
Cosa succede quando sbagliamo? Oggi non ho guardato il navigatore e, siccome avevo già fatto una volta la strada, mi sembrava impossibile sbagliarla.
L’ho sbagliata. Non una volta sola ma tre. Confusa e rossa in viso alla fine sono arrivata a destinazione. Arruffata come se avessi litigato. E, in effetti, avevo litigato ma con me stessa. Per aver sbagliato. Una parte di me guidava e l’altra criticava. Il viso arrossato non era solo il caldo: era anche, credo, una inspiegabile vergogna. Come se sul tetto della macchina ci fosse un lampeggiatore – tipo quello luminoso dei taxi – che diceva “sta sbagliando di nuovo strada: senso di orientamento zero”.
Gli effetti della non accettazione
In effetti è vero, senso di orientamento zero. Ma non è quello il punto. il punto è che cosa fa la mia, la nostra voce interna con gli errori. Cosa facciamo quando sbagliamo? Siamo davvero comprensivi e compassionevoli verso di noi? O si accende il ritornello “ecco ci siamo, hai di nuovo sbagliato”. E quel di nuovo diventa peggio di una condanna scritta. Perché possiamo tollerare di sbagliare una volta. Ma non più di una volta.
A quel punto diventa molto rilevante quello che succede con il nostro errore. E quello che succede con la ripetizione dell’errore che ci fa fermare. Che ci fa evitare nuove esperienze.
Perché possiamo accettare di sbagliare ma non di ripetere un errore. In amore come nel lavoro sbagliare diventa un problema e spesso una ragione di blocco che ci fa assestare su standard meno elevati. Pur di non sbagliare siamo disponibili a non fare.
La non accettazione divide in due la nostra energia: ci mette in un dialogo fatto di rimprovero o di incitamento performativo e, in questo modo ci lascia fermi, o ci fa funzionare con meno energie, perché una parte è impegnate altrove, nel dialogo con noi stessi
Quando fai qualcosa fallo completamente, lasciati bruciare come se fossi un falò fino a non lasciare tracce di te stesso. Shunryu Suzuki
Abbiamo bisogno di poco per andare avanti: un poco che è tanto: il passo dell’accettazione radicale di noi stessi. Non per rimanere come siamo. Ma per partire da dove siamo
Trattenersi per paura di sbagliare
Cosa succede quando inizia la dinamica della non accettazione? La nostra natura sarebbe quella di riprovare, tante volte fino a che ci riusciamo ma se abbiamo paura di sbagliare iniziamo a trattenerci. Non accettare se stessi fa troppo male per stare dentro un’esperienza di questo tipo. Meglio proteggersi in qualche modo. E lo facciamo essenzialmente trattenendoci. Coltivando la stagnazione anziché il movimento. Ci tiriamo indietro, ci teniamo al di sopra oppure teniamo dentro i nostri slanci spontanei, diventando circospetti.
Può diventare un modo tanto abituale da dare forma al nostro corpo. Se teniamo dentro, la stagnazione può riguardare l’addome e il torace. Riguarda il torace se teniamo dentro le emozioni che ci spingerebbero nella relazione con gli altri. Riguarda l’addome se tratteniamo le emozioni viscerali. A volte diventa molto evidente questo trattenimento e questa stagnazione: il torace è esile e leggero e l’addome e le gambe stanche e pesanti. Oppure il corpo è magro ma l’addome è insolitamente pieno e abbondante. ricco di tutto ciò che trattiene.
Altre volte invece tratteniamo il respiro e in questo caso può diventare ampio il torace, confidando in una forza che è più apparenza che realtà.
Tirarci indietro poi ci lascia spettatori inerti della vita che vivono gli altri. Mentre noi rimaniamo a guardare e soffrire per quello che non c’è. Perché esistono due dolori, come dice Pessoa. Il dolore per ciò che è avvenuto e, sottile e penetrante, il dolore per quello che non si è mai realizzato. E quel dolore diventa rimpianto.
Il piccolo sabotatore in azione
Ci affezioniamo alle nostre difese. Ci affezioniamo alla nostra storia. Perché in qualche momento della nostra vita le difese ci hanno salvato E i nostri fallimenti, in alcuni momenti, possono addirittura sembrarci una fortuna. Ma, soprattutto, se falliamo perché abbiamo fatto un errore possiamo sempre dire che ci saremmo riusciti se non fossimo stati maldestri. Non corriamo il rischio che sia la realtà a rifiutarci. Siamo noi che facciamo qualcosa per sabotarci. Ma è sempre meglio che essere rifiutati.
Perché la libertà, la nostra libertà, può fare un po’ scandalo. Anche a noi stessi. Anzi, più a noi stessi che agli altri.
Lo stato mentale del dubbio
Tutte queste situazioni forse potrebbero essere riassunte con un’unica parola: dubbio. Dubitiamo della nostra capacità, dubitiamo della nostra intuizione, dubitiamo della nostra scelta. E , consapevolmente o inconsapevolmente finiamo per rimanere immobili. Attratti dalla proliferazione mentale che il dubbio produce. Non ci decidiamo a scegliere e continuiamo a fare ipotesi su ipotesi: presi da un numero enorme di possibilità che si aprono davanti a noi. E nessuna ci sembra certamente giusta. E, soprattutto ci domandiamo se è il momento giusto e anche su quello non sappiamo rispondere. E aspettiamo.
Esiste una stanchezza dell’intelligenza astratta ed è la più terribile delle stanchezze. Non è pesante come la stanchezza del corpo, e non è inquieta come la stanchezza dell’emozione. È un peso della consapevolezza del mondo, una impossibilità di respirare con l’anima. Fernando Pessoa
Alla fine, in un attimo, passa così tanto tempo che non possiamo più fare quello che volevamo, che avevamo sognato e desiderato e trasformiamo la nostra vita nel dolore per ciò che non è stato. Come uscire da questa trappola infernale?
[box] Respirate, lasciate correre, astenetevi dal voler produrre qualcosa di diverso in questo momento; mentalmente ed emotivamente lasciate che questo momento sia esattamente com’è e lasciate a voi stessi la libertà di essere così come siete. Poi, quando sarete pronti, muovetevi nella direzione dettata dal cuore, consapevoli e risoluti. Jon Kabat Zinn[/box]
Consapevoli e risoluti
Rimandiamo, aspettiamo e ci dimentichiamo, immersi nei nostri dubbi e nella nostra indecisione, che la vita non ci aspetta. Inseguiamo l’idea che ci sia il momento giusto, la persona giusta, la cosa giusta e, invece ogni momento è quello giusto. Ogni situazione è il punto d’ingresso che aspettavamo. Anzi che aspettava che ci decidessimo a fare il passo di essere tutti nel momento presente, senza fratture. Senza se e senza ma. Solo qui e adesso in una condizione di radicale accettazione di se stessi.
Lasciamo che le nostre intuizioni prendano corpo e disegnino la nostra intenzione. Non vuol dire diventare panzer che vanno dritti all’obiettivo: vuol dire accettare gli inevitabili errori e l’inevitabile ripetizione dell’errore ma, nello stesso tempo, vuol dire confidare in ciò che emerge e fidarci che sapremo essere in questa vita con pienezza
[box] Questo è il vero segreto della vita: essere completamente impegnato con quello che stai facendo nel qui ed ora. E invece di chiamarlo lavoro, rendersi conto che è un gioco. Alan Watts[/box]
Confidare nell’emergere
Confida nell’emergere dichiara l’ingrediente necessario per immergersi nel mare ribollente del cambiamento: la fiducia. Dubbi, sabotaggi, autocritica dichiarano solo la paura del cambiamento e il desiderio di aggrapparsi a qualcosa che, forse, non c’è più. Non possiamo trovare stabilità aggrappandoci. L’unica stabilità che possiamo avere è quella, paradossale, dell’inevitabilità del cambiamento. Rinunciare alle nostre pseudosicurezze ci permette di liberarci dalla paura del cambiamento
Sai che il germoglio è nascosto nel seme.
Stiamo tutti lottando; nessuno di noi è arrivato lontano.
Lascia andare l’arroganza, e guardati intorno, in te.
Il cielo azzurro si apre vasto, sempre più vasto,
il senso quotidiano di fallimento passa,
i danni che ho fatto a me stesso sbiadiscono
all’avanzare di un milione di soli luminosi,
quando siedo solidamente in questo mondo.
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