
Molte persone mi hanno detto che quando realizzano quanto a lungo sono stati imprigionati in un sentimento di vergogna e odio nei confronti di sé stessi, provano non solo pena ma anche una specie di speranza che offre un nuovo senso alla loro vita. Un po’ come svegliarsi da un brutto sogno, come se, vedere la propria prigione, permetta anche di vedere le proprie potenzialità.
Il famoso maestro zen del settimo secolo, Seng-Tsan, insegnava che la vera libertà è essere “senza ansia dell’imperfezione”. Questo significa accettare la nostra esistenza umana e la vita stessa così com’è.
L’imperfezione non è un nostro problema personale: è una parte naturale dell’esistenza. Siamo tutti catturati dalla paura e dai desideri, tutti noi agiamo inconsapevolmente, tutti noi sperimenteremo la malattia e l’invecchiamento. Quando ci rilassiamo rispetto all’imperfezione, non perdiamo più la nostra vita nella ricerca di momenti in cui le cose siano diverse da come sono o nella paura di sbagliare.
Lawrence descriveva la cultura occidentale come un grande albero con le radici nell’aria. ” Periremo per la mancanza di soddisfazione dei nostri più grandi bisogni” scriveva “perchè siamo tagliati fuori dalla sorgente interna di rinnovamento e nutrimento”. Viviamo per riscoprire la verità della nostra bontà naturale e della connessione con tutte le cose. Il nostro “più grande bisogno” è entrare amorevolmente in relazione gli uni con gli altri, entrare in relazione con la bellezza e con il dolore che ci circonda e che è dentro di noi. Come diceva Lawrence “abbiamo bisogno di piantare di nuovo i nostri alberi, noi stessi, nella terra della vita”. Tara Brach
© www.nicolettacinotti.net Dalla Rubrica “Addomesticare pensieri selvatici”
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