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Protocollo MBCT

Dove non mi hai portata

29/07/2023 by nicoletta cinotti

“Dove non mi hai portata” è il titolo dell’ultimo libro di Maria Grazia Calandrone, che diventa il necessario antefatto del precedente, “Splendi come vita” in cui raccontava la storia della sua relazione con la famiglia adottiva e, in particolare, con la madre. Sono due libri splendidi entrambi ma con l’ultimo libro Maria Grazia fa un salto di qualità che va oltre la narrazione di una storia personale per entrare dentro un affresco collettivo che riguarda la storia delle donne in Italia e dell’appoggio legislativo dello stato italiano all’indissolubilità del matrimonio

Fino al 1968 e al 1969, in Italia l’adulterio era reato. Un reato penale che faceva da contraltare al reato di concubinato. Il reato di adulterio era il tradimento, da parte di una donna, del legittimo marito. Il reato di concubinato era il tradimento del marito che sceglieva di vivere con un’altra donna. Due reati penali la cui persecuzione era affidata alla denuncia del coniuge. Se il coniuge denunciava, la pena poteva arrivare a due anni e mezzo. La madre naturale di Maria Grazia era fedifraga ma, prima ancora che traditrice, era stata una donna vittima di una cultura e di una famiglia che le aveva tolto la facoltà di essere padrona della propria vita. La fine della storia è nota e Maria Grazia ricostruisce, con precisione da detective, tutti gli antefatti di quella storia che finisce in maniera tragica e di denuncia.

I genitori naturali di Maria Grazia l’abbandonano lo stesso giorno in cui decidono di togliersi la vita, per affidarla alla “compassione di tutti”. Una compassione che prende la forma dell’adozione, da parte dei Calandrone, e della denuncia, con una lettera all’Unità, giornale quotidiano del Partito Comunista, che dà risalto all’intera vicenda nei suoi aspetti umani e sociali. Genitori semi-analfabeti eppure consapevoli che c’era, in quello che stavano vivendo e scegliendo, un’ingiustizia doppia. L’ingiustizia di non dare a tutti le stesse opportunità e l’ingiustizia di una legislazione punitiva.

Nello scrivere Maria Grazia Calandrone tiene ben saldi due registri: quello personale, affettivo, e quello collettivo. La sua scrittura risuona della scelta narrativa fatta da Joan Didion, ne “L’anno del pensiero magico”, di Annie Ernaux ne “L’evento” ma anche di James Ellroy ne “I miei luoghi oscuri”. Questo unire alla vicenda personale una lettura sociale ci aiuta a renderci conto della molteplicità dei fattori che concorrono alla “scrittura” di una storia personale. Ci ricorda la nostra “comune umanità condivisa”, ricorda che le donne hanno millenni di ingiustizia e pregiudizi sulle spalle. Sono questi millenni che ci hanno rese forti. Siamo sopravvissute grazie ad una tenacia, una forza e una determinazione che è la nostra fiera compassione. Una storia che insegna che l’amore non è un sentimento da sottovalutare perché è rivoluzionario. Ha la forza, la tenacia, l’intenzione, di cambiare le cose. A volte ci riesce, a volte no ma non per questo perde forza o valore.

© Nicoletta Cinotti 2023 Addomesticare pensieri selvatici

Archiviato in:Addomesticare pensieri selvatici, Protocollo MBCT Contrassegnato con: portata, pensieri selvatici, meditazione e scrittura, scrivere la mente

Parole semplici

22/07/2023 by nicoletta cinotti

C’è bisogno di molto silenzio, di silenzio
fuori e dentro di noi,
per udire la voce,
la flebile, timida e sommessa voce
dei colombi,
delle formiche,
della gente,
dei cuori
e delle loro pene
in mezzo a ingiustizie e guerre
in mezzo a tutto quello
che non è
pane, amore
e nemmeno bontà.
Silenzio,
silenzio. Solo i cuori
seguano il tempo
e traccino il cammino.

Tone Pavček

Archiviato in:Mindful Self Compassion, poesia del giorno, Protocollo MBCT

Be bop a lula: parole sul disturbo bipolare

22/07/2023 by nicoletta cinotti

Parlare del disturbo bipolare non è facile: è come camminare in uno stretto sentiero di montagna dove, ad ogni passo, puoi scivolare nel burrone. Cercherò di farlo tenendomi alla ferrata che in questo caso sarà molta storia clinica, un libro e qualche riflessione semiseria.

La prima cosa da dire

La prima cosa da dire è che una persona con il disturbo bipolare stanca chi la cura ma non annoia mai. Stanca perché a volte la sua energia può essere incontenibile e dare la sensazione di inseguire qualcosa che comunque non è raggiungibile e altre volte, in maniera imprevedibile, è stagnante e priva di speranza. Tutto questo senza che, apparentemente, ci siano stati eventi esterni a giustificare il cambiamento. Perché le redini di tutto questo le tiene l’umore, un umore incontrollabile che sale e scende seguendo criteri suoi.

Nel mio libro, “Mindfulness ed emozioni” ho ringraziato una mia paziente storica che aveva una diagnosi di disturbo bipolare e che mi ha insegnato moltissime cose sull’umore e sui sintomi che preannunciavano, per lei, l’episodio maniacale e, successivamente, la fase depressiva.

Lei preferiva di gran lunga la fase maniacale e spesso la fase depressiva era anche un effetto dei farmaci. I suoi familiari, invece, preferivano di gran lunga quando la sua energia era meno alta. Perché, come dicevo prima, può essere piuttosto faticosa.

La storia dei farmaci

Molti pazienti  con disturbo bipolare vedono per la prima volta uno psichiatra quando entrano nel primo episodio depressivo. Perché, almeno in una buona parte dei casi, la maniacalità all’inizio è una piacevole ventata d’energia che fa apparire le persone speciali e la vita una specie di magia continua. Dalla letteratura clinica sappiamo che gli antidepressivi in adolescenza e nell’età adulta possono essere anche i responsabili di una slatentizzazione di un disturbo bipolare in soggetti predisposti. Una cosa è certa: gli antidepressivi, così diffusi e così normalizzati, non sono farmaci da poco. Per questa ragione in molti casi tremo, sia al cambiamento del farmaco antidepressivo, sia quando vedo arrivare una persona in trattamento antidepressivo che, in realtà, non ha una diagnosi di depressione così chiara. L’uso non corretto degli antidepressivi è un errore tutt’altro che raro ed è dovuto ad una diagnosi poco accurata e ad una raccolta anamnestica frettolosa. Spesso la diagnosi di disturbo bipolare avviene dopo la slatentizzazione dell’episodio maniacale dovuto al tentativo di cura dell’episodio depressivo con i farmaci antidepressivi. Purtroppo a molte persone i farmaci piacciono tantissimo e, spesso, non sono le persone che ne avrebbero più bisogno. Inoltre, attorno ai farmaci psicotropi ci sono moltissime narrazioni e pregiudizi che rivelano come il rapporto con i farmaci non sia affatto un rapporto medico ma emotivo.

Se vuoi leggere qualcosa in più ci sono due articoli: I farmaci nella psicoterapia, in cui parlo di alcuni casi clinici e l’intervista, datata 2014 al collega psichiatr Gaspare Palmieri. Farmaci e/o psicoterapia?

La letteratura aiuta

Nel libro di Fuani Marino, “Svegliami a mezzanotte”, si ha una buona e cruda descrizione di quello che può voler dire convivere con un disturbo bipolare. L’autrice racconta, infatti, la sua storia, a partire dal tentato suicidio: un tentativo molto serio che le ha lasciato alcuni danni permanenti. All’esordio la sua patologia è stata diagnosticata come depressione e trattata con farmaci antidepressivi. La gravidanza e il parto hanno aggiunto una variabile significativa al quadro clinico e solo pochi giorni prima del tentato suicidio le viene prescritto un regolatore dell’umore che lei non accetta di prendere. Troppo tardi, ho pensato io leggendolo, ma anche molto tipico. Per qualche ragione l’antidepressivo è spesso molto più accettato dello stabilizzatore dell’umore perché la fase maniacale, che l’antidepressivo può sostenere, è percepita come molto più sana e normale della fase depressiva. Purtroppo tanto più si sale in alto, tanto più si può cadere in basso. Non solo in senso metaforico ma, in questo caso, anche letterale.

La gravidanza non è uno scherzo

A proposito di normalizzazione va detto che la gravidanza non è uno scherzo. Fino a non moltissimi anni fa la percentuale di donne che perdevano la vita al momento del parto era decisamente alta. Nel 18° secolo il tasso di mortalità materna con nati vivi era del 12%, pari a quella di molte gravi malattie. Il numero di donne che ogni anno muore a causa di complicazioni legate alla gravidanza e al parto è passato da 546 mila nel 1990 a 358 mila nel 2008, segnando una diminuzione del 34%. Si tratta di un miglioramento importante, ma per raggiungere i traguardi fissati dagli obiettivi di sviluppo del millennio, il tasso di riduzione della mortalità materna dovrebbe crescere dal 2,3% (tasso medio di riduzione annua dal 1990 a oggi) al 5,5% (dati dell’istituto superiore della sanità). Già solo questo dato potrebbe aiutarci a capire che l’evento, salutato come una gioia, ha anche un lato oscuro che può alimentare paura e depressione.

La depressione post-partum colpisce dal 10 al 15% delle donne (dati dell’istituto superiore della sanità) e insorge tipicamente dopo 4-6 settimane dal parto. L’aver avuto in precedenza disturbi depressivi è un ulteriore fattore di rischio. Per alcune donne il trattamento antidepressivo, rafforzato in seguito alla depressione post-partum, fa da innesco per la slatentizzazione del disturbo bipolare.

Il ruolo dei curanti e quello della famiglia

Nel libro Fuani chiede alla famiglia il ricovero, richiesta insolita e che non viene accolta. Si apre qui il capitolo di come la famiglia può sostenere o di come può interferire con il processo di cura. Spesso l’atteggiamento si basa su due pregiudizi: il primo pregiudizio è che la depressione sia questione di forza di volontà, che, se uno si impegna, può farcela da solo. Non è assolutamente vero ed è un pregiudizio che sviluppa moltissimi sentimenti di inadeguatezza ma è davvero duro a morire tanto che, in molte persone con una lunga storia di ricadute depressive, è uno dei pensieri automatici più tipici e distruttivi.

Il secondo pregiudizio è che il meglio per un bambino o una bambina sia stare con la mamma. È un’idea ancestrale e giustificabile sul piano teorico e umano ma non sul piano personale. Non sempre una mamma è il luogo migliore e non sempre i bisogni dei bambini devono venire prima dei bisogni della madre. Nel bellissimo film documentario,Storia del cammello che piange, ambientato nel deserto dei Gobi, una cammella rifiuta di allattare il piccolo appena nato, mettendo a serio repentaglio la sua vita. Una delle anziane della comunità capisce quale può essere il problema e cura la cammella fino a che non inizia a piangere per il dolore del parto. Vedere la cammella che piange e che, solo dopo, permette che il piccolo si attacchi al suo seno, ci racconta quanto il parto sia un dolore che condividiamo con tutti i mammiferi e un lutto che andrebbe, prima di tutto consolato. Non è un lutto per la separazione – a volte desiderata – dal neonato, ma per il cambiamento. Il cambiamento del corpo, delle responsabilità, del ruolo sociale, del tempo a propria disposizione. È un lutto per il dolore viscerale e profondo che l’accompagna.

Tornando alle persone che soffrono per un disturbo emotivo spesso incontrano due difficoltà: farsi capire da chi li cura, collaborando verso una diagnosi corretta, e farsi capire dai familiari che spesso hanno un’immagine obsoleta di loro.

L’intervento con la famiglia

Valerie Porr ha individuato molto bene il ruolo centrale della famiglia nella cura. Accade moltissime volte infatti che i familiari siano, senza volerlo e senza consapevolezza, ostacoli alla cura. Nel suo libro, Superare il disturbo borderline di personalità, mette a fuoco come le risposte della famiglia spesso rinforzino i comportamenti oppositivi o auto-lesionistici ma questo è vero per moltissime patologie. Anche Marsha Linehan, in Una vita degna di essere vissuta, esprime quanto la famiglia giochi un ruolo nell’insorgenza e nella cura. Non solo perché, a volte, la famiglia è la causa del disturbo ma perché con comportamenti disfunzionali continua ad alimentarlo o a non credere alle indicazioni della persona sofferente. L’atteggiamento della famiglia di fronte alla malattia psichica è una variabile che non andrebbe mai sottovalutata. Per questa ragione da anni sostegno la formazione in Mindful Parenting. Alla famiglia non si chiede una responsabilità speciale ma la consapevolezza. E la consapevolezza non è “pensare” ma integrare sensazioni fisiche, emotive, pensieri e aspetti relazionali. Un percorso che molto spesso richiede strumenti specifici.

Il protocollo MBCT e la consapevolezza

Il protocollo MBCT (Mindfulness based cognitive therapy) offre un percorso di sostegno alla consapevolezza delle ricadute e strumenti per prevenirle e per affrontarle quando dovessero ripresentarsi. È utile chiarire due possibili equivoci.

Molte persone si iscrivono al protocollo MBCT con la convinzione (e la speranza) che questo prevenga il ripetersi delle ricadute. Non è questo l’oggetto del protocollo MBCT. Il protocollo ha l’intenzione di dare strumenti per prevenire le ricadute, strumenti per affrontare le ricadute ma fa parte della struttura stessa del disturbo psichico la possibilità di recidivare. Quello che si cerca di fare con la psicoterapia, con il trattamento farmacologico è di ridurre il rischio di recidiva e di ridurre il tempo di durata di una recidiva perché più recidive si hanno più aumenta la possibilità di averne. I disturbi emotivi sono come la scarlattina: se l’hai avuta una volta non ti lascia immune, come la varicella, e aumenta la possibilità che si possa riprenderla un’atra volta.

L’impegno è quello di conoscere i segnali di ricaduta, prevenire i fattori di ricaduta, intervenire tempestivamente quando questa si dovesse verificare e collaborare a periodi di sospensione e ripresa della copertura farmacologica. Perché non per tutti e non per sempre è necessario mantenere la terapia farmacologica in modo continuativo e questa è una decisione da prendere insieme alla psichiatra. Inoltre, ogni cosa ha un lato positivo, come affermava un film dedicato al disturbo bipolare e uscito qualche anno fa, Il lato positivo.

Le persone che soffrono di disturbo bipolare sono spesso personaggi indimenticabili per le loro qualità. Sono “cavalli di razza” che, se riescono a domare il loro lato selvaggio, regalano gli aspetti splendenti dell’essere umani. Dobbiamo ricordare anche che, in fondo, un po’ umorali lo siamo tutti e quello che differenzia l’essere umorali dall’essere bipolari sta in un continuum. Quando il nostro umore è alto splendiamo tutti di più!

Del nostro essere umorali fa parte la tendenza a sottovalutare gli aspetti positivi e ingigantire quelli negativi e la nostra “vulnerabilità narcisistica”: il reagire troppo a qualsiasi “offesa”. in fondo sbagliamo da professionisti, come diceva Paola Conte!

Personaggi che hanno dichiarato pubblicamente il loro bipolarismo
Jim Carey (Attore), Carrie Fisher (Attrice), Linda Hamilton (Attrice), Ben Stiller (Attore), Bruce Sprinsgsteen (Cantante), Indro Montanelli (Giornalista), Robin Williams (Attore), Vivien Leigh (Attrice), Jean-Claude Van Damme (Attore), Catherine Zeta-Jones (Attrice), Francesco Cossiga (Presidente della Repubblica Italiana), Sinead O’Connor (Cantante), Vittorio Gassman (Attore)
Tim Burton (Regista), Francis Ford Coppola (Regista), Ted Turner (Imprenditore, TV e Cinema), Buzz Aldrin (Astronauta), Peter Gabriel (Musicista), Jimi Hendrix (Musicista),Jaco Pastorius (Musicista). Kurt Cobain (Musicista), Sting, (Cantante), Tom Waits (Cantante, Musicista)

© Nicoletta Cinotti 2023

Bibliografia di riferimento

Nicoletta Cinotti, Scrivere la mente, Morelli e Yoga Journal editore

Nicoletta Cinotti Mindfulness ed emozioni, Gribaudo Editore

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Il protocollo MBCT online

© Nicoletta Cinotti 2023

Archiviato in:approfondimenti, esplora, Protocollo MBCT

Quello che resta è quello che conta

20/07/2023 by nicoletta cinotti

Sto svuotando, piano piano, la casa dei miei genitori per metterla in vendita. Improvvisamente mi sembra diversa e la vedo diversa rispetto a quando era abitata. Adesso se ne sta come una bella signora pigra sulla sdraio, che guarda chi fa il bagno e si tuffa, gioca, si rincorre mentre lei non si muove. È diventata una casa immobile perché mancano i suoi abitanti. Era come se la presenza scattante di mia madre desse movimento anche alla casa. Come se le stanze vibrassero insieme alla sua presenza.

Mio padre abitava il divano: era diventato il suo mini appartamento. Un appartamento dove riceveva le visite di mia madre e dei figli, senza darsi troppo incomodo.

Adesso che non ci sono vedo molte più cose. Non sono offuscata dalle emozioni che mi suscitavano. Adesso capisco, finalmente, cose che prima non capivo. Mia madre mi diceva sempre, “quando diventerai madre capirai”. Invece sono diventata madre e ho continuato a non capirla. Eravamo diverse nel nostro essere madri. Forse eravamo simili solo nel nostro saper transitare la distanza. Adesso che non c’è capisco come funzionava e capisco di più la passione che ho avuto per lei nell’infanzia. Una passione che si era affievolita fino quasi a scomparire. È tornata quando è diventata bisognosa. Perché vecchia mia madre non lo è stata mai e nemmeno bisognosa, a dire il vero, perché la sua dignità le impediva di riconoscere il bisogno. Ma il bisogno si mostrava a sua insaputa.

A dispetto delle rughe che le coprivano il viso e il corpo, mia madre era giovane dentro. Una giovane donna orgogliosa e tenace. Convinta fino all’ultimo che l’avrebbe scampata anche questa volta. Che la sua straordinaria resilienza l’avrebbe salvata. Adesso che non c’è le nostre vite convergono e posso assaporare l’amore che ho sempre avuto. Un amore che mi sembrava venisse respinto, come se rimbalzasse su una superficie dura.

Capisco che quella superficie di rimbalzo era la sua convinzione che io la rifiutassi. Lei era convinta che io la rifiutassi. Io ero convinta che lei mi rifiutasse, Alcune persone le incontri solo quando non ci sono più. Le incontri nella distanza e nell’assenza perché nella presenza ci sono troppe interferenze. Le idee sono un’interferenza all’amore, un’interferenza più grande di qualsiasi cosa ma quando l’altro non c’è rimane solo l’amore. Quello che resta è quello che conta. In tutte le relazioni è così.

“Accettazione significa fare i conti con le cose così come sono: non è un atto eroico. È prendere contatto con la realtà.” Amore, mindfulness e relazioni: Qualità mindful per amare senza equivoci by Nicoletta Cinotti

Pratica di mindfulness: Stare lì

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBCT online

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Il controllo e la riflessione

18/07/2023 by nicoletta cinotti Lascia un commento

Il controllo ha molto successo. Spesso lo consideriamo un elemento di maturità. Non mettiamo a fuoco quanto costa, in termini personali, rispetto alla spontaneità e alla sincerità. Lo pubblicizziamo facilmente perchè risultano ovvi i suoi vantaggi. Il controllo però non è l’unica risposta all’impulsività. Anzi spesso è l’ultima risposta, perchè poi, se controlliamo tanto, finiamo per esplodere senza nemmeno rendercene conto. La risposta all’impulsività è la riflessione che ci offre quella padronanza che vorremmo.

Smettere di controllare significa, semplicemente, lasciar andare quella forma di manipolazione verso di noi che ci giudica, critica, valuta quello che facciamo come se fossimo continuamente sotto esame e impedisce così la libertà. Ci controlliamo perché ci interessano di più i risultati del nostro benessere. Ci controlliamo perchè pensiamo che crescita e cambiamento passino attraverso la manipolazione. Nostra e altrui.

Il controllo ha un corrispettivo relazionale che è la manipolazione. Il dire e il fare per ottenere dall’altro quello che vogliamo. Peccato che poi, quando finisce l’incantesimo della manipolazione, il castello che abbiamo costruito scivola via come sabbia tra le dita.

Non è pericoloso essere spontanei, essere autentici, essere sé stessi. Non dobbiamo preoccuparci di fare brutte figure. L’autenticità è vitale come il nostro respiro. Anzi è misurata dalla vitalità e ampiezza del nostro respiro. Più il nostro respiro è libero, più siamo autentici. E più siamo autentici e più siamo liberi di essere felici.

C’è una grande felicità nel non volere, nel non essere qualcosa, nel non andare da qualche parte. J. Krishnamurti

Pratica di mindfulness: Be water

© Nicoletta Cinotti 2023 Il protocollo MBCT online

 

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Il piacere, l’ansia e le difese

14/07/2023 by nicoletta cinotti

Forse ti sarà capitato di avere molti impegni e responsabilità e, per portarli avanti, tagliare il tempo libero o tagliare le attività piacevoli con l’illusione di avere così più energia per quello che “devi” fare. Nella depressione da lieve a grave questa è una delle prime cose che accade. Pessima scelta perché abbiamo bisogno di avere un equilibrio tra lavoro e vita personale. per questo motivo aiuto le persone a mettere a fuoco delle attività nutrienti da portare avanti  per avere energia per i compiti quotidiani. Solo che succede una cosa strana: molte persone scoprono che hanno attività nutrienti che sono solo piacevoli (i procrastinatori) o attività nutrienti che sono solo di padronanza, organizzate in agenda come se fossero un impegno di lavoro. ( I controllanti). Entrambi cercano una cosa sola. Tenere a bada l’ansia.

L’ansia è una delle emozioni più pervasive e disturbanti. Anche se non sempre possiamo definirla patologia, è pur vero che il disagio che provoca è così forte che raramente passa inosservato.

La prima domanda però che dovremmo farci è perché proviamo ansia?

Perché sono ansioso?

Proviamo ansia perché desideriamo qualcosa ma sappiamo che questo può essere, anziché un piacere, una fonte di frustrazione. Sappiamo che quel meeting di lavoro può darci molto piacere e soddisfazione ma non siamo sicuri del risultato: proviamo ansia. Sappiamo che quell’incontro potrebbe andare bene ma non è certo: proviamo ansia. Sappiamo che stiamo per avere una crescita professionale: proviamo ansia perché non siamo sicuri di essere adeguati. E gli esempi potrebbero continuare all’infinito. Perché l’ansia non discrimina tra cose positive e negative: possiamo provare ansia nei momenti più belli della nostra vita che finiscono così per essere veramente difficili!

Come dice Alexander Lowen l’ansia nasce come reazione alla frustrazione provata in una condizione piacevole. Se, ripetutamente, quando siamo aperti, amorevoli e rilassati accade un fenomeno avverso – una frustrazione, una punizione o un rimprovero – è molto possibile che si strutturi una forma di ansia cronica che ci porta ad evitare la condizione piacevole che ha scatenato il rimprovero. In questo caso tenderemo a diventare super-preparati e a controllare gli imprevisti in due modi: con la preparazione e con la riduzione dell’improvvisazione e delle attività non preparate accuratamente. saremo precisi, ordinati e controllati e metteremo in agenda la palestra, il cinema, le cene, prenotando tutto con il dovuto anticipo. Un vantaggio ma anche uno svantaggio percé i “controllori” hanno meno gioia e minore propensione alla meraviglia.

Oppure, all’opposto, facciamo solo cose piacevoli, decise last minute e procrastiniamo tutto quello che ci mette in ansia c, finendo poi per avere un accumulo di arretrati che può travolgerci da un momento all’altro. Modi opposti di regolare la stessa emozione. l’ansia! Cerchiamo di ripetere quella situazione piacevole ma in modo da non provare ansia, per esempio attraverso l’uso di alcool.

Quindi l’ansia nasce in relazione al piacere. Ecco perché qualsiasi ansioso ha bisogno di sentirsi in un luogo sicuro. Il luogo, lo spazio fisico in cui si trova e il messaggio – positivo – lo confortano sul fatto che niente di male può accadergli. Nello stesso tempo, il comportamento di evitamento dell’ansia ha un effetto paradossale: la amplifica. Mentre incontrarla con gradualità offre sollievo. Una mente piena di ansia, infatti, crea proprio le paure che teme di più. Le crea ma non riesce a comprenderle ed esplorarle. Pensa continuamente a ciò che potrebbe succedere senza darsi strumenti per comprendere come e perché succede. L’ansia ci porta a velare le nostre risorse e le nostre qualità e rende più difficile lanciare uno sguardo verso la nostra mente originaria.

Ma come fare? E soprattutto, chi saremmo se non fossimo stati frenati dalla nostra ansia? Proviamo a vederlo in teoria e in pratica…

“Accetta il fatto che quando fai qualcosa di nuovo potrebbe andare male, e questo renderà tutto più facile”Alex Noriega

I segnali contraddittori

L’ansia nasce in risposta a segnali contraddittori e può venire evocata dal presentarsi anche di qualsiasi altro segnale ambivalente. Le situazioni originarie risalgono all’infanzia. I bambini sono tutto cuore, sono cioè molto aperti e, per questa ragione anche molto vulnerabili. Man mano che incontrano frustrazioni imparano a costruire dei confini di personalità e un senso di quello che può essere un luogo sicuro e un comportamento sicuro. Purtroppo anche i genitori stessi non sono sempre fonte di piacere e sicurezza e, nella mente del bambino, possono essere associati anche alla possibilità del dolore. È così che iniziamo ad imparare che anche le relazioni possono essere “pericolose”. Se le frustrazioni superano la finestra di tolleranza allora diventa inevitabile che l’ansia ci spinga a costruire delle difese e non solo dei confini. Possiamo addirittura affermare che le difese sono un uso eccessivo dei confini che diventano rigidi e poco adattabili al mutare delle circostanze.

La mente ansiosa non comprende che quando sogna ad occhi aperti cose avvenute nel passato, non è nel presente. E quando non siamo nel presente è difficile agire saggiamente. È più probabile che faremo quello che siamo preoccupati di fare: sbagliare. Jan Chozen Bays

L’ansia e le difese

Le difese diminuiscono l’ansia ma riducono anche la vitalità rendendo attivo l’imbuto dell’esaurimento di cui ti parlavo prima, una specie di gorgo in cui, ad un certo punto, ti trovi immerso, senza via d’uscita.. La difesa, ovviamente, non blocca tutte le iniziative di ricerca del piacere, ma ogni difesa, ponendo un limite alla vitalità è anche un piccola morte.

Dal crepacuore ci difendiamo rinunciando ad amare e dalla morte rinunciando a vivere. Alexander Lowen

Il piacere può essere definito in diversi modi: può essere piacevole un funzionamento regolare, o una variazione nella routine. Per alcune persone è piacevole il riposo, per altre l’attività: potremmo dire che il piacere nasce come senso di soddisfazione per quello che stiamo facendo ed è strettamente personale. In ogni caso si accompagna ad una sensazione fisica, radicata nel corpo, è un movimento espansivo e un flusso di sensazioni dal centro verso le estremità. Un aprirsi, entrare in contatto, protendersi. Non nel caso dell’ansia però: in quel caso l’idea del piacere si accompagna ad una proliferazione di pensiero ipotetico.

I movimenti opposti  di ritiro, chiusura e trattenimento, anche se mettono al sicuro, non vengono vissuti come piacevoli ma come una perdita emorragica di energia. È opportuno sottolineare che, molto spesso, il nostro corpo presenta una situazione mista: parti irrorate e confortevoli, alternate a zone di tensione e ritiro. Non sempre la linea di demarcazione è netta ma la differenza è percepibile a noi e visibile agli altri.

La risposta piacevole è anche una risposta calda e ricca d’amore perché il cuore è in comunicazione diretta con il mondo esterno. Alexander Lowen

L’ansia nel corpo

Così per comprendere l’ansia – e comprendere come reagiamo all’ansia – è necessario andare al di sotto delle difese per guardare fino a che punto una persona possa espandersi senza precipitare nella paura e senza perdere il contatto con la realtà.

Aumenta la tua disponibilità e la tua consapevolezza a guardare innanzitutto che cosa c’è. Virginia Satir

Per fare questo è necessario osservare le diverse modalità di contatto che abbiamo: le braccia e le mani, le gambe e i piedi, la testa e il volto e la sessualità. Queste parti ci permettono il contatto con il mondo e quindi le sensazioni di tensione legate ad ognuna di queste aree – o la loro limitazione – ci offre una prima importantissima informazione.

Ansia: che fare?

Anche se può sembrare paradossale, evitare le situazioni che scatenano l’ansia non è una buona idea. Alla fine ci porta a ridurre eccessivamente la nostra sfera vitale. Quello che è necessario è aumentare il senso di sicurezza personale e, forti di questa base, andare incontro con gradualità alla nostra ansia. Possiamo farlo incrociando due percorsi: aumentare il radicamento nella realtà attraverso il grounding e il lavoro corporeo e regolando le emozioni negative attraverso la pratica di mindfulness e self-compassion. Il protocollo MBCT e il Programma di Mindful self-compassion offrono un’ottima integrazione. Perché questa integrazione funziona?

Il respiro è l’unica funzione che è sia volontaria che involontaria ed è una attività mente – corpo. Il prestare attenzione intenzionale al respiro, inoltre, attiva il ramo parasimpatico del sistema nervoso autonomo, rallentando quel senso di urgenza e di fretta che accompagna l’ansia. L’attenzione al respiro però, nei casi di ansia, deve essere accompagnata dalla rassicurazione, dal calore del conforto perché, altrimenti non può funzionare. Inoltre per molte persone dietro all’ansia c’è una sensazione di inadeguatezza che si esprime attraverso l’autocritica. La self-compassion ci aiuta a confortare questa sensazione e a trovare modi gentili per aiutarci a superare le credenze negative su di noi

Se il respiro è molto accorciato – come accade quando soffriamo di ansia – è necessario aiutarne la libertà, andando a sciogliere le contrazioni circolari che ne limitano l’ampiezza, perché lo stesso accorciamento del respiro può indurre una sensazione di ansia. Possiamo farlo con il tocco e con dei movimenti compassionevoli

Qualche volta può andare bene anche se la sola cosa che puoi fare è respirare. Yumi Sagukawa

I farmaci per l’ansia vanno presi quando sono indispensabili. Molto spesso l’ansia viene trattata con benzodiazepine, vecchi farmaci che pososno essere sostituiti da nuove risposte farmacologiche visto che aumentano il senso di torpore, creano dipendenza e  perdita di padronanza che, peraltro, sono sintomi tipici dell’ansia e innescano così un circolo vizioso.

L’ansia e la mente

È molto frequente che l’ansia renda difficile la concentrazione. Ci fa credere che la fuga sia la migliore risposta mentre invece avremmo bisogno di fermarci. Oppure ci fa rimanere chiusi in casa mentre avremmo bisogno di uscire. Questo perché si invertono i normali flussi di apertura e chiusura. Può essere utile quindi fare pratiche brevi, come Addolcire, confortarsi, aprire oppure Lavorare con i pensieri difficili, precedute dal movimento corporeo,come la Classe del Mattino, o semplicemente, una meditazione camminata.

Al di là di tutto, quello di cui abbiamo bisogno è, progressivamente, avvicinarci proprio a quello che ci fa paura: unica strategia che davvero scioglierà la nostra ansia come neve al sole.

Last but not least

Inoltre l’ansia ha un effetto sulla creatività. A volte un effetto di diminuzione, a volte espressivo. Ci sono persone che creano come modo per calmare la loro ansia. Altre che sono ansiose rispetto alla sola idea di esprimersi creativamente. Sotto tutto questo però, ognuno di noi, ha una sorgente intatta di creatività. È la nostra mente originaria. Come siamo al di là e al di sotto delle nostre difese? Siamo piccoli e grandi artisti della vita!

© Nicoletta Cinotti 2023

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Il programma di Mindful Self-compassion Incontri in streaming. Partecipazione in diretta necessaria

Bibliografia

N. Cinotti, Mindfulness ed emozioni

A. Lowen, Paura di vivere

J Chozen Bays, Come addomesticare un elefante selvatico

 

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