri di bioenergetica e mindfulness o nelle sessioni di psicoterapia individuale permette di riportare il contatto con il corpo, aumentare la consapevolezza e ripristinare le naturali capacità di autoregolazione che sono così centrali per la nostra salute fisica ed emotiva.

Le emozioni e il sistema nervoso autonomo

Per concludere questa breve presentazione di un libro che, come avete capito, vale davvero la pena di avere nella propria biblioteca, Lowen, con 50 anni di anticipo rispetto a Stephen Porges e Daniel Siegel esplicita la connessione che c’è tra il funzionamento del nostro sistema nervoso autonomo e le emozioni. Un aspetto centrale per comprendere come le nostre emozioni regolano, non solo la nostra salute psicologica, ma anche quella fisica.

Le emozioni di piacere, attivando la risposta parasimpatica, permettono infatti il rallentarsi del battito cardiaco e del ritmo respiratorio, favoriscono l’irrorazione periferica e la circolazione, abbassano la pressione sanguigna e attivano le nostre risposte sociali, mentre le reazioni avversative, in particolare la rabbia e la paura, regolate dal ramo simpatico del sistema nervoso autonomo, accelerando le nostre risposte psicofisiche, attivano quel circuito di logoramento da stress che ben conosciamo. Per strano che possa sembrare anche le emozioni di divertimento, se sono separate dal piacere psico-fisico, attivano gli stessi circuiti delle emozioni da stress.

Una citazione

Concludo con una citazione di Lowen, tratta appunto dal suo libro, per restituire a lui la parola d’onore

” Laddove la risposta di dolore produce un rafforzarsi dell’autocoscienza che separa dagli altri, la risposta del piacere esprime e comporta una diminuzione degli aspetti egoistici. Il piacere va al di là della ristretta prospettiva individuale e nega l’egoismo. Per provare davvero piacere dobbiamo “lasciar andare”, permettere che avvenga ciò che è, permettere al corpo di rispondere con libertà”. Alexander Lowen

Breve bibliografia citata nell’articolo

Alexander Lowen, Il piacere. Un approccio creativo alla vita, Astrolabio

Stephen Porges, Guida alla teoria polivagale, Fioriti editore

Daniel Siegel, Mindsight, La nuova scienza della trasformazione personale, Cortina

© Nicoletta Cinotti 2022

Archiviato in:approfondimenti, Corpo e salute, esplora

Il mio passato

20/12/2020 by nicoletta cinotti

Spesso ripeto sottovoce
che si deve vivere di ricordi solo
quando mi sono rimasti pochi giorni.
Quello che è passato
è come se non ci fosse mai stato.
Il passato è un laccio che
stringe la gola alla mia mente
e toglie energie per affrontare il mio presente.
Il passato è solo fumo
di chi non ha vissuto.
Quello che ho già visto
non conta più niente.
Il passato ed il futuro
non sono realtà ma solo effimere illusioni.
Devo liberarmi del tempo
e vivere il presente giacché non esiste altro tempo
che questo meraviglioso istante.

Alda Merini

Poesia regalata da A.L

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Il lutto dell’operatore: stress e burn out

19/04/2020 by nicoletta cinotti

Ho iniziato ad occuparmi di formazione in area sanitaria ai margini di una epidemia: quella di AIDS. Un’epidemia che ha fatto, dal suo esordio ad oggi, 75  milioni di morti e che vede 39 milioni, in tutto il mondo, di persone contagiate. Era, ed è, un’epidemia diversa. Colpisce chi ha comportamenti definiti a rischio. È una malattia trasmissibile sessualmente o tramite sangue infetto. Ci permette di credere che, se ci si comporta bene, non si avranno problemi. Colpiva, allora, prevalentemente una fascia di popolazione giovanile e si accompagnava con un senso di vergogna e di paura. Come se dire di essere sieropositivi significasse dire di essere colpevoli, nei confronti di sé stessi. Io avevo iniziato a lavorare con gli operatori che si occupavano di questi pazienti e, per estensione, con gli operatori sanitari che lavoravano con pazienti cronici e pazienti affetti da altre forme di terminalità.

Ero coetanea di molti pazienti e molti miei conoscenti erano entrati in quel tunnel. Ero letterariamente innamorata di Hervé Guibert, uno scrittore francese, morto di HIV, che raccontava così il suo ingresso in rianimazione.

Quando si entra nel reparto di rianimazione, a causa delle macchine, dei rumori, dei bip-bip infernali, delle porte aperte, delle corse disordinate nel corridoio, delle grida delle infermiere che chiedono aiuto, si comincia con il dire che è un altro inferno. poi mi dico che mi sembra il luogo ideale per morire, ce n’è bisogno. Ho creduto che non avrei più potuto scrivere questo diario, a causa del trauma, ma è il solo modo per dimenticare. Hervé Guibert

Questa epidemia è diversa: nessuno è colpevole ma tutti ci possono contagiare. Può far ammalare a qualsiasi età ma fa danni prevalentemente agli anziani e ai pazienti con altri problemi di salute. Lascia soli, solissimi, proprio perché il contagio è facile. Lo stress degli operatori però è lo stesso: è un lutto che si infila sotto la pelle e che si cura con la forza del gruppo e con la gentilezza. Solidarietà di gruppo, e gestione dello stress vanno insieme.

Il lutto dell’operatore: stress e burn out

Il lavoro che viene richiesto alle persone che operano con pazienti Covid – o che curano altri pazienti in tempo di COVID – è veramente molto grande perché li espone sia nei confronti del lutto delle famiglie che nella ripetuta vicinanza della morte. Ormai da più parti si fa riferimento al lutto, nelle situazioni di malattia, non solo per la situazione che segue la morte, ma anche per quelle perdite che indicano il deterioramento e l’avvicinarsi della fase terminale. Spostare un paziente in rianimazione è un lutto, anche se tutti sperano che ne uscirà. La famiglia entra nel processo del lutto in maniera personale, con il proprio stile ma sicuramente molto prima dell’esitus, coinvolgendo così direttamente le persone che sono implicate nel processo di cura. Le situazioni più critiche sono quelle in cui il paziente è, per età, condizione familiare, caratteristiche di personalità e altro ancora, più vicino all’operatore, molto giovane o ancora con molti obblighi familiari da compiere.

Lo stress può venire da diverse fonti: endogene, in relazione alle precedenti o presenti esperienze dell’operatore, oppure da fonti esogene in relazione ad aspettative irrealistiche sulla quantità di lavoro che è possibile fare, sui risultati che questo lavoro deve produrre o a causa della mancanza di risorse per portare avanti il lavoro che deve essere fatto.

L’età è una variabile importante rispetto allo stress e, inaspettatamente, le ricerche hanno mostrato che gli operatori più giovani sono a più alto rischio di burn out.La sensazione di avere troppo lavoro da fare è una delle principali fonti di stress anche perché è percepito in associazione ad una sorta di imposizione esterna.

Il rapporto tra vita lavorativa e vita privata

Lo stress lavorativo si riflette nella vita privata. Le famiglie possono essere risentite per le domande e le limitazioni che il lavoro comporta nelle loro vite. Questo in alcune situazioni può far sembrare addirittura più piacevole stare al lavoro, dove si ricevono confronti magari gratificanti e soddisfazioni, che a casa dove si trovano risentimenti e rivendicazioni. Sia lo stress che il burn – out si esprimono attraverso una sintomatologia corporea. Per questo è particolarmente importante poter dare una risposta a partire dal corpo, anziché dalla mente, mente che spesso è ingabbiata in un circolo vizioso.
Ci sono tratti caratteriali che predispongono al burnout? Sì, ecco un breve elenco:
• Persone che si pongono mete eccessive e che si puniscono o rimproverano se non le raggiungono;
• Persone con uno stile di vita attivo, sempre di corsa;
• Persone molto capaci di organizzarsi ma che chiedono a se stesse di continuare a fare tutto anche se le condizioni esterne sono cambiate;
• Persone affidabili e iper-responsabili;
• Persone che si mettono in discussione facilmente;
• Persone che tengono poco conto dei loro bisogni e che arrivano a vantarsi di cavarsela sempre da soli
Insomma sono i medici, gli infermieri e il personale sanitario che vorremmo avere a fianco a noi in un momento di malattia ma qualcuno deve occuparsi di loro!

Sintomi fisici ed emotivi di stress e burn out

  • Malessere generale;
  • Disturbi del sonno;
  • Perdita di peso;
  • Mal di testa;
  • Difficoltà sessuali;
  • Disturbi gastrointestinali.
  • Impulsività;
  • Impazienza eccessiva;
  • Irritabilità ed aggressività;
  • Abuso di psicofarmaci, alcool
  • Frequenti sensi di colpa;
  • Difficoltà a distinguere tra ciò che appartiene a loro e ciò che riguarda altri.
  • Distacco emotivo dai malati e dai familiari dei malati;
  • Rigidità nelle procedure di lavoro;
  • Negativismo o atteggiamento rigido.

Modalità di coping

Essere consapevoli dei propri elementi di stress è anche il passo necessario per trovare adeguate modalità di coping. Tra i più usati meccanismi di coping per queste situazioni troviamo lo sviluppo di un senso di competenza, controllo e piacere rispetto al proprio lavoro. Questo senso di competenza si sviluppa attraverso una serie di stadi nei quali gli operatori testano frequentemente le proprie abilità.
Per molti è essenziale anche avere la propria personale filosofia rispetto al lavoro e alla propria vita. Anche una sorta di filosofia di gruppo che espliciti le diverse competenze, cosa si sta facendo e come verrà fatto può essere molto utile. Possono essere utili anche dei protocolli di intervento che chiariscano le risposte da offrire sia all’ammalato che alla famiglia.Modalità e strategie di coping che sono diverse da persona a persona. Per alcune persone può essere utile una seduta di rilassamento, per altre lo stress va più sulla rabbia e l’agitazione e quindi può essere necessario qualcosa di fisico per scaricare la tensione. Per alcuni la tristezza è il sentimento dominante, per altri è il distacco emotivo. Inutile proporre una bella seduta di rilassamento a persone che – in condizioni di normalità – si scaricano andando in discoteca ma è importante sostenere le capacità personali di auto-istruzione rispetto al superamento dello stress.

Così abbiamo pensato di offrire tre diverse possibilità di coping rivolte agli operatori sanitari (dai medici agli infermieri e al personale sanitario in senso più ampio), proprio per dare una risposta adeguata alle diverse necessità.

Le tre pratiche rimarranno come ausilio da poter utilizzare a piacimento perché, a volte, il nostro umore ci fa decidere che abbiamo bisogni diversi da quelli ordinari. Per partecipare – anche in differita – è necessario iscriversi qui: https://www.maam.life/gestione-stress-webinar/

Buona domenica!

© Nicoletta Cinotti

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Parlare della paura aiuta a fronteggiarla: la storia di Joanna Bourke

15/09/2019 by nicoletta cinotti

Menzogna e letargo controllano il mondo
Nei periodi di pace. Ciò che ha insegnato il dolore
È presto scordato; noi esaltiamo
Quello che dovrebbe accadere come già accaduto,
Le nostre vanterie ci accecano. E allora ritornano
le paure che temevamo (…) W.H. Auden L’età dell’ansia

Non so se anche voi, da bambini, eravate attratti da quello che vi faceva paura. Io ricordo una vecchissima serie televisiva “Belfagor, il fantasma del Louvre” che imploravo di guardare anche se poi diventava il mio incubo notturno.

Abbiamo un rapporto ambivalente con la paura: la rifuggiamo e, nello stesso tempo, ne siamo attratti, come dimostra il successo di molti film di terrore, dei noir e dei gialli. Cerchiamo, attraverso l’arte, di addomesticare un sentimento primario e dirompente. Questa è una delle ragioni per cui ti presento il lavoro di Joanna Bourke, docente di Storia all’Università di Londra che si occupa di storia delle emozioni – in particolare la storia dell’odio e della paura – e della storia della violenza sessuale, in un progetto che si chiama SHaME.

Com’è che una storica decide di occuparsi della storia culturale delle emozioni? In una maniera piuttosto personale.

Una ricerca che nasce dalla propria storia

Joanna era ricoverata in ospedale, dopo un intervento chirurgico e con una pompa di morfina che non funzionava troppo bene. Un’amico le aveva lasciato il libro di Virginia Woolf “On being ill” (Sulla malattia). In questo saggio Virginia Woolf lamentava il fatto che la letteratura non si fosse occupata della malattia tanto quanto dell’amore o della gelosia. Un romanzo sulla malattia, scrive Virginia Woolf nel 1926, non avrebbe trama. Oggi non è più così vero perché molti sono i romanzi, anche autobiografici, che hanno raccontato il rapporto con la malattia. Il punto però che ha colpito Joanna  è un punto centrale anche nella pratica di mindfulness. “Naming is taming”, ossia avere le parole per descrivere l’esperienza è un modo – importante – per affrontarla e fronteggiarla. Nasce così l’interesse di Joanna per la storia delle emozioni. Un interesse che affronta da storica e con lo stesso metodo con cui uno storico ricostruisce i grandi avvenimenti del passato. Ossia attraverso documenti, lettere, diari che coprono un lungo arco temporale.

Il Novecento e la paura

Inizia così la ricerca storica di Joanna che, a partire dalla sofferenza, arriva ad includere le emozioni che hanno una grande risonanza collettiva come l’odio e la paura. Il Novecento diventa il secolo degli eventi privi di risposte e di senso ma che suscitano, tutt’ora, grande paura. Lo spettro della minaccia nucleare, la persecuzione degli ebrei, il nazismo, la paura del terrorismo. Tutti argomenti che diventano giustificazioni per compiere atti terrorizzanti come gli attacchi preventivi, la guerra intelligente, la lotta al terrorismo.

La frequenza con cui siamo esposti alla violenza e alla paura – a partire dai telegiornali per finire ai videogiochi – ha ridotto la nostra sensibilità all’orrore e, sostiene Joanna, abbiamo perso sensibilità sociale nei confronti della paura. Proviamo orrore e disgusto per la violenza ma la paura è diventata un fatto personale. Ci preoccupa se ci riguarda direttamente. Altrimenti è solo disgusto. È la paura per qualcosa che potrebbe succederci, più che la paura per gli altri. I migranti sulle navi del Mediterraneo ci fanno paura perché potrebbero turbare i nostri fragili equilibri. Abbiamo paura di loro, paradossalmente, anziché aver paura per loro che hanno attraversato torture, guerre e minacce di ogni tipo prima di arrivare alla soglia del mediterraneo.

La paura e la solidarietà

Questo modo di affrontare il sentimento della paura riduce la solidarietà. La paura, dice la Bourke, diventa una emozione dispensata politicamente per coltivare scelte economiche e politiche di tipo autoritario mentre sarebbe tempo di tornare a politiche che si occupano della vita altrui e non solo della protezione della nostra stessa vita. Una vita che sentiamo esposta a pericoli planetari.

Nel suo libro Joanna affronta la paura della morte e del morire che, da molti punti di vista si potrebbe considerare la paura più radicata e trasversale, come delle paure infantili che disegnano la nostra psicostoria, per arrivare alla minaccia del nucleare. Io farò un brevissimo sunto del capitolo dedicato alle paure suscitate dal corpo e dalle malattie.

L’estraneo dentro di noi

Una diagnosi di cancro non è una sentenza di morte ma un patto di convivenza, oggi potremmo definirlo così. La malattia non è più da sconfiggere (meglio se accade) ma un ospite con il quale trovare un equilibrio di convivenza accettabile, questa potrebbe essere la definizione della storia di Edna Kaehele a cui nel 1946 fu diagnosticato un cancro con una prospettiva di vita di sei mesi. Quando nel 1959 pubblicò – da viva – il suo libro Sealed Orders, fu una dimostrazione efficace di quanto l’immaginazione, la determinazione e una buona dose di apertura mentale, possano contro una malattia. Un punto rilevante del suo rapporto con questo difficile ospite è raccontato così:

L’angoscia mentale fu peggiore di qualsiasi sofferenza fisica avessi sopportato. E tutto questo, alla fine, non era necessario (…) è l’ignoto che atterrisce. Edna Kaehele

Se alla fine dell’Ottocento le malattie temute erano la difterite, il vaiolo, la polmonite o la lebbra, nel Novecento la malattia che abbiamo temuto aveva un nome – spesso impronunciabile – cancro. Fino all’epidemia di Aids alla fine degli anni ’80 il cancro era la malattia – il brutto male – più temuto, descritto con parole mostruose: invasore malvagio, mostro che si riproduce.

Reich ipotizzò che ci fosse una radice psicosomatica del cancro, collegata con parti non vitali e non ossigenate del corpo ma anche con parti “morte di noi”. Parla così del cancro di Freud

Fumava davvero molto. Ho sempre avuto la sensazione che fumasse non per nervosismo ma perché voleva dire qualcosa che non riusciva a pronunciare. Wilhelm Reich

Susan Sontag e la malattia

È stata Susan Sontag a spezzare la lancia su come il linguaggio – e le metafore legate a questa malattia – finissero per avere un  effetto patologico. “Le metafore e i miti..uccidono” affermò con forza e colpiscono pazienti e curanti. I medici non sono immuni alla paura che suscita la malattia che curano e questo può spiegare la reticenza nella comunicazione che hanno molti medici nei confronti dei loro pazienti.

Persino i medici che sono in disaccordo nel tenere nascosta la diagnosi sono d’accordo nel negare certe informazioni ai pazienti e molti pazienti riferiscono che il modo in cui è comunicata la diagnosi influenza la prospettiva con cui guardano alla loro malattia.

La paura ostacola prevenzione e cura

Come con il cancro, la paura dell’AIDS ostacola la prevenzione e i regimi di cura. A questa diagnosi si aggiunge, inoltre, anche la vergogna e l’educazione sanitaria relativa all’AIDS è un ottimo esempio di una campagna preventiva basata quasi esclusivamente sulla paura. Nel 1988 l’Health Education Autority portò avanti una campagna nazionale in cui, con lettere cubitali bianche su sfondo nero appariva il seguente slogan ” Qual è la differenza tra HIV e AIDS? Il tempo”. Lasciando così intendere che la fine fosse certa e inarrestabile. In questo caso però è accaduto qualcosa di nuovo: la comunità si è rifiutata di cedere al linguaggio della paura. Non solo la comunità gay ma anche, a partire dalla comunità gay, ampie frange di popolazione sensibile – delle quali ho fatto parte anch’io – hanno iniziato a protestare nei confronti di questo linguaggio della paura. Hervé Guibert è stato, per anni, la lettura che ha guidato la mia campagna contro una prevenzione basata sulla logica della paura. Per la stessa ragione detta poco sopra: una campagna basata sulla paura rende egoisti e distrugge il senso di solidarietà.

Oggi – oggi che con il cancro si può convivere e che l’AIDS è diventato un ospite cronico – la paura è quella di una morte che vada oltre la durata della vita: una vita prolungata meccanicamente dall’accanimento terapeutico. Oggi la morte prolungata dai dispositivi medici è un’ipotesi che fa rabbrividire.

Settembre 2001

L’11 settembre del 2001 è ormai il giorno in cui la paura reale ha superato qualsiasi immaginazione. Quello che abbiamo visto sugli schermi televisivi sembrava un film di fantascienza ma era una crudele realtà, trasmessa in mondovisione. Una somministrazione di terrore su scala mondiale che ci ha fatto passare dall’età dell’ansia all’età del terrorismo. Quale rischio corriamo? Il rischio che qualsiasi misura difensiva – a fronte di tanta paura – risulti giustificata e giustificabile. Il rischio è che la paura e il terrore disgreghino i nostri comportamenti prosociali. Eppure la vera cura, ogni volta, è la solidarietà. La nostra sopravvivenza dipende dalla cooperazione molto più che dalla lotta e le donne sono, da sempre, le prime promotrici di questa sensibilità, perchè siamo wired per le relazioni. la nostra sensibilità non può fermarsi di fronte all’uso improprio delle parole. Facciamo attenzione quando leggiamo “il cancro e le cellule terroristiche vanno debellate una volta per tutte”. La stessa attenzione che dobbiamo fare quando sentiamo che un uomo che ha ucciso è definito “gigante buono”. Se non siamo consapevoli delle leve che accende la paura saremo sempre trainati da fili che sono nelle mani di burattinai. Quando siamo spaventati lo scollamento tra rischio reale e paura aumenta. Cerchiamo di ridurre questo scollamento con la socialità costruttiva.

Ricordiamoci le parole di Bertold Brecht:

Chi è sopravvissuto alla persecuzione è sopravvissuto grazie all’aiuto degli altri. Bertold Brecht

e questo è vero per qualsiasi pericolo: lo superiamo meglio se siamo aiutati e sconfiggiamo la paura se non ci sentiamo soli.

© Nicoletta Cinotti 2019

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Affrontare i segnali fisici dello stress

12/07/2016 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Lo stress non succede in una notte: è una condizione cronica. È scatenato dal mancato raggiungimento delle nostre condizioni standard di sicurezza, approvazione o connessione sociale.

Gli effetti cronici dello stress sono insidiosi e vengono mantenuti dallo stile di vita: insonnia, caffeina, cibo di bassa qualità, alcool, abuso dei social media o uso sconsiderato dei farmaci.

Nel corpo lo stress ha una destinazione: quella infiammatoria. L’infiammazione infatti è la risposta del corpo, e del sistema immunitario, alle tossine e al sovraccarico. Lo stato infiammatorio spesso è uno dei responsabili delle più diffuse malattie come diabete, malattie cardiache, cancro, depressone, ansia. A volte basterebbe una pausa: lo spazio di respiro di tre minuti per abbassare il livello di stress.

Curarsi con la mindfulness? Una giornata dedicata!

Spazio di respiro di tre minuti

http://mindful1.cristianoferrari.eu/wp-content/uploads/2016/07/MBSR-Spazio-di-respiro-3-minuti.mp3

Da dove partire?

• Scegli una buona abitudine e portala avanti. Scegli una abitudine che è possibile modificare, se riesci a fare un piccolo cambiamento, avrai più fiducia nella possibilità di farne uno grande.

• Cerca di stare in buona compagnia. Scegli persone che possono sostenere la tua nuova abitudine salutare per condividere il tuo tempo libero.

• Quando sbaglierai – ed è inevitabile che succeda – cerca di guardare al tuo errore con compassione. Essere gentile con te stesso e trattarti come se fossi il tuo miglior amico è una strategia che funziona molto meglio e molto di più del rigore e della critica.

© destinazionemindfulness.com by Nicoletta Cinotti

 

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