In questi giorni nuovi disastri hanno colpito l’Italia: disastri prevedibili e imprevedibili. E già su questo potremmo aprire una lunga discussione. Era stato segnalato il rischio valanghe. Era stato segnalato l’intensa nevicata, Era stato costruito un albergo in un luogo pericoloso.
Accade un evento e immediatamente inizia la polemica su cosa si poteva e non si poteva fare. Una polemica che trova un po’ di quiete solo nel momento in cui i soccorsi funzionano e riprende non appena i soccorsi non riescono a riportare alla luce nessun superstite.
Anche solo questa coincidenza di tempi dovrebbe farci riflettere. La polemica è – molto spesso – la risposta ad un evento tragico. Ad un errore fatale. Ad un dolore non sopportabile ma vissuto per interposta persona. Perchè chi quel dolore lo vive in prima persona ha un’altra voce: quella della disperazione, o della rabbia o dello sgomento.
Come nasce la polemica?
La parola nasce dal greco “polemikos” e significa “attinente alla guerra”. Può essere un atteggiamento unilaterale o reciproco in cui “la guerra” si esprime attraverso le parole e non tanto attraverso atti fisici, concreti. In genere si sviluppa con una struttura ricorrente, in tre fasi:
- L’individuazione di un avversario, bersaglio della polemica, che spesso viene nominato con uno o più atti di aggressione verbale.
- L’allargamento del discorso: dall’argomento originale della discussione, si passa alle parole dell’interlocutore stesso che vengono analizzate, riprese e strumentalizzate.
- Un ulteriore allargamento del discorso che, partendo dai fatti, passa a parlare anche del bersaglio stesso, inteso come persona ritenuta colpevole di azioni – o di omissione di azioni – ritenute necessarie.
La polemica ha una struttura circolare e in qualsiasi momento questi tre passi possono ripetersi portando ad una rimuginazione, ad una comunicazione che non produce vie d’uscita. Eppure, malgrado raramente porti ad altri risultati che non siano l’espressione della propria rabbia, è davvero difficile interromperla e quasi impossibile evitare che – in situazioni tragiche – sorga e venga alimentata.
Ma la polemica che effetto fa?
Le nostre parole non sono neutre. Anche quando diciamo stupidaggini non parliamo al vento perchè le parole hanno una loro energia che va oltre il loro contenuto specifico. Non è neutro ascoltare discorsi polemici, non è neutro farli. Coltivano la sensazione di impotenza, di sterile ripetizione del problema e alimentano la rabbia contro le istituzioni o contro specifiche persone alle quali viene attribuita la responsabilità dell’accaduto. Se i soccorsi fossero entrati in polemica non sarebbero partiti nella buia notte successiva alla valanga ma avrebbero aspettato che si realizzassero certe condizioni. Non avrebbero scavato, non avrebbero tentato il possibile e forse l’impossibile. Perchè la polemica sposta il potere dell’azione negli altri, nei responsabili ma non vede il potere dell’azione in chi esprime la polemica.
Eppure in Italia – non sono così internazionale da poter dire che accade lo stesso anche nel resto del mondo – la polemica sembra essere la prima risposta alla tragedia. Perchè ci impedisce di sentire l’impotenza del dolore; l’enormità di ciò che è accaduto. E ci impedisce di sentire il danno che produce l’inconsapevolezza.
Forse a volte pensiamo che la consapevolezza sia un lusso da intellettuali o da meditanti. In realtà la consapevolezza rispetto alle nostre azioni e alle nostre intenzioni è patrimonio di tutti e se non la usiamo con discriminazione non possiamo che trovarci – in seguito – a fronteggiare i danni della nostra inconsapevolezza. Molti errori nascono dall’inconsapevolezza dell’intenzione per cui si fanno certe scelte e dall’inconsapevolezza dell’ambiente in cui ci troviamo, che può dirci se la nostra intenzione è più o meno appropriata.
Aprire o continuare la polemica ci lascia nell’inconsapevolezza. E, tutto sommato, oscura la dimensione della responsabilità.
Che differenza c’è tra protesta e polemica
La protesta è una dichiarazione pubblica, davanti a degli interlocutori, di fatti ben precisi e circostanziati. Dovrebbe essere libera da polemica perchè nella polemica diventa preminente l’attacco alla persona o alla istituzione, rispetto all’elemento di dichiarazione circostanziata. Nella protesta la rabbia diventa una azione concreta, diventa l’annuncio esplicito di un sentimento che include rabbia e tristezza. Se nella polemica prevale l’aspetto rabbioso e ostile, nella protesta il dolore è l’emozione che muove all’azione e cerca sostanza nella logica dei fatti. La protesta cerca un responsabile. La polemica ha sempre un colpevole già pronto. Fatto, finito e giustiziato senza bisogno della magistratura.
La polemica ama la luce dei riflettori e quindi si spegne insieme alla ribalta delle notizie. La protesta può durare anni, può essere protratta nel tempo in attesa di risultati concreti perchè è sostenuta da un forte desiderio di giustizia e, molto spesso, reclama l’uso degli strumenti propri della giustizia. Molte azioni legali nascono da atti di protesta: che sia per i comportamenti del vicino di casa o del datore di lavoro o della persona che ha fatto male il proprio lavoro e così via. Poiché la protesta è fortemente intrisa di emozioni, non sempre è aderente alla realtà dei fatti. A volte è aderente solo al vissuto della persona che protesta.
Il cinismo è figlio della polemica
Se c’è una emozione che esprime la perdita di sentimenti per gli altri questa è il cinismo. Indica una sfiducia nelle motivazioni altrui, la convinzione che ci sia un egoismo di fondo e che tutti gli uomini desiderino realizzare istinti primitivi a loro esclusivo beneficio. Spesso prende una forma sarcastica e ironica. Oppure un umorismo macabro. Forse ne sono un esempio le vignette di Charlie Hebdo (rivista satirica francesce) sul terremoto italiano e sulla vicenda dell’Hotel Rigopiano.
C’è un legame stretto tra la polemica e il cinismo: entrambe esprimono una mancanza di fiducia nell’altruismo, nei sentimenti sociali, nella condivisione come legame tra esseri umani. È per quello che abbiamo attimi di silenzio dalla polemica nel momento in cui vengono tratte in salvo delle vittime. In quel caso è così evidente che ci sono persone che mettono a rischio la propria vita per salvarne altre che una qualsiasi polemica susciterebbe solo disapprovazione. Il polemista in realtà cerca approvazione, consenso e sostegno. Cerca di motivare altri alla propria posizione che diventa una forma di manipolazione emotiva. Cerco di convincerti che “non c’è nulla da fare, nessuna speranza se non quella di coltivare il proprio orticello con muraglioni alti contro il mondo esterno. Nessun senso di colpa se siamo egoisti è l’unica strategia di sopravvivenza“. A volte il cinismo è una forma di prudenza stanca, e altre volte, di critica realistica o di scetticismo.
Il cinismo e la ricerca della felicità
Il termine cinismo è però connesso ad una scuola filosofica di pensiero greca del IV secolo a.c che aveva tutt’altra origine. Proponeva infatti alle persone una modalità per raggiungere la felicità e la libertà in un’epoca piena di sofferenze e incertezze, contrastando le grandi illusioni. Non è la ricerca della ricchezza, del potere, della fama, del piacere che possono offrire la felicità ma possiamo trovarla in una vita che segue il richiamo della natura (Eudaimonia). L’Eudaimonia è basata sull’amore per gli altri esseri umani, sull’equanimità nei confronti delle alterne vicende della vita.
Come abbiamo fatto a trasformare il cinismo nell’accezione odierna? Abbiamo fatto uno dei nostri trucchi preferiti. Per essere equanimi accorciamo la strada e tagliamo via il dolore. Neghiamo la sua esistenza e riduciamo il confronto con il dolore ad un errore altrui. Ad una colpa che non ci riguarda. Portiamo tutta la nostra attenzione sulla piccola e personale felicità, più controllabile di quella che nasce dal benessere sociale.
Riduciamo il nostro mondo ad un francobollo: quello disegnato dai confini – piccolissimi – della nostra vita e il gioco è fatto. La polemica ci trasforma – giorno dopo giorno – in cinici.
I soccorritori, le persone reali che scendono tra le macerie, ci rendono ogni giorno parte dell’essere umani. Non salvano solo la vita di chi è rimasto intrappolato ma anche la nostra. Ci tirano su dalla polemica e dal cinismo e ci fanno credere che la parola aiuto abbia un senso. Vero e profondo.
La buona notizia è che tutti noi possiamo essere soccorritori nei mille modi in cui la vita ci chiama ad esserlo. La cattiva notizia è che la polemica è contagiosa, come il cinismo.
© Nicoletta Cinotti 2017 Foto di © Polemiko Mouseio © sopre