Se anziché ritirarci dal contatto proviamo a sostare per qualche respiro, con attenzione, a ciò che percepiamo, possiamo avere la sensazione che si apra uno spazio.
Uno spazio interiore che restituisce una dimensione a quello che proviamo. La fretta che ci spinge a fuggire dal contatto ha infatti un effetto: quello di ridurre lo spazio interiore e di farci sentire oppressi dalla nostra stessa esistenza.
Non c’è, a volte, un oppressore esterno: ci siamo noi che con i nostri pensieri ci opprimiamo e cerchiamo di passare velocemente a qualcosa d’altro che non c’è. Ci siamo noi e tutto ciò che accade è un’orma, una traccia che ci può condurre verso la nostra vera natura.
Quello spazio interno che si apre quando sostiamo, anche solo per pochi istanti, nel contatto, con noi o con un’altra persona, è uno spazio sacro. La cui sacralità nasce e cresce con lo svilupparsi di un senso di tenerezza per se stessi. Una tenerezza che spazza via l’irritazione che proviamo rispetto all’essere intrappolati dai nostri giudizi. Una tenerezza che porta amicizia con noi stessi e, di conseguenza, con gli altri. Un’amicizia da cui sorge il senso di dignità di essere chi siamo.
Può darsi che in questo spazio compaia la consapevolezza dei nostri sentimenti rimossi, inespressi, negati o temuti: sono anche questi un’orma del nostro vero Sé. E seguendo queste orme torniamo a casa.
Se i sentimenti non trovano espressione, se vengono repressi, perdiamo il contatto con il Sé (…) Una persona che sa cosa sente è in contatto con se stesso (…) Sono scomparsi i controlli originati dalla paura di essere se stesso. Alexander Lowen
Pratica del giorno: Mindful bioenergetics
© Nicoletta Cinotti 2015
Lascia un commento