
Credo che nessun psicologo sottovaluti il ruolo che hanno le mamme nella vita delle persone. Così oggi mi trovo in un ruolo triplice: sono mamma, figlia e psicologa. Una triplice alleanza così può avere effetti disastrosi! Comunque quello materno è un ruolo mai sottovalutato (anzi) e mai solitario perché le mamme costruiscono attorno a sé delle tribù. Spesso la abilità materna sta proprio nella capacità di tenere insieme una piccola tribù trans-generazionale. Insomma, come dice una barzelletta ebraica, la differenza tra una mamma e un terrorista è che con il terrorista puoi sempre trattare, con una mamma no!
E sai perché con una mamma non si può trattare? Perché sono sempre in due: ogni mamma ha dietro di sé una nonna ( e se non ha una nonna ha un’amica, una sorella, una babysitter, un’altra donna )
Siccome Dio non poteva essere dappertutto ha creato le mamme. Dalla enciclopedia della risata ebraica di Elena Loewenthal
Obiettivo sopravvivenza
L’obiettivo primario di qualunque madre è la sopravvivenza dei suoi piccoli. Una sopravvivenza che per noi umani è complicata dal fatto che, prima di raggiungere una piena autonomia, passano davvero molti anni e questo rende l’ambiente in cui i bambini crescono di fondamentale importanza per la loro salute fisica e psicologica, presente e futura. Questa lunga dipendenza di noi umani non è semplice da gestire: comporta un peso non indifferente che le madri sono filogeneticamente abituate a condividere, tanto che, nelle culture primitive si può parlare di un vero e proprio allevamento e allattamento cooperativo. L’immagine idealizzata della madre, che la ritrae sempre sola con il suo bambino tra le braccia, non è un’immagine tanto realistica. Le donne infatti hanno un fortissimo istinto verso la cura personale del bambino ma un istinto altrettanto forte verso la ricerca di una socialità più allargata che le sostenga. Tanto che uno dei segnali di stress e depressione materna è proprio un eccessivo isolamento. Una madre che pretende di farcela da sola non è una madre che sta bene. È una madre che cerca di raggiungere uno standard ideale perfezionistico (e quindi poco salutare) oppure è una madre che si avvia su una strada di depressione. In entrambi i casi non andrebbe lasciata sola. Infatti, quando le risorse sono insufficienti, anche l’istinto materno diminuisce offrendo minore qualità di cura, di motivazione e di impegno, come sanno molto bene i servizi sociali dei Comuni italiani, alle prese con nuove povertà. La prima è proprio la povertà della solitudine che porta molte madri a non essere in grado di curare i propri figli.
L’equilibrio tra le risorse dedicate al bambino e quelle dedicate alla madre
Nella nostra evoluzione la relazione tra la possibilità di concepimento e le risorse materne tende alla ricerca di un equilibrio. Come umani il lungo periodo di allevamento della prole è stato sostenuto da una non fertilità offerta dall’allattamento che, nelle culture primitive, spostava a circa 4/6 anni la distanza media tra un concepimento e l’altro e portava molto più avanti la data del primo menarca. Il menarca infatti arrivava quando le proporzioni corporee erano tali da garantire la possibilità fisica di sostenere una gravidanza. Le migliori condizioni di vita attuali non offrono più questo tipo di garanzia “biologica”. Oggi l’allattamento artificiale o materno mantiene la possibilità di gravidanze molto più ravvicinate e la tendenza di molti genitori è proprio quella di avere figli più vicini per ragioni organizzative. Una efficienza che sottovaluta l’aspetto stressante dell’allevamento di più bambini piccoli contemporaneamente. La quantità di grasso corporeo confonde le nostre ovaie e il menarca – e quindi lo sviluppo sessuale – sono molto più precoci rendendo l’ingresso femminile nel mondo della sessualità più precoce e la necessità di anticoncezionali più lunga nell’arco della vita. Siamo sicure che questo sia un vantaggio?
La visione idealizzata della madre inoltre tende a sottovalutare il fatto che una madre con figli piccoli ha bisogno di ricevere tante cure quante ne offre, se non vogliamo che il suo stress ricada sull’equilibrio familiare e, in particolare, sulla relazione con il partner. Un partner che non sa offrire alla compagna un sostegno adeguato alla cura dei figli compra un biglietto per la lotteria della separazione senza saperlo. Potrebbe scoprirlo molti anni dopo, quando ormai sarà troppo tardi per uscire dalla lotteria. Perchè su questo le donne non dimenticano.
Perdona e dimentica ma non dimentica mai, oh, questo no, di aver perdonato...cit. da Elena Loewenthal
Una maternità sociale o una famiglia nucleare?
In contrasto con l’idea attuale di un nucleo familiare ristretto e distinto il co-housing (per usare una parola moderna) è stato la norma fino ad anni relativamente recenti. Le ricerche antropologiche hanno dimostrato che gli esseri umani si sono evoluti in strutture di allevamento cooperative in cui le madri avevano sostegno da parte degli altri per la crescita dei figli. In alcuni casi questo poteva diventare un allevamento cooperativo che includeva i padri, le sorelle più grandi, le zie, i nonni e anche altri membri non legati da vincoli di sangue. Insomma nella nostra storia evolutiva l’immagine della donna sola con il suo bambino tra le braccia non è stata affatto vera. Le madri hanno ricevuto aiuto da molte figure, parentali e non parentali, che gravitavano attorno ai piccoli di casa proprio per favorirne la crescita e aumentare la possibilità di sopravvivenza nel lungo periodo di sviluppo verso l’autonomia. È stata questa socialità allargata che ha permesso l’evoluzione della specie e la sua diffusione sulla terra. L’aspettativa, tutta occidentale, che una madre debba occuparsi da sola dei suoi bambini senza aiuti esterni non ha radici nella nostra storia evolutiva. Più che essere una famiglia naturale è una famiglia ideale che non è mai esistita prima.
L’antropologa Sarah Hrdy data attorno al 1950 la nascita dell’idea della famiglia nucleare, un progetto realistico solo in relazione al boom economico post seconda guerra mondiale, in cui un solo stipendio era sufficiente per garantire benessere economico. Oggi le donne non solo rivendicano il loro diritto alla crescita professionale ma un solo stipendio è raramente adeguato alle nostre esigenze di vita. In questo momento di decrescita (neanche tanto felice) è ancora realizzabile? Qual è il prezzo che pagano le donne e le famiglie in questa epoca economica/storica in cui anche i servizi per l’infanzia sono in una condizione di contrazione degli investimenti?
Insomma la famiglia nucleare, nella nostra storia evolutiva è un blip in time, una brevissima e recente apparizione, contraddetta, almeno in Italia, dalla natura, soprattutto familiare, del nostro welfare. Le famiglie vanno avanti perché possono contare sull’aiuto economico e pratico delle rispettive famiglie d’origine. Quando questo aiuto manca le difficoltà crescono in maniera esponenziale per le piccole famiglie nucleari che dovrebbero realizzare un miracolo impossibile: ricchi (per garantire il meglio ai propri bambini), professionalmente realizzati (per combattere la frustrazione), genitori perfetti (per essere veramente di successo) e soli: Wonder Woman pensaci tu!!!
Ironicamente il miglioramento delle condizioni di vita occidentali comporta un prezzo molto alto soprattutto per le madri: un allevamento dei figli non più condiviso con un’ampia cerchia familiare che includeva un gruppo di fiducia costituito dalle altre donne della famiglia. Anche se abbiamo una libertà riproduttiva sconosciuta alle generazioni precedenti, la distanza ravvicinata tra un figlio e l’altro, le richieste professionali, la mancanza di sostegno sociale rendono l’esperienza della maternità più stressante che per le generazioni precedenti.
In questa situazione la socialità allargata è stata sostituita dalla socialità tecnologica della televisione prima, dei device elettronici dopo. Quanti genitori, per mangiare in pace, fare due parole tra adulti, accendono la televisione o danno un tablet ai loro bambini? Molti.
Bene, una volta questa funzione era resa possibile dalla presenza in casa dei nonni, delle zie, delle sorelle più grandi, delle balie che diventavano persone di famiglia. Oggi nei nostri piccoli appartamenti questa socialità viene rappresentata in forma virtuale e Peppa Pig è, a tutti gli effetti, un membro della famiglia. E, qualche volta, una mamma sostitutiva che conforta e insegna a consolarsi.
Mothering the mother e mindfulness
Il succo del discorso è che le madri hanno bisogno di bilanciare le cure che danno ai loro bambini con le cure che ricevono e le nonne qui entrano in campo con tutte le loro scorte di tempo libero, conserve e pasti già pronti. Se non hai una nonna disponibile vorresti comprarne o noleggiarne una tanto diventano fondamentali quando arriva un bambino. Sostituiscono le carenze di asili nido, la psicoterapia familiare ( se non sono troppo impiccione perché in quel caso diventano una ragione di crisi familiare!) e il take away. Insomma il sogno di ogni donna, una volta diventata mamma, è avere la nonna. Solo che, per ricevere aiuto bisogna ammettere di averne bisogno e su questo le donne possono essere molto orgogliose.
Le sessioni iniziali dei programmi di Mindful Parenting hanno proprio lo scopo di invitare i genitori a diventare consapevoli dello stress che sperimentano fisicamente ed emotivamente. Riconoscere che l’esperienza della genitorialità è molto demanding permette di attivare la ricerca di sostegno. Se rimaniamo chiusi nell’idea di fare tutto da soli anche le nostre possibilità di ricevere aiuto diminuiscono.
Sono stata allevata all’autonomia da due genitori che – ho sempre detto scherzando – erano molto americani: passi lunghi e precocemente lontani dalla famiglia. ( Faccio una parentesi: io sono uscita di casa a 16 anni, mia sorella a 18. Mio fratello a 30). A volte, dico la verità, avrei voluto rimanere bambina per più tempo ma questo lusso, in casa mia, non era concesso. Mia madre è rimasta orfana di entrambi i genitori e conosceva la declinazione dell’autonomia più che quella della dipendenza. In ogni caso è stata centrale nella mia crescita professionale. Quando è nato mio figlio partiva – sempre con qualche provvidenziale scorta alimentare – e arrivava per passare qualche settimana a casa con noi e permettermi così i miei viaggi di lavoro, le formazioni, e tutto il resto. Lei e la meravigliosa Margherita – che più che una baysitter è stata una sorella maggiore per mio figlio e una sorella minore per me – mi hanno aiutato in un modo fondamentale ad essere madre. Mio marito è stato un incredibile papà full time, anche quando era ancora full time sul lavoro. Io ero una madre appassionata e anche piuttosto dis-organizzata: davo tantissimo quando c’ero per compensare le lunghe e frequenti assenze. Il risultato non è stato tanto male: ho un figlio che è molto autonomo e credo che sarà un buon padre (grazie a suo padre). Appena lo ha chiesto ha iniziato una psicoterapia: non mi sono sentita offesa. Sono contenta che abbia saputo riconoscere il suo bisogno e ho fatto presto pace con l’idea di essere una madre tutt’altro che perfetta (almeno divertente però!). Come forse sospetterai anche tu non sono propriamente una casalinga e nemmeno propriamente una madre tradizionale.
Non avrà bisogno di imitare il modello materno per fare il papà perché suo padre gli ha offerto un buon esempio (Comunque lui dice che io sono l’uomo di casa e papà la mamma: su questo è aperto un confronto ma forse ha ragione!) In ogni caso care amiche mamme tranquille: non è davvero necessario fare tutto noi. È necessario che la quota di cura venga raggiunta. Da chi, come e perché è qualcosa che ha più a che vedere con il nostro desiderio di essere perfette che con la salute della nostra prole. Il regalo più grande che possiamo fare a un figlio? Non essere gelose: il mondo è grande e più diamo fiducia e libertà più saranno in grado di prendere i pesci di cui hanno bisogno. Noi abbiamo dato la vita: scusate se è poco!
Truppe da sbarco: le madri e le nonne
Chi aiuta normalmente le madri durante la lenta e lunga fase evolutiva dei bambini? La risposta, dall’uomo primitivo in poi, è la stessa. Le nonne. Nelle culture primitive attraverso la collaborazione alla ricerca di cibo, che non era tanto quello portato dagli uomini – cacciatori – ma dalle nonne che approvvigionavano di verdure (nonne vegetariane!). È per questa ragione che le donne hanno una lunga sopravvivenza anche dopo la fine della loro età fertile. Nelle altre specie mammifere, le femmine hanno pochissima sopravvivenza dopo la menopausa e si può dire che in molte specie la fine della fertilità coincide con la fine della vita. Non tra noi umani. Le nonne servono anche in menopausa: non più per procreare ma per garantire un aiuto nello sviluppo della prole, come racconta magnificamente Kristen Hawkes. Ci sono evidenze antropologiche che hanno permesso di verificare come, la presenza di più generazioni nello stesso nucleo familiare, garantisse una migliore sopravvivenza dei piccoli. Le nonne contribuivano ad incrementare le riserve alimentari con la raccolta di radici e verdure mentre gli uomini erano impegnati in battute di caccia dai risultati incerti, aumentando così il successo riproduttivo delle figlie. Le nonne avevano anche il compito di proteggere i bambini dal rischio dell’infanticidio, un rischio assolutamente presente nelle culture primitive.
Come dice Sarah Hrdy la fiducia che le donne hanno nei confronti di altre persone nasce dalla consapevolezza del loro bisogno di essere aiutate. Una consapevolezza che va, anche e soprattutto oggi, coltivata e sostenuta, visto che spesso lo stress diminuisce paradossalmente proprio la percezione del bisogno. Se le madri umane hanno una migliore tolleranza del post parto è proprio perché hanno fiducia nella possibilità di ricevere aiuto e sono consapevoli del rischio che corrono nel momento in cui sono lasciate troppo sole.
[box] Ezechiele è in vena di confidenze e parla con il suo vecchio amico “Io e mia moglie ci siamo equamente divisi i compiti”. Ah sì – risponde l’amico – e come? “Lei provvede a sostentare tutti, pagare le assicurazioni e spese varie. Io sono responsabile del debito pubblico nazionale e del progetto di atterraggio su Marte”. Elena Loewenthal /box]
Tre domande sulla maternità
Nell’articolo della scorsa settimana dedicato ai padri nel Mindful Parenting concludevo con tre domande centrali per lo sviluppo del ruolo paterno:“Che cosa avresti voluto o che cosa avresti avuto bisogno di ricevere da tuo padre?“; “Cosa ti ha dato tuo padre che per te è stato importante?“ e, soprattutto “Cosa desideri offrire ai tuoi figli?”.
Potrei ripetere le stesse tre domande anche per le madri: “Che cosa avresti voluto e che cosa avresti avuto bisogno di ricevere da tua madre?”, “Cosa ti ha dato tua madre che per te è stato importante?” e “Cosa desideri offrire ai tuoi figli?”. Mi rendo conto che una cosa di cui sono debitrice a mia madre è proprio l’autonomia, anche economica. Non avrei mai accettato di essere mantenuta da mio marito e ho offerto a mio figlio la stessa fiducia e motivazione verso l’importanza di realizzarsi professionalmente e umanamente. Aggiungo però un’altra domanda rivolta alle madri, da farsi in particolare durante la gravidanza “Chi mi aiuterà ad allevare il mio bambino?”. Una domanda che non ha lo scopo di farci sentire bisognose o insicure ma l’intenzione di ridurre la nostra disastrosa pretesa – culturalmente sostenuta – di dover fare tutto da sole.
Il sostegno sociale che una madre percepisce come disponibile è estremamente importante per il suo impegno e la sua motivazione alla cura del suo bambino. Sarah Hrdy
© Nicoletta Cinotti 2019
Questo articolo nasce dalla passione che mi suscita il mio nuovo progetto professionale di Mindful Education. In italiano trovi tradotto il libro di Susan Bögels, Mindful Parenting
https://www.nicolettacinotti.net/training-internazionale-in-mindful-parenting-con-susan-bogels-3-8-marzo-2022/
Bibliografia aggiuntiva di riferimento