“Dove non mi hai portata” è il titolo dell’ultimo libro di Maria Grazia Calandrone, che diventa il necessario antefatto del precedente, “Splendi come vita” in cui raccontava la storia della sua relazione con la famiglia adottiva e, in particolare, con la madre. Sono due libri splendidi entrambi ma con l’ultimo libro Maria Grazia fa un salto di qualità che va oltre la narrazione di una storia personale per entrare dentro un affresco collettivo che riguarda la storia delle donne in Italia e dell’appoggio legislativo dello stato italiano all’indissolubilità del matrimonio
Fino al 1968 e al 1969, in Italia l’adulterio era reato. Un reato penale che faceva da contraltare al reato di concubinato. Il reato di adulterio era il tradimento, da parte di una donna, del legittimo marito. Il reato di concubinato era il tradimento del marito che sceglieva di vivere con un’altra donna. Due reati penali la cui persecuzione era affidata alla denuncia del coniuge. Se il coniuge denunciava, la pena poteva arrivare a due anni e mezzo. La madre naturale di Maria Grazia era fedifraga ma, prima ancora che traditrice, era stata una donna vittima di una cultura e di una famiglia che le aveva tolto la facoltà di essere padrona della propria vita. La fine della storia è nota e Maria Grazia ricostruisce, con precisione da detective, tutti gli antefatti di quella storia che finisce in maniera tragica e di denuncia.
I genitori naturali di Maria Grazia l’abbandonano lo stesso giorno in cui decidono di togliersi la vita, per affidarla alla “compassione di tutti”. Una compassione che prende la forma dell’adozione, da parte dei Calandrone, e della denuncia, con una lettera all’Unità, giornale quotidiano del Partito Comunista, che dà risalto all’intera vicenda nei suoi aspetti umani e sociali. Genitori semi-analfabeti eppure consapevoli che c’era, in quello che stavano vivendo e scegliendo, un’ingiustizia doppia. L’ingiustizia di non dare a tutti le stesse opportunità e l’ingiustizia di una legislazione punitiva.
Nello scrivere Maria Grazia Calandrone tiene ben saldi due registri: quello personale, affettivo, e quello collettivo. La sua scrittura risuona della scelta narrativa fatta da Joan Didion, ne “L’anno del pensiero magico”, di Annie Ernaux ne “L’evento” ma anche di James Ellroy ne “I miei luoghi oscuri”. Questo unire alla vicenda personale una lettura sociale ci aiuta a renderci conto della molteplicità dei fattori che concorrono alla “scrittura” di una storia personale. Ci ricorda la nostra “comune umanità condivisa”, ricorda che le donne hanno millenni di ingiustizia e pregiudizi sulle spalle. Sono questi millenni che ci hanno rese forti. Siamo sopravvissute grazie ad una tenacia, una forza e una determinazione che è la nostra fiera compassione. Una storia che insegna che l’amore non è un sentimento da sottovalutare perché è rivoluzionario. Ha la forza, la tenacia, l’intenzione, di cambiare le cose. A volte ci riesce, a volte no ma non per questo perde forza o valore.
© Nicoletta Cinotti 2023 Addomesticare pensieri selvatici