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L’invidia: emozione del confronto

28/10/2023 by nicoletta cinotti

Spesso gelosia e invidia vengono confuse ma hanno significati e ragioni diverse, molte volte connesse tra di loro. La gelosia è legata alla paura di perdere qualcuno o qualcosa che amiamo. L’invidia nasce invece dal desiderio di aver qualcosa che gli altri hanno e che, ci sembra, dovremmo avere anche noi. Per ragioni di giustizia.

A volte arriva a farci pensare che, se qualcosa non possiamo averlo, non deve essere raggiungibile nemmeno per gli altri.

Come la gelosia, anche l’invidia ha le sue sfumature ed entrambe nascondono una profonda insicurezza sul proprio valore e sulla possibilità di venir amati o di realizzare le proprie potenzialità. Diversa dall’ammirazione e dal desiderio che, se frustrati ripetutamente, possono condurre – per l’appunto – ad un intenso sentimento di invidia.

Il confronto sociale

L’invidia nasce sempre da una forma di confronto sociale che si organizza intorno alla disuguaglianza che viene considerata ingiusta. Qualcuno che conosciamo, che ha delle caratteristiche simili alle nostre, per età,  posizione sociale o situazione sentimentale è in una posizione migliore della nostra: ecco che scatta l’invidia. Alimentata da una scarsa fiducia nelle proprie possibilità reali.

Un test

In Giappone è stato utilizzato un test che metteva le persone nella condizione di desiderare un nuovo profilo professionale, senza riuscire ad ottenerlo. Il lavoro, sempre nella simulazione, era attribuibile a due diverse persone: una conosciuta e con caratteristiche simili alla persona che non l’aveva ottenuto e l’altra completamente sconosciuta. Naturalmente l’invidia andava verso la persona che era più simile al concorrente che non aveva ottenuto la posizione.]

Cosa l’alimenta?

Comprendiamo facilmente che ci è più difficile invidiare qualcuno di totalmente sconosciuto: l’invidia richiede una forma di confronto tra noi e l’altro che, se non lo conosciamo, non si verifica. Il punto è cosa intendiamo per “conoscere”. L’uso dei social infatti ha esteso la sensazione di conoscere qualcuno anche a persone che normalmente non considereremmo “amici” e sviluppato il mostrare le proprie risorse, capacità e abilità. Insomma ha alimentato proprio due degli ingredienti basilari dell’invidia: conoscersi(1) e percepire una disuguaglianza (2) ritenuta ingiusta.

Certamente in noi deve esserci un terreno predisposto: un senso di inferiorità, un sentimento di incapacità ad ottenere quello che desideriamo, e la magra soddisfazione di vedere l’altro nella polvere, oltre ad un senso di frustrazione. L’invidia infatti è l’unico tra i peccati capitali (Ira, lussuria, gola, accidia, avarizia, superbia) che non concede piacere a chi lo prova. Provare invida – anche quando la persona che invidiamo incorre in difficoltà – non suscita un senso di piacere: riduce solo un po’ l’insoddisfazione.

L’era digitale

Secondo lo psicologo John Tooby, l’era digitale in cui viviamo ha aumentato moltissimo i confronti sociali possibili. Prima vivevamo in comunità ristrette, definite da limiti geografici: adesso di fronte a noi, virtualmente, c’è il mondo. E, a causa delle informazioni che riceviamo, corrette o scorrette che siano, ci sentiamo molto più simili a persone che, forse non avremmo mai incontrato davvero. Possiamo così sentirci simili a personaggi famosi e confrontarci con loro sul loro stesso terreno. Misurarci con cantanti, scrittori, artisti come se anche noi lo fossimo.

Ma cosa succede, nel cervello, mentre proviamo invidia?

Le risonanze magnetiche fatte dai soggetti che partecipavano all’esperimento giapponese citato sopra hanno mostrato che più i partecipanti all’esperimento provavano invidia, più si attivava la corteccia cingolata anteriore dorsale. Quest’area del cervello è coinvolta nei sentimenti conflittuali e fa parte del circuito del dolore: la partenza è quindi il dolore di sentirsi inferiori e l’invidia la reazione a quel dolore nel tentativo di averne sollievo.

[box] Dimorando nelle qualità della mente originaria impariamo a dimorare nelle parti più evolute del nostro cervello. L’impulso all’odio e alla malizia viene dalle parti primitive del cervello e consuma la nostra attenzione e la nostra energia tanto da essere incompatibile con la libertà di pensiero. David Tuffley[/box]

Anche se può sembrare strano questo è il terreno su cui si muovono le riviste scandalistiche che danno rilievo alle disgrazie dei personaggi famosi: alimentano quel malsano sollievo che deriva dalle disgrazie altrui. Sempre citando la stessa ricerca giapponese, è stato visto che, il piacere suscitato dalla disgrazia altrui, attiva lo striato ventrale che fa parte del sistema della gratificazione. Quando viene stimolato lo striato ventrale è come se ci trovassimo di fronte ad una pillola dolce e amara al tempo stesso che lenisce il colpo inferto al nostro ego dal successo altrui.

L’inganno dell’invidia

L’invidia è ingannevole perché non c’è modo di soddisfarla: ci sarà sempre qualcuno migliore di noi. Forse non più la stessa persona ma il sentimento non è legato ad una specifica persona: è nostro ed è dentro di noi che dobbiamo risolverlo.Difficile lottare contro l’invidia se non guardiamo al dolore che la nostra vita ci procura.

L’invidia però è ingannevole anche per un’altra ragione: poiché nasce nei confronti di qualcuno che sentiamo vicino a noi, spesso si nasconde proprio nei rapporti più intimi e familiari. Così quando scopriamo la sua presenza ci sentiamo traditi, oltre che vittime dell’invidia altrui.

Una cultura che alimenta l’invidia

La nostra cultura è una cultura dipendente dall’approvazione che riceviamo dagli altri. Siamo cresciuti a competizione spinta e il confronto è spesso usato come strumento di stimolo educativo. Insomma, in poche parole non ci rendiamo conto di costruire oggi, i problemi di domani.

Anche l’esibizione fatta sui social dei nostri successi, dei nostri amori, e dei nostri guai non è neutra: rischia di alimentare una logica di confronto sulla quale può facilmente crescere invidia e gelosia. Il vero cambiamento forse inizia da una educazione alla pace, alla solidarietà, alla comprensione e alla compassione.

Un’educazione che alla logica del confronto risponda con la gioia compartecipe e la condivisione.

La gioia compartecipe

Una delle illusioni che sta dietro all’invidia è la sensazione di separatezza tra noi e gli altri. In realtà tutto è connesso e ciò che accade in un luogo del mondo ha influenza su tutto il mondo, come possiamo facilmente vedere osservando i cambiamenti climatici e le ricorrenti crisi finanziarie internazionali. Ciononostante continuiamo ad avere di noi una visione separata e distinta e a nutrire la convinzione che la gioia che riguarda una persona ci possa, in qualche modo, sottrarre qualcosa.

Il nostro stesso percepirci isolati è una causa primaria di sofferenza che toglie il sollievo che nasce dal riconoscimento della nostra umanità condivisa.

La felicità è un bene che si accresce con la condivisione: un’emozione nobile che trascende i confini ristretti e limitati della nostra visione egoica. Nella tradizione buddista la gioia compartecipe, la felicità condivisa è una delle dimore divine, una delle qualità della mente originaria che aiuta la propria crescita spirituale e promuove quella altrui. Può essere raggiunta attraverso un processo di piena attualizzazione, non molto diverso dalle caratteristiche del Se attualizzante definito da Carl Rogers.

È un tipo di felicità che non nasce dall’aver acquisito delle cose, ottenuto dei successi o dei beni materiali. Nasce dalla realizzazione del nostro potenziale umano, un potenziale che non è soggetto a danno, qualunque sia la condizione che ci troviamo a sperimentare. Ed è un antidoto naturale al provare invidia.

Perché la prima protezione per l’invidia è imparare a riconoscere quando sorge in noi e non alimentarla. Sostituire l’invidia con la condivisione, con la gioia compartecipe è il primo passo per cambiare la cultura della competizione.

L’interazione dinamica tra le emozioni

Quando proviamo un’emozione possiamo pensare che sia isolata. in realtà il nostro mondo emotivo è più simile ad una costellazione che ad un unico astro che brilla nel cielo. Così ogni emozione porta con sé una costellazione di altre emozioni, di sfumature di sensazioni e pensieri che si nutrono vicendevolmente. L’invidia si colloca su un umore basso, porta con sé gelosia, lamentazione, irritabilità. Si esprime attraverso il blocco oculare e forme di tensione aggressiva. Porta ad una proliferazione mentale e a ideazioni di qualità persecutoria.

[box type=”download”] L’equanimità è equilibrio. È il risultato dello sforzo necessario a raggiungere una comprensione e una profonda intuizione sulla propria vera natura, con, in più, l’impegno ad evitare attività e modi che possano fuorviarci. David Tuffley[/box]

Forse è difficile affrontarla quando è esplicita e saliente ma possiamo fare molto per prevenirla, coltivando le qualità della nostra mente originaria: equanimità, gentilezza amorevole, gioia compartecipe e compassione. Anche queste funzionano come una costellazione che, praticata con regolarità, funziona come un antidoto nei confronti delle nostre emozioni difficili.

L’equanimità ci aiuta a non farci trascinare nella spirale della reattività emotiva, coltivare la gentilezza amorevole ci mette di fronte alle emozioni che proviamo, sotterraneamente, per gli altri.

Ricordo ancora chiaramente l’emozione che ho provato quando, dopo aver a lungo praticato Metta per una persona con la quale avevo un difficile rapporto, mi sono sentita pronta per mettere questa stessa persona di nuovo tra le persone che mi sono vicine. È stata quasi una sorpresa anche per me stessa. Così oggi cerco sempre con attenzione, durante la pratica di Metta l’emergere delle vere emozioni nei confronti degli altri. Possono essere i germi dell’invidia. Nello stesso tempo l’equanimità può diventare indifferenza, se non siamo attenti a mantenere un calore affettivo come quello che ci è offerto dalla compassione e dalla gioia compartecipe. La compassione ci ricorda la transitorietà della felicità e la presenza del dolore, nella nostra vita o in quella altrui e ci ricorda che gioia e dolore possono, stranamente, coesistere ed essere molto vicine.

Una mente tranquilla comprende che tutto, nell’universo, è in uno stato di flusso, e che la struttura emotiva e intellettuale che costruiamo per sentirci sicuri e comprendere il mondo è soggetta al cambiamento dovuto ad eventi che sono molto al di là del nostro controllo. David Tuffley

© Nicoletta Cinotti 2023 Emozioni difficili

 

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L’ingratitudine

22/10/2023 by nicoletta cinotti

Chi non conosce la gratitudine? Ma, soprattutto, chi non conosce l’ingratitudine, quel sentimento di ribellione quando ci accorgiamo che quello che abbiamo fatto viene dato per scontato o sottovalutato o minimizzato?
Per diverso tempo ho fatto supervisione ai volontari dei Centri d’ascolto. Persone che prestano il loro servizio gratuitamente e che cercano di ascoltare i bisogni economici e psicologici di chi è ai margini. Questo comporta la distribuzione di pacchi della spesa, il pagamento di bollette, qualche volta anche di affitti arretrati. Purtroppo molti clienti dei centri d’ascolto sono “Clienti abituali” che non riescono ad uscire dalla loro condizione di povertà economica spesso per ragioni legate alla salute mentale. Uno di questi clienti abituali era un anziano architetto che non era mai riuscito a lavorare molto ma che aveva una visione grandiosa di sé. Ricordo ancora il giorno in cui, esasperato perché la sua ennesima richiesta di denaro non veniva accolta, iniziò a sbraitare contro le volontarie presenti dicendo “Voi dovreste ringraziarmi, se non fosse per me e per le persone come me non sareste qui!”
La battuta rimase famosa e continuò a suscitare ilarità per parecchio tempo. Eppure, quando ci troviamo di fronte all’ingratitudine, il quadro è proprio questo. La persona è inconsapevole del fatto che l’altro gli sta dando qualcosa che sottrae a sé stesso e ad altri. In questo caso i volontari offrivano il loro tempo senza alcuna ricompensa e dovevano amministrare fondi scarsi a fronte di grandi richieste.

Le componenti dell’ingratitudine

Tendiamo a non essere grati se pensiamo che quello che riceviamo non abbia un costo per la persona che ce lo dà. Se una persona ricca ci fa un regalo di poco valore economico tendiamo ad essere meno grati che se una persona con modeste possibilità ci fa esattamente lo stesso regalo. Inoltre sulle azioni che dovrebbero suscitare gratitudine – questo architetto aveva ricevuto regolari aiuti economici per molto tempo – pesa un bias negativo. Ossia il fatto di aver bisogno, di dover chiedere aiuto, di non essere in grado di mantenersi economicamente può far emergere sentimenti di umiliazione che coprono la gratitudine.
Inoltre per alcune persone il risentimento e la lamentela sono emozioni ineliminabili dalla loro vita perché costituiscono parte della loro identità. Alcune persone fanno difficoltà a scrivere una lista delle gratitudine, nessuno fa fatica a scrivere una lista delle lamentele. La verità è che la gratitudine è un’emozione che richiede una sorta di intenzionalità che manca alle lamentele. Quelle vengono spontanee. Insomma “bad is stronger than good” : quello che va male parla a voce più alta di quello che va bene.

L’illusione autarchica

Viviamo sotto un’illusione autarchica che ci fa sopravvalutare quanto siamo indipendenti dagli altri. Siamo esitanti ad ammettere di aver ricevuto aiuto e tendiamo ad attribuire a noi stessi il merito dei nostri risultati, sottovalutando il ruolo della fortuna e degli aiuti ricevuti, tanto che per molte persone la gratitudine è un’emozione umiliante. La consideriamo umiliante perché associamo l’età adulta come una realizzazione di indipendenza. Essere indipendenti però non vuol dire negare il fatto che siamo in una rete interdipendente e che quello che succede a noi non è influente per le altre persone e viceversa. Per il nostro caro architetto dell’esempio precedente il fatto che i fondi a disposizione dei volontari fossero limitati rispetto alle richieste di molte persone era ininfluente. Come era ininfluente che rispondere alle sue richieste significava, gioco forza, dire no al altre persone

La difficoltà ad esprimere emozioni

In aggiunta a tutto questo per molte persone è semplicemente difficile esprimere delle emozioni. Trovano difficile esprimersi e trovare le parole giuste che rappresentino i loro sentimenti. Non hanno, letteralmente, un vocabolario emotivo. Per alcune persone questo è un valore positivo che potremmo definire come “essere stoici”, non farsi trascinare dalle emozioni o essere razionali
Inoltre dobbiamo dire che raramente proviamo solo un tipo di emozione: spesso la gratitudine può unirsi alla rabbia o al senso di colpa. Emozioni difficili ed emozioni affettuose possono mischiarsi insieme suscitando un conflitto interiore di difficile soluzione. Perché la gratitudine non è un’emozione solitaria. Nell’ambivalenza non può che accompagnarsi al perdono. È solo se perdoniamo la parte difficile di una relazione affettiva che possiamo permetterci di sentire la parte facile, la gratitudine per quello che, malgrado tutto, abbiamo ricevuto.

I regali inappropriati

Recentemente una mia paziente, che aveva fatto un grande regalo per il matrimonio della sua amica del cuore, mi ha espresso il dolore per non essere stata ringraziata. Aveva fatto un regalo importante come testimonianza della relazione di amicizia con questa persona ma il suo regalo era stato, evidentemente, giudicato inappropriato. La ragione era semplice: all’amica non sarebbe stato possibile contraccambiare per le sue ridotte possibilità economiche o, forse, perché avrebbe ritenuto fuori luogo fare un regalo così impegnativo. Questo è uno degli aspetti più difficili dei regali. Perché siano ben accetti non solo devono incontrare il gusto di chi regala e di chi riceve il regalo ma non devono mettere l’altra persona in una condizione di inferiorità. Fare un regalo ingombrante a chi vive in una casa piccola oppure un regalo sproporzionato rispetto al favore ricevuto può far emergere una condizione di risentimento, irritazione o fastidio. Anche perché, diciamoci la verità, dietro ad un regalo possono esserci molte motivazioni inconsce che vengono fuori solo dopo averlo fatto!

I gesti di generosità silenziosa

La nostra contabilità del dare e ricevere non tiene conto del fatto che molti gesti di generosità, fatti quasi senza accorgersi, prima o poi tornano indietro magari da altre persone. L’atteggiamento di generosità coltiva la nostra capacità di provare gratitudine e insieme, gratitudine, generosità e perdono costruiscono un modo leggero di navigare nelle inevitabili difficoltà della vita.

Giovedì 23 Novembre sarà il giorno del ringraziamento. Vorrei arrivarci preparata. Passando gli anni mi sembra che crescano le ragioni di gratitudine. Forse succede perché il cervello, man mano che passa il tempo, tende a orientarsi verso il positivo: siamo sopravvissuti, abbiamo vissuto, abbiamo realizzato piccoli e grandi sogni e questo ci ricorda quotidianamente le buone caratteristiche del nostro raccolto.

Così, iniziando dagli ostacoli alla gratitudine, spero che ci sarà più lieve muoverci verso i vantaggi dell’essere grati!
© Nicoletta Cinotti 2023

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I sei aspetti della rabbia

08/10/2023 by nicoletta cinotti

La rabbia assume molte forme nella nostra vita. C’è la frustrazione che proviamo quando siamo ostacolati e i nostri obiettivi sono bloccati, quando lavoriamo duramente e le cose non vanno come vorremmo. La rabbia può nascondersi appena sotto la superficie quando ci sentiamo irritabili, pronti a rispondere alla più piccola frustrazione. C’è la rabbia impulsiva che proviamo quando ci sfoghiamo: può essere così rapida e potente che quasi ci salta addosso con una vita propria. C’è la rabbia moralista, che emerge quando ci troviamo di fronte a un’ingiustizia o sentiamo di aver subito un torto o una critica ingiusta. La rabbia può anche derivare da un senso di impotenza, dal sentirsi inascoltati, quando tutto ciò che vorremmo è che qualcuno si accorgesse di noi e ci ascoltasse. Esistono nomi diversi per i vari tipi di rabbia, termini come “frustrazione”, “irritazione” e “indignazione”, ma queste esperienze sono tutte il riflesso degli stessi sistemi nel nostro cervello, che hanno lo scopo di aiutarci a rispondere alle minacce.

Persone vulnerabili alla frustrazione possono avere una giornata meravigliosa rovinata da un improvviso contrattempo e la nostra capacità di tollerare la frustrazione può essere abbassata da condizioni come la fretta o dal fatto di avere troppe cose da fare. Il paradosso è che, anche se lo sappiamo, non evitiamo di sovraccaricarci. Se invece il nostro problema è l’irritabilità è possibile che funzioni più come l’umore e che si diventi particolarmente sensibili proprio quando siamo stressati o depressi.

La rabbia può avere livelli diversi

La rabbia può avere livelli diversi, dall’irritazione alla furia. Salire lentamente o velocemente; può avere diverse durate. Per alcuni è un rapido scoppio, per altri una lunga marea. Alcuni non possono trattenersi dall’esprimerla, altri non lo farebbero mai. Ma anche chi non la esprime può passare ore a fantasticare su come “avrebbe messo a posto” (con le mani o con le parole) la persona che gli ha suscitato rabbia.
Il punto è che, ci piaccia o no, la rabbia fa parte della vita e non è evitabile. Per questo è importante imparare come lavorare con la rabbia perché, quando non è gestita è una delle emozioni che possono essere più dannose sia sul piano fisico che mentale e relazionale. Quando ci identifichiamo con la rabbia che proviamo possiamo attraversare la vita come se fosse un campo di battaglia, fare fatica a fidarsi degli altri e avere poca empatia per le loro emozioni.
Una cattiva gestione della rabbia può comportare, nel tempo, una ridotta funzionalità del sistema immunitario, ipertensione, aumento del rischio di ictus e incidenti cardiovascolari mentre un eccessivo controllo della rabbia è associato a depressione e ansietà

Le emozioni di base

La rabbia è una delle cinque emozioni di base insieme al disgusto, alla paura, alla gioia e alla tristezza. Questo vuol dire che è presente fin dalla nascita e che è presente in tutte le culture studiate finora. Può far emergere, come emozioni secondarie, vergogna, orgoglio o imbarazzo. Nel mio libro, Mindfulness ed emozioni (da cui sono tratte le immagini che vedi) racconto come per Lucia diventasse ragione di vergogna. Ma non è solo Lucia a provare vergogna dopo un’esplosione di rabbia, visto che le sue scenate assumevano caratteri epici. Per molti di noi perdere il controllo e arrabbiarsi è fonte di ansia o di vergogna o di una modalità di controllo che poi paghiamo a caro prezzo sia in termini di salute mentale che di salute relazionale.

Malgrado sia presente fin dalla nascita non possiamo identificare un’area cerebrale definita che risponde alla rabbia. Sappiamo che quando siamo arrabbiati questa emozione interagisce con molte aree del corpo e del cervello provocando uno stato mentale che Paul Gilbert definisce con 6 elementi presentati in questo diagramma.

Sappiamo anche che l’amigdala determina il quando ci arrabbieremo. È un sistema contraddistinto dalla velocità perché, dovendo difenderci, deve funzionare in modo tempestivo. Per questa ragione può succedere che ci troviamo arrabbiati senza nemmeno sapere come abbiamo fatto a passare da zero a 100 in un secondo. È importante capire che questo tipo di funzionamento non è una nostra colpa ma semplicemente il modo in cui funziona il nostro cervello. Se non riesci a cambiare il tuo modo di gestire la rabbia non significa che non ti stati impegnando abbastanza. Significa che hai bisogno da capire meglio come funziona la rabbia

Un approccio compassionevole alla rabbia

Lavorare in modo compassionevole sulla rabbia non significa che siamo pronti a sbarazzarcene ma che siamo pronti a non farci possedere da questa emozione e per questo dobbiamo conoscere:
– come funziona nel corpo. Il corpo, quando siamo arrabbiati, si prepara a combattere. La noradrenalina viene rilasciata nel flusso sanguigno, il cuore aumenta il ritmo, la respirazione accelera, la pressione del sangue aumenta, i muscoli si tendono la mascella si contrare e gli occhi si fissano sulla fonte della rabbia.
– l’attenzione. Quando ci arrabbiamo il focus dell’attenzione si restringe e raccogliamo solo le informazioni collegate alla minaccia percepita, sostenute da ricordi di minacce passate. Diventa difficile ampliare l’attenzione e finiamo per rimanere intrappolati nell’esperienza. Questo restringimento dell’attenzione è involontario ed è la causa della sensazione che a volte proviamo di essere intrappolati nella rabbia e che la rabbia ci spinge a decisioni che poi non riconosciamo successivamente. Il nostro sistema di pensiero perde flessibilità e mette insieme informazioni che ci convincono dell’intensità del pericolo ma che possono fuorviare la lettura della realtà. L’attenzione viene attirata solo dalle informazioni negative, eliminando quelle positive
– pensiero e ragionamento. Aumentano i pensieri automatici, pensieri che sono collegati alle cose che non ci piacciono. Tendiamo a prendere tutto in maniera personale e ad avere sospetti che riguardano la nostra relazione o le nostre relazioni in generale. Questi pensieri automatici possono essere sbagliati perché non sono motivati dalla realtà ma dal nostro sistema di risposta alla minaccia. Anche se sbagliati ci crediamo e danno benzina al fuoco che già brucia. Molto spesso questi pensieri riguardano il nostro essere isolati, non amati e sfruttati dagli altri. Coltivare compassione ci aiuta ad avere meno intensità in queste sensazioni. Anche il nostro ragionamento e il modo in cui interpretiamo le informazioni è influenzato dalla rabbia perché mettiamo insieme solo informazioni che confermano il nostro modo di pensare e tendiamo a formarci opinioni negative sugli altri. Il problema è che la rabbia, a differenza di altre emozioni difficili, correla con un senso di certezza rispetto a quello che pensiamo e quindi possiamo prendere decisioni che, passato il momento della rabbia, ci sembreranno molto inadeguate
– immaginazione e fantasia. L’immaginazione è uno strumento mentale molto potente che attiva, a livello cerebrale, le stesse aree che sarebbero coinvolte nell’atto reale. Sia le fantasie che l’immaginazione sono condizionate dal nostro umore. Nel caso della rabbia fantasia e immaginazione servono per tenere acceso il fuoco. Diventa un circolo vizioso in cui tendiamo a sperimentare rabbia, ad avere fantasie legate alla rabbia e queste aumentano l’intensità della rabbia stessa. Il nostro cervello non sempre riconosce la distinzione tra mondo interno e mondo esterno. La buona notizia è che possiamo usare il potere dell’immaginzazione e della fantasia per creare uno stato mentale compassionevole che ci faccia sentire sicuri e connessi con gli altri in modo da riuscire a gestire più efficacemente le nostre emozioni
– motivazione. La rabbia si accompagna con una forte motivazione all’azione. Con la rabbia siamo motivati ad andare verso la situazione o la persona con la quale ci siamo arrabbiati. La sentiamo come un’urgenza. Anche in questo caso la compassione può aiutarci perché possiamo scegliere di non avere una motivazione aggressiva o immaginare le conseguenze della realizzazione di una motivazione aggressiva rispetto a quelle di una motivazione compassionevole. Il nostro cervello non ha solo un sistema di risposta alla minaccia ma anche un sistema di risposta alla cura.
– Comportamento. I comportamenti aggressivi sono gli aspetti potenzialmente più problematici perché creano distanza e ferite anche nei confronti delle persone che amiamo. Negare l’affetto, coltivare il risentimento, disapprovare, ignorare sono tutti comportamenti collegati con la rabbia, Comportamenti che possono intaccare gravemente il clima relazionale. Troppo spesso copriamo il dolore che proviamo con la rabbia che ci fa sentire potenti mentre il dolore si accompagna ad un senso di vulnerabilità. A volte la rabia è una strategia di evitamento che ci permette di allontanarci dalle emozioni difficili. Il problema è che questa temporanea anestesia del nostro dolore è molto costosa. La self-compassion può aiutarci ad avere più strumenti per consolare il nostro dolore senza usare questa strategia compensativa

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© Nicoletta Cinotti 2023

Archiviato in:approfondimenti, esplora, mindfulness, Protocollo MBCT

La salute mentale

07/10/2023 by nicoletta cinotti

Il 10 Ottobre di ogni anno si celebra la Giornata mondiale della salute mentale, una ricorrenza istituita nel 1992 dalla Federazione Mondiale della Salute mentale – World Federation of Mental Health – e supportata dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS).
La missione della Federazione è quella di espandere la consapevolezza del ruolo della salute mentale in una visione della salute intesa come risultato di fattori biologici, psicologici, sociali e culturali, promuovendo iniziative a sostegno della prevenzione dei disturbi psichici, per favorire migliori cure e ridurre i processi di stigmatizzazione sociale ancora oggi attivi nei confronti dei disordini mentali. Ogni anno viene scelto un tema e quest’anno il tema sarà “La salute mentale è un diritto umano universale” per sottolineare l’importanza dell’estensione di questo diritto a cittadini di ogni cultura e condizione economica .

I dati della salute mentale nel mondo e in Italia

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), il peso globale dei disturbi mentali continua a crescere con un conseguente impatto sulla salute e sui principali aspetti sociali, umani ed economici in tutti i Paesi del mondo. Secondo la stima OMS una persona su otto soffre di un disturbo mentale che comporta comportamenti ed emozioni disregolate, ideazioni confuse, rimuginazioni e paranoie. Condizioni che comportano una diminuzione nelle capacità produttive e relazionali con un impatto che si diffonde anche nella famiglia e nella realtà sociale. La depressione è il disturbo mentale più comune e una delle principali cause di disabilità. A livello globale sono stimate circa 280 milioni di persone che soffrono di depressione con una prevalenza superiore tra le donne. Sono circa 60 milioni le persone affette da disturbo bipolare e 23 milioni soffrono di schizofrenia, disturbi che, in questo caso, vedono una prevalenza tra gli uomini.
La pandemia ha comportato un significativo aumento sia dei disturbi d’ansia (+26%) che dei disturbi depressivi (+28%) in un solo anno . Questi dati riferiti alla popolazione generale includono anche bambini e adolescenti. I disturbi d’ansia riguardano 58 milioni di bambini e adolescenti, mentre per la depressione si parla di 23 milioni di bambini e adolescenti. Numeri che fanno riflettere soprattutto se si considera che alcuni disturbi mentali si accompagnano ad una aspettativa di vita considerevolmente inferiore alla media.

Nel mondo dal 10 al 20% di bambini e adolescenti soffre di disturbi mentali e di condizioni neuropsichiatriche che ne riducono le abilità personali ed emotive. La metà delle malattie mentali ha un esordio precoce, attorno ai 14 anni e il 75% inizia prima dei 25 anni . Queste condizioni mentali, se non trattate adeguatamente, diventano un enorme costo umano e sociale che molto spesso è affrontato primariamente dalle famiglie che si trovano di fronte ad una costante diminuzione degli investimenti in materia di salute mentale. Il divario tra le necessità di trattamento e l’offerta reale è ampio in tutto il mondo e nei paesi a basso reddito quasi la totalità delle persone con problemi mentali non riceve alcuna forma di trattamento mentre in quelli ad alto reddito la risposta copre solo una percentuale che va dal 35 al 50% della richiesta .

Un’epidemia di stress

Il disturbo mentale più prevalente rimane lo stress che in Italia riguarda il 56% della popolazione con un aumento di 8 punti percentuali tra il 2022 e il 2023. Il 48% degli italiani si sente solo, il dato peggiore in Europa, mentre incidono sullo stato di salute mentale anche l’impatto negativo della guerra, avvertito dal 52% del campione e l’impatto degli effetti negativi del cambiamento climatico (43%, terzi in Europa) .

La violenza contro le donne

Secondo l’OMS la violenza contro le donne rappresenta un problema di salute mentale di proporzioni globali enormi. L’ultimo report raccoglie i dati dal 2000 al 2018 ma anche in questo caso i dati successivi al lockdown riportano un considerevole peggioramento delle percentuali di violenza domestica denunciata. Anche in questo caso la stigmatizzazione sociale incide come volano di ampliamento sia nella difficoltà ad ottenere protezione che nella difficoltà a denunziare maltrattamenti e violenze.

La violenza contro i bambini

Tutto questo dovrebbe farci ricordare che la salute mentale conta come la salute fisica e che sono tra loro strettamente correlate come ha dimostrato, negli Stati Uniti la ricerca Ace Adverse Childhood Events. In questa ricerca longitudinale è stata valutata la correlazione tra eventi traumatici e avversi nella fascia d’età dalla nascita ai 17 anni e la correlazione tra lo sviluppo in età adulta di malattie fisiche rivelando che non solo i traumi emotivi in infanzia e adolescenza correlano con un maggior rischio di sviluppo di malattie mentali ma, anche, con una maggiore propensione allo sviluppo di patologie fisiche.

Non c’è salute senza salute mentale

Concludendo possiamo affermare che salute mentale e salute fisica sono strettamente intrecciate e che l’una ha ricadute significative sull’altra. In questo senso non esiste salute se si stigmatizzano i problemi mentali senza prevenirli e curarli adeguatamente, proprio come dovremmo fare per i problemi legati alla salute fisica. Tuttora sono troppo insufficienti le possibilità di cura offerte dai servizi pubblici e quasi inesistenti i programmi di prevenzione per la salute mentale.
Se ormai le campagne di sensibilizzazione per la medicina preventiva hanno raggiunto importanti risultati nell’incidenza delle malattie oncologiche altrettanto dovremmo fare per la prevenzione dei disturbi mentali con programmi di educazione alla regolazione emotiva nelle scuole, Interventi basati sulla mindfulness per la prevenzione delle ricadute depressive, interventi di riduzione dello stress che hanno dimostrato pienamente la loro efficacia attraverso il protocollo MBSR e MBCT .
Riteniamo, sbagliando, che comprendere e saper gestire le emozioni siano capacità innate e ci dimentichiamo che, come abbiamo fatto campagne per la profilassi delle più comuni malattie fisiche dovremmo considerare necessarie anche campagne che educhino alla regolazione delle emozioni. Nel Regno Unito, il National Institute for Clinical Excellence (NICE) ha suggerito che il protocollo MBCT sia una priorità da implementare per la prevenzione delle ricadute depressive . Così come abbiamo imparato a lavarci i denti dopo ogni pasto dovremmo considerare l’attenzione alle nostre emozioni un elemento base della nostra salute e intervenire con azioni informative che possono essere corsi, libri divulgativi e incontri che aiutino nella gestione delle proprie emozioni a partire dall’infanzia fino all’età adulta. Coltivare l’abitudine di prendere contatto con la propria interiorità dovrebbe essere un’abitudine per tutti noi, così come una sana educazione emotiva dovrebbe far parte della capacità di un buon genitore, sia rivolte ai figli che rivolte alla capacità di gestire e regolare le proprie emozioni.
Alda Merini, poetessa italiana che ha convissuto con la malattia mentale, affermava che alla base della follia sta l’emarginazione delle persone con disturbi mentali. Io aggiungerei che sta anche l’ignoranza di quelli che sono gli elementi basilari della salute mentale.
Se sappiamo come dovrebbe essere una dieta bilanciata rischiamo di non sapere quali sono gli ingredienti per una salute mentale equilibrata. Daniel Siegel e David Rock hanno provato a mettere insieme questi elementi facendo un elenco di sette attività mentali quotidiane che hanno un effetto sul benessere mentale:

• Tempo di concentrazione
Quando ci concentriamo sui compiti in modo mirato, affrontiamo sfide che creano connessioni profonde nel cervello.
• Tempo di gioco
Quando ci permettiamo di essere spontanei o creativi, divertendoci con esperienze nuove, contribuiamo a creare nuove connessioni nel cervello.
• Tempo di connessione
Quando entriamo in contatto con altre persone, possibilmente di persona, e quando ci prendiamo del tempo per apprezzare la nostra connessione con il mondo naturale che ci circonda, attiviamo e rafforziamo i circuiti relazionali del cervello.
• Tempo fisico
Quando muoviamo il nostro corpo, se possibile aerobicamente, rafforziamo il cervello in molti modi.
• Tempo interiore
Quando riflettiamo con calma all’interno, concentrandoci su sensazioni, immagini, sentimenti e pensieri, aiutiamo a integrare meglio il cervello.
• Tempo di inattività
Quando non siamo concentrati, senza un obiettivo specifico, e lasciamo che la nostra mente vaghi o semplicemente si rilassi, aiutiamo il cervello a ricaricarsi.
• Tempo di sonno
Quando diamo al cervello il riposo di cui ha bisogno, consolidiamo l’apprendimento e ci riprendiamo dalle esperienze della giornata.

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© Nicoletta Cinotti 2023

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Abitare poeticamente il mondo

29/09/2023 by nicoletta cinotti

È possibile “abitare poeticamente il mondo” come dice Bobin? È possibile proprio in questo momento in cui tutto sembra così crudo e duro? E, soprattutto perché vale la pena farlo?

La poesia non è fiocchi e balocchi

Ci sono delle false convinzioni che riguardano la poesia. La prima è che sia un modo edulcorato e romantico di descrivere il mondo e i sentimenti

In realtà poesia significa parlare attraverso una metafora – visiva o sonora – che permette di entrare dentro l’esperienza in modo diretto. È la matrice attraverso la quale un bambino impara a parlare. Poi perdiamo – quasi sempre – questa capacità e la perdiamo proprio come perdiamo altre qualità della nostra mente bambina e proprio come “impolveriamo” le qualità della nostra mente originaria. Le perdiamo a favore della nostra efficienza e della nostra capacità di fare e agire. Niente di male quindi.

Il punto – come ripetiamo spesso nella pratica di mindfulness – è coltivare non solo la nostra modalità del fare ma anche la modalità dell’essere, quella capacità contemplativa che esprime la nostra creatività. A cosa serve, direte voi? Tanto più siamo in un momento difficile, tanto più abbiamo bisogno di un pensiero laterale, creativo.  Potrei raccontarti diverse storie di persone che, in questo momento, hanno trovato modi creativi di organizzarsi. Ma forse, queste storie le conosci e le vivi anche tu. Sono le piccole storie quotidiane in cui troviamo soluzioni semplici per cose che sembrano difficili

Poesia è un atteggiamento, una pratica di relazione con il mondo che consente alle cose, alle persone, agli eventi, di mostrarsi a noi, come se nascessero ogni volta. Sara Costanzo dall’introduzione di C. Bobin

La poesia è per poeti oppure per artisti

Abbiamo una cultura che insegna l’iper-specializzazione. Non sempre è la soluzione migliore. Oltre a questo molti grandi poeti erano, realisticamente, impiegati di banca o comunali. Non è solo perché è estremamente difficile vivere e, come lavoro, fare i poeti.  Succede perché la poesia è un modo di guardare alle cose e al mondo che può prescindere dal lavoro che facciamo. Un modo di assoluta verità. Questa non è una qualità esclusiva degli artisti. La creatività è una dotazione che abbiamo tutti e che coltiviamo nel nostro lavoro ogni volta che facciamo qualcosa con attenzione non divisa e con passione. La “cosa poetica” non è un dato concettuale ma qualcosa di vissuto intensamente, qualcosa che rompe la noia, dove la noia è proprio l’assenza della realtà e l’iperbole della ripetizione

Dopo aver pubblicato la sua opera più importante – La terra desolata – Tomas Stearn Eliot continuò a lavorare in banca ancora per tre anni. Aldous Huxley lo definiva “il bancario più bancario immaginabile”. E quando si licenziò infine dalla banca lo fece per iniziare a lavorare in una casa editrice – lavoro che fece per altri 40 anni – scriveva poesie nel tempo libero. Che spreco – potremmo pensare – oppure che saggezza! Sentirci sicuri in un ambito – in questo caso nell’ambito economico – ci lascia la libertà di essere originali in un altro.

arriva il treno e taglia la neve

scoperchiando improvvisamente la lucentezza dei binari

l’uccella altissima vede la velocità. Annamaria Farabbi

La base poetica della mente

James Hillman, clinico junghiano internazionalmente noto, definiva la base poetica della mente Il linguaggio primario dei modelli archetipici di cui sono un esempio il discorso metaforico dei miti, che possiamo considerare i modelli fondamentali dell’esistenza umana. Per studiare la natura umana, secondo Hillman,  bisogna rivolgersi alla mitologia, alla religione, all’arte, dove questi modelli sono rappresentati.

La qualità̀  e lo sviluppo del nostro linguaggio e della memoria è globale. Impariamo e ricordiamo attraverso la percezione. Anche le parole vengono apprese sulla base di caratteristiche percettive oltre che di significato. L’amore per le storie, la passione per “leggere i libri” ha una ragione neurobiologica: la nostra mente impara che le cose accadono per una ragione, che c’è un prima e un dopo. Che le sequenze danno ritmo e l’insieme della storia diventa un ricordo. Impariamo così come organizzare la memoria autobiografica, con una disciplina dell’ascolto mediato dalla voce degli altri. la voce delle persone che amiamo.

Accanto alla memoria delle esperienze, attiva fin dalla nascita, arriva così anche la memoria autobiografica e semantica. Questi due stili di apprendimento e memorizzazione rimangono attivi tutta la vita. Abbiamo una mente sensoriale e una mente narrativa; una memoria procedurale e sensoriale e una memoria semantica e narrativa.

Quando stiamo bene la mente sensoriale parla a bassa voce. Non per questo è meno importante. Non per questo non è significativa. È significativa e importante ed è la rete su cui costruiamo significati. Parla attraverso metafore. Cos’è una metafora? La metafora, a partire da una esperienza, trasporta il significato in una forma linguistica, la metafora è la forma linguistica base della poesia. Ecco perché potremmo dire che la poesia è ricordare e curare.

Ricordare e curare

La parola cura – colere – deriva da cultum e condivide l’etimo con la parola cultura. L’agri-coltura era prendersi cura del campo. La poesia cura perchè rivolge l’attenzione al nostro campo interiore e gli offre strumenti ed espressione. Ci ricorda – parola che ha dentro di sé l’etimo della parola cuore – che non possiamo davvero ricordare senza tornare al cuore delle cose, all’impatto percettivo e sensoriale che hanno su di noi, poeti distratti e dimenticanti, trascinati dal nostro pilota automatico più che dalla poesia.

La poesia ci ferma perché ci tocca profondamente e ci rende presenti. A volte le persone mi dicono che non capiscono la poesia. Questo – le rassicuro – è perfettamente normale. Non c’è bisogno di capire una poesia. Basta sentirla. È per questo che possiamo rileggere infinite volte una poesia, ascoltare infinite volte la stessa musica: perché entrambe ci permettono di ricordare, evocano una sensazione che abbiamo conosciuto e perduto.

Lavandomi interiormente

fino a diventare acqua potabile. Annamaria Farabbi

 

© Nicoletta Cinotti 2020 Meditazione e scrittura

 

 

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La gratitudine e la resilienza

24/09/2023 by nicoletta cinotti

Il 21 settembre era la giornata mondiale della gratitudine, un’emozione positiva che, come altre emozioni positive, sta avendo sempre maggior attenzione per i suoi benefici effetti. A cosa si deve tanta rinnovata attenzione a quella che può sembrare solo un’emozione da persone ben educate?

Tre fattori cruciali

Sappiamo tutti che nella vita incontreremo delle difficoltà ma l’esito di queste difficoltà dipende da tre fattori cruciali:

  • come gestiamo le sfide,
  • come proteggiamo la nostra vulnerabilità
  • come potenziamo le nostre risorse.

Sono tutti fattori importanti e l’ultimo, che riguarda il potenziamento delle risorse, ha un impatto centrale perché rafforza il nostro sistema corpo-mente senza attivare il sistema difensivo che è un sistema ad alto costo energetico.

Forse ti domanderai di quali risorse stiamo parlando; capacità come la determinazione, la resilienza, la capacità di provare soddisfazione, sono le caratteristiche principali di un sistema che si autoalimenta. Interiorizzando le esperienze di appagamento, potenziamo le nostre risorse e aumentiamo la nostra resilienza. Potremmo addirittura affermare che appagamento e resilienza sono due aspetti che si alimentano reciprocamente e che possono cambiare la mente grazie ad una neuroplasticità positiva.

Mente e cervello

Il nostro cervello si struttura sulla base delle nostre esperienze, attraverso la ripetizione. Ogni volta che ripetiamo un’esperienza rafforziamo una risposta, proprio come ogni volta che muoviamo un muscolo rafforziamo il suo tono.

Le risorse mentali si sviluppano in due fasi: la prima fase è sperimentare quello che vogliamo coltivare, per esempio la gratitudine, oppure la sensazione di essere amati o la sicurezza di sé. Il secondo passo è fondamentale: convertire quel cambiamento transitorio, legato all’esperienza, in qualcosa di definitivo affinché possa esserci crescita e trasformazione. Questo lo possiamo fare attraverso piccoli sforzi ripetuti nel tempo. Non basta provare gratitudine una volta: bisogna imparare a provare gratitudine in molti momenti della giornata perchè questo diventi un assetto stabile e capace di modificare lo sguardo che abbiamo sulla nostra vita.

Gratificazione

Ogni persona ha dei bisogni fondamentali che riguardano la socialità, la sicurezza e la gratificazione. La gratitudine aumenta le risorse del nostro sistema di gratificazione, sostiene la nostra motivazione e le nostre aspirazioni migliori. Per coltivarla abbiamo bisogno del sostegno della consapevolezza perchè è una sensazione delicata che può svanire facilmente, coperta dalla voce, più forte e urgente, delle necessità di sicurezza e protezione.

Quando siamo grati significa che il nostro appagamento ci offre un senso di sicurezza e soddisfazione, proprio l’opposto di quell’inquietudine che proviamo quando siamo o diventiamo reattivi.

Nella reattività si attivano le difese e tutto il corpo entra in allarme. Possiamo provare rabbia, frustrazione o paura e questo potrebbe condizionare anche aree della nostra vita che non sono in allarme. Se abbiamo avuto una giornata difficile sul lavoro potremmo essere nervosi a casa anche se nessuno si merita il nostro nervosismo. Se abbiamo coltivato l’accesso alle nostre risorse abbiamo la possibilità di non entrare automaticamente in reazione o di entrarci meno frequentemente . Ecco perché la gratitudine e la riconoscenza aiutano: offrono un’alternativa e migliorano la resilienza allo stress, aspetto inevitabile della vita quotidiana .

La gratitudine

Passiamo la vita in attesa di una felicità futura: la gratitudine porta la felicità nel presente, senza dover aspettare niente di speciale. Se torniamo all’ultima esperienza di gratitudine che abbiamo vissuto possiamo facilmente ricordare il senso di serenità, appagamento  e soddisfazione  che l’accompagna.

I benefici della gratitudine sono molteplici, come dimostrano le ricerche di Robert Emmons:

  • più ottimismo e felicità
  • più compassione e generosità
  • miglioramento del sonno
  • maggiore resilienza

Ma come possiamo svilupparla?

Modi per sviluppare la gratitudine

Se siete felici, diceva Vonnegut, fateci caso. L’attenzione ai piccoli momenti di soddisfazione può immediatamente ampliare il nostro senso di gratitudine e riconoscenza verso i doni che possiamo ricevere. Scrivere ogni giorno tre cose per le quali vogliamo dire grazie può aiutarci a rompere la nostra atavica distrazione sulla felicità. Prendere l’abitudine di dire grazie più spesso, anche per attenzioni che riteniamo scontate, può aiutare. Esercitarci in uno degli esercizi di gratitudine proposti: può fare la differenza.

Esercizio di gratitudine

La prossima settimana, ogni sera, prima di andare a letto, o quando sei sotto le coperte, metti a fuoco tre punti:

  • cosa ho ricevuto oggi dagli altri?
  • cosa ho offerto oggi agli altri?
  • quali problemi o difficoltà ho causato?

Nel farlo non tralasciare le piccole cose, anzi, se possibile parti proprio dalle cose più piccole quelle che possono sembrare insignificanti e alla fine della settimana manda un messaggio di ringraziamento alla persona che ha fatto qualcosa per te. Esercizio tratto da  Gregg Kreck, Naikan, Mimesis

Guardare all’agenda con gratitudine.

Come ci sentiremmo se guardassimo alla nostra agenda non dal punto di vista del carico ma della gratitudine? Se prima di incon-fare qualcuno ci sintonizzassimo sull’opportunità di quell’incon-tro, sulla fortuna di poterlo fare, di poterci essere. Sulla fortuna di avere un corpo che ci porterà li e che ci accompagna da quando siamo nati? Non è un invito a essere educati ma a coltivare – attraverso l’attenzione – i sentimenti delicati, quelli che non urlano ma che hanno lo stesso dimora nel corpo. Quelli che nutrono l’appagamento, la soddisfazione, la consapevolezza di ciò che è stato fatto invece che del tanto che ancora dobbiamo fare. Come sarebbe se i nostri movimenti fisici ed emotivi partissero da questo luogo, il luogo della gratitudine, che non dà mai per scontato che tutto rimarrà come prima? Esercizio tratto da Nicoletta Cinotti “Mindfulness ed emozioni”, Gribaudo editore

Gratitudine in pratica

Metti in pratica la gratitudine scegliendo tra questi suggerimenti.
•Ogni settimana scegli un’azione che sostenga l’ambiente, la bellezza del mondo che ci è dato, un’azione che migliori la sostenibilità ecologica.
•Pratica la pazienza. L’impazienza è un segnale di rifiuto o di allontanamento. Quando emerge questo impulso aspetta e pratica la fiducia. Una risposta prematura può ferire o ferirci, osserva cosa fa nascere la pazienza e cosa produce l’impazienza.
•Passa un’ora all’aperto ogni giorno per aumentare il benessere e la salute. Più tempo passiamo nella natura e più ci è facile entrare in contatto con la nostra natura interiore.
•Offri gratitudine per quello che la natura ti ha insegnato in questo mese o per aver coltivato le tue qualità naturali. Esercizio tratto da Nicoletta Cinotti “Mindfulness ed emozioni”, Gribaudo editore

Quali problemi o difficoltà ho causato?

Forse la terza domanda del primo esercizio potrebbe lasciarti un po’ in dubbio, essendo in sé foriera di un sentimento scomodo come il senso di colpa. In realtà lo scopo di questa domanda è quello di aiutarci a passare da un’attenzione ego-riferita ad un’attenzione disinteressata. Qualche esempio di attenzione disinteressata o ego-riferita?

Per esempio un’attenzione ego-riferita può essere stare attenti alla mancanza di disponibilità nei nostri confronti delle altre persone. Un’attenzione disinteressata può essere diventare più sensibili rispetto a come possiamo essere più disponibili verso gli altri. Oppure anziché vedere cosa non otteniamo da qualcuno vedere cosa riceviamo da quella persona; anziché dare le cose per scontate imparare a ringraziare perchè non consideriamo nulla di ciò che abbiamo o ci viene dato scontato.

Gli ostacoli alla gratitudine

Basta davvero poco perché, quando lavoriamo sulla gratitudine, emergano i principali ostacoli a questa emozione. Eccone un elenco che forse ti permetterà di riconoscere qualcuna delle tue obiezioni:

  • un’attenzione mal riposta, troppo ego-riferita e poco disinteressata
  • un’assenza di riflessione
  • la convinzione che gli altri siano a conoscenza dei nostri bisogni
  • la procrastinazione, il rimandare un ringraziamento
  • dimenticarsi di ringraziare, presi da troppi impegni e scadenze
  • pigrizia fisica o mentale
  • ritenere che quello che abbiamo ricevuto sia un nostro diritto, una mancanza di gratitudine che è tipica delle relazioni intime
  • considerare che quello che ci viene dato sia un dovere, una mancanza di gratitudine per i camerieri, i taxisti, i commercianti che, siccome sono retribuiti non hanno diritto a ricevere gratitudine per il loro lavoro
  • minimizzazione dell’impegno che quello che abbiamo ricevuto ha comportato per l’altra persona

PACE

C’è un acronimo che può aiutarci nel percorso verso la gratitudine. La parola è PACE

Positività: quando accade un evento positivo soffermarsi nella percezione della sua risonanza

Arricchimento, mettere a fuoco come quello che è accaduto ci arricchisce

Comprensione degli aspetti e effetti positivi di quello che è accaduto

Equanimità che permette di riconoscere che esperienze positive e negative sono entrambe presenti e che possiamo trovare il positivo nel negativo e viceversa.

Così concludo augurandoti la pace che viene dal riconoscere la fortuna che abbiamo e come dice Mariangela Gualtieri

…ringraziare desidero
per il mare che è il più vicino e il più dolce tra tutti gli Dei
ringraziare desidero
perché son tornate le lucciole
e per noi
per quando siamo ardenti e leggeri per quando siamo allegri e grati…da Le giovani Parole

© Nicoletta Cinotti 2023

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