
A volte dobbiamo convivere con ospiti scomodi. Fanno rumore, ci distraggono, ci spingono a destra e manca. Vogliono tutta la nostra attenzione e non ci permettono di volgere lo sguardo altrove.
Vorremmo dare la disdetta a questi inquilini della nostra vita e quindi – non essendoci un vero e proprio contratto formale – proviamo a convincerli in tutti i modi: con le buone e con le cattive. Sembra che se ne siano andati ma dopo un po’ li vediamo ritornare più forti di prima. Una sorta di Erasmus che non finisce ma continua, a sorpresa. Come si chiamano? Ansia e impazienza, nervosismo e stress? Anche la depressione tende a tornare negli stessi luoghi, negli stessi periodi. Ospite scomodo eppure ricorrente.
Convivere con l’ansia non è facile. È per quello che cerchiamo continuamente strategie. Sono diverse da persona a persona. Per alcuni l’ansia porta all’immobilità. Per altri all’iperattività. Il vero punto però di queste scomode convivenze – e quello che le rende debilitanti – è che occupano troppo spazio. Quando siamo ansiosi tutto sembra velato dalla nostra ansia. E quando siamo tristi lo stesso.
Si stabiliscono nella nostra vita con la forza dell’abitudine e la nostra lotta per cacciarli definitivamente rischia di essere estenuante. Difficile eliminare queste due modalità di risposta che fanno parte sia delle nostre reazioni fisiologiche che delle nostre modalità difensive.
Il punto semmai è un altro: lasciar andare il primo piano su di loro. Quando l’ansia o la depressione – e spesso arrivano insieme – compaiono sulla scena il punto è non lasciarle diventare le primedonne. Il punto è continuare a vedere le cose attraverso la percezione e non attraverso i pensieri scatenati dall’ansia. Mantenere lo sguardo sull’ampiezza della nostra vita e non solo sulle difficoltà. Ampliare la prospettiva con cui guardiamo ai problemi, magari domandandosi “Come vedrò questa cosa tra sei mesi? O tra un anno? O tra due anni?” E, soprattutto, domandarsi che cosa stiamo evitando con la nostra ansia. Perchè, alla fine, l’ansia è spesso un trucco che porta tutta la nostra attenzione su qualcosa e ci impedisce di vedere la situazione nel suo complesso.
Prendere le distanze, domandandosi come potremmo vedere questa esperienza a distanza di tempo, e chiederci se c’è qualcosa che stiamo evitando spesso calma la nostra ansia perchè restituisce il senso della prospettiva e l’ampiezza della consapevolezza: due aspetti che l’ansia riduce.
In quei momenti, quando il nostro inquilino è particolarmente rumoroso, tutta la pratica di mindfulness che aiuta a dis-identificarsi e a confortarsi, diventa un bene prezioso. La meditazione della montagna, del lago o cullare il cuore ci ricordano che, al di là dei fantasmi della nostra mente, c’è la possibilità di tornare sempre alle qualità della nostra natura originaria. E guardare ai fantasmi non diversamente da come guarderemmo i fuochi artificiali: stupore, meraviglia, rumore, forse paura. E poi tornano le stelle e il cielo.
Raramente la fretta è motivata da cause esterne, bensì è una sollecitazione interiore solitamente indotta da impazienza o da un’ansia sconsiderata, talvolta così sottile da dover prestare molta attenzione per individuarla, altre volte talmente incalzante da essere quasi irresistibile. Jon Kabat Zinn
Pratica di mindfulness: La meditazione della montagna
© Nicoletta Cinotti 2017 Il ritiro di Primavera: Risolversi a cominciare Foto di ©Nico Zumstein
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